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SECONDA SERIE

AVVERTENZA

l. Il presente volume, terzo della serie Il, abbraccia il periodo compreso fra il 1 o luglio 1871 e il 30 giugno 1872, immedia,tamente successivo cioè al trasferimento della capitale e del corpo diplomatico da Firenze a Roma. La questione romana continua a rimanere al centro dell'azione del governo, dell'atteggiamento delle potenze e dell'opinione pubblica straniera. Problemi che erano stati messi in evidenza nel precedente periodo, come la difficile situazione interna spagnola dopo l'ascesa al trono di Amedeo di Savoia, continuano ad essere seguiti con particolare attenzione. Per quanto concerne il problema tunisino il volume documenta ancora le trattative e l'arbitrato relativi alla controversia con il Bey; mentre per Tripoli vengono posti in luce gli sforzi per ottenere la riforma delle capitolazioni. È in questo periodo inoltre che si colloca il progetto italiano per una colonia penitenziaria al Borneo. Numerosa infine la documentazione sull'orientamento delle potenze circa l'attività dell'Internazionale e i suoi collegamenti con i repubblicani ed internazionalisti italiani che vengono particolarmente seguiti dalle varie rappresentanze diplomatiche all'estero. 2. Il volume è prevalentemente fondato sulla documentazione conservata nell'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri e precisamente sui seguenti fondi archivistici: a) Gabinetto e Segretariato Generale: Corrispondenza telegrafica in arrivo e in partenza; b) Carteggio confidenziale e riservato; c) Divisione • politica • : Registri copia-lettere in partenza, Rapporti in arrivo; d) Pratiche diverse trattate dalla Divisione politica . 3. L'Archivio della Legazione di Londra è stato utile per controllare i passi mancanti o di lettura incerta nonchè le date di trasmissione e di arrivo degli analoghi telegrammi conservati nei registri della Corrispondenza telegrafica. 4. Altri Archivi, soprattutto privati, hanno fornito un importante contributo per la compilazione del volume: l'Archivio Visconti Venosta, conservato a Santena; le carte Eredità Nigra, conservate presso l'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri; le copie delle carte Artom, conservate presso la Commissione Documenti Diplomatici. 5. Per le ricerche e il coordinamento dei documenti ho avuto la preziosa collaborazione del Prof. Francesco Bacino a cui va il mio particolare ringraziamento. Con lui desidero ringraziare vivamente le Dott. Emma !annetti e Emma Ghisalberti per la compilazione dell'apparato critico. Ringrazio infine il Signor Armando Renzopaoli per la solerzia con cui ha eseguito il suo lavoro. ANGELO TAMBORRA


DOCUMENTI
1

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI MINISTRI A BER· LINO, DE LAUNAY, A LONDRA, CADORNA, A MADRID, DE BARRAL, A PARIGI, NIGRA, A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, A VIENNA, DI ROBILANT, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, PATELLA

T. 1707. Roma, 2 luglio 1871, ore 17

Le Roi est arrivé ce matin. Il a été reçu chaleureusement par la population. Tranquillité complète en ville et au Vatican.

2

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. 2590. Roma, 2 luglio 1871 (per. il 3).

Sarà noto all'E. V. l'unito indirizzo (l) che si dice mandato dalla Sezione Milanese della Internazionale al Comitato Centrale di Londra.

Il Prefetto di Milano ritiene non solo menzognera l'apposizione delle 2540 firme, ma mentiti pur anche i nomi dei firmatari Maldini, Giovacchini e Léon Dupont.

Prego la compiacenza dell'Onorevole mio collega Ministro degli Esteri a far praticare qualche ricerca, che forse non tornerà disutile, sull'esistenza all'estero di tali individui, tanto più che il nome del Giovacchini è ben noto a Londra.

Attenderò a suo tempo coi desiderati cenni il ritorno dell'unito numero dell'Opinion Nationale.

3

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A CARACAS, VIVIANI

D. 11. Roma, 3 luglio 1871.

Ho ritardato di pochi giorni la spedizione dell'ultimo mio dispaccio, che porta la data del 23 giugno, per poter meglio conoscere qual seguito le Potenze intendono dare alle rimostranze collettive proposte dalla Germania, per ottenere che codesto Governo federale dia un esito soddisfacente a molti giusti richiami promossi presso di lui da vari stati europei nell'interesse dei loro connazionali.

Sono oggi in grado di trasmetterle copia (traduzione) delle istruzioni date dal Ministro degli Affari Esteri d'Inghilterra al rappresentante di S. M. Britannica in Caracas. È con particolare soddisfazione che ho riscontrato l'uniformità di idee esistente a questo riguardo fra il Governo inglese e noi. Le istruzioni date al Signor Middleton sono infatti in tutto conformi a quelle che

V. S. ha ricevuto e questa circostanza agevolerà a lei il compito che le venne affidato.

Non saprei rendermi esattamente conto del significato che Lord Granville ha voluto dare a quella parte delle sue istruzioni che si riferisce alla dichiarazione da stendersi in comune. Egli dice che, sebbene tale dichiarazione non dovrà essere troppo vaga, tuttavia non deve far cadere sopra tutti in generale la responsabilità dei richiami particolari. A me sembra che ciò sia conforme alle istruzioni che io le ho date il 23 giugno u. s. relativamente alle domande Bottaro e Miano, istruzioni che Ella è autorizzata ad interpretare nel senso di non discostarsi da quanto la maggioranza dei Rappresentanti esteri stimerà conveniente di fare per casi analoghi, senza impegnare però il R. Governo in una discussione che riuscirebbe molto difficile a sostenere. Con ciò voglio dire ch'Ella dovrà approfittare della circostanza attuale in cui i Rappresentanti delle principali potenze presenteranno una domanda collettiva per ottenere possibilmente il risarcimento di tutti i danni sofferti dai R. R. sudditi, salvo poi ad insistere più particolarmente e con maggiore impegno in favore di coloro che, anche secondo la lettera del trattato di commercio esistente fra l'Italia ed il Venezuela, hanno un diritto incontestabile di essere indennizzati.

(l) Non si pubblica.

4

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3826. Vienna, 3 luglio 1871, ore 15,30 (per. ore 18).

Arrivé hier au soir. Reçu ce matin par le comte Beust. Très aimable accueil. Il m'a répété chaleuresement ce qu'il avait déjà dit à Curtopassi et à la délégation autrichienne à l'égard de l'ltalie. J'ai répondu que le roi et le Gouvernement appréciaient hautement initiative prise et attitude simpathique de l'Autriche. Quant'à la présence de Kubeck pendant le séjour du roi à Rome il me semblait qu'on devait regarder l'incident comme vidé.

5

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 624/222. Londra, 3 luglio 1871.

In una conversazione avuta con Lord Granville l'ho trattenuto intorno agli affari della Cina, cui si riferisce il di Lei dispaccio del 1° giugno p. p. n. 21 Politico.

S. S. mi confermò i timovi che si avevano dagli Europei nella Cina, la comunicazione della Circolare di cui fa cenno l'E. V. nel predetto suo dispaccio, i preparativi militari nel Dispaccio stesso indicati, e che si facevano dai Cinesi.

A riguardo di ciò che avveniva nella Cina nelle relazioni degli Europei, accennò alla classe dei letterati siccome quella che più pareva agitarsi, ed indicò la quistione religiosa come la causa principale di questo movimento. In questo soggetto mi tenne un discorso analogo a quello fattomi dal Signor Hammond, e che ebbi a riferire all'E. V. col mio rapporto del 2 Marzo p. p. n. 127 Politico.

I Missionari Cristiani si ingerivano talvolta in affari estranei alle cose meramente religiose, e l'appoggio che negli anni passati avevano avuto, specialmente dalla Francia, ve li aveva incoraggiati. Il Governo Inglese li aveva avvisati che il suo appoggio sarebbe loro mancato ove con questo contegno avessero provocato delle complicazioni, ed il Signor Conte mi fece notare come l'Inghilterra fosse più di ogni altro Stato interessata in quel Paese. La Francia aveva domandato che certi capi degli ultimi deplorabili fatti avvenuti nella Cina, i quali erano stati puniti con pene leggiere, fossero decapitati; ma il Governo Britannico non era disposto a seguire la Francia su questa via.

Era poi vero che la Gran Bretagna aveva poderose forze in quei mari; ma il Governo non pensava a mandarvi dei rinforzi. Quanto alla libertà religiosa poi esistevano i Trattati i quali bastavano, nè essi potevano essere alterati da Circolari del Governo Cinese.

Lord Granville poi è di avviso che, tenendo la via dal suo Governo seguita, e principalmente mettendosi i Governi Europei d'accordo nella loro linea di condotta, ciò potrebbe bastare ad impedire ulteriol'li conflitti.

6

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI MINISTRI A BERLINO, DE LAUNAY, A BRUXELLES, BLANC, A LONDRA, CADORNA, A PARIGI, NIGRA, E A VIENNA, DI ROBILANT

T. 1709. Roma, 4 luglio 1871, ore 19.

Le roi est parti hier soir. Il a été profondément ému des démonstrations enthousiastes d'affection de la population. Aucun désordre, aucun cri contre le pape ou les cléricaux. Le pape est resté au Vatican, et parait avoir renoncé à tout projet de départ. Hier ses anciens employés et quelques membres de la noblesse lui ont présenté une adresse au Vatican. On m'assure qu'on n'a réussi à réunir qu'un nombre fort restreint d'individus. Les membres du corps diplomatique qui ont assisté aux fetes de Rome auront pu témoigner de l'attitude de la population et de la sincérité et spontanéité de son attachement à la monarchie.

7

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3829. Parigi, 4 luglio 1871, ore 15,30 (per. ore 20,25).

Le caractère des élections françaises est en substance antilégitimiste et anticlérical.

8

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1581. Parigi, 4 luglio 1871.

Tutti i risultati definitivi dell'elezioni completorie de' deputati all'Assemblea nazionale, ch'ebbero luogo il 2 corrente, non sono ancora conosciuti con precisione. Il Journal officiel d'oggi indica soltanto 58 elezioni come definitive. Nondimeno il risultato generale approssimativo non può più lasciare dubbio sul significato predominante delle elezioni del 2 luglio. Anzitutto questo significato è ricisamente sfavorevole alla causa degli imperialisti, un solo antico Ministro dell'Impero, il Signor Magne essendo riuscito eletto nel Dipartimento della Dardogna, mentre il Signor Rouher, il Principe Murat, il Signor Clément Duvernois furono respinti. Ma a quanto pare la grande maggioranza delle elezioni compite ha pure un senso generalmente anti-monarchico. Recò in molti sorpresa che i Dipartimenti abbiano questa volta dato considerevoli maggioranze alle liste dei repubblicani moderati, le quali nella Gironda, per esempio, passarono intiere con una media di 60 mila voti contro circa soli 18 mila dati al più favorito candidato conservatore. Il Generale Faidherbe ed il Signor Gambetta ottennero, per quanto si sa finora, tre elezioni ciascuno.

La città di Parigi accettò con poche ma significative modificazioni la lista dell'unione della stampa. In capo degli eletti figura con 122 mila voti (sopra

458.993 inscritti) il Signor Wolowski, già rappresentante nella Assemblea del 1848, professore di legislazione commerciale ed economica nel Conservatorio d'arti e mestieri. Il vescovo d'Angers, Monsignor Freppel ch'era tra i candidati dell'unione della Stampa non riuscì eletto. Esso ebbe poche migliaia di voti di più del Signor noquet, che si potrebbe all'incirca chiamare comunalista. Anche Parigi elesse il Signor Gambetta dandogli meglio di 94 mila voti.

Il risultato generale definitivo sarà probabilmente pubblicato appena dopodimani dal Journal Officiel.

9

IL VICE CONSOLE A BELGRADO, CAMPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 115. Belgrado, 4 luglio 1871 (per. il 19).

La concentrazione in diverse parti del Principato della milizia per le usuali manovre ha fatto si che questa fosse da diversi giornali interpretata come un preparativo ostile alla Turchia, e si parlasse già di una spedizione nella Bosnia, d'accordo col Montenegro: ora gli stessi diarii studiansi far credere volere i Reggenti indurre il Principe Milan ad abdicare per collocare sul trono di Serbia un principe russo, avant'ieri annunciavano essersi scoperta in Serbia una nuova cospirazione contro il Principe per cui la polizia aveva dovuto raddoppiare di sorveglianza; tutte queste sono false notizie divulgate dai Miletic e dai Stratimirovic nemici dichiarati di questo governo per discreditarlo e per suscitare degli imbarazzi. Io posso assicurare l'E. V. che simili notizie sono prive di fondamento e che la quiete la più perfetta regna nel Principato.

Ora sembra volersi questo Governo seriamente occupare della ferrovia che deve traversare la Serbia, e si attende il ritorno del Ministro della guerra, ed insieme dei lavori pubblici, il quale fu inviato a Berlino per l'ingresso trionfale, onde destinarlo come rappresentante della Serbia alle conferenze che avranno luogo a Vienna sulla congiunzione della ferrovia serba con quella della Turchia. Mi si fa pure credere che l'Agente austriaco di qui il quale ora trovasi in congedo, ritornerà munito di pieni poteri onde trattare con questo governo per la congiunzione fra la Serbia e l'Ungheria e per stabilire il luogo dove dovrà essere costruito il ponte che traversar deve il Danubio.

10

IL CONSOLE GENERALE A NIZZA, GALATERI DI GENOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 141. Nizza, 4 luglio 1871.

Facendo seguito al mio precedente di questa serie del 1° corrente (1), mi onoro di riferire a V. E. che il risultato delle elezioni politiche per la nomina dei due, fra i quattro, rappresentanti di questo Dipartimento delle Alpi marittime, che mancavano all'Assemblea di Versaglia, è contrario al partito, che ora piace chiamare • revisionista • (del plebiscito del 1860) e che fin qui s'intitolò • italiano separatista •. Se nelle prime elezioni all'Assemblea, i candidati del partito italiano della separazione ebbero un'immensa maggioranza di voti sopra i candidati variopinti francesi, la cosa è unicamente da attribuirsi a che i separatisti piò o meno repubblicani o realisti deponevano nelle urne

gli stessi nomi, mentre che i Francesi più discordi dispersero su molti individui i loro voti. I francesi alquanto ammaestrati dalle lezioni ricevute, questa volta concentrarono sopra minor numero di candidati i loro voti, e siccome il loro numero sulla totalità delle Comuni del Dipartimento è di gran numero superiore agli abitanti della Contea Nizzarda, riuscirono vincitori.

Nella città di Nizza però, ove i francesi si trovano in minoranza, i candidati revisionisti Avvocato Borriglione e Notaio Milon ebbero il sopravento sopra il Dottore Maure e l'ingegnere Lefèvre, entrambi ricchi impresari d'opere pubbliche candidati del partito repubblicano moderato, che si pretende abbiano sparso molto denaro, e che siano stati appoggiati dal Governo. Siccome in Nizza furono ammessi a votare circa duemila individui francesi, che a rigore non vi hanno stabile residenza, come i soldati, i marinai, gli impiegati e gli operai della ferrovia e simili, è evidente che se il partito revisionista o separatista fu battuto nel Dipartimento, trionfò moralmente a Nizza, e che con questo plebiscito mostrò il desiderio dell'annullamento del plebiscito del 1860.

I revisionisti hanno pur fatto professione di fede repubblicana, lasciando però intendere di anteporre il ritorno alla madre patria, il principio politico, ed i loro candidati ottennero, il Signor Borriglione 2919 voti, il Signor Milon 2593. Fra i candidati del partito repubblicano francese si portarono per il Signor Maure 2593 ed il Signor Lefèvre 2473. Ma questi ultimi si ebbero nelle Comuni al di là del Varo sui due primi una fortissima maggiore quantità di voti.

Al momento che sto scrivendo non si conoscono ancora i risultati delle votazioni di tutte le Comuni del Dipartimento. Mi riservo dunque a dare in calce le indicazioni totali dei voti avuti dai singoli principali competitori.

Quantunque l'agitazione sia stata assai viva, l'ordine pubblico non venne turbato, a meno però di alcune picchiate scambiate o solamente ricevute.

P. S. Sono ancora ignoti i risultati delle votazioni di parecchi Comuni, per cui non posso qui ora indicare la cifra totale dei voti acquisiti dai varii Candidati, ma ben si possono considerare avere riportato nuovamente la maggioranza i Signori Maure e Lefèvre, del partito repubblicano francese moderato.

(l) Non pubblicato.

11

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Parigi, 7 luglio 1871.

Mi recai oggi a Versaglia dal Signor Thiers e dal Signor Giulio Favre. Mi premeva di comunicare ad entrambi le nuove che mi avete mandate di Roma relativamente al modo con cui la popolazione si comportò sia all'occasione dell'anniversario pontificio sia all'occasione dello arrivo e della partenza del Re. Mi premeva altresì di sapere se l'Assemblea si prorogasse e se prima della

proroga volesse avventurarsi in una discussione a riguardo delle petizioni episcopali in favore del Papa.

Andai prima da Thiers. Gli diedi le notizie e gli dissi che non risultava a voi che il Papa avesse i:l proposito d'andarsene da Roma. Thiers mi disse che i clericali francesi credono che il Papa se ne andrà. Egli mi ripetè a quest'occasione che egli non desiderava che il Papa lasci Roma, che la presenza del Papa in Francia sarebbe un imbarazzo pel Governo, che finora il Papa non fece in proposito nessuna domanda e nessuna entratura, ma che se il Papa si decidesse a venire in Francia, il Governo francese lo accoglierebbe e gli darebbe ospitalità in una delle città francesi, non però in Avignone in considerazione del pessimo stato dell'opinione pubblica in quella città ed in tutto l'antico contado pontificio. Il Signor Thiers mi disse ancora che se il Papa deve lasciare l'Italia ed andarsene in paese straniero, è desiderabile che venga piuttosto in Francia che altrove. A tutto ciò io non feci che una sola osservazione ed è che in nessun luogo il Papa si troverà cosi bene come al Vaticano sotto tutti i rapporti, e che l'ospitalità della Francia agli occhi di Sua Santità e dei Cardinali deve essere diventata meno desiderabile dopo le gesta del Comune e l'uccisione dell'Arcivescovo di Parigi.

Domandai, dopo ciò, al Signor Thiers se l'Assemblea fosse in procinto di prorogarsi per due o tre mesi, e se egli credeva che prima della proroga essa volesse avventurarsi in una discussione a proposito delle petizioni dei Vescovi. Mi rispose che diffatti l'Assemblea, dopo la votazione di alcune leggi vigenti e del bilancio attivo, si prorogherebbe probabilmente a novembre, ma che prima sarà forse inevitabile una discussione sulle petizioni episcopali.

Il Signor Thiers, vedendo l'impressione sgradevole che questo annunzio mi faceva soggiunse però subito che se la discussione aveva luogo egli avrebbe anzitutto sancito la questione territoriale. Eccovi presso a poco ciò che mi disse e ciò che dirà in sostanza all'Assemblea: • Io non mutai d'opinione. Fui contrario all'Ùnità d'Italia perchè prevedevo che da essa nascerebbe l'unità germanica. Ma ora che l'Italia è fatta, io riconosco il fatto compiuto e voglio serbar relazioni amichevoli con essa. Non accetto adunque la questione territoriale. Rimane la questione dell'indipendenza del Papa. Il Papa contribuisce a nominare i Vescovi in Francia ed esercita funzioni spirituali importanti ed elevate in Francia. Conviene quindi alla Francia ch'esso sia indipendente. Il Governo francese riconosce questa necessità dell'indipendenza del Pontefice; farà quanto dipende da lui perchè essa sia completa e garantita ed è pronta ad intendersi in proposito coi governi cattolici •.

Feci e sviluppai al Signor Thiers tre osservazioni. La prima è che io cre

devo utile a tutti di r,inviare a più tardi e dopo la proroga dell'Assemblea la

discussione sulle petizioni dei Vescovi, e ciò perchè gli spiriti saranno più tran

quilli e l'Assemblea stessa, ammaestrata e modificata dalle recenti elezioni, sarà

divenuta più calma. La seconda osservazione è che lo scopo che il Signor Thiers

si propone, quello cioè di assicurare l'indipendenza del Papa col concorso del

l'Italia e delle altre Potenze cattoliche, sarebbe in ogni caso più facilmente

ottenibile mantenendo buoni rapporti coll'Italia che avendone dei cattivi. Thiers

approvò questa considerazione e mi disse che la direbbe eventualmente alla Assemblea. La terza osservazione è che questo stesso scopo noi crediamo di averlo raggiunto colla legge della garanzia che abbiamo appunto comunicato recentemente al Governo francese. • Avete letto questa legge, domandai io al Signor Thiers, della quale vi mandai, a voi specialmente un esemplare? •. c Non ne ebbi ancora il tempo •. c Ebbene, soggiunsi, ve ne manderò un altro esemplare e vi scongiuro di leggere e di considerare attentamente questo documento prima che parliate all'Assemblea •. La conversazione fu interrotta dalla visita del Duca Nemours. Il Signor Thiers mi si mostrò sinceramente convinto della necessità di non dire o far nulla che possa compromettere le buone relazioni fra l'Italia e la Francia. I rapporti di Choiseul, che è arrivato, non hanno per nulla mutato nè le intenzioni né l'attitudine sua. Però nella discussione che avrà luogo all'Assemblea, se essa ha luogo, bisognerà aspettarsi ad un linguaggio oltrettanto violento quanto ingiusto verso di noi per la parte di molti oratori. Le violenze dell'Assemblea francese avranno un eco naturale nella nostra stampa, e vi sarà un'esacerbazione reciproca spiacevole. Per questa ragione principalmente ho domandato al Signor Thiers prima, e poi al Signor Favre di rinviare la discussione a più tardi. Intanto e per ogni buon fine io presi atto della dichiarazione del Signor Thiers che non ammetterebbe discussione sulla questione territoriale, sciolta dal fatto compiuto.

La conversazione che ebbi col Signor Favre si aggirò sullo stesso argomento. Delle cose dettemi da lui, due sono degne di nota. Egli mi disse che l'Austria non aveva ancora abbandonato l'idea d'una conferenza sulle garenzie pontificie e in secondo luogo mi disse che la Santa Sede s'era mostrata avversa ad ogni idea di conferenza e che aveva dichiarato che non accetterebbe nulla tranne il ripristinamento del potere temporale. Io dissi al Signor Favre che una conferenza senza base e senza nessuna probabilità di utile risultato era un'idea impossibile; che perchè questa idea non fosse assurda, perchè potesse diventar pratica ed utile, sarebbe necessario primo di fissare le basi della conferenza, secondo di assicurarsi che la Santa Sede accetterebbe l'arbitrato diplomatico su quelle basi. Ora, soggiunsi, le basi per parte nostra sono anzitutto che non si tocchi al programma nazionale che cioè non si metta in questione nè il plebiscito che distrusse il potere temporale e riuni Roma all'Italia, nè l'attitudine della formola di Cavour c Roma Capitale •. Queste basi che per noi sono una condizione sine qua non, sono respinte a priori dalla Santa Sede. Dunque la conferenza è una vana parola, almeno per quanto concerne la situazione del Papa. Il Signor Thiers convenne con me nella giustezza del valore di queste osservazioni. Egli è convinto, come lo siamo noi, che la conferenza per le guarentigie papali non riuscirebbe a nulla, se pure fosse possibile di riunirla. Ma soggiunse che non sarebbe in ogni caso inutile nè per noi nè per la Francia il far prova di buona volontà, e che perciò non credeva che convenisse di scartarne l'idea in certa guisa a priori. Del resto sia il Signor Thiers sia il Signor Favre constatarono meco il miglioramento fattosi in Francia nell'opinione pubblica rispetto a questa questione dopo ed in seguito alle recenti elezioni. Continuate dunque nel sistema di moderazione e di rispettosa attenzione verso il Papa, mantenete sovra ad ogni cosa la pubblica tranquillità in Roma ed atten

diamo con calma.

12

IL MINISTRO DEGLI ESTEHI, VISCONTI VENOSTA, AI MINISTRI A L'AJA, BERTINATTI, A BERLINO, DE LAUNAY, A BERNA, MELEGARI, A LISBONA, OLDOINI, A LONDRA, CADORNA, A MADRID, DE BARRAL, A MONACO, GREPPI, A WASHINGTON, CORTI, ED AGLI INCARICATI D'AFFARI, AD ATENE, GALVAGNA, A COSTANTINOPOLI, COVA, A PIETROBURGO, MAROCHETTI, A RIO DE JANEIRO, GONELLA, E A STOCCOLMA, LITTA

D. (l) Roma, 8 luglio 1871.

La Loi du 13 Février 1871 sur le transfert de la capitale vient d'ètre mise à exécution. Le Gouvernement du Roi s'était abstenu d'inviter les membres du Corps Diplomatique à prendre part aux démonstrations de joie par lesquelles la Municipalité et la population Romaine ont voulu fèter cet événement. Néanmoins plusieurs Gouvernements ont donné à leurs Représentants l'ordre de suivre le Roi aussitòt qu'il aurait transféré à Rome sa résidence. C'est là un acte de courtoisie dont nous sommes d'autant plus reconnaissants qu'il a été tout-à-fait spontané. Veuillez donc, Monsieur le Ministre, ·exprimer au Cabinet de ... mes remerciements et l'assurer que ce bon procédé de sa part ne peut qu'augmenter les sympathies qui unissent l'Italie à la ... Rien ne peut en effet raffermir autant les bonnes relations entre les deux pays que cette démonstration publique d'amitié de la part du ... Nous sommes persuadés d'ailleurs que le compte rendu que le Ministre de ... a du adresser à son Gouvernement sur l'attitude admirable de la population Romaine n'a pu que le confirmer dans la conviction que la ville qui est désormais la capitale de l'Italie est tout-à-fait digne de ses nouvelles destinées. En effet l'ordre le plus complet n'a pas cessé de régner pendant que la population se livrait aux manifestations sincères de sa joie. Aucun cri malveillant, aucune démonstration n'a pu rappeler aux étrangers que des souvenirs de haine ou des sentiments de vengeance ayent survécu à 'l'établissement du nouvel ordre des choses. La liberté la plus complète a été laissée aux partisans de l'ancien régime de mettre au jour leurs préférences et leurs regrets. Ils en ont profité pour adresser au St. Père une adresse de dévouement. Naturellement personne n'a été inquiété en raison de ses opinions, et le public ne s'est pas meme aperçu de la divergence des sentiments de la minorité.

En vous signalant ces faits, je ne dois pas non plus négliger d'appeler votre attention sur la conduite admirable de la municipalité et des habitants de I!'lorence. S'oubliant elle-mème, la population de cette grande ville a témoigné de la manière la plus manifeste la grandeur de ses sentiments patriotiques. Peut-on demander une meilleure preuve de l'importance qu'avait pour l'Italie la question du transfert de la capitale, que la joie produite non seulement dans les autres villes de la Péninsule, mais à Florence mème par la solution donnée enfin à la seule question qui tenait encore en suspens l'achèvement

5 -Documenti dipLomatici -Serie II -Vol. III

de l'unité italienne? S.M. le Roi après avoir reçu à Florence, au moment meme où elle cesse d'y avoir sa résidence officielle, des témoignages précieux d'amour et de respect, après avoir été accueilli avec ces memes sentiments à Naples pendant sa visite à l'Exposition maritime, a été vivement ému de l'enthousiasme de la population romaine et de sa sage et noble attitude. Ces preuves d'attachement à la dynastie et au principe monarchique ont de nos jours une valeur dont on ne saurait assez apprécier l'importance pour le maintien de l'crdre et pour la prospérité de l'Italie.

(l) Il testo è r1p8rtato solo nel registro di dispacci a Berlino con il n. 49.

13

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT

D. 2. Roma, 8 luglio 1871.

S. E. il Barone di Kiibeck venne alcuni giorni fa a farmi, dietro gli ordini di S. E. il Conte di Beust, la sua visita ufficiale a Roma, in seguito al trasferimento della Capitale avvenuto in obbedienza alla legge del 13 febbraio '71. Nel tempo stesso il Ministro d'Austria mi lesse un dispaccio con cui S. E. il Cancelliere dell'Impero Austro Ungherese lo incaricava di espormi le ragioni che avevano consigliato al Barone di Kiibeck di ritardare la sua partenza per Roma, finchè fossero finite le dimostrazioni di gioia con cui il Municipio e la popolazione romana avevano voluto festeggiare la venuta di S. M. il Re e l'insediamento del Governo.

Credo opportuno di far conoscere a Lei, Signor Ministro, affinchè ella possa, all'occorrenza, portarle verbalmente a notizia del Conte Beust, le ragioni che guidarono in questa circostanza il Governo del Re.

Il trasferimento della Capitale è un fatto di politica interna che ha necessariamente attinenza colla politica estera. Convinto però che questo fatto non avrebbe incontrato l'opposizione di alcuna potenza, io mi limitai a notificare al Corpo diplomatico che pel lo luglio il Ministero degli Esteri avrebbe cominciato a funzionare a Roma. L'Ufficio dei Cerimoniali di S.M. notificò del pari che dal 1° di luglio esso si sarebbe trovato a Roma dove S.M. avrebbe da quell'epoca in poi trasferita la sua residenza ufficiale.

Non fu mai mio pensiero d'invitare i membri del Corpo diplomatico ad assistere alle feste cui avrebbe dato forse occasione il trasferimento della Capitale. Queste feste non furono date dal Governo, ma dal Municipio di Roma e dalla popolazione Romana, ancorchè S.M. il Re avesse espresso per telegrafo il desiderio che le somme a tal scopo destinate fossero invece consacrate ad opere di beneficenza. Essendosi il Governo del Re limitato ad una semplice notificazione senza alcuno invito, esso non ha ragione alcuna di lagnarsi che alcuno dei membri del Corpo diplomatico, scostandosi dalla maggioranza dei suoi colleghi, abbia preferito per dei riguardi speciali di convenienza, di astenersi dall'assistere a queste manifestazioni di gioia delle popolazioni romane. Per quanto concerne l'Austria specialmente, le dichiarazioni spontanee fatte

lO

anticipatamente da S.E. il Conte Beust, dichiarazioni di cui io gli sono riconoscente e che ebbero senza dubbio una grande autorità sulle determinazioni degli altri Governi, toglievano fin da principio alle determinazioni susseguenti del Barone di Kiibeck ogni carattere men che amichevole. Ella potrà quindi assicurare S.E. il Conte Beust che quell'incidente non ha lasciato la minima traccia sfavorevole negli ottimi rapporti che esistono fra i due Governi. Certamente noi avremmo preferito che S.M. l'Imperatore d'Austria avesse potuto essere informato direttamente dal suo Ministro dell'ordine ammirabile che nelle manifestazioni popolari del 2 e del 3 luglio non si scompagnò dal più unanime entusiasmo.

Ciò nullameno noi confidiamo che il Barone di Kiibeck potrà rendere testimonianza della perfetta tranquillità che regna a Roma, della libertà completa d'opinioni di cui tutti vi godono e della quiete in mezzo alla quale i Ministri del Culto continuano ad esercitare le loro funzioni. Ed io mi compiaccio che S.E. il Barone Kiibeck sia stato autorizzato a prolungare alquanto il suo soggiorno qui, prima di partire pel suo congedo ordinario, giacchè io sono convinto che i rapporti che egli trasmetterà al suo Governo, saranno di tal natura da confermare S.E. il Conte Beust nella linea di politica così amichevole che egli ebbe ad esporre alle Delegazioni.

14

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

(AVV)

L. P. Roma, 9 luglio 1871.

Ho letto con molta sorpresa e con molto rammarico, nella sua ultima lettera confidenziale, le osservazioni che il Principe di Bismarck Le fece pervenire relativamente ad alcune pretese indiscrezioni che noi avremmo commesso a Vienna. Quella pessima diplomazia la quale consiste nel riferire a destra quello che si è udito a sinistra, e viceversa non è certamente nelle mie abitudini. Ma vi ha di più. L'indicazione che Ella mi riferiva, come Le era stata data, col suo telegramma del 15 e colla lettera del 15 scorso (l) era cosi vaga e indeterminata che io non vi avevo posto molta importanza, considerandoLa come uno di quegli avvisi che non servono ad altro che a consigliare una più attenta osservazione. Che uso discreto avrei io potuto fare di una simile indicazione presso il Governo austriaco, quand'anche avessi avuto il pensiero ed il cattivo gusto di farne un uso qualunque? Vi era qualche fatto, qualche prova, qualche indizio all'appoggio? E non essendovi, era evidente che, fosse fondato od infondato il sospetto, si sarebbe risposto negando, e non vi era altro risultato ad aspettarsi. Non potevo propormi altro scopo che quello

di porre qualche malumore fra il Gabinetto di Vienna e quello di Berlino. Allo stato attuale delle cose quale interesse ci avrei avuto? Se vi ha un interesse, sarebbe il contrario. Ad ogni punto di vista una simile comunicazione da parte mia sarebbe stata non solo sconveniente e indelicata, ma anche ridicola. Cerco di non accumulare nei miei atti tutti questi varii pregii. Cerco invano l'origine del sospetto che ha attraversato la mente del Principe Bismark e la cagione di questo disgustoso accidente. Le telegrafai che non sapevo vedervi altro che una infedeltà della posta. La cosa è sempre possibile, benchè, a dire il vero, sono piuttosto disposto a credere a qualche fortuita coincidenza che abbia sollevato a torto questo sospetto.

Il Re è stato ricevuto a Roma con un indescrivibile entusiasmo. Sono, per conto mio, poco disposto ad esagerare queste manifestazioni, ma non potrò mai dimenticare lo spettacolo di quella folla immensa e plaudente che empiva le vie della città e si accalcava intorno al Re quando fece la sua entrata e passò la rivista. Me ne rimetto del resto ai rapporti che la diplomazia presente a Roma avrà fatto giungere ai rispettivi governi, poichè lo spettacolo fu tale da dare difficilmente luogo ad apprezzamenti diversi. Per me il pregio migliore di queste manifestazioni consistette nell'ordine dal quale furono accompagnate: nessuna dimostrazione sconveniente, nessun grido contro il Pontefice. L'entusiasmo stesso era patriottico, era nazionale, ma non era rivoluzionario. Questa tendenza rassicurante mi pare assai rimarchevole in tutte le classi della società romana. Al banchetto del Municipio, ove ebbi a prendere la parola, la mia voce fu coperta di applausi, eppure non parlai d'altro che di Re, di dinastia, di ordine e di rispetto al sentimento religioso. Non vi è che una cosa che possa spingere e che, in parte spinga anche attualmente lo spirito pubblico di questa città fuori delle vie della moderazione, -ed è il timore, l'inquietudine di qualche complicazione politica che metta in dubbio od in pericolo il risultato nazionale e le nuove sorti di Roma. L'inesperienza stessa ajuta ed aumenta questa inquietudine. Di mano in mano che il Umore di questi pericoli svanisce, che la fiducia dell'avvenire si consolida, scompare, nell'istessa proporzione, l'irritazione contro il Papato, e contro l'ordine di idee che si associa al Papato, cessa la lotta, e subentra il sentimento dell'ordine, della libertà, della tolleranza. Ogni minaccia di complicazioni politiche che allarmi il sentimento nazionale avrebbe per effetto immediato di risvegliare le passioni. Tutto quello che rassicura l'Italia nel compimento oramai raggiunto della sua unità politica è tutto a vantaggio delle idee d'ordine, del principio monarchico e delle tendenze di conciliazione. Ora che l'Italia ha realizzato tutte le sue aspirazioni nazionali ed è padrona dei suoi destini, il governo italiano sente, con un più completo sentimento della sua responsabilità, il dovere che gli incombe di rappresentare i principi d'ordine e di conservazione sociale.

Vi sono due grandi interessi solidali in oggi pei governi europei, la conservazione della pace, la tutela dell'ordine sociale. Ella sarà l'interprete fedele dei sentimenti del Governo ogni qualvolta avrà l'occasione di dichiarare che è questa la duplice base della nostra politica, e che noi non domandiamo meglio che di prendere il nostro posto fra quei governi che sentono ed affermano la solidarietà di questi due grandi interessi.

Sono stato, per tutti i riguardi, oltremodo lieto delle ultime istruzioni date al Conte Brassier in occasione della venuta del Re a Roma.

Quando io annunciai con una Circolare (l) che il Ministero degli Esteri sarebbe stato traportato a Roma pel ta luglio, tutte le Legazioni a Firenze mi annunciarono, senza eccezione, che avevano ricevuto l'ordine di seguire il Governo nella nuova capitale. Molti però dei Capi di missione erano sul punto di prendere i loro congedi di estate, e quindi non poteva essere veramente una quistione se essi o i loro Incaricati d'affari si sarebbero recati a Roma e in qual giorno vi si sarebbero recati. In seguito S.M. determinò di recarsi a Roma al suo ritorno dalla visita che aveva promesso di fare a Napoli per la esposizione marittima. La coincidenza dell'arrivo del Re col trasferimento della sede del Governo non poteva a meno di assumere l'aspetto di una inaugurazione e di una solennità, poichè certo non poterono evitarsi le accoglienze che la città avrebbe voluto fare al Re. In questo stato di cose io credei bene di non fare al corpo diplomatico alcun formale invito di recarsi a Roma, durante il soggiorno del Re, poichè vi potevano essere da parte di taluni delle suscettibilità, per non aver l'aria di associarsi ad una dimostrazione, e mi pareva poco dignitoso per noi l'esercitare una specie di pressione. Ciò non toglieva per altro che noi annettessimo un gran 'pregio alla presenza del corpo diplomatico in Roma in quei giorni. Questa presenza costituiva un successo politico, un riconoscimento di fatto dell'avvenimento che si compiva.

Il Ministro di Francia pure annunciandomi che la Legazione avrebbe seguito il Governo a Roma, mi fece sapere che egli avrebbe preso un congedo e che l'Incaricato di Affari sarebbe venuto a Roma dopo il Ministro d'Austria. II Barone di Kiibeck venne a rinnovarmi espressamente le assicurazioni di quella politica amichevole che l'Austria ha seguito verso di noi nella questione romana, mi ricordò che il suo Governo, in occasione del trasporto della capitale aveva pel primo dato delle istruzioni rese note a tutti, e che non erano state senza influenza sulle determinazioni degli altri Governi; mi aggiunse che per riguardi, di cui sperava che ci saremmo fatti capaci, egli aveva ricevuto l'istruzione di recarsi a Roma solo dopo le solennità che potevano aver luogo, prolungando però il suo soggiorno di qualche tempo, per mostrare che questi riguardi non alteravano la linea politica che in un sentimento amichevole verso l'Italia, il Governo austriaco aveva sino allora seguito. In tali condizioni la presenza del Conte Brassier di S. Simon a Roma durante il soggiorno di S.M. fu vivamente apprezzata dal Re, dal Governo e dal paese intero. Non so fino a qual punto il Vaticano sarà stato grato agli altri di un ritardo di 48 ore, ma certo l'Italia fu gratissima al Governo dell'Imperatore Guglielmo per la presenza a Roma del suo Ministro, che fu da noi considerata come un riguardo cortese verso il Re, ed una prova di amicizia data all'Italia. Il Conte Brassier, prima di partire da Roma, pel suo congedo, fu ricevuto in udienza particolare dal Re, e sarà stato in grado di informare il Suo Governo dei sentimenti di S.M. a questo riguardo. È d'uopo anche che io aggiunga che, in questa circostanza, il Conte Brassier, pure eseguendo puntualmente le sue istruzioni, si è condotto in modo da mostrare quanto gli stia a cuore la causa

dei buoni rapporti fra l'Italia e la Germania e da acquistargli nuovi titoli alle nostre simpatie. Il Re ha avuto di questo fatto la migliore impressione, ed io non ho bisogno di dirle l'utilità di questa impressione, per molte ragioni che Ella conosce al pari di me. Quanto al pubblico, l'impressione prodotta, specialmente in .confronto della condotta della Francia, fu così buona che, quando il Conte Brassier comparve in teatro, se non fosse stato un riguardo alla presenza del Re, avrebbe ricevuto un'ovazione. Non esito dunque a dire che questo fatto, se le disposizioni del Gabinetto di Berlino saranno anche in avvenire eguali alle nostre, segnerà una data nelle buone relazioni tra l'Italia e la Germania.

Ella può dunque, caro Conte, essere contento dell'opera sua. Il voto pel Gottardo, la venuta a Roma del Conte Brassier sono un ottimo principio che si tratta ora di coltivare e di svolgere. Ella non dubiti che applicandosi a rendere sempre più amichevoli e più proficui i rapporti fra i due paesi, la sua condotta e i suoi sforzi risponderanno alle nostre più sincere disposizioni. Gli attuali nostri rapporti con la Francia sono abbastanza rassicuranti. Il Governo del Signor Thiers ci dichiara che esso si pone sul terreno dei fatti compiuti, pure tenendosi obbligato ad una più grande riserva che non gli altri Governi. Forse il risultato delle ultime elezioni fa sì che il Signor Thiers si crede legato da riguardi minori verso il partito clericale. Inoltre la Francia non è per qualche tempo in grado di gettarsi nelle avventure e di far nulla di serio contro l'Italia. Certo però la Francia non ci può perdonare la nostra neutralità durante la guerra: simpatie non ve ne sono o assai scarse e tiepide, e la questione romana si aggiunge alle altre cause come un elemento di malumore e di irritazione. In questo stato di cose noi siamo decisi a porre la più grande moderazione nei nostri rapporti colla Francia, a evitare le questioni di dettaglio, a mostrarci costantemente benevoli, a rimanere insomma sempre dal lato della ragione. Ma nel tempo stesso mancheremmo al nostro dovere non prendendo le debite precauzioni. Queste precauzioni consistono nell'organizzare e nel preparare seriamente le forze del paese per difenderci contro gli attacchi di cui possiamo essere un primo oggetto, nello acquistarci amici in Europa, e nel predisporre le migliori alleanze possibili con quegli Stati che sono al pari di noi interessati a che la Francia, una volta ricostituite le sue forze, non abbia la tentazione di farne la prova contro un nemico più debole della Germania, eome un'utile preparazione prima di tentare contro questa ultima la rivincita della guerra del 1870.

Ciò che può essere cosa probabile è ehe il Governo francese creda giunto il tempo per prendere presso gli altri Governi l'iniziativa di intelligenze e di accordi diplomatici intorno alla questione romana. Ella conosce già, Signor Conte, qual'è il modo di vedere del Governo su questo argomento e sui progetti di conferenze che furono posti innanzi altre volte. Se però desiderasse di avere in proposito maggiori schiarimenti ed ulteriori istruzioni, non ha che a farmene un cenno. Frattanto è bene rimanere informato delle comunicazioni che il Governo francese può aver fatto in questi giorni o può fare, e del carattere di queste comunicazioni.

Non ho altro, per ora, ad aggiungere a questa lettera anche troppo lunga.

Comprendo il dispiacere che Ella ha passato vedendo ritardata la promozione

del Cavalier Tosi, perchè conosco l'interesse che Ella porta alla nostra carriera diplomatica e a quelli fra i suoi subordinati nei quali riconosce un merito incontestabile e degno di essere incoraggiato nell'interesse della cosa pubblica. !VIa mi conceda di dirle che Ella sarebbe alquanto ingiusto verso di me se ponesse in dubbio il valore che hanno sull'animo mio le sue raccomandaziom e i suoi consigli. Nulla mi è più grato che di assecondare le sue raccomandazioni, e perchè giungono da lei e perchè so che sono dettate da un vivo zelo e da una sicura esperienza del servizio diplomatico. Appena potrò fare qualche cosa pel Cavalier Tosi, nessuno ne sarà più lieto di me, mi è però d'uopo che l'occasione si presenti perchè possa ricompensare i meriti di questo distinto gio

vane senza offesa dei diritti altrui e senza ingiustizia.

Destinando il Conte Litta a Berlino ho provveduto a quanto Ella mi chiedeva. Cercherò inoltre di dare al più presto possibile, un'altra destinazione al Signor Bojani.

(l) Cfr. serie II, vol. II, nn. 518 e 523.

(l) Cfr. serie II, vol. II, n. 487

15

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 216. Roma, 10 luglio 1871.

S.E. le Ministre de l'Empire d'Allemagne a bien voulu m'entretenir confidentiellement d'une dépeche de S.A. le Pr.ince de Bismarck (l) relative à l'organisation de l'association Internationale des ouvriers, et aux dangers dont elle menace l'ordre social. S.A. pense avec raison que tous les Gouvernements sont également intéressés à se défendre contre cette formidable organisation. Le Prince Chancelier propose dans ce but que tous les Gouvernements se communiquent réciproquement les données qu'ils ont sur le nombre des adhérents de l'Internationale, leurs projets et leurs moyens d'action. Le Prince de Bismarck pense qu'il serait également utile de déclarer que les crimes ou délits

• Pour se rendre compte du but final de l'Internationale et des ses ramifications dans les dlfférents pays, il suffit de se rappeler, qu'à l'occasion du Congrès dit de la Ligue de Paox, tenu à Berne en 1868, avec l'assistance de Garibaldi, cette assemblée résolut de mettre dans tous les pays à l'ordre du jour la question des classes ouvrières et "déshéritées "· n en resulta une fomentaticn continuelle soutenue par l'Internationale et qui s'est manifestée en Italie p. e. dans l'émeute de Pavie en Mars 1870, dans le brigandage en Calabre et les agitation3 en Sicile. De plus après le 18 mars passé, un grand nombre des Garibaldiens qui avaient r>ris en France les armes contre les troupes allemandes, se firent remarquer ouvertement comme partisans de la Commune de Paris. Il est évident que la rentrée de ces individus en Italie, ne fera que redoubler leur activité occulte, tendant à soutenir et à propager leurs idées subversives. Le but final de toutes ces agitations différera suivant les pays, mais il aura cela de commun, qu'on opère partout contre et au détrlment de l'ordre des choses et des Gouvernements existants. Il s'ensuit que tous les Gouvernements sont entre eux solidaires vis à vis de telles raenèes, qui, toutes les fois qu'elles triomphent momentanément dans un état, affaiblissent en méme temps sensiblement l'autorité de tous les autres Gouvernements.

Si le Gouvernement partage cette manière de voir, le Gouvernement Impérial proposerait de procéder à ce sujet à un échange ultérieur d'idées. Il s'agirait, selon lui, de se communiquer réciproquement les données obtenues sur l'étendue et les affiliations de l'organisation socialiste, et après cela d'adopter préalablement comme principe, que les attentats à la vie et à la propriété, comme on les a vu se manifester à Paris, appartiennent à la catégorie des crimes communs et non des crimes politiques •·

commis par les associés de l'Internationale seront envisagés comme des crimes ordinaires et punis en conséquence.

.Je vous prie de remercier, comme je l'ai fait d'ailleurs moi-meme par l'entremise du Comte Brassier, S. A. le Prince de Bismarck de cette communication. L'intéret commun de tous les Gouvernements de se prémunir contre cette vaste organisation subversive est hors de contestation. En ce qui le concerne, le Gouvernement du Roi a déjà donné des ordres et pris toutes les mesures préventives qui étaient compatibles avec nos institutions. Tout récemment la Chambre des députés et le Sénat ont voté à grande majorité des dispositions législatives qui donnent au gouvernement une plus grande latitude pour la défense de l'ordre, et le maintien de la sécurité des personnes et des propriétés.

Les recherches attentives de notre Ministre de l'Intérieur n'ont fait découvrir en ce qui regarde l'Italie que des traces presque insignifiantes de l'association Internationale. Cette association est en effet nombreuse et puissante surtout dans les grands centres industriels, parmi les grandes agglomérations d'ouvriers. L'Italie dont l'industrie est surtout agricole n'offre donc que peu d'éléments à la propagation des idées socialistes et communistes dont le triomphe est le but de l'association Internationale. Néanmoins il est vrai que cette organisation est comme un noyau autour du quel pourraient se grouper tous les hommes qui aspirent à la destruction de l'ordre social. La tranquillité dont l'Italie jouit à présent, et qui est la conséquence naturelle de la solution satisfaisante donnée aux questions nationales, les preuves d'attachement à la dynastie données tout récemment au Roi et à la famille Royale nous font espérer que les tentatives mazziniennes ou socialistes n'auraient désormais aucun succès. Toutefois le Gouvernement ainsi que je viens de dire, a pris et ne cessera de prendre ses précautions: une société peu nombreuse qu'avait applaudi aux oeuvres de la Commune de Paris a été dissoute, ses papiers ont été mis sous séquestre. Une enquete a été ouverte sur une adresse publiée par un journal français et qui aurait été souscrite à Milan. L'enquete a démontré que les trois signataires sont absents de l'Italie et que les 2542 signatures inconnues ne sont qu'une farfanterie. Mais bien que le danger ne nous paraisse pas en ce moment ni grave ni imminent, il suffit qu'il existe pour que le Gouvernement ait à s'en préoccuper. Nous acceptons donc avec empressement la proposition de S. A. le Prince de Bismarck en ce qui concerne l'échange réciproque des renseignements regardants l'organisation et les projets de l'Internationale. Quant à la déclaration à émettre au sujet des crimes et délits dont elle serait le prétexte, je n'ai qu'à vous rappeler, M. le Ministre, que nous avons été les premiers à déclarer à la France que nous étions disposés à appliquer les conventions d'extradition aux auteurs des homicides et des incendies dont Paris a été le Théatre. Nous sommes disposés à renouveler cette déclaration soit vis-à-vis de l'Allemagne, soit vis-àvis de toute autre puissance. A mon avis cela pourrait suffire pour parvenir au but qui se propose le Prince Chancelier. Veuillez, M. le Comte, faire parvenir au Cabinet de Berlin cette communication, et me faire connaitre la suite qui pourra etre donnée à l'initiative que S. A. a prise avec tant de sagesse (1).

(l) Cfr. l'appunto confidenziale rimesso dal Brassier a Visconti Venosta, il lO luglio:

(l) Analogo dispaccio, in italiano, venne inviato in pari data, con il n. 322, al Nigra.

16

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3832. Vienna, 10 luglio 1871, ore 6,10 (per. ore 9,10).

J'ai présenté ce matin en audience particulière mes lettres de créance à l'empereur. Accueil on ne peut plus aimable. J'ai exprimé à S. M. l'assurance de la plus sincère amitié dont le roi m'avait chargé, ainsi que le désir de voir toujours davantage ressérrés les liens de tout genre qui unissent les deux couronnes et les deux pays. L'Empereur a répondu assurant de la parfaite réciprocité de ses sentiments ainsi que de sa conviction bien sentie de l'intéret pour les deux nations du maintien de cet accord. A plusieurs reprises S. M. m'a répété que le choix de ma personne lui était particulièrement agréable.

17

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERJ, VISCONTI VENOSTA

R. 1585. Parigi, 12 luglio 1871 (per. il 15).

S. E. il Signor Giulio Favre m'ha diretto in data di jeri la lettera che mi pregio di mandar qui unita all'E. V. in originale. Il Ministro Francese degli Affari Esteri dopo aver segnalato, in questa lettera, • le continue eccitazioni alle quali la stampa ed anche uomini politici d'Italia ricorrono col ripetere ad ogni occasione che la Francia prepara un movimento e forse una spedizione in favore del potere temporale del papa • dichiara calunniose queste voci e colpevoli quelli che le propagano. • La Francia, prosegue il Signor Giulio Favre, respingerebbe in un modo assoluto ogni entratura che le fosse fatta nello scopo di sollevare la questione del potere temporale. Essa non vuoi proteggere che l'indipendenza personale e la libertà spirituale del Sommo Pontefice e ben lungi dal portar così nocumento alle sue relazioni amichevoli coll'Italia, essa le fortifica poichè s'associa alla sua regola di condotta •. Il Signor Giulio Favre si duole quindi che nulla siasi fatto per dissipare questt spiacevoli impressioni ed osserva che, se è bene informato, il Governo del Re sembrerebbe dare esso stesso un pegno alle opinioni esaltate attivando armamenti e specialmente fortificando Civitavecchia con una certa ostentazione. La lettera conchiude: • Non può essere pensiero del Governo della Repubblica il criticare menomamente le misure militari o strategiche che l'Italia crede dover prendere nell'interesse della sua sicurezza. Ma siccome voi sapete che questa sicurezza non fu mai minacciata da noi, vi prego di far osservare al Gabinetto Italiano che l'inopportunità di questi armamenti può essere pericolosa e ch'e~:sa tende ad intrattenere un'irritazione che gli uni e gli altri noi dobbiamo sforzarci di calmare • .

l?

Sottometto il contenuto di questa lettera all'E. V. e La prego di pormi in grado di rispondere il più presto che sarà possibile al Signor Giulio Favre. In regola una comunicazione di questa natura avrebbe potuto molto meglio essere fatta verbalmente e per mezzo della Legazione di Francia in Italia. Ma non credo che sia il caso di dare qui un'importanza qualunque alla questione di forma. La sostanza della lettera tocca ad un ordine d'idee ben altamente importante. Anzi tutto devo rendere qui piena testimonianza dello spirito amichevole e conciliante che la dettò al Signor Giulio Favre, il quale in tutte le conversazioni che ebbi l'onore d'avere con lui si mostrò costantemente animato d'un sincero sentimento di conciliazione e d'un vivo desiderio di mantenere relazioni amichevoli fra l'Italia e la Francia. In secondo luogo è specialmente degna di nota l'affermazione esplicita ed assoluta che la Francia non ha nessuna intenzione di promuovere la restaurazione del potere temporale e che respingerebbe ogni entratura che le fosse fatta nello scopo di sollevare questa questione. È la prima volta che il Governo Francese, presieduto dal Signor Thiers, s'esprime in un documento scritto e per l'organo del Ministro degli Affari Esteri, così apertamente sul potere temporale, o per parlare più correttamente sulle intenzioni della Francia in ordine ad una tale questione. In generale le domande di spiegazioni intorno ad armamenti, fatte da una ad un'altra Potenza, sogliono precedere le gravi complicazioni di guerra e le ostilità. Nel caso presente, se non m'inganno a partito, esse potranno dar luogo ad uno scambio di dichiarazioni reciproche che avranno invece per effetto di allontanare ogni pericolo di conflagrazione, di chiarire la situazione e di far scomparire ogni malinteso sulla reciproca attitudine dell'Italia e della Francia.

.ALLEG.\TO

FAVRE A NIGRA

Versailles, 11 juillet 1871.

Votre attention aura sans doute été éveillée par les excitations continuelles auxquelles la presse et quelques hommes politiques d'Italie ne cessent d'avoir recours contre la France, répétant à toute occasion que nous préparons un mouvement, peutetre une expédition, en faveur du pouvoir temporel du Saint Père. Nul mieux que vous, Monsieur le Ministre, ne sait combien de pareils bruits sont calomnieux, combien sont coupables ceux qui les propagent. Je vous ai trop de fois exposé notre politique pour que vous ayez à cet égard le moindre doute. La France repousserait d'une manière absolue toute ouverture qui lui serait faite dans le but de soulever la question du pouvoir temporel. Elle ne veut protéger que l'indépendance personnelle e la liberté spirituelle du Souverain Pontife et loin de porter par là atteinte à ses relations amicales avec l'Italie, elle les fortifie puisqu'elle s'associe à votre règle de conduite. J'ai donc lieu de m'étonner que rien ne soit fait pour dissiper ces facheuses impressions. Si je suis bien informé, votre Gouvernement s'y abandonnerait lui-meme et semblerait donner un gage aux opinions exaltées en activant ses armements et notamment en réparant avec une certaine ostentation les fortifications de Civita Vecchia sur lesquelles il piace des canons de gros calibre. Il ne peut étre dans la pensée du Gouvernement de la République de critiquer en quoi que ce soit les mesures militaires ou stratégiques que vous croyez devoir prendre dans l'intérét de votre séourité. Mais comme vous savez fort bien que cette sécurité n'a jamais été n1enacée par nous, je vous prie de vouloir bien faire remar

quer au cabinet ltalien que l'inopportunité de ces armements peut étre dangereuse et qu'elle tend à entretenir une irritation que, les uns et les autres, nous devons nous efforcer de calmer.

Convaincu de votre loyal bon vouloir, comme je sais que vous comptez sur le mien, je prie V. E. de me faire part de la réponse que cette communicatìon provoquera.

18

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 848. Berlino, 15 luglio 1871.

J'ai communiqué confidentiellement au Secrétaire d'Etat la dépéche que

V. E. m'a fait l'honneur de m'adresser en date du 10 de ce mois, n. 216 (1). Il s'empressera d'en donner connaissance à l'Empereur et Roi.

En attendant, M. de Thile m'a remercié de cette intéressante communication, et il est entré dans quelques détails sur les dispositions rencontrées par le Cabinet de Berlin chez les Puissances auxquelles il avait fait des ouvertures, analogues à celles dont le Comte Brassier de St. Simon s'était rendu l'organe auprès de notre Gouvernement.

Lord Granville s'était montré disposé, en principe, à concourir par un échange de vues à s'éclairer mutuellement sur les menées et les moyens d'action de l'association internationale. Quant à une déclaration ayant pour but de s'engager à envisager et à punir, comme crimes ou délits ordinaires, les crimes ou délits commis par les Membres de cette Société, le Cabinet Anglais estime que c'est là une question très délicate, de la compétence des Tribunaux bien plus que de celle du Gouvernement. Au reste, Lord Granville ne semblait pas attribuer à l'Internationale, pour ce qui concernait du moins l'Angleterre, une bien grande portée et une propagande dangereuse. Ses doctrines subversives y trouvent peu d'écho; ses adeptes y visent moins au renversement de l'Etat, qu'à une amélioration du sort des ouvriers, de la classe prolétaire.

C'est dans cet ordre d'idées, que Lord Granville s'est expliqué vis-à-vis du Comte de Bernstorff. M. de Thile paraissait croire qu'un tel langage équivalai't presque à une fin de non-recevoir, opposée à la démarche du Gouvernement Impérial.

Le Comte de Beust avait fait bon accueil. Il avait seulement exprimé le désir de recevoir des renseignements aussi complets que possible, sur l'organisation, sur le chiffre des adhérents, etc. etc. On s'est empressé de transmettre à Vienne toutes les données parvenues ici à cet égard. Depuis lors, M. de Beust n'en a plus parlé au Général de Schweinitz.

M. Thiers a dit au Comte de Waldersee qu'une telle question méritait un sérieux examen, et qu'il se réservait de lui donner une réponse.

Relativement à la Russie, comme ces ouvertures sont dues en partie à sa propre initiative auprès du Prince de Bismarck, elle attache une haute importance à ètre informée de la marche de cette affaire.

M. de Thile ne m'a fourni aucun nouvel aperçu sur les affiliations de l'Internationale en Allemagne, mais la presse officieuse ne se fait pas faute d'en signaler les périls. A son avis, les socialistes et communistes allemands ne diffèrent pas des socialistes et des communistes français. Ils n'hésiteraient pas à agir, s'ils le pouvaient, absolument comme leurs amis de France. Quant à leur force numérique, il ne faut pas l'évaluer d'après les chiffres qui figurent sur les listes des membres des diverses fractions. Ce ne sont là que les cadres, dont le prolétariat forme l'armée. Leurs ressources pécuniaires sont assez considérables, gràce surtout aux cotisations.

L'instruction, le service militaire obligatoire, et l'habitude de la discipline, sont indiqués comme un remède à cette maladie sociale. De telles institutions existent en Allemagne, et cependant les Lassalliens, les Bebel, etc., se sont déclarés avec effronterie et impudence les alliés des fanatiques de la Commune parisienne. Ce fait prouve que le remède n'est pas souverain et infaillible. Tant il est vrai que, si la culture morale ne marche pas de pair avec le développement intellectuel, il en résulte un défaut d'équilibre qui peut amener, là où il se manifeste, les mèmes faits exécrables, que ceux dont la France nous a offert le spectacle. Les meneurs n'attendent que l'heure proprie.

(l) Cfr. n. 15.

19

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 243. Tunisi, 15 luglio 1871 (per. il 20).

S. A. il Bey cui sta sommamente a cuore l'instituzione dei tribunali misti, la quale formò già argomento di precedente corrispondenza, mi ha scritto per transmettermi un progetto di organamento dei medesimi, poco dissimile da altro già comunicato anteriormente all'E. V.

Desidera che questo progetto del quale troverà qui unita copia insieme a quella della traduzione della nota (l) che la accompagnava, possa essere preso in considerazione dall'E. V. per servire come punto di partenza ad ulteriori studii e trattative. Infatti l'amministrazione attuale della giustizia nelle contestazioni fra europei ed indigeni, oltre ad essere la precipua causa dei conflitti che insorgono ad ogni tratto fra il Governo locale ed i Consolati, è un serio ostacolo allo svolgimento degli interessi delle colonie, segnatamente della italiana, la prima per numero e ricchezza, stante la sfiducia regnante nelle transazioni coi mori ora che la buona fede si va fra loro perdendo; e che ricorrendo al Bardo non è dato sempre avere una soluzione equa e pronta delle vertenze.

Per la considerazione sovr'espressa il progetto del Governo tunisino, a causa sovratutto delle molte sue lacune, potrebbe unicamente servire di punto di partenza ad un completo regolamento giudiziario; astenendomi quindi dal farne un esame critico, mi basterà solo accennare la impossibilità di applicare di pianta un codice europeo in questo paese (intendo il codice civile, chè per il commerciale non vi sarebbero i medesimi inconvenienti), la sconvenienza per molte ragioni di far sedere i Consoli Generali come giudici d'appello, il silenzio sulla parte essenzialissima dell'esecuzione delle sentenze.

Anche l'Avvocato Mario Simeoni avea compilato fino dal 1867 un progetto di riforma giudiziaria del quale, dietro sua richiesta trasmetto a V. E. un estratto, non senza notare per altro che anche questo se è meno incompleto di quello del Governo tunisino, è però ben !ungi dal potersi considerare come adeguato allo scopo.

I miei colleghi di Francia e d'Inghilterra coi quali ci siamo scambiate le nostre idee, scrivono nell'istesso senso ai loro governi riconoscendo pur'essi la necessità di addivenire di comune accordo ad un componimento che meglio assicuri la distribuzione della giustizia ai nostri amministrati (1).

(l) Non pubblicate

20

IL CAPO GABINETTO DI VITTORIO EMANUELE II, AGHEMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Torino, 15 luglio 1871.

Mi pregio accompagnare a V. E. come Le ne ebbi a fare promessa, la copia di lettera di Ginevra che l'E. V. mi mostrò desiderio di conoscere.

ALLEGATO

Genève, 26 juin 1871.

Monsieur le Comte,

J'ai reçu de Florence, je ne sais si c'est à vous que je dois cette gracieuseté

les deux énormes volumes contenant la discussion de la loi des garanties au Sénat et à la Chambre des Députés. Cette discussion fait honneur à la Tribune Italienne par son étendue, sa profondeur, et par un caractère particulier de solennité qui prouve que les pouvoirs publics d'Italie, ont voulu sérieusement garantir l'indépendance spirituelle du Souverain Pontife.

Cette grande discussion mériterait d'ètre plus connue au dehors pour calmer l'agitation qu'on s'efforce de provoquer aujourd'hui contre l'Italie, et je compte en reproduire les principaux traits dans une étude que je prépare.

Je ne sais pas si l'Italie est exactement informée de ce qui se passe en France. Le mouvement de l'opinion publique est réellement inquiétant, et on pourrait prévoir des complications si le Gouvernement Français ne met pas quelque baton dans les roues. Vous connaissez sans doute dans quelles proportions s'est faite l'agitation des adresses au Pape à l'occasion de la 25ème année de son Pontificat.

Il y en a plus de deux millions de signatures en France. Mais, quoique dans ces adresses il soit beaucoup QUestion de rétablissement du Pouvoir temporel, elles peuvent étre néanmoins considérées comme parfaitement légitimes en raison de leur destination. On peut y voir simplement l'expression de la piété filiale des populations :oans dessein bien arrété d'agression pour l'Italie.

Mais à ce pétitionnement inoffensif en a succédé un autre qui prend un caractère politique et international. Les Evéques de France signent et font signer des pétitions à l'Assemblée Nationale pour mettre en demeure le Chef du Pouvoir exécutif. L'Archevéque de Rouen a commencé avec ses quatre suffragants d'Avranches, de Bayeux, de Sèze et d'Evreux. Ils invoquent le traité de Zurich qui disentils: • a vait explicitement stipulé le respect de la Monarchie Pontificale •. Ils demandent à l'Assemblée nationale • de protester contre la violation des traités et contre les attentats commis envers le Chef de l'Eglise Catholique • puis ils la supplient • d'inviter le Gouvernement à se concerter avec les puissances étrangères afin de rétablir le Souverain Pontife dans les conditions nécessaires à sa liberté d'action et au Gouvernement de l'Eglise Catholique •.

Les cinq Evéques de la Province ecclésiastique de Bourget sont ensuite venus avec leur pétition rédigée à peu près dans les memes termes que la précédente. Ils demandent aux représentants de la France de • protester contre la violation du traité de Zurich et contre les attentats commis contre le Souverain Pontife, et d'inviter le Chef du Pouvoir exécutif à se concerter avec les puissances étrangères afin de rétablir le Souverain Pontife. Enfin l'Archevéque de Cambrai et l'Evéque d'Arras font une description émouvante des dangers qui environnent Sa Sainteté et demandent à l'Assemblée Nationale de protester contre le Gouvernement du Roi de Sardaigne qui, disent-ils, nous doit le pouvoir dont il abuse, d'une manière aussi ingrate qu'injuste contre l'Auguste captif du Vatican. Il est probable que tous les Evéques de France apporteront successivement à l'Assemblée Nationale leur pétition pour le rétablissement de la Souveraineté temporelle. Mais tant que le pétitionnement reste une affaire ecclésiastique il n'offre pas un grand danger pour les relations internationales. Voici qui est plus sérieux. A còté du pétitionnement épiscopal il s'en poursuit un autre qui entre plus dans le vif de la question. II y a d'abord une pétition lai:que qui cherche à exciter le Chauvinisme et les hommes nationals. Les pétitionnaires caractérisent ainsi la prise de possession de Rome • violation des traités, mépris du droit des gens, scandaleux abus de la force, sacrilège, dérision de la plus Auguste des Autorités, tous les caractères odieux se trouvent dans cet attentat. Il est de plus une sanglante injure pour la France qu'il attache dans son honneur en meme temps que dans sa foi. C'est à vous, représentants de la France, aujourd'hui rendue à elle-méme, qu'il appartient de renouveler avec plus d'autorité et de promulguer à la face du monde une solennelle protestation •. Cette pétition se signe en ce moment dans quatorze départements avec le concours des Maires qui légalisent les signatures. En voici une plus significative encore, qu'un grand propriétaire de la Manche, M. le Marquis d'Asgndann fait signer. Elle demande à l'Assemblée deux choses. l • le rappel de Florence de l'Ambassadeur Français, 2• que les batiments de guerre soient armés à Toulon et mis à la disposition du Général Charrette et du Corps qu'il commande pour prendre la mer et aller délivrer le Souverain Pontife. Si le sens politique ne fait pas complètement défaut à la majorité de l'Assemblée Nationale, ces vaines paroles et ces vaines pétitions y recevront l'accueil qu'elles méritent, mais l'ltalie peut-elle se reposer dans le bon sens de l'Assemblée Française? M. Thiers pourra-t-il toujours lui communiquer le sien? Le parti ennemi de l'Unité italienne ne se borne pas du reste au pétitionnement. Il passe à des actes qui sont une violation de la loi Française, et que le Gouvernement Français laisse accomplir. Aussi il laisse violer le décret de Mars qui abolissait tous les Corps francs organisés pendant la guerre avec l'Allemagne. Le Corps de Charrette est seui resté organisé en Bretagne. Les journaux annoncent que cette exception significative a motivé des représentations de la part du Gouvernement du Roi. Mais ce Que le Gouvernement du Roi ignore peut-étre c'est l'existence d'un enròlement clandestin qui se fait sur une large échelle pour le Corps des Zuaves Pontificaux.

Quoique le dépòt de ce Corps soit en Bretagne, l'enròlement se fait jusque dans la région de l'Est, en Franche-Comté, dans les Pays occupés par les Allemands. J'étais l'autre jour à Dòle et là j'ai appris que les enròlés reçoivent de 2500 à 3000 francs. Ils sont pris généralement parmi les hommes qui ont appris le maniement des armes dans la dernière guerre. Ils restent chez eux, quoique payés or d'avance pour une partie de leur engagement et se tiennent prets à partir au premier ordre. Ils forment ainsi une armée occulte que l'on dit etre à double fin, prete à se battre pour la restauration légitimiste et pour la restauration du Pape.

J'espère, Général, que l'Italie ne sera pas prise à dépourvu. L'état des esprits en France est grave. On n'y parle que de la revanche de Rome, comme l'année clernière on ne parlait que de la revanche de Sadowa. Il y a les memes illusions. Les esprits sérieux reconnaissent volontiers que la France n'est pas en état de faire la guerre à l'Italie en ce moment, mais ils se persuadent avec une étonnante facilité qu'une action diplomatique suffirait pour faire rendre Rome au Pape.

Cette illusion est commune meme parmi les hommes politiques. Eh bien! je crois que le plus sage est de dissiper cette illusion avant que la France soit en état de lui donner un Corps. Il est bien évident qu'elle ne peut pas entreprendre une guerre en ce moment, mais elle peut permettre à des bandes soldées par le parti clérical de se jeter sur quelque point de l'Italie, et cela serait presque aussi désastreux que la guerre déclarée. L'Italie ne peut pas supporter longtemps une menace de guerre qui s'affiche si ouvertement et que l'on fait signer par des milliers de Français.

Recevez, Général, l'expression de mes sentiments dévoués.

(l) Per i rapporti fra Italia e Tunisia cfr. L DEL PrANO, La penetrazione italiana in Tunisia (1861-81), Padova, 1964.

21

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 323. Roma, 16 luglio 1871.

Avant meme de recevoir votre dépeche du 12 (l) et la lettre de S. E. Jules Favre Ministre des Affaires Etrangères, je me suis empressé de rectifier par télégraphe les nouvelles inexactes sur de prétendues augmentations des fortifications de Civitavecchia. Je vous envoye aujourd'hui la copie de la lettre que mon collègue au département de la guerre m'a écrite à ce sujet. Elle vous mettra en mesure de détruire complètement la fàcheuse impression que ces bruits avaient produite, si toutefois elle n'a pas été effacée, ainsi que vous me le faites espérer par votre télégramme d'hier (2), par les rectifications que vous avez déjà fournies.

Mais, bien que je regarde cet incident comme vidé, je saisis avec empresse

ment l'occasion qui m'est fournie par la lettre de M. Jules Favre pour ajouter

quelques explications. Personne ne regrette plus que moi et mes collègues que

quelques journaux italiens se fassent l'organe de méfiances que rien ne justifie

et paraissent surpris par des sentiments d'animosité contre la France que l'opi

nion publique en Italie est loin de partager. Il n'est pas à ma connaissance

qu'aucun homme politique de quelque valeur ait pris une attitude hostile

contre le Gouvernement Français. Il me serait facile au contraire de démontrer

(2} Non pubblicato.

que nos Chambres se sont toujours associées avec empressement aux sentiments de sympathie et d'amitié que le Gouvernement du roi a exprimé chaque fois qu'une occasion naturelle s'est présentée de le faire, pour le Gouvernement actuelle de la République.

Dans tous les cas, les journaux italiens et les hommes politiques qui chez nous semblent nourrir des sentiments peu bienveillants pour la France, ont une importance incomparablement inférieure aux journaux et au parti qui en France sont ouvertement contraires à l'existence meme de la nationalité italienne. Cependant vous me rendrez cette justice, lVI. le Ministre, que jamais je ne vous ai mis dans la nécessité d'appeler l'attention de S. E. M. J. Favre sur l'attitude des journaux auxquels je fais allusion. Je me vois donc en droit d'espérer de l'équité bien connue de S. E. le Ministre des Affaires Etrangères de la République qu'il ne donne pas plus d'importance à tel ou tel article de journaux, tellement infìmes que chez nous on en ignore meme l'existence, que nous n'attribuons de valeur politique à des organes français qui sont cependant très considérables par le talent de leurs rédacteurs et par leur influence sociale.

Dans les pays où la presse est libre, et elle l'est en Italie aussi complètement qu'en France, il est impossible d'empecher que la politique des Etats étrangers devienne l'objet d'appréciations erronées. Il appartient à chaque Gouvernement de redresser chez lui l'opinion publique, en employant tous les moyens légaux pour l'éclairer.

A ce point de vue, je suis reconnaissant à M. Jules Favre d'avoir provoqué lui meme un échange d'explications de nature à prévenir tout malentendu sur les intentions mutuelles des deux Gouvernements. Je suis heureux de voir confìrmer par lui, ce que d'ailleurs vous m'avez déjà fait connaitre, que la France repousserait d'une manière absolue toute ouverture qui lui serait faite pour soulever la question du pouvoir temporel: qu'elle ne veut que protéger l'indépendance personnelle et la liberté spirituelle du Souverain Pontife et qui loin de porter par là atteinte à ses relations amicales avec l'Italie, elle les fortifìe puisqu'elle s'associe à notre règle de conduite.

Veuillez remercier S. E. le Ministre des Affaires Etrangères de ces déclarations. Elles sont de nature à nous satisfaire entièrement, et, s'il me reste un voeu à exprimer, c'est que le Gouvernement français ait une occasion prochaine d'exprimer publiquement des sentiments analogues vis-à-vis de l'Italie. Les paroles de M. Jules Favre et de M. Thiers auraient non seulement en France mais en Italie meme une autorité incomparable pour prévenir des défìances, calmer des appréhensions que le Gouvernement du Roi n'a j'amais partagées, qu'il est, du reste, fermement décidé à détruire, autant que cela dépend de lui. En effet je dois appeler l'attention de M. Jules Favre sur un point de vue, qui lui a peut etre échappé. C'est qu'il y a en Italie des journaux et un parti, qui, tout en étalant les sympathies les plus ardentes pour la France, ne négligent aucun moyen pour compromettre la politique française, vis-à-vis de l'Italie. Ces sont les journaux cléricaux, le parti clérical. Sur ce parti, sur ces journaux, qui prechent ouvertement la guerre entre la France et l'Italie, nous n'avons aucun moyen d'influence morale. Il nous faudrait recourir à la répression légale: nous nous en abstenons, car il nous semble que rien ne prouve mieux

la liberté accordée au S. Père et à l'Eglise dans les matières spirituelles, que l'abus fait de cette liberté méme, que l'appel dévergondé à la violence et à la guerre de la part de journaux et d'un parti qui professent n'avoir en vue que les intéréts religieux. Une fois que les hommes de ce parti seront convaincus qu'aucun Gouvernement en Europe ne partage leurs idées sur les moyens de défendre la religion et de propager la charité chrétienne, la polémique si ardente en Italie et en France tombera d'elle-méme et l'apaisement des esprits sera ,}a récompense naturelle de nos efforts constants pour maintenir des relations intimes non seulement entre les deux Gouvernements mais aussi entre les deux populations.

Veuillez donner lecture et laisser copie de cette dépéche à M. J. Favre.

ALLEGATO

RICOTTI A VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Firenze, 16 luglio 1871

In seguito a nuove investigazioni ecco quanto resulta essersi fatto da noi relativamente alla difesa di Civitavecchia.

Dopo l'occupazione di detta città non fu speso un soldo per aumentare le opere di fortificazioni, anzi recentemente fu accordato al Municipio la facoltà di demolire un tratto della vecchia cinta per migliorare le condizioni commerciali della città. Nella scorsa primavera, non potrei precisare il mese ma probabilmente in Aprile o Maggio, furono inviati a Civitavecchia 4 (dico quattro) obici da cent. 22 rigati per aumentare le artiglierie di difesa di quella fortezza. Come vederà facilmente non trattasi QUindi che di un fatto insignificante tanto più se si considera che questi obici da cent. 22 rigati sono bocche da fuoco di ripiego e ben lungi dal possedere quella potenza che si desidera ora dalle nuove artiglierie da costa, siccome potrà facilmente essere attestato al Signor Favre dallo stesso Ministero della guerra francese.

Aggiungo che questa distribuzione di alcuni obici da cent. 22 rigati fu compiuta in tutte le piazze marittime del Regno nella scorsa primavera, e non trattavasi quindi di una disposizione speciale per Civitavecchia.

(l) Cfr. n. 17.

22

IL MINISTRÒ DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(AVV)

L. P. Roma, 16 luglio 1871.

Ho ricevuto ieri la lettera del Signor Favre annessa al vostro dispaccio (1). e il telegramma (2) col quale mi annunciate che fra pochi giorni vi sarà nell'Assemblea una discussione sulle cose di Roma; avevo prima ricevuta la vostra

lettera del 7 corrente (3).

6 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

La lettera del Signor Favre è un documento importante per noi. Vi si contiene sul potere temporale una dichiarazione esplicita ed è certo che, dopo i vostri dispacci nei quali m'avete riferito altre dichiarazioni del Ministro degli Affari Esteri di Francia e dopo questa lettera, sarebbe difficile a un governo francese ostile a noi il ricondurre la quistione puramente e semplicemente alla violazione del trattato di Settembre e il sostenere che nulla è intervenuto dalla parte della Francia dal Settembre del 1870 in poi.

Il Signor Favre nella sua lettera, nella quale sarebbe ingiusto il disconoscere il sentimento amichevole che l'ha dettata, formula un lamento contro le manifestazioni ostili alla Francia di una parte della stampa e dell'opinione pubblica italiana e sembra accennare che, nel giudizio suo, il governo italiano non ha fatto quanto potrebbe fare per porre un termine a queste manifestazioni, per dissipare i malintesi, per ricondurre nei rapporti non solo dei due governi ma anche de' due popoli quella cordialità che risponda alle memorie del passato e agli interessi dell'avvenire. Voi sapete se nulla più risponde ai nostri più vivi desideri che il veder tolta ogni ombra dai rapporti dell'Italia e della Francia, il vedere questi rapporti stabiliti sulla base d'una franca ed evidente amicizia. La migliore politica è quella che consiste nel creare i rapporti politici secondo la legge naturale delle cose; la diffidenza, l'ostilità, le precauzioni ostili fra l'Italia e la Francia liberale costituirebbero, agli occhi nostri, una di quelle ~ondizioni forzate che non si cercano per volontà propria, ma solo si accettano come una triste e ineluttabile necessità impostaci dalla volontà altrui. Su questo argomento io vi ho già, più d'una volta, detto tutto il mio pensiero, nè potrei che ripetermi, poichè la verità è una sola e certe situazioni non mutano. In Italia non v'è un sentimento vero d'ostilità verso la Francia, v'è un sentimento d'inquietudine della ostilità della Francia verso l'Italia. L'Italia desidera vivamente ed ha un profondo bisogno di raccogliere le sue forze, dopo tante agitazioni, e di sviluppare le sue risorse in un sentimento di sicurezza e di tranquillità. Essa è impegnata in una questione sulla quale le è impossibile indietreggiare, un profondo sentimento nazionale le fa accettare sin d'ora la necessità di correre piuttosto gli estremi cimenti, e una parte dell'opinione italiana teme che i soli pericoli, le sole minaccie, le sole ingerenze ci possano

venire dalla Francia. Questo timore è chimerico, lo credo, ma, quando si vogliano giudicare le cose spassionatamente, non è da meravigliarsi che questa impressione esista, poichè essa non è solo esclusiva all'Italia, e i giornali di tutti gli altri paesi quando si occupano delle cose di Roma e della situazione internazionale dell'Italia, esprimono lo stesso dubbio. Questo sentimento di inquietudine, che non è neppure diviso da tutta l'opinione italiana e specialmente da tutta quella parte d'opinione che ha una vera influenza sulla direzione della cosa pubblica nel nostro paese, si traduce in un certo sentimento d'irritazione. ·Questa è la diagnosi del male, e voi sapete che non ho mai cessato dal preoccuparmene con sentimenti concordi a quelli che animano il Signor Giulio Favre di cui l'Italia non ha certo dimenticato le antiche e costanti simpatie, poichè ciò che mi è sempre parso temibile è che, a poco a poco e per una serie quasi inavvertita d'incidenti si crei fra i due paesi una di quelle situazioni delicate,

di quelle disposizioni d'animo inquiete ed irritabili che sono già per se un pericolo, anche indipendentemente dalle loro cause. È più facile guarire un male quando se ne conoscono le cagioni, e in questo caso il far scomparire tali cagioni dipende più ancora dal Governo francese che da noi.

È naturale che queste condizioni dello spirito pubblico si riflettano nei giornali, ma, se si esclude qualche foglio ignobile e semi ignorato, vi si riflettono nella misura che vi ho indicato e non oltre. Quanto vi scrivo intorno ai giornali nel dispaccio che troverete nella presente spedizione (1), credo che risponda all'esatta verità. Voi avete più volte segnalati alla mia attenzione degli articoli di giornali francesi il cui linguaggio superava certo quello delle nostre più basse od ignobili pubblicazioni. Come sarebbe impossibile al Governo francese d'impedire ai molti giornali francesi che ci sono ostili di esprimersi verso l'Italia come si esprimono, così è impossibile a noi d'impedire che si stabilisca, fuori della sfera dell'influenza governativa, una polemica a cui non possiamo tracciare i limiti. Io temo, d'altronde che il Signor Favre possa essere tratto a non giudicare esattamente lo stato reale delle cose, in questo argomento, dal fatto che probabilmente egli riceverà dai suoi agenti i numeri di quei giornali in cui è contenuto qualche articolo riprovevole, ma non gli saranno mandati i giornali che tengono un linguaggio affatto opposto e che sono fra i più importanti e i più universalmente letti in Italia, L'Opinione, La Perseveranza per esempio, la quale si distingue per le più vive simpatie verso la Francia. Non è certo colpa nostra se la partenza del Conte di Choiseul produce una impressione dolorosa. Il Signor di Choiseul prima di partire e, in seguito il Barone de la Villestreux mi espressero il desiderio che il Governo cercasse di esercitare quella influenza morale che era in poter suo, perchè i giornali non dessero a questo incidente un'importanza e un significato più grande di quello ch'esso doveva avere. Io mi adoperai come meglio ho potuto e colla migliore volontà e il Signor de la Villestreux, venuto poi a Roma, mi disse di avere osservato con piacere il linguaggio moderato e conciliante tenuto, in questa occasione, dai giornali serii. Quando si tratta della causa dei buoni rapporti fra l'Italia e la Francia non è lo zelo, nè la convinzione che mi possono mancare, ma nè il mio z·elo, nè la mia convinzione possono togliere che, nelle relazioni internazionali, un congedo dato espressamente a un capo di missione in certe circostanze non significhi l'intenzione nel Governo, che richiama in congedo il suo Ministro, di constatare una certa freddezza di rapporti,

-o non sia interpretato come la prova di questa intenzione. Era impossibile che tale non fosse l'impressione nel pubblico, sopratutto quando si faceva il raffronto colla condotta degli altri Governi. Per me insomma se v'ha qualcosa d'evidente è che il sentimento vero e profondo del paese consiste nel desiderio della tranquillità e della sicurezza, pur mantenendo fermo il programma nazionale. Il paese comprende chiaramente che il modo il più diretto e il più sicuro per evitare delle serie complicazioni internazionali per la questione romana è quella d'avere le migliori relazioni colla Francia, perchè dalla Francia solo ci possono venire le serie complicazioni e le manifestazioni dello spirito pubblico in Italia saranno in rapporto colle disposizioni della Francia verso di noi.

Ora, per quanto concerne il potere temporale, le dichiarazioni contenute nella lettera del Signor Favre sono le più soddisfacenti e le più esplicite. Vi sarà presto una discussione nell'Assemblea, il Signor Thiers vi disse che egli declinerà la questione territoriale e dichiarerà nel tempo stesso che il Governo francese ha un alto interesse all'indipendenza del Pontefice ed è pronto ad intendersi per assicurarla coi governi cattolici. Il Signor Favre vi ha ancora parlato dei progetti non ancora abbandonati di una conferenza.

Non occorre ch'io vi dica che mi associo completamente alle osservazioni che voi avete fatto al Signor Favre intorno al progetto di una conferenza e di cui il Signor Favre ha riconosciuto la giustezza e il valore. Le dichiarazioni esplicite sulle sole basi sulle quali noi possiamo discutere intorno alla questione dell'indipendenza del Pontefice rispondono alle inalterabili disposizioni del Governo e del Paese.

Voi sapete che il Governo italiano non ha mai pensato un istante a disconoscere l'interesse e il diritto dei Governi aventi sudditi cattolici nell'indipendenza spirituale del Pontefice.

Abbiamo sempre dichiarato che era nostro preciso dovere di rispettare questa indipendenza, astenendoci da qualunque atto che potesse menomarla, abbiamo sempre dichiarato che sarebbe una politica funesta per l'Italia quella che avesse preteso di esercitare un'influenza esclusiva, anche solo morale, sul papato, il quale doveva conservare il suo carattere d'istituzione universale. Non abbiamo mai inteso di declinare questa grande responsabilità che l'Italia aveva assunto verso il mondo cattolico.

Non è esatto il dire che le guarentigie che noi abbiamo date al Pontefice non offrono alle altre nazioni alcuna sicurezza perchè esse sono affatto unilaterali e nulla accerta che non saranno un giorno ritirate e che saranno sempre rispettate. A questa abbiezione si può rispondere che il diritto dei governi cattolici all'indipendenza del Pontefice non è mai prescritto, la nostra responsabilità non è diminuita; il giorno in cui noi attentassimo alla sua indipendenza, uscendo dai limiti degli attuali nostri impegni, i Governi cattolici potranno sempre tutelare i loro diritti. Credo io pure che, quando si parla di conferenza, il miglior partito per noi sia piuttosto di obbiettare la difficoltà di formulare un programma e di ottenere sulla base che sola è accettabile per noi l'adesione della S. Sede all'arbitrato diplomatico, piuttostochè di doverci tassativamente pronunciare sull'adesione o sul rifiuto a priori. Ma se anche fosse possibile una Conferenza per rifare, con poche varianti, la nostra legge delle guarentigie, bisognerebbe chiedersi se per raggiungere questo risultato sarebbe utile una solenne riunione diplomatica su una cosi grande questione, e se sarebbero queste le circostanze più adatte, il momento più opportuno, quando questa solenne riunione, da una parte, ecciterebbe tutte le illusioni del partito clericale che chiederebbe alla diplomazia ciò che la diplomazia non può dargli, vale a dire, la restaurazione del potere temporale, dall'altra parte, allarmerebbe in Italia il sentimento liberale e nazionale, che temerebbe di vedere riaperta la questione politica. Voi sapete che in Italia, nell'opinione pubblica, v'è una grande repugnanza contro queste idee di conferenze e di impegni internazionali. V'è certo in questa repugnanza qualcosa d'eccessivo forse e che bisognerebbe affrontare quando si trattasse di prevenire maggiori pericoli al paese, pure il sentimento esiste ed è d'uopo tenerne conto. La causa di questa repugnanza sta nel timore di una continua ingerenza diplomatica, nel timore che, siccome l'interesse del Papato sta nell'opporci le maggiori difficoltà possibili, una volta accettata la guarentigia internazionale, esso ci solleverebbe tanti e così continui incidenti da metterei nelle condizioni della Turchia con le sue capitolazioni e colla assicurazione collettiva della sua integrità.

V'è una convinzione che io attingo da quel concetto pratico che si acquista sul luogo stesso, ed è, prima ancora di assicurare in un modo più completo, se lo si crede necessario, le guarentigie giuridiche, la principale condizione per una soluzione graduale del problema romano è la pacificazione degli animi. Ora questa pacificazione non si può affrettare che astenendoci da quanto può eccitare sempre più da un lato il sentimento cattolico, dall'altro il sentimento nazionale dei romani e dell'Italia.

Quando dunque si parla di un'azione diplomatica per tutelare l'indipendenza del Pontefice, e si dice che quest'azione si accorda colla regola stessa di condotta dell'Italia, si esprime un concetto di cui certo noi non possiamo contestare la legittimità. Rimane solo, come in tutte le cose umane, la questione del modo, dei mezzi e dell'opportunità, e non posso ammeno d'indicare il pericolo che questa azione diplomatica esercitata, o quando non ve ne sia la necessità, o quando non vi sia la possibilità di raggiungere alcun utile risultato, riesca a mantenere aperta o a ricondurre in campo la questione stessa del potere temporale, o ad essere interpretata, come un mezzo per mantenere aperta o per ricondurre in campo questa questione.

V'è qui in Roma un sistema assai bene organizzato per spargere in tutta l'Europa un complesso di notizie o assolutamente inventate o immensamente esagerate, nello scopo di far credere che in Roma regna un perpetuo disordine, che non v'è alcuna sicurezza, alcun rispetto per le persone e per le istituzioni religiose. Non amo a essere troppo indulgente verso il mio paese e a palliare la verità. È vero che qui vi sono alcuni cattivi giornali che non hanno alcuna influenza, ma che allettano qualche volta la curiosità volgare e non servono ad altro che ad essere raccolti dai nostri nemici che vi trovano un tema di accuse contro l'Italia. Ma si stampano anche dei giornali clericali, di cui vi manderò qualche numero e che sono più violenti, più provocatori, più indegni dei peggiori fra i giornali demagogici, i quali scompariranno coll'importazione dei giornali più seri che accompagnano la sede del Governo. Avviene anche, ma assai di rado che in qualche quartiere remoto della città qualche prete raccolga un'ingiuria da qualche mascalzone. L'autorità, appena informata, ricerca e punisce, ma quasi sempre l'ingiuriato non denunzia il fatto, va a magnificarlo, esagerandolo, a un giornale clericale, che alla sua volta, lo esagera a quattro doppii. Ma io esco per la città e vedo pure frati e preti di tutti colori soli o a frotte, girare liberamente per Roma.

Roma può benissimo, per servirmi delle vostre parole, essere la capitale

di uno Stato liberale e la sede sicura e degna del Pontefice. Solo vi sono due cose che possono spingere e che, in parte, spingono anche attualmente lo spirito pubblico di questa città fuori delle vie della moderazione. È l'inquietudine di qualche complicazione politica che metta in dubbio le nuove sorti di Roma. Di mano in mano che la fiducia nell'avvenire si consoliderà, scomparirà, nell'istessa proporzione, l'irritazione contro il papato e contro l'ordine di idee che si associa col papato, cessata la lotta, subentrerà anche meglio il sentimento della libertà e della tolleranza. L'altra causa d'irritazione sta nella mancanza di qualunque moderazione dalla parte dei clericali e del partito che domina al Vaticano. Il Papa non resistè che una sola volta a questo partito e fu nel non abbandonare Roma. Il partito dei Gesuiti ne è dolente e siccome esso si pasce d'una continua illusione che il potere temporale possa essere restaurato con una guerra contro l'Italia, il suo scopo è d'impedire qualunque opera di pace, di inasprire la situazione per quanto può, di immaginare ogni modo per renderla intollerabile. Nel campo liberale, gli animi si eccitano alla loro volta e quindi ne viene una certa tensione morale e quella polemica incessante, continua, intorno a una questione che bisognerebbe invece circondare di pace, di tolleranza e di silenzio. L'ordine sarà da noi mantenuto colla più grande risoluzione. Ma io credo che se, per esempio, a Parigi l'Arcivescovo oggi proibisse con un mandamento la lettura di tutti i giornali, domani sospendesse un prete perchè ricevette il giuramento dei soldati, posdomani obbligasse uno dei più colti e

venerabili ecclesiastici di Roma, Professore all'Università, a dimettersi perchè in ragione del suo ufficio, dovè recarsi con una deputazione dell'Università dal Re, io credo che finirebbe col tirarsi addosso qualche procella.

lo sono convinto che il mezzo più efficace, anzi il solo mezzo per combattere l'influenza di quel partito fanatico di cui tutti deploriamo la prevalenza intorno al Pontefice, è di togliere ad esso ogni illusione intor.no alla restaurazione del potere temporale. Ogni illusione di questa natura, e Dio sa se al Vaticano sono corrivi a :farsene, il minimo indizio, il minimo incidente ne è l'occasione e lo argomento; si traduce in un raddoppiamento di violenze e di spirito irreconciliabile. Quei Governi che mossi da un sentimento al quale rendo giustizia, più si interessano alle sorti del Papato e desiderano la paci:ficazione, devono astenersi da qualunque atto che possa dar luogo ad equivoci e mantenere le illusioni, perchè queste sono un ostacolo invincibile per ottenere appunto quella conciliazione alla quale vorrebbero cooperare. V'è in Roma, nel clero e anche fra i Cardinali, un partito più considerevole che non si crede forse, che deplora le violenze inutili e compromettenti per la religione, che vorrebbe far prevalere delle tendenze più concilianti. Questo partito, che è ancora timido, che si limita a lamenti e a voti, poco meno che segreti, oserà solo farsi innanzi e alzare la voce quando potrà dire, quasi a scarico della propria responsabilità, che la moderazione e la conciliazione sono imposte dalla necessità delle cose. Per me credo che ciò che v'ha di più pratico per la questione romana è di non agitarla continuamente. È una questione per la quale è necessario anzitutto il tempo, perchè la sua soluzione completa non potrà essere data che da quelle modificazioni nelle idee, nelle abitudini, nelle coscienze, che il tempo solo può condurre con sè. Il tempo, colla prova del fatto e dell'esperienza, mette fuori di dubbio la possibilità di quelle soluzioni che a priori parevano oltremodo difficili. L'Italia deve procedere con una costante moderazione, i Governi cattolici, possono, in certa guisa, sorvegliare l'Italia, tenersi pronti a tutelare i propri interessi religiosi quando fossero ingiustamente offesi da noi. Evidentemente non è ad aspettarsi che Pio IX possa desistere dall'attitudine presa, ma gli anni che ancora rimangono al suo Pontificato possono così essere superati e a un nuovo Papa, sorto in altre circostanze, la conciliazione non sarà impossibile. Quando l'accordo fra il Papato e l'Italia sarà attuabile, allora la azione dei Governi cattolici potrà utilmente intervenire a consacrare la situazione del Papato rispetto al paese dove esso ha la sua sede. La questione del Papa futuro è di una importanza somma per gli interessi della politica e per quelli della religione. La previdenza dei Governi dovrebbe rivolgersi fin d'ora ad agevolare l'elezione di un Papa disposto a sentimenti di conciliazione non solo verso l'Italia, ma verso tutta la moderna società. Se vi capita l'occasione opportuna, potete toccare questo argomento col Signor Thiers. Noi siamo, per quanto può dipendere da noi, dispostissimi all'entrare in questo ordine di previsioni.

Poichè la discussione su Roma è imminente nell'Assemblea, io spero vivamente che il linguaggio del Signor Thiers e del Signor Favre sia esplicito per la questione del potere temporale (è questo d'una vitale importanza pei rapporti dei due paesi) e non sia tale da lasciar supporre un'intenzione di ingerenze diplomatiche che distingua troppo l'attitudine della Francia dall'attitudine delle altre Potenze amiche.

Il Signor Thiers vi disse che noi non dovremmo troppo preoccuparci della forma che egli darà al suo linguaggio, ma piuttosto del fondo. A questo riguardo vi espongo una mia preoccupazione. Qualche tempo fa, nel desiderio di trovare un'occasione che agevolasse qualche manifestazione amichevole fra l'Italia e la Francia, abbiamo pensato che l'inaugurazione del tunnel del Cenisio potesse essere appunto una di queste occasioni. Pensammo che era forse più prudente lasciare l'iniziativa di qualche passo in proposito alla Società dell'Alta Italia che doveva fare l'inaugurazione e le feste. Sella ne parlò a Landau e voi conoscete il risultato della conversazione di L:mdau con Thiers. Questi gli disse che egli stesso si sarebbe recato all'inaugurazione se il Re vi fosse intervenuto. Io non mi posso muovere da Roma, ma Sella partì per Valdieri per esplorare l'animo del Re e indurlo ad accogliere questo progetto. Avuta l'accettazione del Re, vi avrei scritto per la démarche ufficiale. Io credo che il Re acconsentirà. Ma se Thiers nel suo discorso, malgrado anche la bontà delle conclusioni, offendesse qualche legittima suscettibilità, non glie ne serberemmo per questo un gran rancore, ma un incontro ufficiale del Re col Signor Thiers poco tempo dopo diventerebbe alquanto difficile. Il Re istesso vi si potrebbe opporre, per quanto non dubiti che il Signor Thiers, sul quale il Re fece buona impressione quando si videro a Firenze, non mancherebbe a qualunque riguardo. Ma voi sapete che il Re ha un sentimento molto altero e suscettibile delle convenienze di un Sovrano.

Attendo con non minore ansietà che la vostra, il risultato di questa discussione e frattanto vi stringo la mano.

(l) -Cfr. n. 17. (2) -Non pubblicato. (3) -Cfr. n. 11. (l) -Cfr. n. 21.
23

L'INCARICATO D'AFFARI DI FRANCIA A FIRENZE, LA VILLESTREUX, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Firenze, 18 luglio 1871 (per. il 21).

J'ai eu l'honneur de faire connaitre à V. E. que j'avais informé mon Gouvernement des intentions du Gouvernement du Roi au sujet d'une entente à établir entre les Cabinets de Londres, de Rome et de Paris sur les réformes applicables à la juridiction des Consulats dans la Régence de Tripoli d'Afrique.

Je viens de recevoir à l'instant sur cette question un télégramme de M. Jules Favre qui me charge d'annoncer à V. E. qu'il accueille avec empressement l'offre d'examiner et de résoudre ensemble la question de la juridiction dans la Province de Tripoli.

M. le Ministre des Affaires Etrangères de France ajoute qu'il prie V. E. de envoyer à M. Nigra des pouvoirs qui lui permettront de délibérer avec lui et au besoin de signer un arrangement conforme à celui qui a été fait avec la Angleterre.

En m'empressant de transmettre ce désir à V. E., je saisis...

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 158. Parigi, 19 luglio 1871 (per il 23).

Ho l'onore di trasmettere in copia all'E.V. una lettera in data di ieri nella II'!Uale S.E. il Signor Giulio Favre esprime il desiderio che il Governo francese ed il Governo italiano s'intendano per agire d'accordo nella questione della applicazione delle capitolazioni nella provincia di Tripoli di Barberia.

Il Signor Giulio Favre desidererebbe che il R. Governo desse al Ministro d'Italia in Parigi i poteri necessari per trattare tale questione col Ministero Francese degli Affari Esteri.

Prego l'E.V. di volermi mettere in grado di fa-r pervenire una risposta in proposito al Signor Giulio Favre e mi valgo dell'incontro per reiterarle...

.ALLEGATO

FAVRE A NIGRA

Versailles, 18 juiHet 1871.

J'ai reçu par l'Ambassadeur de Turquie communication d'un protocole signé à Londres le 12 Juillet dernier par LL. EE. Musurus Bey et Lord Granville et par lequel la Grande Bretagne déclare accepter dans la province de Tripoli d'Mrique l'application des capitulations qui régissent les rapports de l'Empire Ottoman et des Puissances Occidentales pour la juridiction consulaire; en se réservant cependant à cet égard, le traitement de la nation la plus favorisée. S. S. Djémil Pacha me faisait savoir en méme temps que le Cabinet Italien était prét à signer cette convention.

Je me suis haté de charger M. de la Villestreux de demander à M. Visconti Venosta où en était cette négociation pour laquelle déjà je m'étais mis en rapport soit avec lui soit avec Lord Granville. M. le Ministre des Affaires étrangères a répondu à notre Chargé d'Affaires au'il n'avait pas encore pris de parti et demandait à en conférer avec nous.

C'est aussi mon désir, voulant comme V. E. le sait agir de concert avec vous toutes les fois que nous avons un intérét commun.

Je vous prie donc de prendre les ordres de votre C;abinet et, s'il partage mon avis, de réclamer de lui des pouvoirs qui vous permettraient d'examiner avec moi cette question et de nous mettre d'accord pour accepter ou repousser ce protocole.

C'est en ce sens que j'écris à l'Ambassadeur de Turquie et que je donne mes instructions à M. de la Villestreux.

25

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 2. Vienna, 20 luglio 1871 (per il 25).

Recatomi oggi da S.E. il Cancelliere onde salutarlo prima della sua partenza per Gastein, mi si presentò propizia occasione di soddisfare all'incarico che all'E.V. piaceva affidarmi col suo dispaccio dell'8 corrente (Divisione Politica N. 2) (1).

Il Conte di Beust mostrò apprezzare pienamente le spiegazioni da me dategli a nome dell'E.V. sulle circostanze di fatto relative alla partecipazione data al Corpo Diplomatico accreditato presso il Re, Nostro Augusto Signore, dell'effettivo trasloco della Capitale a Roma pel 1° luglio, nonchè del trasferimento alla stessa epoca in quella città della residenza ufficiale di Sua Maestà; e mostrassi pure lietissimo dell'assicurazione che io .gli diedi che l'incidente relativo all'astensione del Barone di Kiibeck dall'intervenire alle feste date dal Municipio e cittadinanza Romana a S.M., non avesse per nulla alterato gli ottimi rapporti esistenti fra i due Governi, nè scemata la gratitudine dell'E.V. per le esplicite dichiarazioni in proposito da lui fatte in antecedenza, le quali toglievano sin da principio ogni carattere men che amichevole alle istruzioni susseguentemente date al Barone di Kiibeck.

Egli mi aggiunse inoltre che l'amichevole linea di condotta del Governo Imperiale e Reale era stata da lui nettamente tracciata nelle sue dichiarazioni alle Delegazioni, e che tale essa strettamente si manteneva.

Avendogli poi io detto che una cosa sola era riuscita incresciosa al R. Governo, e si era: che l'assenza da Roma in quei giorni del Barone di Kiiheck

avrebbe forse impedito che il Governo Imperiale e Reale fosse stato diretta

mente ragguagliato dell'ordine perfetto col quale ebbero a procedere le feste

in quistione, nonchè del vero ed altamente apprezzabile carattere dell'avve

nuta manifestazione popolare, l'E.S. si compiacque assicurarmi che a malgrado

l'assenza del Barone di Ki.ibeck, egli aveva avute le più ampie informazioni le

quali pienamente concordavano con quelle che io Le davo.

Colsi poi ancora l'occasione per mettere in rilievo la libertà la più completa

di cui fruisce il Santo Padre in Roma, citando ad esempio in modo generico i

recenti Brevi Pontifici resi di libera e pubblica ragione in Roma non solo ma

in Italia tutta per mezzo della stampa, senza che il Governo vi frapponesse osta

colo di sorta o mostrasse adombrarsene.

Parvemi qui non fosse fuori di proposito il porre in evidenza ancora la

rilevante entità delle guarantigie conferite dalla vigente legge alla indipen

denza spirituale del Sommo Pontefice, e come tale per l'appunto fosse, perchè

alla sua elaborazione l'Italia era stata lasciata libera da qualsiasi influenza o

concorso straniero, e ciò anche, poichè molto probabilmente altri Governi avreb

bero creduto pericoloso precedente per loro associarsi alla sanzione di talun

principio di libertà religiosa spontaneamente accettato dal Governo Italiano.

A questo proposito il Conte di Beust disse riconfermarmi quanto già aveva

detto all'onorevole mio predecessore Cavaliere Minghetti in ordine alla legge

delle guarantigie ch'egli trovava larghissima, al cui riguardo il Governo Impe

riale e Reale aveva creduto doversi astenere dall'emettere apprezzazione di sorta

onde strettamente attenersi al principio di non intervento da esso adottato in

questa quistione.

(l) Cfr. n. 13.

26

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. l.

Berlino, 20 luglio 1871.

Je vous suis très reconnaissant de la lettre particulière que vous m'avez fait remettre par le courrier Villa (1).

A titre d'information, et pour maintenir un échange de vues avec le Cabinet de Berlin, j'ai jugé à propos de donner, confidentiellement et en voie privée, lecture de quelques passages de cette lettre au Secrétaire d'Etat. Je me suis surtout attaché à faire ressortir avec quel enthousiasme Notre Auguste Souverain avait été reçu à Rome, combien S.M. et l'opinion publique avaient été favorablement impressionées par le fait de la présence du représentant de l'Empire d'Allemagne à des solennités si marquantes dans notre histoire. On ne pouvait mieux répondre aux sentiments qui nous animent envers le Cabinet

de Berlin, avec lequel nous tenons à entretenir les meilleures relations, sur la base de la conservation de la paix ainsi que de la protection des principes monarchiques et de l'ordre social. Ces grands intérets établissaient entre les deux nations, indépendamment de leurs sympathies mutuelles, une solidarité faite pour resserrer toujours d'avantage leurs rapports, dans le présent et dans l'avenir. J'ai aussi fait allusion à la question romaine pour pressentir si le Gouvernement Français avait fait ici quelque communication.

M. de Thile s'est montré très satisfait de ce langage; il m'a remercié de la confiance que nous témoignions au Cabinet de Berlin. Il applaudissait à notre programme politique. Il se réservait d'en écrire à Ems. Il était à meme de me dire, en attendant, que le Comte Brassier avait de son còté envoyé un compte rendu très favorable, sur tout ce qu'il avait vu et entendu durant son séjour à Rome. Il avait surtout emporté le meilleur souvenir de l'audience qui lui avait été accordée par le Roi, qui s'était plu à faire !es éloges du Prince de Bismarck,

• ce jameux gaillard •.

Quant à la question de Rome, l'assurance m'a été donnée, que la France n'avait fait ici aucune démarche, aucune proposition, et que le Marquis de Gabriac n'en avait pas touché mot, au Ministère des Affaires Etrangères, depuis son arrivée à Berlin. Il résultait seulement à M. de Thile, que ce diplomate, vis-à-vis d'un de mes collègues, s'était montré préoccupé des relations d'amitié qui semblaient s'établir entre la Prusse et l'Italie, ce à quoi il avait été répondu, que la France ne pouvait s'en prendre qu'à elle-meme. C'était là une conséquence naturelle de son attitude, si mal inspirée à l'égard de ces deux Puissances.

Pour ce qui concerne la conduite de la Prusse dans cette meme question

de Rome, il nous avait été démontré qu'elle contrastait avec celle du Cabinet

de Paris. M. de Thile ignorait si d'ici le terrain avait été sondé au Vatican, pour

vérifier si on y accueillerait l'idée, que les Puissances donnent en quelque sorte

une consécration aux garanties offertes par l'Italie à la Papauté. Mais S.E. ne

croyait pas que cette combinaison serait réalisable, tant que le St. Père ne

manifesterait pas des tendances à s'entendre avec nous.

J'ai eu cet entretien avec M. de Thile le 15 Juillet. J'y suis retourné aujourd'hui, dans l'espoir qu'il me fournirait quelques nouveaux détails. Mais je n'ai rien appris d'essentiel. Nous sommes entrés dans la saison où les grandes affaires chòment un peu en l'absence de l'Empereur, et surtout du Chancelier I., qui a donné les ordres les plus précis pour qu'on le laisse jouir en repos d'un congé nécessaire à sa santé. Aussi ne vois-je aucun inconvénient à profiter sous peu de jour de la permission que vous avez bien voulu m'accorder de m'absenter pour deux mois de mon poste, et ce d'autant plus que le Chevalier Tosi est parfaitement en état de gérer cette Légation, meme s'il devait se présenter des moments difficiles, car il a déjà fait ses preuves.

(l) Cfr. n. 14.

27

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

-L. P. 2. Berlino, 20 luglio 1871.

Les détails que vous voulez bien me donner sur l'attitude des différentes Puissances, à l'occasion du transfert de la capitale à Rome, sont des plus curieux. La conduite des représentants d'Autriche et de Belgique est au moins puérile, et ne saurait satisfaire méme le St. Siège, qu'ils voulaient cependant ne pas trop heurter de front. Mais j'avoue que la combinaison imaginée par la France, d'accorder un congé au Comte de Choiseul et de faire partir M. de la Villestreux post festum et après l'arrivée à Rome du Ministre d'Autriche, avait un caractère essentiellement dénué de courtoisie. II a du vous en couter de résister à la tentation de ne laisser, à notre tour, qu'un chargé d'affaires à Paris.

Vous étes décidé, m'écrivez-vous, à apporter la plus grande modération dans nos rapports avec la France, à lui montrer une bienveillance constante, à rester toujours du còté de la raison. Autant j'applaudis en voyant que nous ne négligeons pas de nous organiser et de préparer sérieusement Ies forces du Pays pour nous défendre en cas d'attaque, autant je regrette que nous ne Iaissions pas comprendre à notre voisin, que nous traitons avec lui sur le pied d'une parfaite réciprocité, que nous payerons les bons procédés par de bons procédés, mais que nous sommes fermement résolus à ne tolérer aucun écart sans rendre la pareille.

Si la France, comme je le crois, médite de se venger sur nous des revers essuyés dans la dernière campagne, si elle veut en quelque sorte se refaire la main, avant de tenter une revanche contre l'Allemagne, pensez-vous que nous la désarmerons par ce qu'elle interprétera comme un aveu implicite que nous ne nous sentons pas de force à lui tenir la dragée haute? Ne l'encouragerons-nous pas plutòt dans une politique de témérité? Je le crains, c'est pourquoi je vous crie à tue-téte: osez, surtout quand vous avez le bon droit de votre còté. Le Pays vous suivra dans cette voie. Je veux admettre que l'Italie ne soit pas encore suffisamment organisée pour l'offensive, mais pour la défensive, en faisant appel à son patriotisme, nous devons étre en mesure de braver la colère, la mauvaise humeur, Ies velléités de la France, autrement nous ne serions pas dignes d'exister comme nation. Nous avons d'ailleurs Ies atouts en main car la Prusse saurait au besoin paralyser une tentative d'agression contre nous. II y va de son intérét, de ne pas Iaisser cette Puissance étendre la main au delà des Alpes, pour se retourner ensuite contre l'Allemagne.

II faut, bien entendu, que nous ne négligions rien pour entretenir les bonnes dispositions que le Prince de Bismarck m'a manifestées à cet égard. Sous ce point de vue, je regrette que vous ayez cru utile de retarder la publication de la correspondance qui a été échangée entre cette Légation et la Chancellerie I., sur le St. Gothard. Comme de raison, en l'absence d'un ordre forme!, je me suis abstenu de demander ici l'assentiment à une telle publication, qui aurait cependant produit, j'en suis convaincu, un heureux effet sur l'opinion publique, et aurait servi du meme coup camme d'un salutaire avertissement à la France, de ne jamais dépasser la juste mesure dans ses relations avec l'Italie. C'est un moment des plus propices, pour prendre position. n faut que chacun sache à l'étranger, que si nous n'épousons pas !es querelles d'autrui, nous entendons et nous prétendons qu'on nous laisse librement vaquer à nos propres affaires.

Je le répète, osez; vous jouez à coup sur.

Ne voyez dans la rude franchise de mon langage que le désir de servir Ies intérets du Roi et du Pays, et une preuve de la confiance que m'inspire votre caractère élevé. Aussi pouvez-vous compter sur mon entier dévouement.

28

IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 86. Washington, 20 luglio 1871 (per. il 7 agosto).

Ricevetti or non ha guarì la Circolare che l'E.V. mi fece l'onore d'indirizzarmi li 20 maggio (l) sulla legge relativa alle garanzie accordate al Papa ed alla Santa Sede non che alle relazioni fra la Chiesa e Io Stato.

Nell'assenza del Signor Ministro di Stato, ed a secondo delle parole contenute in essa: • C'est dans ce but que nous portons à la connaissance du Cabinet de Washington la Ioi qui vient d'ètre promulguée •, trasmisi al Signor Fish una copia della legge in discorso accompagnata da un officio esplicativo. A questa comunicazione il Dipartimento di Stato fece la risposta di cui unisco copia al presente. Non dubito che l'E.V. comprenderà le ragioni della riservatezza cui è informato lo stile di questa risposta, non potendosi aspettare più esplicita cortesia da un Governo il quale debbe contare sopra migliaia di Cattolici per la maggior parte addetti al partito ultramontano.

ALLEGATO

Washington, 18 july 1871.

This Department duly received your note of the first instant accompanied by a copy of the Act of the Italian Parliament, relative to guaranties garanted to the Pope, in .consequence of certain recent events in that country. In reply I am directed to offer thanks far your luminous and interesting statement of the policy of your Government in regard to that important subject.

It is not usual far us to express opinions in respect to public matters which relate chiefly to Europe, and it is believed that there is no occasion to deviate from the rule in this instance. You may, however, be certain that we take a lively interest in whatever may contribute to the welfare of Italy, and sincerely hope that the measure to which you advert may Ieast to that desirable result.

(l) Cfr. serie II, vol. II, n. 444.

29

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA

T. 1719. Roma, 21 luglio 1871, ore 14.

Les journaux persistent à croire que la Porte prépare une expédition contre Tunis et l'Egypte on annonce l'envoi prochain d'un commissaire impérial dont la mission consisterait à restreindre l'autorité du Bey et du Vice-Roi dans les limites des anciennes concessions des Sultans. D'autre part on annonce également la réunion prochaine d'une conférence pour la question des chemins de fer tures. A cette conférence qui doit se réunir à Vienne, la Serbie serait représentée. Ce sont là des sujets qui ont un grand intéret pour l'Italie. Je vous prie de me tenir au courant de ces affaires. Donnez-moi des nouvelles de la santé du Grand Vizir. Faites lui savoir tout l'intéret que nous inspire l'état de sa santé.

30

IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 87. Washington, 21 luglio 1871 (per. il 7 agosto).

L'E.V. conosce come, secondo l'art. XII del Trattato di Washington, li richiami Inglesi ed Americani (all'eccezione di quelli relativi all' • Alabama •) dipendenti da atti commessi a pregiudizio di cittadini dell'una o dell'altra delle parti contraenti, dal 13 aprile 1861 al 9 aprile 1865, debbono essere sottomessi alla decisione di una Commissione composta di tre membri scelti nel modo seguente: un Commissario nominato dalla Regina d'Inghilterra, uno dal Presidente degli Stati Uniti, ed il terzo di comune accordo dalla Regina d'Inghilterra e dal Presidente degli Stati Uniti. Nel caso il terzo Commissario non potesse essere nominato nel modo predetto nel termine di tre mesi dalla data dello scambio delle ratifiche, esso sarebbe designato dal Rappresentante di Spagna in questa residenza. E la Commissione avrebbe a sedere a Washington, e terminare i suoi lavori almeno entro due anni dalla prima riunione.

Il Ministro d'Inghilterra presso questo Governo venne a trovarmi stamane e mi disse che, essendosi trattato fra d'esso ed il Governo degli Stati Uniti della persona da scegliersi di comune accordo per adempiere le funzioni di terzo Commissario, egli propose di affidarmi siffatto incarico. Il Segretario di Stato, avendone dapprima conferito col Presidente della Repubblica, si compiacque rispondere che il Governo degli Stati Uniti accettava con soddisfazione la proposta. E Lord Granville, interpellato per telegrafo, replicò parimenti la persona proposta essere aggradita dal Governo Britannico.

Sir E. Thornton s'incaricò quindi di comunicarmi in persona la proposta

in discorso. Cui risposi sentirmi eminentemente lusingato da siffatta distinzione,

ed essere dal mio canto disposto ad accettare l'onorevole incarico cui cercherei

d'adempiere come meglio potessi secondo le mie deboli forze. Però riservarmi

di prendere i previi ordini dal mio Governo, poichè senza il suo consenso

non potevo dare una definitiva risposta in proposito.

Come l'E.V. può di leggieri comprendere io fui assai lusingato da siffatta

dimostrazione di stima da parte dei due Governi e sarò felice d'agire secondo

gli ordini che Ella sarà per impartirmi.

Sir E. Thornton mi autorizzò a domandare le istruzioni dal mio Governo

per iscritto onde potergli spiegare di che si tratta. Però sarebbe assai grato se

l'E.V. volesse comunicarmi la determinazione che il Reale Governo sarà per

prendere in proposito per telegrafo, facendola in pari tempo conoscere al Go

verno di S.M. Britannica.

31

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 303. Bucarest, 21 luglio 1871 (per. il 29).

Il mio telegramma della scorsa notte (l) ha già informato V.E. che non appena la Camera ed il Senato ebbero votata la legge annessa (2) al mio rapporto 303 di questa data il Ministero chiese al Principe di sanzionarla, e che alle ohbiezioni di quest'ultimo che codesta legge manomette gli interessi dei possessori delle obbligazioni i Ministri risposero col rassegnare le loro dimissioni.

La condotta del Gabinetto darebbe ragione a coloro che sostennero non aver mai il Governo seriamente voluto cercare un compromesso in questa vertenza, e che fu lieto di veder respinti i progetti di componimento con Strousberg da lui presentati al Parlamento sol per deferenza al Principe ed alle Estere Potenze chiamate a tutelare gli interessi dei loro sudditi.

Dall'altra parte i Ministri affermano con qualche fondamento che l'opinione pubblica era avversa ad ogni temperamento conciliante, e che quel Principe o quel Governo che si fosse avvisato d'imporre una soluzione differente da quella della Camera non avrebbe potuto più oltre contare sull'appoggio del paese che è ormai stanco di essere a sua volta manomesso dalle sordide speculazioni di Strousberg.

Checchè ne sia egli è certo che quando il Ministero dichiarò senza opposizione di sorta di accettare la Legge, la Camera proruppe in applausi ed i Ministri divennero ancor più popolari.

Persuasi di essere gli interpreti fedeli della pubblica opinione, ed appoggiandosi su quest'aura di universale favore essi mantengono ora con saldezza innanzi al Principe la quistione ministeriale, mentre non osarono metterla in Parlamento quando proposero i due progetti di convenzione e di conversione, e massime quando quest'ultima fu respinta senza aver nemmeno l'onore della discussione. Che se dovessero ritirarsi in seguito al rifiuto di sanzione, essi ben sanno che il Paese non sarebbe col Principe e meno ancora coi loro successori.

Malagevoli riescono in effetti i tentativi di S.A. per avere un nuovo Gabinetto. Lo dico con sorpresa, ma anche in Rumania quelli che sono in aspettativa perenne di un portafogli si rifiutano questa volta di accettarlo, ed i deputati chiamati al Palazzo non tentennarono a declinare l'incarico di formare una nuova Amministrazione, la quale dovrebbe esordire con un colpo di Stato che a mio avviso fallirebbe a grave detrimento della Corona.

L'aver messo il Sovrano nel bivio di scontentare il Paese rifiutando la sua firma alla Legge, ovvero di sanzionare una illegalità che produrrà una sfavorevole impressione all'Estero, non fu certo una prova di saviezza e di divozione del Gabinetto Catargi cui incombeva invece l'obbligo di appianare come che fosse le gravi difficoltà da tutti previste e da nessuno scongiurate.

Allo stato delle cose non rimane altro a S.A. che guadagnare tempo, studiandosi di persuadere i suoi Ministri attuali a trovar modo di conciliare i diritti dei terzi possessori di obbligazioni con le esigenze della Legge per la quale vien richiesta la sanzione principesca.

È in questo senso che credetti dovermi esprimere col Principe Carlo quando, essendomi ier l'altro recato a complimentarlo, egli mi parlò con molta costernazione della situazione che gli è stata fatta.

(l) -Non pubblicato. (2) -Non pubblicata.
32

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3847. Costantinopoli, 22 Luglio 1871, ore 7,40 (per. ore 1,20 del 23).

Il ne s'agit en ce moment à la Porte d'aucune expédition contre Tunis ou l'Egypte. On dément formellement à la Sublime Porte. Le bruit contraire agrandit nouvelle que l'on me donne ici d'un protocole qui aurait été signé ces jours derniers à Londres par le Comte Granville et Mussurus Pacha pour consacrer solennellement dépendance de Tunis de la Sublime Porte.

La Commission Austro-Turco-Serbe réunie à Vienne pour raccordement chemin de fer est ajournée, à cette occasion sont commissaires Serbes, le Ministre des Travaux Publics et le Colonel Zach.

Grand Vizir va mieux, il ne voit jusqu'ici personne. Je lui ai fait parvenir

témoignage symphathies du Gouvernement du Roi.

33

IL MINISTRO DI TURCHIA A FIRENZE, PHOTIADES BEY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. 7072. Firenze, 22 luglio 1871 (per. il 24).

A la suite des entretiens que j'ai eu l'honneur d'avoir avec V.E. sur la proposition du Gouvernement Impérial relative à la suppression de la juridiction que les Consuls à Tripoli d'Afrique s'attribuaient, contrairement à ce qui se pratique, en matière judiciaire, dans les autres Vilayets de l'Empire Ottoman, dont celui de Tripoli ne diffère sous aucun rapport, je m'empresse de vous faire parvenir, Monsieur le Ministre, les remerciments que le Ministère Impérial me charge de vous exprimer, en son nom, pour l'accueil bienveillant que vous avez fait à cette proposition, en m'assurant que le Gouvernement du Roi n'aura à soulever aucune objection isolée et qu'il est pret à s'associer à l'adhésion déjà acquise du Gouvernement Britannique sous la réserve, bien entendu, de l'assentiment des autres puissances intéressées dans la question.

Comme le Gouvernement Impérial s'est spontanément engagé à ne pas procéder à la cessation de la juridiction dont il s'agit que dans le cas où l'accord des Gouvernements intéressés serait préalablement établi sur ce sujet, je vous prie, Monsieur le Ministre, de vouloir bien m'indiquer la forme sous laquelle il vous plaira de donner l'adhésion du Gouvernement Royal.

34

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Vienna, 22 luglio 1871.

Unitamente alla presente vi trasmetto un mio dispaccio d'ufficio (1), in cui vi riferisco la conversazione avuta col Conte di Beust in ordine all'incidente Klibeck ed in genere sulla questione del trasferimento della capitale; rileverete da esso, che il Cancelliere è fermo nella sua politica riguardo all'Italia esplicitamente tracciata in una sua dichiarazione alle Delegazioni. Il principio del non intervento nella questione mi fu riconfermato; ho dunque ogni ragione di ritenere, che se il Signor Thiers volesse tentar una campagna diplomatica per stabilir intelligenze fra alcune potenze onde dar vita ad una Conferenza, troverebbe l'uscio chiuso a Vienna. In un'altra conversazione avuta sin dai primi giorni che ero a Vienna col Conte di Beust, ad un pranzo dal Ministro d'America, parlando dell'insediamento della capitale a Roma, dissi che la conciliazione tra il Papa e l'Italia, sarebbe stata tanto più prossima, quanto più presto quello si sarebbe convinto di trovarsi solo a fronte di noi, che conseguentemente qualsiasi anche solo apparenza d'interessamento, che sortisse dal campo astratto per parte di estere potenze, ancorchè esse fossero animate dei migliori sentimenti verso di noi, non avrebbe potuto se non nuocere alla conciliazione, alimentando sempre vane illusioni. Il Conte di Beust mostrommi divider pienamente tal mio modo di vedere. Ma egli non è eterno al posto che occupa, e d'altronde le sue idee non sono neppur immutabili, conviene dunque star all'erta, ed è ciò ch'io farò qui.

Come già vi scrissi fui accolto dall'Imperatore come meglio non si poteva, parlammo lungamente su vari argomenti, ma per lo più di cose militari. Si

7 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

discorse della Francia per la quale l'Imperatore non lasciò trasparire neppur ombra di simpatia. Fui del pari egregiamente accolto dal Conte di Beust e dai Ministri della Guerra e Finanze comuni alle due parti della Monarchia.

Le simpatie di Hohenwarth credo di averle poco poichè egli non ne ha quasi per l'Italia, a questo proposito anzi non so spiegarmi perchè gli si sia dato con tanta premura il Gran Cordone Mauriziano. Ad ogni modo però, astrazione fatta dai clericali arrabbiati, tutti mostraron capire qui che l'Austria, per non trovarsi isolata a fronte della Russia, ha bisogno di tenersi amiche Germania ed Italia, e quindi simpatie a parte l'amicizia non corre pericolo.

Se il Generale Kuhn Ministro della Guerra avesse potente influenza nella politica estera non v'ha dubbio ch'egli caldeggierebbe l'alleanza Francese, poichè tiene in gran conto quella Nazione, e mostrommi ritenere che fra un pajo d'anni, essa avrebbe un Esercito migliore e più forte che non l'abbia mai avuto, ma l'Imperatore non divide per nulla tali credenze, ed il Conte di Beust non vi presta gran fede, avendo potuto constatar l'anno scorso, che il suo collega della Guerra non era Profeta.

Si cercherà quindi di mantener amichevoli relazioni colla Francia ma nulla più.

Ho fatto la conoscenza del Conte Andrassy che fu per me sommamente gentile, accentuandomi anche in modo speciale le simpatie vecchie e costanti sempre, dell'Ungheria per l'Italia. Come di ragione ho replicato sullo stesso tono.

Questo è in riassunto tutto ciò che pel momento ho di più interessante a riferirvi, mi terrò al corrente e non mancherò di farvi passar quelle notizie che potessero interessarvi.

(l) Non pubblicato.

35

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1589. Parigi, 23 luglio 1871 (per. il .26).

Jeri ebbe luogo in seno all'Assemblea Nazionale a Versaglia la discussione provocata dalle petizioni presentate da parecchi Vescovi ed Arcivescovi e da cittadini francesi in favore del potere temporale del Papa. La seduta durò fin circa alle ore 8 di sera. La discussione fu aperta dal Signor Pajot relatore della 4a Commissione delle petizioni. Non riferirò qui nè il discorso del relatore, nè quelli che lo seguirono. Tutta questa discussione deve essere esaminata per intero e nel testo ufficiale dall'E. V. Un sunto, anche esattissimo, in materia di cosi grave importanza sotto ogni rispetto, sarebbe insufficiente ed incompleto. Mi limiterò quindi a toccare alcuni punti, chiamando pel resto l'attenzione dell'E. V. sul rendiconto ufficiale che ho l'onore d'unire al presente dispaccio (1). 11 relatore, fra gli argomenti che mise in campo in favore delle petizioni, invocò un discorso pronunziato al Corpo Legislativo dal Signor Thiers nel 1865, nel quale

discorso la necessità del potere temporale era dichiarata come una guarentigia

indispensabile di libertà per Sommo Pontefice. Il Signor Pajot non domanda che

la Francia dichiari la guerra all'Italia per rimettere in soglio il Pontefice. Ma,

dice egli, fra la guerra, che non è lecita alla Francia e che nessuno domanda,

ed una inerte rassegnazione, deve esservi un'altra soluzione, l'azione diplo

matica.

La diplomazia francese deve cercare col concorso delle altre Potenze la

soluzione della questione che è così formolata: indipendenza assoluta del So

vrano Pontefice. La 4a Commissione propone quindi il rinvio delle petizioni al

Ministro degli Affari Esteri.

Il Signor de Tarteron, relatore della 5a Commissione delle petizioni riprodusse la medesima conclusione. Il Signor de Tarteron fece specialmente notare che le petizioni non domandano un'azione armata per parte della Francia; esse si limitano a chiedere l'azione della Francia ed a pregare l'Assemblea d'invitare il Governo a concertarsi colle Potenze estere affine di ristabilire il Sommo Pontefice nelle condizioni necessarie del libero Governo della Chiesa Cattolica.

Il Signor Thiers pronunziò quindi un discorso, del quale ogni parola vuoi essere attentamente ed imparzialmente pesata. Egli cominciò col dire che non aveva mutato le sue idee. Egli fu contrario all'unità d'Italia perchè prevedeva che da essa sarebbero originate l'unità germanica e la caduta del potere temporale. Non biasima l'Italia d'aver fatto la sua unità; era nel suo diritto. Biasima il Governo Imperiale d'averla ajutata a fare quest'unità. c Ora l'Italia, proseguì l'illustre oratore, quest'Italia, io non ne sono l'autore; io son colui che ha meno contribuito a fare la sua unità. Ma infine essa esiste, essa è fatta; vi è un'Italia, v'è un Regno d'Italia che ha preso posto fra le Potenze considerevoli dell'Europa. Che volete voi che noi facciamo? Bisogna parlar chiaro. Non bisogna imporci una diplomazia che condurrebbe a ciò che voi disapprovereste pubblicamente, cioè alla guerra... Ora, di guerra noi non ne vogliamo con nessuno. Vogliamo organizzare l'esercito perchè la Francia deve ripigliare il suo posto di grande Nazione. Ma la nostra politica è politica di pace •. Quanto al Papa, il Signor Thiers si espresse col più profondo rispetto e con una grande simpatia. Se il Papa diventasse un esule, la Francia gli sarebbe sempre aperta. Il Signor Thiers non presume, non vuole dar consigli a Sua Santità. Egli non può che dire al Sommo Pontefice c Curate la pace delle anime, perchè noi abbiamo bisogno della pace, della pace religiosa al pari della pace politica •. Ma il Papa, in forza del Concordato, esercita funzioni in Francia concorrendo alla nomina dei Vescovi. La Francia ha quindi anche per questo lato un grande interesse a che il Papa sia in una condizione d'assoluta indipendenza.

La Francia si unirà perciò a tutte le Potenze cattoliche affinchè l'indipendenza religiosa del Pontefice sia difesa non dalla Francia soltanto ma dall'intera Cattolicità. L'oratore conchiude con queste sensate parole: • Un grande Stato è sorto in Europa. Esso esiste. Il mio dovere di francese, di cittadino, di rappresentante del Governo francese, è d'intrattenere con esso buone relazioni e di non sollevare alcuna questione che possa alterarle. Ma noi dobbiamo mettere in salvo grandi interessi religiosi. Questi grandi interessi li comprendo e li difenderò nella misura delle risorse che mi saranno fornite dalla situazione...

Vi prometto di portare in queste relazioni ciò che deve portarvi un Governo di ragione. Noi non abbiamo la pretensione d'essere altro •. Quest'importante discorso fu accolto da lunghi applausi dell'Assemblea.

Monsignor Dupanloup, Vescovo di Orléans successe al Signor Thiers alla Tribuna. Le conclusioni sue concordano con quelle del relatore. Nel suo discorso non parmi vi sia da rilevare nulla all'infuori delle solite sue esagerazioni appassionate ed ingiuriose verso l'Italia, il suo Governo ed il suo Re. Ma avendo egli espresso la sua intera confidenza nel Signor Thiers, il Capo del potere esecutivo, in uno scopo di sincerità e per evitare ogni malinteso, risalì la tribuna e dichiarò che qualunque fosse il voto dell'Assemblea egli l'accettava soltanto a queste due condizioni: cioè che non comprometterà la politica del suo paese, e che difenderà quanto potrà l'indipendenza del Santo Padre.

Un ordine del giorno, redatto dal Signor Marcel Barthe, in questi termini:

• L'Assemblea Nazionale, confidando nel patriottismo e nella prudenza del Capo del Potere esecutivo della Repubblica, passa all'ordine del giorno •, era stato accettato dal Signor Thiers colle riserve sopra espresse ed era sul punto di essere votato, quando il Signor Gambetta venne a dichiarare che egli ed i suoi amici davano pure il loro appoggio a questo stesso ordine del giorno.

Il Signor Keller, membro ben conosciuto dell'estrema destra cattolica sorge a dichiarare dal canto suo che dal momento in cui quest'ordine del giorno, accettato dal Signor Thiers, è pure accettato dal Signor Gambetta, esso cambia di significato. Egli domanda perciò il rinvio al Ministero. Segue una grande agitazione nell'Assemblea, che il Presidente non giunge a calmare che con somma difficoltà. Dalle parole scambiatesi in mezzo alla confusione risulta, che la maggioranza della Camera, cioè la destra e il centro accettano il rinvio al Ministero, la sinistra per organo del Signor Gambetta rigetta il rinvio.

Il Signor Thiers prende ancora la parola per dichiarare che accetta il rinvio, ma che lo accetta colle riserve da lui fatte e col senso che lo determina: cioè: patriottismo e prudenza. L'ordine del giorno Barthe, senza l'addizione del rinvio, è messo ai voti e respinto da 375 voti contro 273. L'Assemblea vota quindi ed approva con 431 voti contro 82 la risoluzione seguente: • La Assemblea confidando nelle dichiarazioni patriottiche e nella prudenza del Capo del Potere esecutivo, rinvia la petizione al Ministro degli Affari esteri •.

(l) Non pubblicato.

36

L'INCARICATO D'AFFARI A RIO DE JANEIRO, GONELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 59. Rio de Janeiro, 23 luglio 1871 (per. il 21 agosto).

Ho avuto l'onore di ricevere la Circolare dell'E. V. in data dei quindici Giugno, con la quale Ella mi annunzia che col primo Luglio erano trasferiti a Roma gli Uffici del R. Ministero degli Esteri.

Credetti mio dovere d'informarne quest'Imperiale Governo e n'ebbi in risposta che il medesimo gradiva la comunicazione fatta prendendone atto.

Mi fu poi privatamente detto che il Signor Loureiro riceverebbe ordini, se pur già non erano spediti, di recarsi a Roma.

Il Governo brasiliano sarebbe in ciò assai consentaneo alla sua politica di non voler avere intervenzione di sorta in affari che riguardano la Chiesa, giusta la dichiarazione fatta dal Barone Cotegipe al Barone Cavalchini.

L'idea di diminuire l'influenza del clero al Brasile è certamente la più preponderante, specialmente nel partito qui detto conservatore. Il partito liberale invece, almeno la frazione capitanata dal Consigliere Zaccarias Gòes e Vasconcellos si avvanterebbe di far qualche protesta contro il Governo Italiano, onde procacciarsi l'appoggio dei Vescovi dell'Impero.

37

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 304. Bucarest, 23 luglio 1871 (per. il 3 agosto).

Telegrafo oggi a V. E. che il mio collega di Germania è stato incaricato di dichiarare, ed ha stamane dichiarato al Ministero principesco che in seguito alla legge votata dal Parlamento, il governo imperiale va a chiedere alla S. Porta di proteggere gli interessi dei possessori tedeschi delle obbligazioni Strousberg.

Ricorrendo alla potenza alto-sovrana il Principe di Bismarck non si allontana punto dallo spirito del trattato di Parigi.

Se vuolsi in effetti considerare la quistione come puramente interna, l'articolo 22 del detto trattato riserva alla Turchia i diritti di alta sovranità su questi Stati danubiani.

Ovvero la vertenza può sembrar di natura da compromettere il riposo dei Principati a causa dei capitali esteri in essa implicati ed a motivo di una eventuale abdicazione del Principe Regnante che rifiuterebbe di sanzionare la legge, ed in tal caso l'art. 27 prevede l'intervento della Porta.

Come che voglia esaminarsi, la dichiarazione del Gabinetto di Berlino quantunque penosa pel Principe Carlo non può non dirsi corretta al punto di vista delle stipulazioni del 1856.

Spetta ora alla saviezza del Governo ottomano di rimanere nei limiti del trattato concertando, senza nulla precipitare, con i Rappresentanti delle Potenze garanti che si riunirebbero in conferenza a Costantinopoli le misure a prendere per assicurare il pagamento delle obbligazioni.

Codesto modo di soluzione conforme ai patti internazionali avrebbe da un lato il vantaggio di salvare il decoro del Principe Regnante e la responsabilità del suo governo innanzi al paese ed offrirebbe dall'altro garanzie non dubbie di imparzialità e di giustizia. Ma la grave infermità da cui è affetto il Gran Vizir fa prevedere che le pratiche della Germania, se veramente saranno intavolate a Costantinopoli non potranno avere un risultato immediato.

Intanto il Principe Carlo, ammalato da tre giorni, persiste nel suo rifiuto di sanzionare la legge, e non riceve più i Ministri i quali dall'altro canto mantengono le loro dimissioni se la Legge non vien sanzionata. Prolungandosi oltre misura, codesta situazione reca pregiudizio alla pubblica cosa; tanto più che le difficoltà incontrate per formare un nuovo Gabinetto sembrano insormontabili. Non v'ha uomo politico disposto a togliere l'incarico di rinviare una camera che in questa questione pare essere l'espressione del paese irritato dalle malversazioni di Strousberg, dal non aver potuto sequestrare i di lui beni, dal vedere in completo disfacimento i lavori delle ferrovie già costrutte, e dal non aver potuto finalmente ottenere sufficienti garanzie per i nuovi patti recentemente offerti ai Concessionari.

Il Presidente del Consiglio è venuto oggi ad espormi quanto precede, aggiungendomi che se la Germania farà realmente fare a Costantinopoli le pratiche annunziate, egli non vede in che le medesime potrebbero portar nocumento alla dignità di un Principe che regna in un paese soggetto di fatto alla potenza alto-sovrana. • Sarò invece lieto, così ha continuato il mio interlocutore, di apprendere il risultato delle deliberazioni che prenderanno i Rappresentanti delle Potenze garanti a Costantinopoli, perchè forte di una sì autorevole decisione io prendo l'impegno di farla adottare nella prossima sessione del Parlamento, dovessi anche ricorrere a nuove elezioni. Finora questa leva mi mancava, e quando il Ministero disse che i Governi Esteri appoggiavano i reclami dei detentori loro sudditi, la Camera fece comprendere che preferiva attendere più energiche rimostranze •.

38

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3851. Parigi, 24 luglio 1871, ore 11,15 (per. ore 15,30).

Impression générale produite par la discussion d'avant hier ne nous est pas défavorable. Le vote de renvoi est interprété, comme il doit etre, c'est à dire, non pas en faveur du pouvoir temporel, mais contre M. Gambetta.

39

IL MINISTRO DI TURCHIA A FIRENZE, PHOTIADES BEY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. 7075. Firenze, 24 luglio 1871 (per. il 25).

En me référant à la lettre que j'ai eu l'honneur d'adresser à V. E. le 22 de ce mois (1), relativement à la juridiction Consulaire à Tripoli d'Afrique je m'empresse de vous informer que, suivant une communication officielle que je

viens de recevoir de notre Ambassade à Versailles, les représentations de S. E. Djémil Pacha au sujet de cette question loin de provoquer aucune objection, ont été accueillies et appréciées dans un esprit de conciliation, S. E. M. Jules Favre ayant bien voulu exprimer le désir d'arriver à une résolution aussi prompte que possible d'accord avec le Cabinet d'Italie.

Il ne dépend donc que du bon vouloir dont V. E. m'a donné des preuves non équivoques que la question qui nous occupe reçoive, dans le plus bref délai, une solution satisfaisante.

(l) Cfr. n. 33.

40

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1590. Parigi, 24 luglio 1871 (per. il 28).

Facendo seguito al dispaccio di jeri (l) con cui ebbi l'onore di rendere conto della seduta del 22 della Assemblea Nazionale, mi pregio ora di sottoporre all'E. V. qualche considerazione sulla portata e sul significato della votazione con cui la discussione fu chiusa.

Anzi tutto merita nota la cura che tanto i relatori quanto tutti gli oratori ed in ispecie il Vescovo d'Orléans ebbero a dichiarare che non volevano la guerra coll'Italia e che ne respingevano assolutamente l'idea. L'importanza pratica della discussione, per quanto riguarda il potere temporale, è quindi nulla. I più autorevoli giornali concordano nell'ammetterlo. Se si può dire che la discussione abbia prodotto un qualche risultato pratico questo consisterebbe piuttosto in una implicita acquiescenza al fatto compiuto della caduta del potere temporale. Per la questione di fondo la vera risultante sta nel fatto che il Signor Thiers accettò il rinvio delle petizioni vescovili al Ministro degli Affari Esteri, ma colla riserva che esso interpreterebbe il voto nel senso che il Governo si limiti a proteggere l'indipendenza spirituale, mantenendo buone relazioni coll'Italia ed evitando un'azione diplomatica che avesse per effetto di alterare queste buone relazioni. Il signific,ato del voto è di un'altra natura. Le dichiarazioni del Signor Gambetta e del Signor Keller destarono subitamente nell'Assemblea un'altra passione di ordine puramente interno, e si può dire che la maggioranza finì con perdere quasi di vista il vero scopo della discussione per velleità di reagire energicamente contro la sinistra. Essa volle impedire che il Governo si compromettesse con questa e lo forzò in certa guisa a separarsene. Difatti, senza l'assicurazione del Signor Gambetta e la protesta del Deputato Keller, è probabile che l'ordine del giorno puro e semplice sarebbe stato votato.

Di tutta la discussione non rimane per noi che un fatto il quale credo, ha una grande importanza. Esso sta nelle dichiarazioni del Signor Thiers che sono tali da tranquillare il Governo del Re e l'Italia sulla azione futura della Francia in ordine alla questione pontificia.

(l) Cfr. n. 35.

41

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 18. Madrid, 24 luglio 1871.

J'ai eu l'honneur de voir hier soir le Roi qui m'a longuement entretenu 1des difficultés de la situation. Dans l'esprit de S. M. comme dans celui de toutes les personnes sensées, un Cabinet de conciliation qui plus tard aurait pu se fondre dans un grand parti libéral, est le seul qui puisse répondre aux nécessités politiques du moment. Mais cette solution ne faisait point le compte du parti progressiste qui, fort des 180 voix qu'il dit posséder dans le Congrès, méditait depuis quelque temps de se séparer du parti unioniste et de s'imposer, lui seui, aux conseils de la Couronne. Tous les efforts du Maréchal Serrano pour reconstituer un Cabinet de conciliation sont venus, quelque sincères qu'ils aient été, échouer devant la résistance opiniàtre des Progressistes, et force a bien été au Roi, en s'inspirant du principe constitutionnel, de s'adresser à M. Zorilla dont le parti prétend obtenir la majorité aux Chambres par la force d'attraction qu'il compte exercer sur ces opinions flottantes qui existent dans toutes les Assemblées délibérantes. Bien que dans ce pays la vérité d'aujourd'hui devienne la fausseté de demain, l'on peut cependant regarder comme à peu près certain l'avènement d'un Cabinet exclusivement progressiste dont le programme devant les Chambres sera l'indépendance absolue de l'Etat vis-à-vis de l'Eglise, le maintien énergique des possessions de Cuba, et une répression immédiate de l'Internationale dont les menées deviennent un véritable danger pour la tranquillité du pays. Sous ce dernier rapport, l'on peut bien dire, il est vrai, qu'un Ministère progressiste pourra bien plus facilement que tout autre procéder à des mesures de rigueur; mais c'est là un trop mince avantage pour qu'on puisse le comparer aux dangers que peut faire courir à la monarchie aussi bien qu'au pays, l'établissement d'un pouvoir dont les exagérations politiques ne peuvent manquer, dans un avenir peu éloigné, d'amener une situation

des plus périlleuses.

Au milieu des fluctuations d'une politique aussi embrouillée que viennent encore compliquer les complots Montpensiéristes et les menées des Carlistes secrètement appuyées par le clergé, le Roi conserve un calme et un sang froid admirables. Sans doute Sa Majesté est extrèmement lasse d'une succession non interrmnpue de crises ministérielles que font uniquement surgir l'intéret personnel uni très souvent à la haine de parti, mais Elle est fermement résolue à poursuivre jusqu'à la fin l'oeuvre de dévouement qu'Elle est venue remplir dans ce pays et à laquelle Elle ne renoncera que devant l'impossibilité absolue d'atteindre ce noble but.

42

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 145. Lisbona, 25 luglio 1871 (per. il 2 agosto).

Il Conte Thomar è giunto avant'jeri a Lisbona.

Da un paragrafo di lettera particolare Iettami confidenzialmente da un amico qui che ha corrispondenze personali a Roma, risultavami già che il Ministro portoghese presso la Santa Sede non solo fu particolarmente jrappé della unanimità e spontaneità delle manifestazioni Romane all'epoca dell'ingresso del nostro Augusto Sovrano nella sua Capitale, ma che tali manifestazioni produssero puranche grande impressione al Vaticano.

La posizione del Conte Thomar a Roma e le sue relazioni personali col Vaticano daranno mi sembra, assai peso alle sue impressioni di Roma e saranno qui, spero, debitamente apprezzate, anzi ho fondato motivo di credere che si attendeva qui il suo arrivo per conferire seco lui sulla questione Romana, nè dubito punto che questo personaggio, colla lealtà che lo caratterizza, non partecipi anche verbalmente al suo governo tali impressioni colla stessa franchezza, colla quale le partecipò il suo amico di Roma al suo corrispondente a Lisbona. Infatti avendo io incontrato jeri sera il Conte da un amico comune, mostrò desiderio d'intrattenersi meco ed ebbi seco lui un lungo colloquio. S. E. mi confermò in dettaglio l'ammirevole e perenne contegno delle popolazioni Romane dal 20 Settembre, e la splendida ed unanime accoglienza fatta al Re nonché l'impressione prodotta da questi fatti al Vaticano della quale fu testimonio oculare, avendo spesso avuto l'onore di avvicinare il Santo Padre e di conferire col Cardinale Antonelli sul quale, soggiunse, più di tutto produsse grandissima impressione, il fatto per esso molto significativo, ed ,al quale sembrava non attendersi, della presenza a Roma di tutte le Legazioni che da Firenze seguirono il Re nella sua nuova Capitale.

Dissemi pure che Sua Santità parla sempre con affetto del Re personalmente, che mostrò non poca tristezza nell'affermare che nella recente lettera scrittagli dal Signor Thiers non facevasi allusione alcuna alla questione del potere temporale, e finalmente che il Santo Padre era deciso, non ad accettare alcun compromesso col R. Governo né legalizzare alcun modus vivendi, ma a rassegnarsi ai voleri della Provvidenza rimanendo a Roma, residenza che sempre considerava la migliore per esso malgrado il passato ed il presente, poichè soggiunse Sua Santità, in qualunque Stato estero io voglia recarmi comprendo perfettamente che nei primi mesi sarei ben accolto e festeggiato, ma dopo si finirebbe per credere la mia presenza un imbarazzo politico; dovrei allora cambiar residenza di paese in paese, quindi meglio che tale vita girovaga è al postutto rimanere a Roma. Il Conte Thomar conviene che la legge delle nostre guarentigie è la più favorevole alla Corte Romana di qualunque altra Europea, ed è sua opinione che applicandola largamente, anche se non accettata al Vaticano, e facendo pure spontaneamente altre concessioni di fatto se occorre verso l'augusta persona del Santo Padre, l'Italia acquisterà maggiormente col tempo la tolleranza del Vaticano ed il favore dell'Europa.

Ringraziai il mio interlocutore di queste sue confidenziali e pregievoli comunicazioni pregandolo in pari tempo a ripeterle al Re ed al Governo. S. E. mi assicurò averle già accennate nei suoi dispacci da Roma, e le rinnoverà ora dettagliatamente appena ne avrà occasione non avendo peranco avuto il tempo, dopo il suo recente arrivo, di vedere il Marchese d'Avila che per pochi istanti, perchè il Presidente del Consiglio era ammalato ed egli stesso assai occupato d'affari propri. Il Conte dissemi per ultimo aver conferito personalmente e lungamente con V. E. a Roma, nè starò a ripeterle qui, Signor Cavaliere, gli elogi che fecemi sulla politica saggia e conciliativa che Le è propria personalmente, e che mostrò specialmente nella questione Romana.

Certo le importanti informazioni che precedono saranno già note a V. E. dopo il colloquio avuto col Conte Thomar, ma ho creduto utile, ad ogni buon fine, confermarglieli confidenzialmente per il presente dispaccio.

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L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 245. Pietroburgo, 25 luglio 1871 (per. il 2 agosto).

Conformemente agli ordini datimi dall'E. V. col dispaccio Serie Politica

N. 90, 8 Luglio (1), mi recai dal Consigliere di Westmann e gli dissi che ero incaricato dall'E. V. c d'exprimer au Cabinet de St. Pétersbourg les remercimens de V. E. pour avoir donné spontanément à son représentant l'ordre de suivre le Roi aussitòt qu'il aurait transféré à Rome sa résidence, et de l'assurer que ce bon procédé ne pourrait qu'augmenter les sympathies qui unissent l'Italie à la Russie •.

Riferisco testualmente queste mie parole perché appena le ebbi pronunciate, il Consigliere di Westmann, mi pregò di dettargliele, e ne prese nota per iscritto.

Egli mi disse c Nous avons été frappés ici de l'accueil enthousiaste fait au Roi et de l'attitude de la population • e volle confessare in forma molto lusinghiera un errore d'apprezzamento, osservando che tanto successo era qui quasi stato inaspettato.

Il Signor di Westmann prese l'iniziativa di assicurarmi che i rendiconti indirizzati dal Signor Glinka al suo Governo attestavano che l'entusiasmo manifestato al Re dalla popolazione Romana era stato immenso. Continuai il discorso nel senso del pregiato dispaccio dell'E. V., e non mancai di dire che le prove di attaccamento date a Roma e nel resto d'Italia, alla dinastia ed al principio Monarchico avevano un valore di cui certamente s'apprezzerebbe l'importanza per il mantenimento dell'ordine e per prosperità dell'Italia.

L'aggiunto del Principe Cancelliere con dimostrazione di molta cortesia prese atto degli apprezzamenti di V. E., che le mie parole hanno, lo credo, esposti con esattezza.

Mi è grato il dover aggiungere, Onorevole Signor Ministro, che il Signor di Westmann rese alto omaggio alla condotta politica e diplomatica del Governo di Sua Maestà, col riconoscere l'incontestata influenza di questa calma dignitosa ed imponente che dalla data del 20 Settembre ha differito il definitivo trasferimento della Sede del Governo, ad onta di alcune impazienze.

P. S. Credo utile, onorevolissimo Signor Ministro, di trasmettere all'E. V. come un'opportuna appendice al .presente mio rapporto ed a quello dei 12/24 Giugno N. 243 (1), il qui compiegato estratto del Giornale de St. Pétersbourg (2) il quale come Ella ben sa, si attiene all'opinione di questo Governo Imperiale.

(l) Cfr. n. 12.

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L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 117. Therapia, 25 luglio 1871 (per. il 4 agosto).

Con mio telegramma in data delli 22 corrente (3) responsivo a quello che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi il giorno precedente (4), ebbi a riferirle le assicuranze che la Porta oppone alle voci di asserite prossime imprese contro Tunisi e l'Egitto.

Server Effendi, Mustechar del Ministero Imperiale degli Affari Esteri, e che travasi a capo, perdurando la malattia del Gran Vizir, del Dipartimento stesso, messo sul discorso di tali persistenti rumori della stampa andò fino a dar la sua parola d'onore che nulla di vero vi sia in essi.

È nota d'altra parte la via di moderazione in cui Aali Pacha ha indirizzato e mantiene ferma la politica del paese. Epperò fino a tanto che l'eminente uomo di stato regga al pondo degli affari non sono seriamente temibili complicazioni ed arrischiate decisioni.

La malattia del Gran Vizir è naturalmente motivo a smodate speranze, ad illusioni e ad intrighi, fra chi anela a succedergli v'ha chi reputa più agevole strada all'agognato potere il lusingare od accarezzare fin d'ora gli istinti e le idee di coloro che sognano il potere sovrano libero dalle pastoje della tutela occidentale, e vorrebbero restituita a completa soggezione del Capo dell'Unità Islamitica l'autorità dei Vassalli ricalcitranti.

Non è quindi a meravigliare che costoro cerchino di far vedere come attuabili tali idee appena venga meno anche provvisoriamente, come in questo periodo della malattia del Gran Vizir, l'opposta politica più temperata d'Aali Pacha. Si spiega così la persistenza della stampa a registrare siffatti intendimenti, od a bello studio, o come eco dei rumori della giornata.

L'egiziano Mustafà Fazil, che dicesi legato ora coi partigiani del vecchio Kibrisly Pacha, si destreggia più che altri a mettersi avanti come propugnatore di siffatte idee ora e pel momento in cui potesse afferrare la somma del potere.

Come ebbi pure l'onore di riferire a V. E., si smentisce pure alla Porta l'asserita esistenza di un protocollo firmato a Londra giorni sono, dal Conte Granville e da Musurus Pacha per consacrare, dicevasi, in principio ed in fatto la completa soggezione di Tunisi alla Turchia.

Un recente somigliante accordo tra l'Inghilterra e l'Impero Ottomano, vero non per Tunisi, ma per Tripoli, come l'E. V. ben sa, fu tosto oggetto di comunicazione telegrafica del Governo di Versailles a questo Ambasciatore di Francia; in essa si espresse il penoso stupore prodotto nel Gabinetto Francese da questo inopinato ed isolato atto, a cui la Gran Bretagna addivenne senza previo concerto colle altre Potenze garanti; si aggiunge in esso essersene di già fatta risentita parola a Lord Lyons ed a Djemil Pacha, ed il Gabinetto Italiano essere stato pregato di far conoscere i suoi apprezzamenti al proposito.

Il Conte di Voglie che trova l'attuale politica inglese in Oriente di soverchio proclive alle concessioni, crede non debba la Francia accedere a quelle in esso protocollo accordate al Governo Alto-Sovrano di Costantinopoli, senza si ottenga pei nazionali esteri stabiliti nella Reggenza stessa di Tripoli altre garanzie e compensi.

Parte oggi in congedo d'alcune settimane per le sue terre dell'interno della Russia, il Generale Ignatiew, colla sua famiglia, per motivi specialmente, si ha a credere, di privati suoi interessi.

Aali Pacha è tuttora in istato estremo di debolezza, ed ebbe ancora ordine dal Sultano di astenersi dal vedere chicchessia per affari.

Riaz Pacha, venuto in nome del Khedive a testimoniare della parte che questi prende allo stato del Gran Vizir, dava a me pure le assicuranze sulle migliori intenzioni del Vice Re a conservare il buon accordo colla Corte AltoSovrana. La Porta poi fu estremamente compiaciuta della dimostrazione di deferenza datagli dal Governo Vice-reale coll'aver chiesti i suoi diretti officii nella recente vertenza al Cairo col Console di Francia; e contro il costui procedere la Porta indirizzò a seguito tali officii apposita nota a questo Ambasciatore Francese.

Fu mia cura di far pervenire ad Aali Pacha, come tosto mi giunsero, le espressioni di simpatia che il suo stato ispira al Governo del Re, e che non mancarono di essere apprezzatissime. L'illustre infermo si ebbe in questi giorni eziandio simiglianti dimostrazioni dall'Imperatore d'Austria e dal Governo Francese.

(l) -Cfr. serie II, vol. II, n. 557. (2) -Non pubblicato. (3) -Cfr. n. 32. (4) -Cfr. n. 29.
45

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 20. Madrid, 26 luglio 1871 (per. l' 1 agosto).

Le nouveau Cabinet s'est présenté aujourd'hui à la Chambre des Députés.

M. Ruiz Zorilla a prononcé son discours-programme, dont j'ai l'honneur de transmettre ci-joint à V. E. l'Extrait officiel (1).

Les quatre points principaux de ce programme sont les suivants: soutenir à Cuba l'intégrité de la Monarchie Espagnole par tous les sacrifìces; respecter dans la question réligieuse les convictions de la majorité des Espagnols, tàcher d'harmoniser les rapports de l'Eglise et de l'Etat, mais dans les limites établis par les conquetes libérales de la Révolution de Septembre; rétablir à tout prix l'équilibre du budget; enfìn dans la question d'ordre public, recourir aux moyens les plus énergiques de répression. Si, pendant la période de la fermeture des Chambres, -a-t-il dit -, des événements survenaient de nature à mettre en péril les intérets sociaux, le Ministère aurait recours à des mesures extraordina1res, demandant au Parlement un bill d'indemnité.

Toute la question est maintenant de savoir l'application qui sera faite de ces déclarations politiques. Mais ce que l'on peut dire dès aujourd'hui c'est que, comme l'a fait si justement observer M. Topete -qui a pris cette occasion pour se déclarer encore une fois le plus ferme soutien de la Dynastie, ce programme, qui ne sort pas des généralités, ne diffère guère de celui du Ministère Serrano-Sagasta.

Les Cortès ont prorogé leurs séances jusqu'au l er Octobre.

(l) Non si pubblica.

46

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

T. 1721. Roma, 27 luglio 1871, ore 15.

Tàchez d'avoir une conversation avec le Ministre des Affaires Etrangères et de me faire connaìtre son impression sur la discussion récente de l'Assemblée de Versailles relativement aux affa,ires de Rome.

47

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 1723. Roma, 27 luglio 1871, ore 15.

Après le vote récent de l'assemblée à Versailles, le ministère ne croit pas devoir insister auprès du Roi pour que S. M. intervienne à ,}'inauguration du tunnel du Mont Cenis. Il me parait cependant convenable de faire des démarches pour que le Gouvernement français se fasse représenter à cette cérémonie. La fete ne devant pas avoir de caractère politique les invitations seront faites par la direction des travaux du tunnel, qui priera le Gouvernement italien de les faire parvenir au Gouvernement français. Je pense que vous pourriez en informer M. Thiers et M. Favre, en leur disant que le Roi s'étant promis de ne plus aUer en Savoie, n'assistera pas à la cérémonie: que cependant les deux Gouvernements pourraient se faire représenter par quelques ministres. On aurait soin de concerter le programme avec le Gouvernement

français. Avant, cependant, de faire aucune démarche, veuillez me télégraphier votre avis.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 325. Roma, 28 luglio 1871.

Vous n'ignorez pas que la juridiction exercée par les Consulats étrangers à Tripoli d'Afrique a été réglée jusqu'ici suivant le droit établi à l'époque où ce pays formait une régence gouvernée par un Prince tributaire de la Sublime Porte. Les Beys de Tripoli, à l'instar des Beys de Tunis, ont stipulé des conventions avec les Puissances, conventions dans lesquelles la situation des étrangers dans cet état barbaresque, a été déterminée sur des bases plus larges que dans d'autres parties de l'Empire Ottoman.

Depuis que la S. Porte a réuni l'Etat de Tripoli aux provinces soumises à la souveraineté directe du Sultan, maintes tentatives ont été faites pour faire cesser toute différence entre ce vilayet et les autres parties de l'Empire en ce qui concerne l'application des capitulations. Le Gouvernement français nous a donné à entendre plus d'une fois qu'il désirait ne pas voir préjuger cette question et nous avons toujours eu à coeur de ne point en compromettre la solution par des négociations séparées.

Aussi, lorsque dernièrement le Représentant de la Turquie est venu m'annoncer que son Gouvernement était tombé d'accord avec l'Angleterre pour étendre à Tripoli l'application des capitulations en vigueur dans les autres vilayets de l'Empire, me suis-je borné à lui répondre que l'Italie ne soulèverait ni difficultés ni objections isolées, mais qu'elle s'abstiendrait de prendre des engagements sur le fond de la question, avant de s'etre entendue avec la France et la Grande Bretagne.

Sur ces entrefaits, M. de la Villestreux me soumit, au nom de son Gouvernement, l'idée d'une entente à établir entre les Cabinets de Rome, de Paris et de Londres sur les réformes applicables à la juridiction consulaire dans la province de Tripoli. Ma réponse au Chargé d'Affaires de France a été dans le sens des entretiens que j'avais eus avec Photiades-bey; elle confirmait la expression de notre désir de voir s'établir une entente entre les Puissances principalement intéressées pour mettre un terme aux difficultés que l'exercice de la juridiction consulaire rencontre actuellement à Tripoli.

J'ai reçu depuis deux autres communications relativement à cette affaire: une de vous, avec la lettre de S.E. M. Jules Favre en date du 18 de ce mois (l); l'autre du Chargé d'Affaires de France en Italie (2). Ces deux communications avaient pour but de nous signaler l'existence d'un protocole signé le Jer juillet à Londres entre la Grande Bretagne et la Turquie pour régler la question de Tripoli conformément aux vues de la Sublime Porte, de nous informer des démarches de l'Ambassadeur ottoman à Paris pour amener la France à signer un document analogue, et de nous convier enfin à procéder d'accord avec le Gouvernement Français aux délibérations à prendre à ce sujet.

Je vous prie M. le Ministre de remercier S.E. M. Jules Favre pour ces différentes communications. Nous apprécions hautement l'esprit amicai dans lequel elles sont conçues, et j'espère que le Gouvernement de la République ne pourra jamais douter de l'empressement avec lequel seront toujours accueillies chez nous les propositions destinées à raffermir l'accord des Puissances dans les affaires relatives aux provinces d'Afrique de l'Empire Ottoman. Je ne puis donc que regretter vivement l'ignorance dans laquelle je suis du texte du protocole signé à Londres le 12, de ce mois, car cette circonstance m'oblige de limiter les instructions qui vous sont nécessaires pour vous aboucher avec M. Jules Favre.

Vous connaissez maintenant, M. le Ministre, l'état de la question que vous ètes appelé à traiter et la pensée qui dirige la conduite du Gouvernement du Roi dans cette affaire. L'Italie attache un prix tout particulier à se mettre d'accord avec la France et l'Angleterre et elle fait de cet accord, sur la base de la sauvegarde des intérèts des nationaux respectifs dans les contrées d'Afrique appartenant à l'Empire Ottoman, la règle constante de sa politique.

Nous sommes donc disposés, dès à présent, à signer tel arrangement pour I'affaire de Tripoli qui aurait la probabilité d'ètre agréé par les Cabinets de Londres et de Paris. Nous n'avons à faire à ce sujet qu'une réserve sur le fond et une simple observation quant à la forme de l'acte qu'il s'agirait de conclure.

La persistance de la Sublime Porte à obtenir une solution de la question des capitulations à Tripoli selon ses propres vues, a pu faire naitre l'idée que cette Puissance veut préparer dès à présent la voie à la solution d'autres questions analogues qui intéresseraient bien davantage l'Italie. Vous comprenez,

M. le Ministre, que je fais allusion ici à l'Egypte et à Tunis, où le régime des capitulations diffère de celui des provinces soumises à la Souveraineté directe du Sultan. Nous sommes d'avis que le moment actuel serait bien choisi pour faire entendre à la Sublime Porte que la solution donnée à la question de Tripoli ne pourra jamais ètre invoquée par elle pour diminuer Ies immunités, droits et pvivilèges dont jouissent actuellement Ies étrangers en Egypte et à Tunis. Une entente des Cabinets de Rome, de Paris et de Londres sur ce point essentiel suffirait, suivant nous, pour écarter toute prétention: exagérée qui pourrait se faire jour par la suite, et pour éviter ainsi des difficultés sérieuses contre lesquelles il est de l'intéret commun de se prémunir. Quant au choix du moyen pour constater l'existence de cette entente des trois Cabinets, je vous prie de dire à M. Jules Favre, que nous n'avons aucune préférence; mais qu'un échange de notes entre les trois Cabinets établissant leur parfaite identité de vues nous paraìtrait une garantie suffisante.

Je vous disais en outre, M. le Min:istre, que nous avions une observation à faire sur la forme de l'acte à signer avec la Turquie. Nous aurions préféré, comme de raison, signer un seui protocole en commun avec la France et l'Angleterre, mais du moment que cette dernière Puissance a jugé à propos de conclure un acte séparé, nous pensons qu'il convient également à la France et à l'Italie de suivre le meme système. L'accord des trois Puissances sera suffisamment constaté si elles signent des aotes identiques pour le fond et pour la forme. A moins que l'Angleterre ne consente à renouveler dans un protocole à quatre Ies engagements qu'elle a pris dernièrement avec la Porte, je ne crois pas que vous ayez besoin d'etre autorisé à signer un acte quelconque, mais je désire que vous entriez le .plus tòt possible en communication avec S.E. M. le Ministre des Affaires Etrangères de la République afin de bien établir les termes de l'entente que nous désirons maintenir avec la France.

(1) -Cfr. n. 24. (2) -Cfr. n. 23.
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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 857. Berlino, 28 luglio 1871 (per. il 2 agosto).

La discussion récente à Versailles sur la pétition des Evèques en faveur du Pape, et le vote émis par l'Assemblée nationale, démontrent assez, si besoin en avait été, quelles sont les dispositions qui y ont cours vis-à-vis de l'Italie. Ces débats n'ont été qu'un appel aux anciennes traditions de la politique française, combattue par le chef du pouvoir exécutif, et uniquement parce que l'impuissance actuelle de la France ne lui permet pas de reprendre de sitòt un ròle prépondérant en Europe. Malgré toute la circonspection du langage de M. Thiers, malgré qu'il semble faire bon marché du pouvoir temporel pourvu que l'indépendance spirituelle du St. Siège demeure assurée, cet homme d'Etat n'est pas moins aussi hostile à l'Italie qu'à l'Allemagne. Il pelote en attendant partie. La presse libérale à Berlin ne se fait pas faute de critiquer les étranges zig-zags et le résultat de cette discussion, lesquels offrent un contraste si manifeste avec le principe de non-intervention, nettement posé il y a peu de mois par le Reichstag. Les organes officieux se taisent, parce que ils n'ont pas encore le mot d'ordre.

Si, pour le meme motif, M. de Thile n'était pas encore à mème de communiquer à ce sujet les impressions d'Ems et de Varzin, il me laissait entendre hier que son jugement personnel était conforme au mien. Il était également d'avis que, surtout en pareilles conjonctures, il importait à nos deux Pays de vivre dans les meilleurs rapports. L'attitude des différents partis en France ne pronostiquait rien de bon. Le langage d'une grande partie de la presse parisienne n'était qu'une excitation continuelle à la haine contre les Allemands et à des projets de vengeance. Dans ces conditions, la retraite de M. Jules Favre, si la nouvelle se confirmait, serait très regrettable, car on rendait ici justice à l'esprit de loyauté et de conciliation qu'il avait montré dans les négociations de plllix.

En attendant, le Cabinet de Berlin accentue d'avantage la politique à l'égard du parti catholique. .A:insi, une Ordonnance R., contresignée par tous les Ministres, supprime au Département de l'Instruction publique les deux Sections pour les affaires catholiques et protestantes, et y crée une division unique pour les deux cultes. L'exposé des motifs ne contient rien que de très régulier et parfaitement constitutionnel. Mais H n'est pas moins vrai qu'on retire aux catholiques un privilège qui leurs avait-été accordé depuis 1841, privilège véritable puisque la division spéciale, chargée de leurs intérèts, était composée de conseillers de la mème rélig-ion, tandis que désormais les droits de l'Etat seront exercés par une Autorité soi-disant dégagée de toute infl.uence confessionelle.

La Germania proteste, dans des termes très vifs, contre cette mesure, qut a eu pour corollaire l'éloignement des Conseillers précités, et l'envisage comme une déclaration de guerre, parce que ne croit pas à l'entière impartialité du Gouvernement, à la parité de traitement vis-à-vis des deux principales religions de ce Pays. Le Gouvernement Prussien parait résolu à aller de l'avant et de combattre dans chaque cas qui se présentera, ce qu'il appelle les abus de l'ultramontanisme et des doctrines proclamées par le ConcHe.

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L'INCARICATO D'AFFARI DI GERMANIA A FIRENZE, WESDEHLEN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Firenze, 29 luglio 1871 (per. il 30).

En conséquence des ordres que je viens de recevoir de Son Altesse le Prince de Bismarck j'ai l'honneur de porter ce qui suit à la connaissance de V. E.

Les Chambres roumaines ont voté récemment une loi sur les cheminsde-fer, qui, selon l'avis des agents diplomatiques accrédités à Bukarest, lèse de la manière la plus sensible les droits des étrangers. Afin d'obvier aux facheuses conséquences de cet acte législatif, le Gouvernement Impérial vient d'inviter son chargé d'affaires à Constantinople à exprimer au Grand Vizir l'attente que la Porte, à laquelle appartient comme Puissance souveraine la représentation dipiomatique des Principautés-Unies, voudra faire usage de ce droit pour inviter le Gouvernement roumain à accorder aux intérets étrangers méconnus par cette loi la protection internationale qui leur est dùe.

Les Principautés n'ayant pas de répresentations officiels auprès des Puissances étrangères, le Gouvernement Impérial est d'avis que la Porte a le droit et le devoir d'assurer sa protection aux sujets étrangers lésés dans leurs intérets par des actes du Gouvernement de Bukarest, et l'esprit d'équité dont le Cabinet Ottoman aime à s'inspirer dans ses relations internationales ne permet pas de douter que les résolutions qu'il prendra dans l'affaire en question ne soient conformes aux obligations que les circonstances lui imposent.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

D. 97. Roma, 30 luglio 1871.

Per indiretta via mi pervenne la notizia che il Gabinetto di Londra ha definito in un separato accordo colla Turchia la questione da tanto tempo tenuta in sospeso circa l'applicazione delle capitolazioni nella provincia ottoroana che formò la Reggenza di Tripoli di Barberia.

Non avrebbe più scopo lo esporre la storia ed il fondamento delle guarentigie speciali di cui godevano gli stranieri in quel paese, guarentigie sancite non

8 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

da sola consuetudine, ma anche da convenzioni, stipulate dai Governi Europei col Bey di Tripoli. Rammenteremo soltanto con sensi di gratitudine che fu un tempo in cui la diplomazia inglese stipulò anche per la Sardegna un trattato che determinava la posizione dei RR. sudditi in quella Reggenza barbaresca.

Se il Gabinetto di Londra ci avesse interpellato in proposito, noi ci saremmo ben volentieri messi d'accordo con lui nella migliore soluzione da darsi a questo affare. Ciò che noi avremmo maggiormente desiderato, una risoluzione presa in comune dalle Potenze interessate in questo affare, avrebbe così potuto con tutta facilità effettuarsi. Il Governo francese avendoci fatto interpellare in proposito, noi siamo entrati con lui in uno scambio di idee che ci condurrà ad una pronta decisione di questa quistione.

Bramando che l'E. V. possa far conoscere a Lord Granville il contegno tenuto dal Governo del Re, relativamente a questa vertenza, compiego nel Dispaccio d'oggi una copia delle istruzioni che in proposito ho dato al Cav. Nigra (1).

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IL MINISTRO DI TURCHIA A ROMA, PHOTIADES BEY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Roma, 31 luglio 1871 (per. l' 1 agosto).

Pour satisfaire au désir que V. E. a bien voulu m'exprimer, dans l'entrevue que j'ai eu l'honneur d'avoir avec Elle aujourd'hui, je m'empresse de Lui communiquer ci-joint en copie, le Protocole signé à Londres le 12 Juillet, par LL. EE. Musurus Pacha et Lord Granville, relativement à la suppression de la juridiction abusive des consuls à Tripoli d'Afrique.

.ALLEGATO

PROTOCOLE

La Sublime Porte s'étant adressée au Gouvernement de Sa Majesté Britannique pour réclamer contre une coutume abusive qui a pu s'introduire à Tripoli d'Afrique. sans la sanction de Sa Majesté Impériale le Sultan, par rapport à la juridiction consulaire, et pour demander que l'ordre fU.t donné au Consul Général d'Angleterre, résidant dans le chef-lieu de cette province, de ne plus insister à s'attribuer une juridiction exclusive dans les procès entre indigènes et sujets anglais, où ces derniers sont défendeurs; et le Gouvernement de Sa Majesté Britannique ayant reconnu la legitimité de cette demande;

Les Soussignés, à ce diìment autorisés, sont convenus des articles suivants:

Art. I.

Le Gouvernement de Sa Majesté Britannique transmettra au Consul Général d'Angleterre à Tripoli d'Afrique des ordres précis et formels pour que désormais tous les procès et toutes les contestations entre indigènes et sujets anglais dans cette province, quelle que soit la nationalité du défendeur, soient jugés par devant les Tribunaux locaux, conformement aux dispositions des Capitulations en vigueur, et de la mème manière dont ces Capitulations sont appliquées dans les autres provinces de l'Empire Ottoman.

Art. II.

La Sublime Porte s'engage à traiter les Consuls et les sujets anglais à Tripoli d'Afrique, en ce qui concerne la juridiction Consulaire, sur le pied de la nation la plus favorisée, et à les faire participer à la juissance de toute faveur ou avantage accordés sous ce rapport aux Consuls et aux sujets de tout autre Etat.

Fait en deux exemplaires à Londres, le douze Juillet 1871.

(Signé) MUSURUS.

(Signé) GRANVILLE.

(l) Cfr. n. 48.

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L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, GALVAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 8. Atene, 2 agosto 1871 (per. 1'11).

Recatomi ieri a far visita al Presidente del Consiglio, giudicai conveniente

di dargli confidenziale lettura del dispaccio politico N. 2 dall'E. V. direttomi

1'8 luglio ora scorso (1), intorno all'avvenuto insediamento del Governo a

Roma.

Il Signor Coumoundouros mostrandosi assai sensibile alle parole di simpatia e di amicizia da V. E. espresse verso la Grecia, mi assicurò che codesto paese aveva sempre seguito con vivo interesse i fortunati eventi che in breve giro d'anni ci condussero al compimento dell'unità nazionale, e che ora non poteva non andar lieto di veder pienamente soddisfatti i voti di una nazione alla quale la Grecia è legata con saldi vincoli di amicizia e di riconoscenza. Alludendo quindi alle idee che si sono manifestate non ha guari nell'Assemblea di Versailles in seguito alle petizioni dei Vescovi, il Ministro degli Affari Esteri mi soggiunse: c Ora siete in casa vostra e non avete più nulla da temere. La Francia per il momento non può far gran che, ed allorquando si troverà in grado di agire le principe aura fait son chemin •.

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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3868. Parigi, 3 agosto 1871, ore 10 (per. ore 18).

M. de Rémusat a été nommé ministre des affaires etrangères en remplacement de M. Favre.

(l) Cfr. n. 12.

55

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3867. Parigi, 3 agosto 1871, ore 12,05 (per. ore 17).

Le nouveau ministre des affaires etrangères est un ancien ami de l'Italie et du comte de Cavour. Je considère cette nomination comme une excellente chose pour les rapports entre l'Italie et la France. Je vous prie de m'envoyer quelques autres exemplaires en français de la loi des garanties. J'ai rendez-vous après demain avec M. Thiers pour concerter la cérémonie du tunnel. Je vous télégrapherai le méme jour.

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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1598. Parigi, 3 agosto 1871 (per. il 7).

La dimissione del Signor Giulio Favre dalle funzioni di Ministro degli Affari Esteri, già più volte annunziata siccome imminente, è oramai definitiva. Si credeva che il Signor Thiers assumerebbe in persona la direzione di quel Ministero, non destinando alcun nuovo titolare e valendosi solo dell'assistenza di un Sottosegretario di Stato. Nell'ipotesi invece di una nuova nomina si designavano come presumibili successori del Signor Giulio Favre o il Duca di Broglie, Ambasciatore di Francia a Londra, oppure l'accademico Carlo de Remusat, antico Ministro. Un decreto del Capo del potere esecutivo, inserito nell'odierno Journat Offi,ciet, confida a quest'ultimo il portafoglio degli Affari Esteri. La ragione di questa nomina è cercata dai più nei personali rapporti di vecchia amicizia esistenti tra il Capo dello Stato ed il Signor de Remusat, ed anche in quelle condiscendenti disposizioni che il Signor Thiers può sperare maggiori dal nuovo Ministro.

Mi pregio segnalare all'attenzione dell'E. V. un esteso rapporto sulle operazioni dell'armata di Versaglia contro l'insurrezione di Parigi dall'll aprile fino al 28 maggio che trovasi nelle colonne del Journat Ojjìciet d'oggi. Il rapporto è firmato dal Maresciallo Mac-Mahon e porta la data del 30 giugno ultimo. Le perdite dell'armata versagliese durante le operazioni eseguite in quello spazio di tempo non eccedono, a termini del rapporto, il numero totale di 7514 tra ufficiali e soldati uccisi, feriti o scomparsi, mentre la cifra degli insorti fatti prigionieri fino al 28 maggio ammontava a 25 mila. Furono presi all'insurrezione 1500 pezzi d'artiglieria e più di 400 mila fucili.

La stampa periodica parigina accentua di più in più una certa tensione che ripetutamente si manifesta tra la destra ed il Signor Thiers, cui la maggioranza parlamentare comincia a rimproverare di voler troppo fare prevalere in ogni questione le sue personali opinioni, e la sua propria volontà. Un nuovo dissenso si è prodotto tra la destra ed il Governo nella discussione sull'orga

nizzazione e sulle attribuzioni dei consigli generali che il Signor Thiers vorrebbe meno favorevole ai principi di discentramento, mentre la maggioranza tende ad allargare quanto più può la sfera d'azione e d'ingerenza amministrativa dei Consigli generali. L'art. II del relativo progetto di legge a tenore del quale il Consiglio generale deve eleggere nel suo seno una Commissione dipartimentale permanente fu adottato dall'Assemblea nella tornata di ieri con 426 contro 210 voti benchè il Governo per bocca del Ministro dell'Interno avesse avve))tita la Camera che una tale Commissione susciterebbe difficoltà e conflitti coll'autorità prefettoriale. Il Governo non volle tuttavia fa,re della modificazione di questo articolo una questione di Gabinetto; ma siccome egli si riservò di chiedere, qualora esso fosse adottato, alcune sostanziali mutazioni negli articoli seguenti, così si teme che la questione di Gabinetto possa ancora risorgere su questo stesso terreno. D'altra parte non è più tanto fiduciosa l'opinione che in ogni evento la Destra indietreggerebbe dinanzi ad una ripetuta minaccia di demissione del Signor Thiers.

Non perché l'incidente meriti che gli si attribuisca peso nessuno, ma solo a prova dei persistenti dissensi d'una frazione dell'attuale assemblea francese verso l'Italia, riferisco all'E. V. traducendolo testualmente dall'odierno Journal ojJìciel, il brano seguente della seduta di ieri. Citando come esempio di più savia legislazione leggi provinciali estere, il Signor Pascal Duprat ebbe a dire: • Non voglio ricordarvi leggi di repubbliche: esse vi spiacerebbero senza dubbio. Vi cito quelle delle monarchie. Abbiamo al nostro fianco due popoli governati da Re: il Belgio che v'è caro, eccessivamente caro: l'Italia ch'io amo molto, molto. (Risa e strepitose interruzioni a destra).

Una voce a destra: L'Italia che ci costa cara!

Signor Duprat: Abbiamo l'Italia ch'io amo molto e che, lo si vede, voi amate molto meno di me (nuovo movimento).

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L'INCARICATO D'AFFARI A CARACAS, VIVIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 50. Caracas, 3 agosto 1871 (per. il 30).

Ricevuta il 21 Luglio la Circolare del 15 giugno, relativa alla installazione del R. Governo a Roma, credetti conveniente dare notizia di tale avvenimento a questo Signor Ministro degli Affari esteri con Nota del 22 dello stesso mese, alla quale egli rispondeva il 25. Quindi, per compiere la comunicazione, gli trasmisi il 26 un esemplare della Legge del 13 maggio 1871 sulle prerogative del Sommo Pontefice e della S. Sede, della quale egli mi accusava ricevimento il 2 corrente.

Dalle copie delle note del Signor A. L. Guzman, che unisco qui a quelle mie,

V. E. vedrà che le fattegli comunicazioni ebbero buona accoglienza.

Ben diversi da quelli manifestati dal Governo sono i sentimenti del clero. Generalmente ignorantissimo, esso bandisce principii conformi a quelli che ispirarono la protesta dell'Equatore. Il clero, ostile al partito dominante, non ha però nel Venezuela influenza pari a quella che esercita in altri stati dell'America meridionale.

Quanto all'opinione pubblica, essa è tuttavia da formarsi. E non sarà meraviglia, solo che si consideri come la vita politica nel Venezuela si riduca a guerra civile, e la guerra civile stessa muova non dalla coesistenza di partiti, armati l'uno contro l'altro a procurare il trionfo di principii opposti, ma da consorterie, che hanno per fondamento interessi privati, e, raggiunto l'intento, si sciolgono per ricomporsi sotto altro nome.

La stampa, non si è mai occupata di proposito della cosi detta questione romana. Essa si è ristretta a ripubblicare le notizie di giornali di Europa e degli Stati Uniti, senza esprimere mai un concetto suo proprio.

Sentimento predominante nel Venezuela rispetto agli stranieri in genere ed agli europei in particolare, è una avversione tanto profonda quanto male dissimulata. I giornali, partecipandovi largamente, si studiano sempre di mettere in mala voce le potenze europee e di esaltare al possibile, a guisa di contrapposto, ,gli Stati Uniti, presentati sotto il doppio aspetto di un modello di perfezione, unico al mondo, e di oggetto di spavento per l'Europa.

Cosl, tanto per non urtare il clero, quanto per mal animo, i giornali nella scelta delle notizie relative agli eventi, che fecero capo alla cessazione del potere temporale de' Papi, hanno dato sempre la preferenza a quelle spacciate da' nostri nemici. A ciò propriamente si è limitata la loro opposizione. Del rimanente, questo non è paese, neppure ne' suoi migliori elementi, da potere ancora valutare l'importanza di quanto si è compiuto in Italia.

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IL CONSOLE A MONTREAL, GIANELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 4. Montreal, 3 agosto 1871 (per. il 20).

A secondo il di Lei desiderio ch'io dassi pubblicità alla legge sulle guaranti,gie al Pontefice come dal di Lei dispaccio Serie Politica S. N. in data 31 maggio e che fu ricevuto a questo ufficio il 20 giugno, accompagnato dal documento tradutto, mi feci dovere di comunicarlo al giornale più influente ed accreditato in questa Città -la Gazetta-nel quale ne apparse la pubblicazione in data 17 luglio u. s. e con ivi un articolo editoriale che dietro mio desiderio ho fatto accompagnare, e che oso sperare V. E. approverà.

La pubblicità di quest'importante documento ha avuto l'effetto desiderato se devo giudicare da un grande numero di persone a me note e che già prima erano aversi nemici del Governo d'Italia -ora ne fanno ampio eloggio, e condanano il Pontefice perché rifiuta di acettare ciò che non di più potevasi accordarle; a qualcuno di questi fanatici comincia ad assicurarsi che non sempre dal pulpito intesero la verità.

Allo scopo di far giungere il giornale ad un numero di persone da me conosciute quali nemici capitali d'Italia e che altro non leggono se non che l'organi clericaU, ne ho fatto l'acquisto di 200 copie che colle spese di posta ho incorso lo sborso di 7,50 dollari che se V. E. approverà io caricherò tra le spese di questo consolato. Le invio due numeri del giornale sunominato e mi permetto altresì di accompagnarne altri due (L'Altare e il Trono) nel quale dietro mia influenza apparve un articolo (fino dal 3 maggio) che forse V. E. non disapproverà.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(AVV)

L. P. Roma, 4 agosto 1871.

Vi mando un corriere che vi potrà essere comodo d'avere a disposizione vostra, in occasione della nomina del nuovo Ministro degli Affari Esteri.

Il linguaggio dei giornali italiani vi avrà indicato quale fu l'impressione prodotta da noi dalla discussione dell'Assemblea di Versailles sugli affari d~ Roma. L'Opinione sopratutto mi sembra aver riprodotto il sentimento più comune. L'impressione non fu quella d'una minaccia o di un pericolo prossimo, ma non fu neppure tale da ristabilire alcuna vera e solida fiducia fra i due paesi e da riaprire, per cosi esprimermi, la via della simpatia che sarebbe quì naturale verso la Francia e alla cordialità dei rapporti. Volgarmente e all'ingrosso si traduce il discorso di Thiers così: per ora la Francia non fa nulla contro l'Italia perchè non può, si riserba però di farlo quando potrà, e si senti istintivamente l'aura ostile che spirava da tutta quella discussione, dalla attitudine di tutta quell'Assemblea. La gran maggioranza intelligente del paese ha preso atto della dichiarazione del Signor Thiers che il Governo francese si asterrà da un'azione ostile verso l'Italia e anche da quell'azione diplomatica che potrebbe alterare i rapporti fra i due paesi, e, siccome, in certe situazioni, l'impressione immediata, direi locale, ha un innegabile valore, non è disconosciuto da noi che in Francia il significato della discussione fu cagione di malcontento ai giornali clericali e fu trovato soddisfacente dai giornali liberali. La Borsa stessa la quale non fa, è vero, previsioni a scadenze remote, divise queste impressioni rassicuranti. Ma questa opinione temperata e conciliante trovò anche che una rassegnazione, che non fu detta definitiva e che fu fondata sulla necessità, non è una gran base pei rapporti reciproci, per le relazioni future dell'Italia e della Francia. Certo il Signor Thiers non poteva sconfessare le sue opinioni passate, ma quand'egli deplorava che la Francia avesse lasciato fare l'unità di Italia in un momento d'oblio della sua politica tradizionale, si sperava che aggiungesse qualche correttivo, qualche dichiarazione per l'avvenire, poichè che cosa dovrebbe fare la Francia quando sarà in grado da far ritorno alla sua tradizione vera e sana, se, secondo le idee del Signor Thiers non trovi anche oggi che la migliore guarentigia per l'indipendenza del Pontefice, sarebbe il potere temporale? Ma nelle sue parole non v'è uno spiraglio il quale indichi che forse la forza religiosa del papato potrà trovare altre vie di grandezza, che ponga la questione in altri termini che quelli d'una situazione violenta sotto cui geme il Papa e che la Francia si sforzerà di attenuare nei limiti delle risorse che la situazione le andrà man mano porgendo. Ma indipendentemente anche da queste considerazioni, ciò che offese in Italia una legittima suscettibilità è che il Signor Thiers, non abbia trovato una parola, in nome di quella convenienza internazionale che è sentita in tutti i Parlamenti, pel linguaggio ingiurioso dei Relatori e per le espressioni usate da Monsignor Dupanloup verso la persona del Re Vittorio Emanuele. Quando si pensi inoltre il tenore delle petizioni di cui si trattava, il voto dell'Assemblea, malgrado le circostanze in cui si produsse, il voto del rinvio, non era tale che potesse riuscirei grato, considerando il significato parlamentare d'un rinvio di petizioni al Ministero competente. Purtroppo i francesi uniscono a una viva suscettibilità per se stessi un sentimento assai meno vivo delle suscettibilità altrui.

La stampa germanica approfittò naturalmente dell'occasione, e fece il confronto fra il voto dell'Assemblea francese e quello del Parlamento germanico. La corrispondenza officiosa del Gabinetto di Berlino disse che in questa brillante seduta ciò che brillava per la sua assenza era un qualunque sentimento di equo rispetto per un qualunque diritto nazionale dell'Italia, e che il Signor Thiers, aveva stabilito esso medesimo una solidarietà di situazione fra l'Italia e la Germania.

In questo complesso di circostanze era impossibile che il pubblico non sentisse la differenza fra le simpatie liberali che ci vengono dal resto d'Europa e le manifestazioni francesi. Quanto a me non ho avuto della discussione una impressione diversa dalla vostra. Essa non mi ha rivelato nulla di nuovo, la situazione anche prima la giudicavo come la giudico ora, fors'anche con minore fiducia. Ho però osservato che il Signor Thiers, facendovi presentire prima il linguaggio che avrebbe tenuto vi disse: dirò all'Assembea che non accetto la questione sul terreno territoriale, e che questa frase più esplicita non v'è nel suo discorso. D'altra parte mi fece piacere che non abbia parlato della Convenzione di Settembre. Quest'atto fu denunziato in circostanze tali che sono lieto che il Signor Thiers abbia in certo modo dato di frego su questa circostanza e su questo precedente.

Io credo, dopo questa discussione, che la nostra politica non deve essere punto modificata, dobbiamo rimanere calmi e non perdere un istante il nostro sangue freddo. Dobbiamo continuare a procedere nella quistione pontificia e in tutte le questioni religiose e politiche che si annettono ad essa colla più grande moderazione, mantenere l'ordine, mostrarci concilianti e rispettosi verso il Pontefice, mostrare coi fatti che la sua libertà è incolume e che l'Italia fa tutto quanto le si può chiedere ragionevolmente. Nei nostri rapporti colla Francia dobbiamo conservare un'attitudine amichevole e piena di riguardi, porre la ragione da parte nostra, sperando che col tempo e con questa politica la quistione si cicatrizzi. Ma siccome questo risultato non è sicuro, e la peggiore politica è quella delle illusioni e delle imprevidenze, dobbiamo senza ostenta

zione ma con pertinacia prepararci pel caso contrario e per quanto riguarda la forza militare del paese e per quanto riguarda le nostre condizioni internazionali. Fortunatamente abbiamo dinnanzi a noi il tempo necessario.

L'impressione poco buona di cui vi ho parlato poc'anzi fu sentita anche da taluni de' miei colleghi del Ministero. E quattro o cinque giorni fa il Presidente del Consiglio si meravigliava con me che non vi fosse stato, in seguito alla seduta dell'Assemblea qualche scambio di spiegazioni fra voi e Thiers. Egli propose formalmente che queste spiegazioni vi dessi istruzioni di chiederle ufficialmente, benchè in modo moderato e conciliante. Io non durai poca fatica a sostenere che questo passo sarebbe stato perfettamente inutile. In primo luogo dove trovare la base del reclamo e delle spiegazioni? Le simpatie e le opinioni sul passato? Ma queste non si discutono. Il programma presente? Il Signor Thiers risponderebbe ch'egli ha detto di voler astenersi da un'azione che comprometterebbe i rapporti dei due paesi. Il voto del rinvio delle petizioni? Il Signor Thiers aveva prima dichiarato all'Assemblea ch'esso darebbe a questo voto il significato istesso del suo discorso. Il Signor Thiers certo non avrebbe potuto tenere a voi un linguaggio sostanzialmente diverso da quello che tenne ai rappresentanti della Francia. Se il suo linguaggio fosse stato poco soddisfacente ciò non avrebbe servito che ad aggravare una situazione che, qualunque poss~ essere l'avvenire, è nostro grande interesse il non inasprire. Se il Signor Thiers fosse stato prodigo di dichiarazioni generiche più rassicuranti sarebbe stato, da parte nostra un'illusione il credere che la situazione fosse sensibilmente modificata. Il Governo Francese aveva accettato il rinvio delle petizioni; non mi pareva conveniente per noi il chiedergli: che seguito darete a questo rinvio? Meglio valeva attendere appunto che il Governo francese prendesse un'iniziativa se pure intendeva di prenderla.

Ad ogni modo, voi conoscete lo stato delle cose, l'impressione prodotta da alcuni punti del discorso di Thiers e da alcuni incidenti della seduta e se nei vostri colloqui col nuovo Ministro degli Affari Esteri (che col Signor Thiers mi sembra ormai troppo tardi) non vi sembra difficile o pericoloso l'avere delle dichiarazioni che rispondano in certo modo a questi incidenti e a queste dichiarazioni, il vostro dispaccio mi potrà servire pe' miei colleghi e pel Re e forse anco per qualche futura esigenza parlamentare. Ma voi sapete che alle esigenze parlamentari io preferisco la utilità vera del paese e quella prudenza che è indispensabile ad assicurare il risultato definitivo, il quale vale assai meglio delle frasi e dei dispacci.

Uno dei fatti che, considerato all'infuori di certe circostanze speciali, poteva aggravare il significato del voto dell'Assemblea era certo la dimissione data, in seguito a questo voto, dal Signor Giulio Favre. Il nome del Signor Favre era una guarentigia per l'Italia e pe' suoi antecedenti, e per le sue simpatie. L'assicurazione amichevole che il cambiamento del Ministro degli Affari Esteri non significava una modificazione in senso meno favorevole nella politica francese e nelle sue dichiarazioni verso l'Italia sarebbe stata, in questo caso, abbastanza naturale. Non occorre ch'io vi ricordi la dichiarazione così esplicita riguardo al potere temporale contenuta nell'ultima nota del Signor Giulio Favre. La nomina del Signor Remusat mi ha fatto il più grande piacere e fu

accolta con soddisfazione da tutti. Si conosce in Italia la sua provata simpatia pel nostro paese, l'antico liberalismo di questo uomo illustre, la sua amicizia col Conte di Cavour. Nel partito orleanista egli era, durante l'Impero, uno dei pochissimi amici nostri. Il nome del Signor Remusat è considerato da noi come d'un felice auspicio pei futuri rapporti dell'Italia e della Francia. Non dubito che le dichiarazioni spontanee che vi farà il nuovo Ministro quando lo vedrete serviranno appunto a constatare che il ritiro del Signor Giulio Favre non significa per noi un cambiamento di politica. L'intelligenza elevata del Signor di Remusat saprà vedere nelle nuove condizioni del Papato spirituale altro che quello che ci videro i relatori delle famose petizioni, un Pontefice prigioniero fra un popolo di cannibali.

V'è un'altra questione annessa a quella di cui vi ho parlato sulla quale chiamo la vostra attenzione. Coloro che danno una interpretazione alquanto pessimista al discorso del Signor Thiers e, fra questi alcuni miei colleghi, credono che se il Governo francese non farà nulla per ora, però prolungherà indefinitivamente l'assenza da Roma del suo Rappresentante presso il Re e che la Legazione francese rimarrà, con un incaricato d'affari, a Firenze. Io non lo credo e una simile manifestazione non potrebbe rimanere senza risposta. Certo non sarebbe opportuno di fare, neppure in via officiosa, delle osservazioni sull'assenza del Conte di Choiseul, quando anche i Ministri degli altri Stati sono ora in congedo e assenti da Roma. Non può essere quistione di un mese prima o dopo, ma certo se, a tempo debito e quando la stagione sarà più propizia, il Ministro di Francia venisse a fissare la sua dimora nella nuova capitale, questo fatto porrà fine a molti dubbi, a molte incertezze e quindi a molti motivi di inquietitudine, di recriminazioni, e di irritazione fra i due paesi.

Se vi sembrasse opportuno di farlo sentire e se poteste avere una risposta che ponesse fuori di dubbio il trasferimento della Legazione di Francia col suo Capo a Roma, ne sarei lieto. È vero che le Camere nostre non saranno convocate che in Novembre, ma voi comprenderete che, se, per quell'epoca, le cose rimanessero ancora, per questo riguardo, nello stato attuale, non potremmo rimanerci indifferenti. Confido che non andremo nemmeno sin là.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(AVV)

L. P. Roma, 5 agosto 1871.

Vi restituisco la lettera del Signor Giulio Favre che ho letto non senza emozione perchè l'accento di amarezza che ne spira è appieno giustificato. Egli fu invero trattato con una grande ingiustizia. Il Signor Favre portava nei suoi rapporti con gli altri paesi uno spirito di benevolenza e di leale equità che è il solo che possa ricondurre verso la Francia le simpatie dell'Europa. Io sono

convinto che la Francia non ritroverà la sua grandezza e tutta la sua forza

d'espansione che rinnovando la sua tradizione liberale. Ponendo contro di sè

le forze vive dei tempi nostri, associandosi alle cause perdute coi vincoli di

tradizioni caduche, la Francia non preparerà a sè stessa che l'isolamento. Fu

proprio la politica della pace di Vestfalia, riflessa attraverso i trattati del 1815,

e interpretata dal Re Luigi Filippo che fece la grandezza della Francia nel

nostro secolo.

Artom è partito in congedo e fa i bagni di mare a Nervi. Io mi godo l'estate di Roma e spero di potere, al ritorno di Artom, prendermi qualche giorno di congedo. Avete notizie di Vimercati? Se è a Parigi, fategli i miei saluti.

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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3872. Parigi, 5 agosto 1871, ore 14,30 (per. ore 18,25).

J'ai vu M. Thiers et le nouveau ministre des affaires étrangères. Le Gouvernement français désire se faire représenter à l'inauguration du tunnel par les ministres des travaux publics et du commerce, et aussi par celui des affaires étrangères, si vous vous décidez à y aUer. Ici on le désire, et moi je le crois utile; je vous engage à le faire. Le langage du nouveau ministre des affaires étrangères a été très-favorable à l'Italie. J'ai dit à M. Thiers que le vote de l'assemblée sur les pétitions avait produit une mauvaise impression sur l'opinion publique en Italie, quoique le Gouvernement du roi ait tenu compte des déclarations du chef du pouvoir exécutif et des circonstances. Il m'a dit qu'il fallait tenir compte de la composition de l'assemblée et de la circonstance que la discussion se produisait presqu'au moment de notre établissement à Rome, et que du reste, les réserves qu'il avait faites òtaient tout caractère d'hostilité et toute portée pratique au vote.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3874. Berlino, 5 agosto 1871, ore 16,30 (per. ore 4,05 del 6).

L'empereur d'Allemagne a annoncé à l'empereur d'Autriche sa visite à Ischl. L'empereur d'Autriche a répondu que, pour abréger le voyage, il ira à sa rencontre à Saltzbourg. Il parait décidé que les deux chanceliers impériaux accompagneront LL.MM. et que l'entreuvue aura lieu à Saltzbourg le 13 de ce mois.

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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Parigi, 5 agosto 1871.

Sono stato oggi a Versaglia ed ho visto il Signor Thiers e il Signor de Remusat nuovo Ministro degli Affari Esteri. Lo scopo della mia visita a Thiers era di domandargli se il Governo francese volesse farsi rappresentare, e da chi, all'inaugurazione del Tunnel del Cenisio. Ma la conversazione cadde subito sull'impressione prodotta in Italia dal voto dell'Assemblea Nazionale sulle petizioni dei Vescovi. Dissi schiettamente al Signor Thiers che l'impressione sull'opinione pubblica italiana in generale era stata sfavorevole, benchè io fossi certo che il Governo del Re avesse tenuto nel debito conto le dichiarazioni di lui, e le circostanze, sotto l'impero delle quali il voto dell'Assemblea s'era prodotto. • Noi non possiamo farci ragione dell'opportunità e della convenienza che possa trovare la Francia ad insistere così spesso sulla genesi dell'unità germanica prodotta dall'unità italiana, ed a rendere così forzatamente solidarii l'uno dell'altro questi due grandi fatti della storia contemporanea. Ci contrista poi, dissi al Signor Thiers, il vedere che i nostri sinceri sforzi per stabilire relazioni cordiali fra i due paesi incontrano continui ostacoli, e che nella recente discussione dell'Assemblea tutta piena di tenerezza pel Papa non sia sorta una sola voce di simpatia per l'Italia, e non sia stata seriamente esaminata la legge della garanzia •. Il Signor Thiers mi rispose che egli aveva parlato dell'Italia in modo lusinghiero e che si era studiato a togliere al voto, qualunque esso si fosse, ogni carattere ostile ed anzi ogni valore pratico, prima ancora che esso fosse pronunziato. Del resto, disse egli, voi dovete riflettere che l'Assemblea è composta di membri in maggioranza clericali e che la discussione aveva luogo quasi al momento stesso in cui il vostro Governo s'insediava in Roma. Conchiuse dicendomi che sperava che la nomina del nuovo Ministro degli Affari Esteri, le cui simpatie per l'Italia sono ben conosciute, avrebbe controbilanciato ogni cattiva impressione prodotta dal voto dell'Assemblea.

Vengo all'affare dell'inaugurazione; dissi a Thiers che il Re non ci verrebbe, la sua presenza in Savoia potendo avere inconvenienti. Il Signor Thiers mi disse che capiva questa riserva del Re, che egli, Signor Thiers vi sarebbe venuto volentieri se il Re ci fosse venuto, ma che il Governo francese vi sarebbe stato rappresentato dal Ministro dei Lavori Pubblici, Signor de Larcy, da quello del Commercio, Signor Victor Lefranc, e da quello degli Affari Esteri se voi vi decideste ad andarci; ciò che sarebbe stato desiderato sia da lui Signor Thiers, sia dal Signor de Remusat. Quest'ultimo mi confermò questo suo desiderio. Io v'impegno ad appagarlo. La nomina di M. de Remusat ha un carattere decisamente favorevole all'Italia. Io lo conosco molto e lo trovai costantemente amico nostro. Il linguaggio poi che mi ha tenuto in quella prima conversazione fu pieno d'effusione e di simpatia. Io vedo un'utilità incontestabile in questo incontro dei due Ministri degli Esteri, che sembra molto desiderato dal Signor Thiers e dal Signor de Remusat. Pensateci. Io non vi compromisi in alcun modo, dissi a Thiers e a Remusat che vi avrei fatto conoscere le loro intenzioni a questo riguardo, ma non legai la vostra libertà d'azione. Tuttavia mi sembra che sia di tutta convenienza che voi vi rendiate ad un desiderio così chiaramente espresso e la cui attuazione non parmi presentare alcun ostacolo ed inconveniente grave, e può anzi recare molti· vantaggi.

La situazione generale della Francia e quella speciale di Parigi sono !ungi dall'essere soddisfacenti. L'incertezza dell'avvenire paralizza ogni cosa. L'Assemblea evidentemente non vive col paese. Tra Parigi e Versaglia l'abisso non fu colmato. Il pericolo di questa situazione è cosi evidente che a scongiurarla si pensa ora seriamente a prorogare i poteri del Signor Thiers dandogli il titolo di Presidente della Repubblica. Ma la maggioranza dell'Assemblea vorrebbe assicurare la durata dell'Assemblea stessa per un tempo almeno uguale a quello che sarebbe fissato per i poteri di Thiers. Però tutti questi progetti sono combattuti e discussi e non si può ancora sapere che cosa ne uscirà. Io per me temo che questo povero paese non è ancora giunto alla fine dei suoi guai e che nuove ed amare prove gli sono ancora riservate.

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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1603. Parigi, 6 agosto 1871 (per. il 9).

Nel segnare ricevuta del dispaccio di serie politica N. 325 che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi il 27 luglio ora scorso relativamente alla giurisdizione consolare a Tripoli (1), mi reco a premura di informarla che andai jeri a Versaglia per intrattenermi col Signor De Remusat, nuovo Ministro degli Affari Esteri della Repubblica francese. Esposi a S. E. il contenuto del dispaccio stesso, dicendo al Signor De Remusat che il Governo del Re era disposto a firmare fino d'ora un accordo nel quale convenissero i Gabinetti di Versaglia e di Londra, salvo la riserva relativa all'Egitto ed a Tunisi mentovata dall'E. V., e salva l'osservazione di forma accennata pure in fine del dispaccio suddetto.

Il Signor De Remusat mi disse che per parte sua il Governo francese desiderava anch'esso di camminar d'accordo in questa vertenza col Governo del Re, che però finora egli non aveva ancora avuto agio d'esaminare a fondo la questione di cui io era stato incaricato di parlargli e ch'esso giudica abbastanza grave; che quindi si riservava di farne oggetto di studio prossimamente e di far conoscere il suo modo di vedere al Governo del Re. Il Signor De Remusat espresse il desiderio che intanto il Governo del Re non dia per quanto lo concerne una soluzione separata alla questione.

Dalle parole dettemi dal nuovo Ministro degli Affari Esteri sembrami poter indurre che il Governo francese vuoi procedere molto guardingo in questo affare e che non è troppo portato a fare alla Turchia il sacrificio delle capitolazioni speciali di Tripoli.

(l) Cfr. n. 48, in realtà del 28 luglio.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 861. Berlino, 6 agosto 1871 (per. il 10).

La risoluzione di invocare l'autorità della Sublime Porta contro il Principe vassallo di Rumenia, è stata presa a Varzin dal Principe di Bismarck, il quale telegrafò a tale oggetto le sue istruzioni all'Incaricato di Affari Tedesco a Costantinopoli. Aalì pascià rispose direttamente al Principe di Bismarck per mezzo del Conte di Limburg-Stirum, nel mentre mandava per telegrafo suggerimenti di conciliazione a Bucharest. Siffatte comunicazioni non essendo passate per le mani del Segretario di Stato a Berlino, non mi fu dato di riferire in proposito veruna particolarità all'E. V., e solo potei telegrafarLe poi il senso della nota che questo Incaricato d'Affari Inglese aveva rimesso poco innanzi al Signor de Thile, in risposta alla circolare diretta alle Potenze protettrici. Il Gabinetto di Londra, non essendo guarì impegnati interessi di sudditi inglesi nell'impresa della strada ferrata rumena, desiderava rimanere all'infuori di una controversia, nella quale non ravvisava un colore politico: suggeriva invece l'idea di affidare ad un arbitro la cura di appianare tale quistione. Il Signor de Thile si riservò di trasmettere siffatta risposta a Varzin. Ieri esso non aveva ancora ricevuto la comunicazione della risposta di verun altro governo.

Per quanto sieno molteplici le complicazioni cui potrebbe dar luogo il passo fatto dalla Prussia a Costantinopoli, il Segretario di Stato però non vuole ammettere l'eventualità di un intervento armato della Turchia nei Principati Danubiani. Il Gabinetto di Berlino non può esimersi dallo adoperare ogni miglior mezzo onde proteggere gli interessi pecuniari che tanti sudditi tedeschi hanno in Rumenia: essi avrebbero dato più di 50 milioni di talleri (circa 200 milioni di lire) per la costruzione di quelle strade ferrate: il maggior numero di questi azionisti si compone di piccoli capitalisti: la presenza sul trono di un principe della Casa degli Hohenzollern aveva inspirato loro quella fiducia che, all'infuori del diritto, costituisce ora a carico di questo Governo una guarentigia morale, di cui non gli sarebbe agevole di svincolarsi a mezzo di considerazioni politiche. E pertanto, benchè la quistione possa prendere un aspetto politico e aprir la via ad altre complicazioni, non credo tuttavia che sia stata suscitata per secondi fini. Il Gabinetto di Berlino mira a prevenire gli effetti della decisione presa a Bucharesf, che è tale da riuscire in fatto ad annullare, mediante una tenue indennità, il valore dei titoli acquistati dagli azionisti delle Strade ferrate Rumene.

Per il Signor Strousberg e per gli altri direttori che stanno a capo di quell'impresa, il Governo Prussiano non manifesta veruna simpatia.

Ho pure avuto l'onore di telegrafare ieri alla E. V. (l) le disposizioni che erano state prese per la visita dell'Imperatore di Germania all'Imperatore d'Austria. Il primo di questi Sovrani avendo annunciato la sua intenzione di

(ll Cfr. n. 62.

recarsi a tale scopo a Ischl, l'Imperatore Francesco Giuseppe rispose che si sarebbe portato ad incontrarlo a Salzbu11g. Questo Segretario di Stato non era in grado di affermare in modo positivo se il Principe di Bismarck ed il Conte di Beust avrebbero accompagnato a Salzburg i loro Sovrani. Credo rperò che ormai non vi sia più alcun dubbio a tal riguardo.

66

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1604. Parigi, 8 agosto 1871 (per. l' 11).

Il processo contro ·gl'insorti del 18 marzo ed i compromessi nella rivoluzione comunale di Parigi cominciò dopo molte proroghe ieri a Versaglia nanti il 3<> Consiglio di .guerra della 1a divisione militare. I primi accusati tradotti dinanzi al Consiglio sono in numero di 18 ed appartengono alla categoria dei più influenti ed attivi propugnatori del Comune. Figura tra essi anche il Delegato del Comune alle relazioni estere, Pasca! Grousset.

Chiamo l'attenzione dell'E.V. e quella del R. Governo sull'esposizione generale letta dal Commissario del Governo francese in principio del dibattimento, la quale trovasi riferita per intiero nell'odierno foglio del Journal O:fjìciel.

P.S. Accludo una lettera che l'Ufficio del Deposito delle fortificazioni m'ha pregato di far pervenire al Presidente del Comitato del Genio militare italiano.

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IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 88. Washington, 11 agosto 1871 (per. il 29).

Ieri ricevetti il telegramma transatlantico dell'E.V. concepito nei seguenti termini:

• J'autorise acceptation mandat honorable et flatteur à vous confié •.

Il quale s'intende rispondere al contenuto del mio rapporto politico del 21 luglio u. s. n. 87 (l) relativo alla proposta fattami dai Governi degli Stati Uniti e della Gran Brettagna d'assumere le funzioni di terzo membro della Commissione de' reclami Inglesi ed Americani che secondo gli articoli XII e seguenti del Trattato di Washington debbesi riunire nella Capitale di questi Stati.

Partecipai tosto siffatta risposta e la conseguente mia accettazione dell'onorevole incarico a questo Governo. E non dubito che l'E.V. avranne informato direttamente il Governo Britannico.

Non mi resta che ad assicurare l'E.V. che farò dal mio canto ogni sforzo onde disimpegnare siffatto incarico come meglio si possa secondo le mie deboli forze.

(l) Cfr. n. 30.

68

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Ginevra, 11 agosto 1871.

Giunsi ieri a Ginevra e nella sera ho veduto il Principe Umberto. Ho visto anche la Principessa Clotilde e il Principe Napoleone che tornavano questa mattina a Prangius. Mi misi a disposizione del Principe Umberto e lo accompagnerò fino alla frontiera di Spagna. Egli conta di partire di qui lunedì o martedì e passerà per Lione dove probabilmente si fermerà 24 ore per riposarsi. Da Lione proseguirà per Cette, Tolosa e Bajonne. Spero che questo viaggio potrà farsi senza inconvenienti sul territorio francese. La sola cosa che m'inquieta un po' è il soggiorno di 24 ore a Lione. Le disposizioni della popolazione francese sono cattive rispetto all'Italia. V'è molta irritazione, vi sono sentimenti di avversione, a Lione forse più ancora che altrove. Ho scritto al nostro console perchè m'informi confidenzialmente e mi dica se crede che il Principe possa senza inconvenienti fermarsi la notte in quella città. Ne aspetto la risposta domani o dopodomani. Ho incontrato per viaggio il Conte di Barrai che veniva da Madrid per prendere la famiglia che è a Chambéry per ricondurla in !spagna. Il Conte di Barrai ha pure una lettera del Re Amedeo per il Re Vittorio Emanuele. Egli ignorava il viaggio del Principe Umberto in !spagna e ne fu informato da me. Per mio consiglio, Barrai verrà qui a Ginevra oggi. Desidero che veda il Principe e che lo informi dello stato delle cose a Madrid. Barrai è d'avviso che questo viaggio avrebbe potuto utilmente essere differito ad epoca più propizia, ed io convengo nello stesso avviso. Ad ogni modo ho creduto utile che il Principe fosse direttamente informato da Barrai d'ogni cosa ed anche della probabile impressione che il viaggio può fare in !spagna, dove le cose non procedono come sarebbe desiderabile che procedessero. Il Re e la Regina di Spagna si conducono entrambi molto bene. Molto lodevolmente. Ma la popolazione e specialmente l'aristocrazia, non rispondono alla egregia condotta dei loro Sovrani con pari condotta. La fusione degli Alfonsisti coi Monpensieristi sembra fatta e compiuta, e questo è un incidente di una certa portata. Insomma se malgrado le informazioni che gli saranno recate da Barrai, il Principe persiste nel suo proposito, il viaggio si farà, e per parte mia mi adoprerò come meglio saprò perchè esso non abbia inconvenienti lungo il tragitto del territorio francese. Dalla frontiera spagnola farò ritorno a Parigi. Penso che sarà tra il 20 e il 25 corrente.

Prima di partire ho ricevuto le vostre lettere recatemi dal corriere Longo. Comprendo l'impressione prodotta sulle opinioni pubbliche in Italia e sullo spirito del Presidente del Consiglio e dei suoi colleghi dalla discussione e dal voto dell'Assemblea sulle petizioni dei Vescovi. Vedo che il nostro ottimo Lanza ed altri Ministri sarebbero stati propensi ad una domanda di spiegazioni che non avrebbe avuto utilità e non sarebbe stata scevra d'inconvenienti. Certamente ci perdiamo un dispaccio pel Libro verde ma ci guadagniamo di non aver peggiorato una situazione che è molto delicata e tesa. A noi conviene,

credo, d'impadronirci delle dichiarazioni di Thiers e d'interpretarle favorevolmente. Se no, i nemici nostri lo faranno essi nel senso loro. I fatti non hanno sempre un significato assoluto, e dirò così teorico. Essi hanno politicamente un significato più preciso, più relativo, che risulta dall'insieme delle circostanze di cui si producono, e dall'interpretazione definitiva che viene data ad essi, sia in modo autenUco da quelli a cui torna il farlo, sia in generale dall'opinione pubblica. Fu merito incontestabile dei nostri uomini di Stato e della nostra diplomazia da vent'anni in qua d'aver saputo interpretare abilmente i fatti in senso favorevole alla nostra causa. Esaminate del resto con calma la situazione della Francia, dell'Assemblea sua e del suo Governo, esaminate la discussione sulle petizioni, le dichiarazioni del Signor Thiers, e quella specialmente fattami dopo la discussione sulla mancanza di valore pratico del voto e vi convincerete, non ne dubito, che la discussione e il voto avrebbero potuto essere più cattivi, senza che per questo noi fossimo autorizzati dalle circostanze e dall'opinione pubblica europea a rompere le relazioni col Governo francese e a fargli la guerra.

È vero che il Signor Thiers non disse esplicitamente che non permetteva che si mettesse sul tappeto la questione territoriale. Ma in sostanza la questione territoriale non fu messa innanzi. La restituzione di Roma e delle provincie pontificie al Papa non fu domandata nè consigliata per quanto ricordo, nemmeno da Monsignor Dupanloup.

Quale sarebbe stato il risultato d'una domanda formale di spiegazioni? Vi sono situazioni, che bisogna conoscere senza dubbio a fondo, ma delle quali non conviene forzar la ·conferma e che non bisogna esporre alla luce del sole, a meno che si sia disposti ad affrontar le estremità che ne sono il risultato logico e necessario. Non si può convincere d'infedeltà la donna amata se non quando si ha la risoluzione di separarsene definitivamente.

Ad una domanda di spiegazioni il Signor Thiers avrebbe risposto colla ripetizione di quanto disse pubblicamente, e se la domanda avesse avuto un carattere di vivacità, la risposta non sarebbe stata più soddisfacente. La situazione sarebbe ora incontestabilmente meno buona di quello che è. Io vorrei avere la facoltà di eloquenza e di persuasione che non ho, per potervi ben chiarire, ai vostri colleghi ed a voi, la verità di questa situazione. Alle giuste preoccupazioni che avevano fatto sorgere in Italia la costituzione dell'Assemblea Nazionale e la nomina di Thiers, preoccupazioni che mi avevate accennato nelle vostre lettere, io risposi da Bordeaux in termini che sono veri anche adesso. Io vi dissi allora e vi ripeto adesso, noi non possiamo fare che i francesi siano soddisfatti di noi e che approvino che invece d'andare ad aiutarli durante la guerra, noi abbiamo invece profittato della guerra stessa per impadronirci di Roma e del territorio pontificio. Non posso quindi rispondere che Governo ed Assemblea abbiano per noi disposizioni molto favorevoli. Ma ben posso rispondere che per un periodo abbastanza lungo di tempo, la Francia sarà nella impossibilità di agire efficacemente contro di noi. Sta nelle nostre mani che questo periodo si prolunghi, preparando dall'un lato una conveniente costituzione dell'esercito, e dall'altro lato preparando eventuali alleanze, ma soprattutto tenendo

rispetto al Papa, alla sua libertà, alla sua guarentigia, ai diritti anche abusivi

9 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

delle corporazioni estere, una condotta eccessivamente temperata ed accondi

scendente.

Certo sarebbe sommamente desiderabile che noi potessimo ottenere dalla

Francia una specie di quietanza definitiva in ordine alla questione romana, e

potessimo così risparmiare armi e denaro, e badare in tutta tranquillità a far

prosperare l'ordine e la libertà, la sicurezza e la ricchezza pubblica nel nostro

paese, senza altre preoccupazioni. Questa spada di Damocle, per monca <:he

sia ci è molesta. Nulla di più vero. Ma questa quietanza chi può darcela in

Francia? Non l'avremo che col tempo, colla prescrizione; quando cioè lo spi

rito della popolazione francese si sarà profondamente modificato; quando la

Francia, come voi molto giustamente osservate, avrà tenuto ad onore di ripi

gliare la sua gloriosa tradizione liberale. Ora nessuno in Francia può promettere

a nome della Francia, che le dichiarazioni del Signor Thiers, le sue promesse,

i suoi impegni, terranno di fronte ad un nuovo e più definitivo Governo in mi

sura non molto diversa da quello in cui si mantennero gl'impegni, le promesse

e le dichiarazioni del Governo della difesa nazionale.

Messa da banda l'idea di forzare il Governo francese a dichiararsi, pena la guerra immediata, (idea che non credo sia il caso di esaminare ora), la nostra politica può riassumersi mi pare in questi termini: buone relazioni colla Francia, e nel tempo stesso un sistema di bene intese precauzioni; applicazione larga della legge delle garenzie; sicurezza assoluta e rispetto della legge in Roma; accondiscendenza ad ogni equo reclamo delle Potenze estere. Però ogni cosa ha i suoi giusti limiti. Se il governo francese li eccedesse, se p.e. la Legazione di Francia non venisse a suo tempo, cioè quando vennero le altre, a stabilirsi a Roma, credo anch'io che il Governo del Re dovrebbe rispondere con qualche atto d'eguale significato. Il Ministro del Re a Parigi dovrebbe essere richiamato in congedo. Parlo di ciò in modo disinteressato; giacchè voi sapete che ciò personalmente sarebbe !ungi dal farmi dispiacere. Ma questa questione della Legazione francese si risolverà, spero, in modo soddisfacente, e lo deduco dal linguaggio specialmente amichevole tenutomi in due conversazioni dal Signor de Remusat, del quale del resto vi sono note le simpatie per l'Italia e soprattutto pel partito a cui voi ed io teniamo ad onore di appartenere. Io penso che nell'incontro che farete con lui sotto la volta delle Alpi questa questione troverà luogo conveniente ad essere trattata e risolta.

Se intanto il Governo francese, contro ogni probabilità, volesse dare un corso qualunque al voto dell'Assemblea, ebbene ci dica quello che vuole e noi avviseremo a rispondergli. Ma non spetta a noi, credo, di spingerlo a farlo. E per intanto continuiamo ad agire con prudenza, con pazienza, soprattutto con molta pazienza, non è, la verità, sempre facile nessuno lo sa più di me, che da tanto tempo mi trovo in continuo contatto con questi uomini, che farebbero perdere la pazienza ad un santo, e di cui pel primo devo subire le irritanti querele, le accuse ingiuste, le suscettibilità esagerate, benchè talora giustificate dai sentimenti di sventura e di dolore a cui li condannarono eventi eccezionalmente sfortunati.

P.S. Il Principe Umberto gode ottima salute. Egli abita qui all'Hotel de l'Ecu de Genève, sotto il nome di Conte di Monza.

69

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 5. Vienna, 12 agosto 1871 (per. il 15).

È mio dovere riferire all'E.V. sull'accordo fra la Corona e la Boemia-Mo

ravia, di cui si mena da più giorni tanto rumore nella stampa Austro-Ungarica.

Il patto, o meglio i preliminari dell'intesa furono abbozzati Domenica scorsa

tra il Conte di Hohenwarth ed i Signori Rieger e Clam Martinitz (per la Boe

mia) e Prazak (per la Moravia) in presenza del Sovrano. Mi riuscirebbe diffi

cile sminuzzare ragguagliatamente il resoconto di questa Conferenza sulla quale

regna il più impenetrabiile mistero.

Non mi perito tuttavolta di affermare che le due parti accettarono a vicenda

le basi delle concessioni da farsi agli Czechi e che l'Imperatore dichiarò espli

citamente esser disposto ad accontentare le aspirazioni di quei suoi sudditi.

semprechè gli interessi delle popolazioni Tedesche che frastagliano la Boemia

e la Moravia non avessero a scapitarne.

Le concessioni dunque principali acconsentite e che si spera fare accet

tare ai deputati Czechi che finora si astennero dal comparire al Reichsrath

(detti dichiaranti), si riassumono cosi:

l) Modificazione del Regolamento Elettorale che fin'o.ggi favoriva la città ed i grandi centri abitati in maggioranza dai Tedeschi, ossia centralisti-costituzionali. Con tale innovazione i Comuni forensi e le campagne sarebbero non favoriti, ma equiparati in dritti ai primi, e cosi la razza Slava che li popola quasi assolutamente sarebbe innalzata al livello della germanica.

2) Libertà completa alla Moravia ed alla Slesia di riunirsi amministrativamente alla Boemia, e, nel caso affermativo, piena facoltà alle Diete di Briinn e di Troppau di regolare i loro rapporti con quella di Praga.

Le largizioni di ordine generale promesse dal Sovrano saranno, per consiglio espresso dal Conte di Hohenwarth, applicate alle altre provincie della Cisleitania, e probabilmente anche agli Slavi del Sud (tra i quali primeggiano Croati e Dalmati); in contrario, vedrebbero questi, ed a buon dritto, con mal visò concedersi tanto ed esclusivamente al paese che mostrossi il più ostile al Governo, incagliandone l'andamento da oltre cinque anni.

Diffatti rattrovasi in Vienna il Vescovo Strossmayer, Pastore di Djakowar e Capo degli Jugo-Slavi di Croazia e Slavonia, e i deputati Dalmati Hacik e Danilo, desiderosi anch'essi d'intavolare negoziati col Ministero ed il Sovrano, tostochè il Circolo dei Deputati Boemi avrà accettato le basi del Rieger, ripartito a tale uopo per Praga.

Scorgesi di leggieri quanto il sistema federalista attualmente prevalga; ma ciò che si scompagna difficilmente da esso si è la tendenza clericale inevitabile, essendochè le popolazioni rurali, che saran ben presto chiamate con maggior numero ed influenza alle Urne elettorali, sono tuttavia istromento cieco dei preti, e tale rimarranno finchè l'istruzione non avrà penetrato tra quei rozzi villici. È dunque a sperare che nuovi regolamenti scolastici non vengano ad accrescere il peso del partito feudale-Clericale, e che il Reichsrath si opponga, ad ogni modo, all'abrogazione delle Leggi Confessionali.

I Tedeschi intanto si valgono della stampa per combattere l'indirizzo ac·cennato e vanno spargendo notizie d'ogni risma per destare serie preoccupazioni; sostengono per es.: avere il Rieger, scritto, subito dopo la Conferenza di Domenica, a Praga che il Conte di Beust vacilla, e ciò per indurre il Cancelliere ad immischiarsi nell'imminente accordo, e cosi rafforzare la loro politica.

Il Conte Andrassy anch'esso rimpiange le concessioni offerte agU Czechi, prevedendo che gli Jugo-Slavi sottomessi alla Corona di Santo Stefano imbaldanziti dal successo dei fratelli del Nord, non mancheranno di affacciare uguali pretese rispetto ai Magiari, che, del resto, sommano soltanto il terzo delle popolazioni Transleitane.

Questa mane la c Gazzetta Ufficiale • pubblica tre Decreti (Patenti) di somma importanza, e che sono sintomo sicuro del buon andamento dei negoziati coi Boemi.

Il primo reca lo scioglimento del Reichsrath;

Il secondo quello delle Diete dell'Austria superiore ed inferiore, della Stiria, della Carinzia, della Moravia, della Slesia e del Tirolo, i cui rappresentanti al Parlamento erano in gran parte osti:li al Ministero.

Il terzo finalmente dispone la convocazione di tutte le Diete della Cisleita

nia per il 14 Settembre prossimo.

Alla loro riunione si tratterà probabilmente della nuova legge Elettorale pel Reichsrath, e prevalendo quella nel senso federalista, non sarà da meravigliare se vedremo i Tedeschi Costituzionali adottare la manovra dei loro oppositori, diventando alla loro volta Dichiaranti.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3886. Tunisi, 14 agosto 1871, ore 7,15 (per. ore 2 del 15).

Le Bey a agréé la nomination camme 5ème arbitre du sénateur Vigliani, et sur ma demande, il laisse à V.E. le choix de la procédure à adopter pour l'arbitra.ge.

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L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 252. Pietroburgo, 14 agosto 1871 (per. il 23).

Un processo politico sul quale ho l'onore di chiamare l'attenzione dell'E.V.,

si agita da parecchi giorni innanzi ai tribunali di Pietroburgo. Come tutti gli

altri giornali, quello di St. Pétersbourg ne pubblica i rendiconti intitolandoli

Complot ayant pour but le renversement du Gouvernement établi en Russie •.

11 numero degli accusati è di 87 e l'accusa ha digià rivelato alcuni fatti di una certa importanza, e determinato in modo evidente i rapporti di quella associazione • nihilista •, la cui sede era a Mosca, con diversi centri rivoluzionari d'Europa. La maggior parte degli arresti ebbe luogo fino dal 1869, epoca in cui un assassinio considerato in sulle prime come delitto comune, commesso sulla persona di uno studente, rivelò nella istruzione giudiziaria alcuni fatti che combinati a taluni disordini prodottisi pochi mesi prima fra gli studenti di Pietroburgo e di Mosca, misero sulle traccie della cospirazione politica intorno a cui il Governo Russo non aveva fino a quel momento che qualche vaga nozione. Gli accusati che compariscono ora innanzi ai tribunali non sembrano essere che strumenti, i quali per lo meno nella massima parte, non dovevano essere iniziati ai segreti intendimenti del Comitato se non all'atto stesso della esecuzione fissato per l'anno 1870.

Il Signor Netchaieff, uno dei capi principali, giunto per ben due volte a sottrarsi con la fuga, trovasi attualmente in Inghilterra. Qui si pretende che alcuni alti personaggi, fra i quali il Conte Schuvaloff, si propongano di trar partito dalla situazione, esagerando la gravità dei fatti, nello scopo di deviare l'Imperatore da quella linea liberale ch'egli intende seguire, e provocare un aumento d'attribuzioni in favore della polizia segreta che già da qualche tempo trattasi di erigere in Ministero indipendente.

Così taluni spiegano la insolita e alquanto affettata pubblicità data ai dibattimenti destinata anche a provare come non possa rimproverarsi al Governo Russo quella inerzia del partito dell'ordine sì rimproverata ai Francesi. Checchè ne sia, i fatti rilevati dalla istruzione e quelli che saranno per isvolgersi nella discussione pubblica, sembra possano dar fondamento di ritenere che la cospirazione di cui si tratta presenti un certo carattere di gravità. In ogni caso è permesso di credere che se i membri principali di cotesta società nihilista sono

o dispersi o nelle mani della giustizia, gli aderenti che le rimangono ancora non tarderanno, se pur già non l'hanno fatto, a porsi in relazione con l'associazione Internazionale, il cui programma e le cui tendenze sono così conformi alle loro.

Questo processo dà un'occasione di farsi un'idea del progresso delle idee socialiste e comuniste in Russia, dacchè il Governo non vuoi confessare che possa correre alcun pericolo nella influenza delle idee propagate dagli agenti della Internazionale. L'energia che dispiega, e la perseveranza di cui fa prova nelle investigazioni provano che la sua fiducia è lungi dall'essere così completa e reale come si vorrebbe far credere. È tuttavia un fatto incontestabile che la Russia stante il tenue grado di sviluppo intellettuale delle sue classi operaie, è ancora poco accessibile alle idee di socialismo e comunismo che trovano ben più adatto terreno nei paesi di più avanzata civiltà.

Oltre a ciò conviene considerare che l'operaio russo trovasi in condizioni

assai diverse dall'operaio di tutti gli altri paesi d'Europa.

L'operaio in Russia appartiene alla classe dei contadini; ma quando egli esce dal suo villaggio per entrare in un opificio industriale o manifatturiere egli non cessa di essere un proprietario nel suo piccolo comune ove possiede una terra e una casa, ed ove lascia per lo più una famiglia che conserva la casa, e che coltiva i suoi campi.

Il proletariato in Russia non esiste dacché il riparto delle terre che accompagnò il grande atto della emancipazione fece d'ogni servo della gleba un piccolo possidente.

La questione sociale non ha dunque ragion d'essere in un paese che non ha proletari, o per lo meno essa presentasi sotto aspetto ben differente da quello sotto cui si considera in Francia, in Germania, in Inghilterra e in Italia.

L'indipendenza poi dei comuni in Russia è qui incontestata e completa, specialmente nei piccoli centri che costituiscono l'immensa maggioranza della popolazione raccolta nei villaggi in cui la mano del Governo non tocca quasi in nulla agli interessi materiali e locali degli abitanti.

I partiti politici non sono guari organizzati in Russia, e le frazioni più o men turbolenti della popolazione non hanno eco di fronte alla immensità del paese, alla dispersione e al numero e alla ignoranza degli abitanti.

I contadini russi che costituiscono in massima parte l'elemento operaio delle fabbriche nei grandi centri non hanno ancora avuto tempo di modificare le loro antiche idee nel contatto degli stranieri, d'altronde poco numerosi che partecipano ai loro stessi lavori.

Del resto la stessa ignoranza delle lingue straniere e la difficoltà degli stranieri nel familiarizzarsi colla lingua russa, mentre giova al Governo per conservare il velo misterioso onde all'occorrenza cuopre i suoi atti, e nasconde le vere condizioni del paese, rende malagevole nel popolo la propagazione di idee emanate da estranei paesi. Il rispetto verso il Sovrano, portato fino al fanatismo, esiste ancora in tutta l'estensione della sua forza; e la pressione che gravò per tanti anni il popolo russo ha lasciato in lui troppo profonde traccie perché sotto l'impressione dell'ancor recente servaggio possa prima che volgano degli anni lasciarsi influenzare da idee che non giunge a comprendere e che potrebbero assai difficilmente trascinarlo ad uscire da quella cerchia in cui contrasse le abitudini della vita. Sotto questo aspetto il Governo Russo ha qualche ragione di mostrarsi tranquillo pel presente, ma non devon però dissimularsi i pericoli che l'avvenire gli sta preparando e che egli dà opera a prevenire con una continua sorveglianza.

Non può egli infatti dissimularsi che un giorno verrà in cui, ad onta di tutti i suoi sforzi, la generazione cui non compresse il servaggio aspirerà ad altre idee che non son quelle in cui l'ignoranza e la superstizione lasciarono sonnecchiare le generazioni che l'avevano preceduta. Gli studenti hanno già manifestato con ripetute agitazioni di una certa gravità le disposizioni in cui versa la loro mente e se gli agenti del comitato di Netchai:eff non giunsero ad imprimere a quegli scomposti movimenti il carattere politico onde avrebbero voluto informarli, altri potranno un giorno riuscirvi.

Il 8ignor Jules Favre diede istruzioni all'Incaricato d'affari di Francia di intrattenere questo Governo Imperiale della necessità di prendere misure comuni contro la propagazione di idee rivoluzionarie, ed il Governo Russo ritroso a palesare con qualche esattezza lo stato attuale degli animi s'è mostrato disposto ad ogni sforzo per secondare la Francia nelle sue indagini, profittando in pari tempo degli avvertimenti che può somministrargli la situazione interna delle altre potenze. L'Incaricato d'affari di Francia aveva la ferma convinzione che le assicurazioni dategli intorno a ciò dal Signor Westmann erano pienamente sincere, la Russia avendo come tutte le altre nazioni troppo interesse ad arrestare finchè .gli è tempo i progressi del male, per non lasciar dubbio che possano fare assegno sul suo concorso.

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IL MINISTRO A BUENOS AIRES, DELLA CROCE DI DOJOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 136. Buenos Aires, 14 agosto 1871 (per. il 20 settembre).

Il Ministro della Repubblica orientale, Signor Herrera y Obes, trovasi sempre in questa città. Egli vi venne per tentare un accomodamento coi Capi del partito blanco qui rifugiati, e per muovere la Repubblica Argentina ad uscire dallo stato di astensione in cui finora persevera.

L'accordo coi blancos non riuscì finora, anche la Repubblica Argentina non si è risolta ad intervenire in questa questione. Si comincia però ad essere preoccupati dell'attitudine che potrà pigliare il Brasile in faccia alla perdurante guerra civile della Banda orientale, poichè quantunque, or sono circa quindici giorni, i colorados abbiano riportato un notevole trionfo sulle forze dei blancos, questi non di meno tengono sempre il campo, scorazzano per tutto il paese, saccheggiando e distruggendo le proprietà, moltissime delle quali appartengono a sudditi Brasiliani della provincia di Rio Grande.

Non so se edotto dalla lunga guerra del Paraguay intenda il Brasile cacdarsi in una nuova contesa, che avrebbe per conseguenza inevitabile un'altra guerra fra l'Impero e la Repubblica Argentina; ma egli vi potrebbe essere costretto suo malgrado.

A scongiurare questi avvenimenti, a metter fine alle civili discordie della Repubblica orientale rinasce il pensiero di un Protettorato misto come unico rimedio a tanti mali. L'Italia, appena il volesse, potrebbe essere chiamata ad esercitare una importantissima parte in questa eventualità. Ma la situazione del nostro paese, la condotta da esso tenuta, quando questa questione fu già agitata orsono alcuni anni, la quasi identità delle odierne nostre condizioni con quelle di allora e soprattutto la mancanza di ogni istruzione mi impongono, a questo riguardo, la maggiore riserva ed a questa io mi atterrò se non mi giungeranno ordini dall'E.V.

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IL MINISTRO DI AGRICOLTUTRA, INDUSTRIA E COMMERCIO, CASTAGNOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 352. Roma, 17 agosto 1871 (per. il 18).

Si suppone, e forse non senza fondamento che il Governo svizzero desideri la facoltà di avere uno stabilimento marittimo in un porto Italiano.

Questo fatto ove si verificasse avrebbe peculiare importanza, laonde io prego il mio Onorevole Collega degli Affari Esteri di volermi somministrare a tal riguardo le opportune informazioni

74

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1614. Parigi, 18 agosto 1871 (per. il 23).

Mi sono recato jeri nel pomeriggio a Versaglia onde vedervi il Ministro degli Affari Esteri all'udienza ordinaria del Corpo diplomatico. Ho in questa occasione intrattenuto il Signor De Résumat delle intenzioni del Governo di S. M. in ordine all'Associazione internazionale degli operai ed ho trasmesse al Ministro della Repubblica le assicurazioni che col dispaccio di Serie politica N. 322 in data del 10 luglio ultimo (l) l'E. V. incaricava il Cavalier Nigra di dare al Governo francese sul tale argomento. Dopo aver esposti a S. E. i provvedimenti che finora il Governo del Re si era trovato nel caso di prendere a tutela dell'ordine sociale nel Regno, ed anche allo scopo d'essere giovevole al grave compito che gli ultimi avvenimenti addossarono alle Autorità francesi, io dissi al Signor

De Ré'musat come il Governo di S. M. creda che per rendere più efficace la vigilanza possa tornare opportuno di far oggetto di confidenziali comunicazioni fra le Potenze tutte quelle informazioni che verranno a notizia di ciascun Governo intorno all'Associazione internazionale.

Il Ministro degli Affari Esteri m'incaricò d'esprimere all'E. V. i suoi sensi di riconoscenza per le assicurazioni di cui io m'era fatto interprete. Egli disse che, comune essendo il pericolo, certamente conveniva di ricercare in comune i mezzi d'allontanarlo; che tuttavia non era intenzione del Governo francese di provocare una specie di Sant'Alleanza contro l'Internazionale; che quindi anch'esso pensava che potranno riuscire sufficienti nell'interesse universale quelle reciproche informazioni confidenziali che i Governi eventualmente si troveranno in grado di comunicarsi e che da parte sua egli non mancherà di dare ogni qual volta siavi necessità.

Così il Signor di Rémusat disse d'aver fatto recentemente pervenire qualche avvertenza al Gabinetto di Madrid, essendogli risultato da vari indizi che gli sforzi dell'Internazionale si dirigevano verso la Spagna.

Ebbi incidentalmente a mentovare il preteso manifesto della società internazionale di Milano ch'era stato pubblicato dall'Opinion Nationale nel numero del 22 giugno ultimo e a proposito del quale l'E. V. scrisse al Cavalier Nigra il dispaccio N. 320 in data del 2 luglio (2). Il Cavalier Nigra, conformemente al

desiderio di V. E., aveva pregato il Signor Giulio Favre di provocare qualche indagine sull'autenticità di quel documento. Dissi al Signor di Rémusat, il quale d'altronde non ne aveva conoscenza, che il Governo del Re erasi pressochè convinto che quel manifesto sia stato il frutto d'una mistificazione.

(l) -Non pubblicato, ma cfr. p. 16, nota l. (2) -Non pubblicato, ma vedi la nota del Presidente del Consiglio a Visconti Venosta del 2 luglio (n. 2).
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L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1615. Parigi, 18 agosto 1871 (per. il 23).

Nella conversazione ch'ebbi jeri col Signor di Rémusat, io gli ricordai il colloquio che il Cavalier Nigra aveva avuto con lui sulla quistione della giurisdizione consolare in Tripoli di Barberia e del quale l'E. V. fu informata con il rapporto del R. Ministro n. 1603 Politico in data del 6 corrente (1). II Ministro francese degli affari esteri non essendosi allora pronunciato con precisione sulle intenzioni del Governo della Repubblica in quella quistione, e sulle comunicazioni fattegli dal Cavalier Nigra in conformità del dispaccio di V. E. N. 325 di Serie politica (2), io Io pregai di volermi dire se potesse mettermi in grado di darle qualche maggiore indicazione intorno ai suoi propositi.

II Signor di Rémusat mi rispose che dopo la sua conversazione col Cavalier Nigra egli aveva preso un po' meglio conoscenza dell'argomento e che si era indotto a firmare anche per la Francia due articoli appieno conformi a quelli del protocollo firmato il 12 luglio ultimo a Londra tra Lord Granville e Musurus Pascià: ma che in nessun caso egli vorrebbe ammettere nell'analogo protocollo da firmarsi per la Francia termini identici a quelli dell'introduzione del protocollo inglese, non parendogli ammissibile di dichiarare abusiva un'usanza considerata finora dal Governo francese come perfettamente fondata in diritto. Sotto questa riserva, il Signor di Résumat sottoscriverà dunque un impegno conforme a quello preso dall'Inghilterra; tuttavia per parte sua egli non intende sottoscriverlo subito. Pende in questo momento tra il Governo francese e quello di Tripoli una vertenza provocata da abusi commessi dalle Autorità di Bengasi a danno d'un Algerino, suddito francese. II Console di Francia ruppe le sue relazioni con le Autorità di Bengasi, ed il Governo francese vuole che la questione che fu origine di tale rottura sia giudicata secondo le capitolazioni finora in vigore.

H Ministro francese degli affari esteri non crede che il Governo inglese voglia consentire a rinnovare i suoi impegni in un protocollo a quattro. Dal suo lato, se l'Inghilterra vi assentisse, egli non avrebbe difficoltà ad accettare tal forma, premessa sempre la modificazione suddetta dell'introduzione.

In quanto alla riserva di fondo che l'E. V. vorrebbe constatata da uno scambio di note onde premunirsi contro pretensioni le quali in appresso tendessero a diminuire ugualmente le immunità di cui godono gli stranieri nell'Egitto ed a Tunisi, il Ministro degli affari esteri della Repubblica mi dichiarò

che era disposto ad ammetterla nel modo da Lei indicato per ciò che riguarda l'Egitto. Ma dalle sue parole fu facile intravvedere ch'egli potrebbe lasciarsi più tardi indurre a far per Tunisi la concessione che ha in animo di firmare per Tripoli.

Egli disse tuttavia che per esprimere circa le capitolazioni di Tunisi la stessa riserva ch'egli ammette per l'Egitto, gl'importerebbe d'essere informato di quelle particolari ragioni che il Governo del Re potesse avere onde chiederla dal lato suo.

Risposi al Signor di Résumat che riferirei quest'osservazione all'E. V.

(l) -Cfr. n. 65. (2) -Cfr. n. 48.
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IL CONSOLE A IANINA, DE GUBERNATIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 41. Ianina, 18 agosto 1871 (per. il 25).

Alcuni giornali, alterando nomi e cose, parlarono di disordini in Epiro, i quali non hanno mai esistito; tali notizie però mi forniscono l'occasione di trattenere l'E. V. intorno allo spirito di queste popolazioni, spirito che se non è tumultuante, è però sempre proclive a tumulti. Appena si seppero qui le notizie di Scutari, venne dai villaggi di Lacca il fratello del mio Carass, uomo influentissimo nella sua provincia e mi chiese se l'incendio fosse grave e potesse estendersi; egli scende in Ianina ad ogni notizia di torbidi, e complicazioni che gl giunga all'orecchio. Risposi naturalmente a lui, che i fatti di Scutari non erano verunamente tali da compromettere la pace pubblica in Turchia, che anco grave e sanguinoso e universale si facesse il conflitto nell'alta Albania, la quistione non concernendo l'Epiro sarebbe stato un errore il prendervi parte. Non posso celare però all'E. V. l'imbarazzo in cui questa gente mi pone talora con le sue questioni; imbarazzo tanto più grande quanto è maggiore il nostro prestigio, e la necessità del conservarlo, tanto più grande, quanto è più assoluta la mancanza di speciali istruzioni, tanto più grande infine, quanto è più viva l'impazienza in questi rajà di sollevare il giogo dai turchi, e quanto è minore in me la fede, sulla veracità della loro fede stessa in noi. Certamente noi dobbiamo evitare di suscitare in loro immoderate speranze, ma non dobbiamo neppure soffocarne; epperò è difficile la nostra attitudine fra noi incerti e loro impazienti, fra la nostra, dirò così, impotenza, e la loro fiducia nella potenza nostra. Un tempo furono qui influentissimi i consoli, e la infelice fine del tentativo del 1854 è dovuta ancora agli intrighi del console inglese di Salonicco; nè ciò saprebbe essere cancellato dalla mente degli Epiroti, i quali vedono bensì oscurarsi l'antico prestigio consolare, ma non sanno persuadersi che sia spento ed inefficace.

Io dissi sopra della mia poca fede nella sovranità della loro fede in noi, e forse sembrerà all'E. V. ch'io mi vada con questo mio scritto contraddicendo. Non è cosl. La loro fede in noi non è dubbia, se non perchè è una fede in massa nell'influenza consolare, così sol che si dubiti un momento della debolezza mia e della potenza altrui, mi si abbandona laddove io cominciavo a sperare, oppure si ricorre a me laddove io mi sento inetto; talora infine si smarrisce la fede in noi tutti, e si rivela ogni cosa nel campo delle supposizioni, non già della realtà; nessun fatto serio è venuto ancora a dar corpo a queste ombre, ma io non temo d'errare; sol che si studi:i attentamente questo popolo, e la sua storia passata, e il suo carattere presente sarà necessario di venire in queste mie conclusioni. Io dissi già che son mille villaggi, e mille usi, e mille caratteri, e mille tendenze che occorrerebbe minutamente esaminare, però in tutti i caratteri si rivela una mobilità eccessiva, un'impazienza di giogo, un'insofferenza di autorità, che io stimo eloquentissima. Divisi ne' secoli passati in mille comuni indipendenti, ed avvezzi a parteggiare per questo o quel duca, per questo o quel signore, divisi nel villaggio stesso fra ricchi e ricchi, per cui stavano sempre l'uno contro l'altro armati, e mutavansi in campi di battaglia gli orti, e le vie, in fortezze le case, essi checchè siano greci, o turchi, slavi, o valacchi, od albanesi, non sanno adattarsi a signoria alcuna, ed erra chi presta fede alle loro proteste ingannevoli di servitù ed obbedienza. Perciò la stessa Russia potente ed influente altrove qui lotta invano contro l'impossibile; essa semina denaro, sparge maestri e scuole, si fa piccola e democratica, ma la sua influenza è d'un giorno, di un'ora; il minimo vento contrario la sfiora, la sperde. Ultimamente ottenne firmano imperiale per istituire una scuola nell'alto Epiro, e propriamente nel villaggio di Samarina fra una popolazione valacca; scopo della scuola è l'insegnamento della lingua russa. Il fatto fece qui una qualche impressione, ma io lo considero nullo, come risultato, nessuna influenza può essere qui durevole, nessuna stabilirsi solidamente in tempo di pace coi mezzi ordinarii. Scoppi la rivolta e potrà anche raccogliere il frutto chi non ha seminato.

Tale il paese, tale lo spirito degli abitanti. Se dopo ciò l'E. V. stimerà opportuno di impartirmi vaghe e generali istruzioni per ogni occorrenza, io spero di poterle provare che non sono immeritevole della fiducia ch'ella può avere in me.

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L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, GALVAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 11. Atene, 19 agosto 1871 (per. il 25).

Col mio rapporto politico N. 7 (l) accennavo alla probabilità di un prossimo scioglimento della Camera Ellenica.

L'attuale Gabinetto, preoccupato delle difficoltà che incontra per giungere ad una soluzione della questione del Laurium, aveva pensato di poter troncare ogni controversia col mezzo di una nuova legge che sarebbe stata l'abrogazione della prima già adottata sulle Ecvolades; e vista l'impossibilità di raggiungere questo scopo con la Camera attuale egli aveva ideato di far nuovamente appello agli elettori. Ma dopo essersi per qualche tempo afferrato a codesto progetto, il Gabinetto d'un tratto lo abbandonò.

Investigando le cause probabili di un simile incidente, v'ha chi vorrebbe attribuirlo ad una risposta negativa del Re, e chi alla viva opposizione che sollevò nella stampa locale l'idea del Signor Coumoundouros appena ne corse vagamente voce nel pubblico. Ma più che da questi due motivi, io lo crederei prodotto dalla posizione stessa che il Ministero si è creata dinnanzi al paese. Se è vero che dalla Camera partì l'impulso che sollevò la questione del Laurium, non è però men vero che la legge sulle Ecvolades fu presentata ed appoggiata dal Gabinetto Coumoundouros. È egli ammissibile che questi, a meno di voler fare il sacrificio di tutta la sua popolarità, venga ora dopo brevissimo intervallo a disdire i suoi atti anteriori col proporre l'abrogazione di quella legge?

Ad ogni modo se il linguaggio del Presidente del Consiglio, quindici giorni sono, autorizzava a credere probabile uno scioglimento della Camera, quello ch'egli va tenendo ora è lungi dal far presentire una simile evenienza, e dallo scoraggiamento che si palesa nei varii Membri dell'attuale Gabinetto si dovrebbe piuttosto arguire che essi ritengono inevitabile il loro ritiro dagli affari. Codesto scoraggiamento del Ministero è prodotto dalla convinzione di aver oramai esauriti tutti i mezzi ch'erano in suo potere per giungere ad una soluzione, ed ora altro non rimanergli che di rimettere la cosa nelle mani del Re, limitandosi intanto a quelli atti che non ponno recare pregiudizio alcuno alla questione.

La missione stessa del Signor Kokinos, annunziata a V. E. col mio rapporto commerciale N. 7 (1), non deve tanto considerarsi come una adesione del Governo Ellenico alla progettata proposta di arbitraggio, quanto come un ultimo spediente tentato per vincere le difficoltà della situazione. All'idea che ha dominato nell'invio del Signor Kokinos a Vienna ed a Berlino, e che è quella di ben disporre i Gabinetti d'Austria e di Germania, se ne deve aggiungere un'altra (di cui non ebbi conoscenza che in questi ultimi giorni) ed è di ottenere, mediante l'abilità di quel giureconsulto, un parere dei più autorevoli legisti Alemanni favorevole alla causa degli interessi Ellenici, onde servirsi poi di quello come di arma potente da contrapporre agli argomenti dei due Governi Italiano e Francese.

In quanto al progetto di arbitraggio il Signor Coumonudouros vi si dichiara contrario, adducendo che l'affare del Laurium non dev'essere considerato una questione internazionale, ma bensì una controversia tra Governo e privati.

(l) Non pubblicato.

78

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 252. Pietroburgo, 19 agosto 1871.

Malgrado la loro inverosimiglianza, le voci sparse sul carattere dell'udienza data dall'Imperatore al Generale Leflo per la presentazione delle Credenziali mi hanno indotto a ricercare informazioni più dettagliate di quelle ch'ebbi già l'onore di sottomettere alla E. V.

Mi fu confermato da fonte sicura che, com'era naturale, l'Imperatore ricevé il Generale con tanta maggiore cordialità quanto più le circostanze in cui versa la F,rancia sono critiche.

Lo Czar ripeté quella frase già detta al Marchese di Gabriac, che il Signor Thiers est un grand poZitique, un grand citoyen et un ami de Z'ordre, frase che sembra da S. M. adottata per indicare, senza ledere al principio monarchico, il suo desiderio di veder continuare in Francia l'attuale regime repubblicano.

Parlando dei fatti della Comune Parigina l'Imperatore, passandone in ras• segna i capi, avrebbe appoggiato sul nome di Dombrowski in un modo che acquista un significato speciale se si metta in raffronto col linguaggio tenuto nel Circolo di Corte, ove si ripete con compiacenza essere sperabile che la partecipazione dei Polacchi all'ultima rivoluzione di Parigi avrà disgustato la Francia della sua simpatia per la causa polacca.

(l) Non pubblicato.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. 97. Roma, 21 agosto 1871.

Tra gli affari che io desidero raccomandarLe in particolar modo al momento in cui Ella sta per ricondursi al suo posto tiene un luogo distinto la questione della riforma giudiziaria progettata dall'Egitto. A V. S. che ebbe campo di seguire le pratiche che ebbero luogo fra i vari gabinetti per esaminare le proposizioni egiziane, non riuscirà nuovo di sapere che sin dal principio la riforma giudiziaria ideata dal Kedive ottenne favorevole accoglienza presso il Governo italiano. Era questo un interesse troppo diretto degl'italiani stabiliti in quel paese perchè da noi non si prendesse a cuore di studiare in tutte le sue particolarità ed anche in tutte le sue prevedibili conseguenze il progetto egiziano. Tale studio fu eseguito da una speciale, autorevole commissione alla quale furono sottoposte tutte le proposizioni che erano mano mano state comunicate al Governo di S. M. Un progetto presentato dalla Porta, un altro elaborato dalla Francia furono ponderatamente esaminati insieme alle proposte della commissione internazionale che era stata appositamente riunita al Cairo per preparare lo schema delle riforme da introdurre in Egitto.

Con tali elementi e dopo di aver avuto a,gio di prendere cognizione anche dei futuri codici egiziani, la nostra commissione ha potuto compiere un lavoro che costituisce sino al momento presente la relazione più completa che si abbia sopra tale argomento.

V. S. troverà qui unito alcuni esemplari di questa relazione che venne pubblicata per le stampe.

Il Governo egiziano al quale la medesima fu comunicata ci ha fatto esprimere la sua gratitudine imperocchè se le opinioni adottate dalla commissione italiana non furono costantemente favorevoli alle idee dell'Egitto, il lavoro eseguito in Italia da persone competenti ha certamente contribuito a dare in molte parti forma più pratica e più concreta alle prime proposizioni egiziane.

Nello stato attuale di cose per l'Italia non rimarrebbe dunque altro a fare in questa quistione che a dichiarare la sua formale adesione alle riforme che l'Egitto intendesse di fare seguendo la via tracciata dal lavoro della commissione italiana. Ma recentemente il Kedive ci ha fatto sapere che siffatta azione del progetto di riforma, quale sarebbe da essi accettato, incontra ancora difficoltà a Costantinopoli ed anzi S. A. ci ha interessati ad agire nel senso di rimuovere siffatti ostacoli.

Noi aderiamo ben di buon grado a tale desiderio del Kedive di Egitto. Per noi la questione d'introdurre delle modificazioni nel regime delle giurisdizioni civili e penali in Levante è sembrata sempre gravissima e tale da non poter esser toccata quando non si abbia animo e mezzo di applicarvi rimedi radicali. Attirare alcune parti il sistema in vigore, !asciandone sussistere il resto, non può eessere misura vantaggiosa; e dal momento che si vuol toccare al regime delle capitolazioni, non vi ha altra cosa che possa sostituirvisi fuorchè la giurisdizione normale dei tribunali locali, composti in guisa da offrire seria guarentigia agli stranieri non meno che agl'indigeni. Parimenti la rinuncia al regime delle capitolazioni non può ammettersi se va disgiunta da una completa riforma della Legislazione interna. L'Egitto deve farlo; le potenze non debbono concorrere nell'opera legislativa per non offendere l'indipendenza del potere da cui emanano le leggi egiziane; ma vera e seria guarentigia non può esistere senza chè l'Egitto presenti egli stesso ai governi interessati la legislazione che intende introdurre come complemento indispensabile alla riforma.

Non è dunque l'opera progettata dal Kedive di quelle che soffrano di esser parzialmente accettate; e la Turchia deve andar persuasa che nessun governo il quale abbia studiato a fondo la quistione, vorrà mai concedere dei temperamenti che alterino il concetto generale della riforma egiziana !imitandola a modificazioni parziali nelle quali mancherebbero le guarentigie che offre quella riforma nel suo complesso.

Mi lusingo che il Governo ottomano comprenderà facilmente queste ragioni ch'Ella vorrà esporgli nell'atto di presentargli la relazione della nostra commissione sulla riforma giudiziaria dell'Egitto. In ogni caso, essendo questo un argomento al quale noi portiamo un vivo interesse, La prego, Signor Ministro, d'informarmi delle idee che nutre la Porta a questo proposito.

80

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 7. Vienna, 21 agosto 1871 (per. il 24).

Mi astenni fino ad oggi di dar notizia all'E. V. intorno all'incontro dei due Imperatori a Ischl, non che al Convegno dei due Cancellieri a Gastein durante il soggiorno dell'Imperatore di Germania. Il telegrafo s'incaricava di dar notizie al riguardo, ed informare dei fatti con tanta precisione che nulla avrei potuto aggiungere che già non fosse a conoscenza di tutti in Italia.

All'infuori però dei fatti, che, come dissi, a tutti son noti, avvi gli apprez

zamenti sulle cause che motivarono tali convegni, non che sulle conseguenze

di essi, ed essi forniscono in questi giorni ampia materia a dicerie e suppo

sizioni, senza però che nessuno, a quanto io mi sappia, sia ancora in grado

qui di formolarne dei fondati.

Non mancherò di fare ogni possibile onde attingere informazioni al riguardo

quanto meglio fondate sul vero, e sarà mia cura man mano portarle a cono

scenza di V. E. Sin d'ora però, credo potere accertare, che il motivo primo

che determinò la venuta dell'Imperatore di Germania a Gastein si fu la ragione

di salute. Presa una tale determinazione si pensò a Berlino trar profitto di

questa circostanza per fare una dimostrazione di amicizia verso la Corte di

Vienna, che meglio affermasse il preciso senso dei vari scambi di cortesie suc

cessivamente verificatisi tra le due Corti dall'epoca di Sedan in poi. Infatti il

rappresentante germanico in Vienna non lascia sfuggire occasione di dimostrare

essere intendimento del suo Governo il fare sinceramente l'esperimento di man

tenere cordiali relazioni di buon vicinato coll'Impero Austro-Ungarico. La

sincerità di tali intendimenti parmi non sia a porsi in dubbio pel momento,

poichè il nuovo Impero Germanico ha già abbastanza difficoltà interne a costi

tuirsi quale è presentemente, per non fare ogni possibile onde allontanare

almeno nuove complicazioni.

In tal modo mi spiego il non celato malumore che la Legazione Prussiana in Vienna non nasconde in riguardo al Conte di Hohenwarth che colla politica che egli segue, in fin dei conti altro non fa se non favorire in un prossimo avvenire gli interessi dell'Impero Germanico.

L'ipotesi da me fin qui svolta, che la visita ad Ischl non fosse se non un atto di alta cortesia era la più generalmente ammessa sino al momento in cui venne a pubblica conoscenza il Convegno a Gastein dei due Cancellieri. In quel giorno forzatamente l'opinione generale fu tratta a dare molta maggiore importanza alla questione, e la supposizione che un accordo relativo all'Oriente, nel quale la Russia trovasse il guiderdone dell'immenso appoggio morale da essa prestato alla Prussia durante la guerra Franco-Germanica, si è la più accreditata.

Evidentemente però a tale riguardo, mi trovo nell'assoluta impossibilità oggi di affermare o di negare, indagherò, come è di mio dovere, e di ogni cosa ragguaglierò V. E. Ciò che credo intanto poter asserire si è che dal Convegno di Gastein la posizione del Conte di Beust, gravemente scossa in questi ultimi tempi, escirà necessariamente alquanto rafforzata, locchè non può a meno di essere vantaggioso per l'Italia, essendo per l'appunto il partito a noi gravemente ostile che minaccia l'attuale Cancelliere.

Come notizia di fatto che giornali non danno, credo essere in grado di sapere con precisione che se l'accoglienza fatta all'Imperatore di Germania sul territorio austriaco fu non solo simpaticissima ma anzi entusiastica per parte delle popolazioni, non cosi può dirsi di quella che egli trovò presso i personaggi della alta aristocrazia austriaca, ed anche presso la famiglia imperiale stessa.

La partenza da Ischl dell'arciduchessa Sofia, la vigilia dell'arrivo dell'Imperatore Guglielmo, fu molto notata, poichè se ben si capisce la non convenienza della presenza dei genitori dell'Imperatore Francesco Giuseppe in quella occasione, per la falsa posizione loro a fronte dell'augusto loro figlio, sarebbe però stato conveniente che a togliere altro più preciso carattere a tale partenza, essa si fosse effettuata alcuni giorni prima.

In questo momento mi si assicura che il viaggio a Gastein del conte Andrassy è deciso. Un tal fatto aumenterebbe ancora l'importanza di quel Convegno ed accentuerebbe maggiormente l'ipotesi che in esso essenzialmente abbiasi a trattare la quistione di Oriente.

81

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 108. Roma, 23 agosto 1871.

L'affare della Gedeida è finalmente entrato in una fase in cui mi pare facile ottenere un componimento. S. E. il Ministro di Turchia mi ha scritto una lettera ufficiale per annunziarmi, che, avendo S. A. il Bey vimesso alla Sublime Porta la cura di designare un primo arbitro per la vertenza esistente tra il Governo tunisino e la Società Agricola industriale italiana, la scelta era caduta sulla persona di S. E. il Cavalier Vigliani primo presidente della Corte di Cassazione di Firenze. Questa informazione confermatami poscia dal telegramma che V. E. mi indirizzava il 13 corrente (l) riuscì anche più completa dopo tale sua comunicazione imperocchè Ella aggiungeva che il Bey rimettevasi alla decisione del Governo italiano circa alla scelta definitiva della procedura da seguirsi dalla Commissione arbitrale.

A questo riguardo il R. Governo non sarà in grado di far conoscere il suo modo di vedere a quello del Bey prima di aver interrogato lo stesso Signor Cavalier Vigliani che per 1a speciale sua competenza in siffatta materia e per la fiducia che tanto giustamente ispira alle parti interessate meglio di qualunque altra persona potrà dare un autorevole avviso sul metodo preferibile per procedere. Mi riservo dunque di scrivere in proposito a V. E. tostochè avrò una risposta da S. E. il Cavalier Vigliani ed intanto l'autorizzo a far conoscere al Governo di S. A. la buona impressione prodotta in noi dalla deferenza dimostrataci nella quistione relativa alla scelta della procedura da seguirsi.

82

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 333. Roma, 24 agosto 1871.

Nel rendermi conto della conversazione avuta col Signor de Remusat, circa il protocollo proposto dalla Turchia all'Italia ed alla Francia per regolare la giurisdizione dei consolati estevi nella provincia che altre volte formò la Reg

genza di Tripoli, il Signor Cavaliere Ressmann ha molto egregiamente esposto quale sia la mente dell'attuale Ministro degli Esteri di Francia in questa quistione.

Sostanzialmente il Signor de Remusat è disposto ad accettare la parte dispositiva del protocollo in precedenza firmato dalla Turchia con l'Inghilterra, e soltanto mostra di voler introdurre qualche cambiamento di formula nel preambolo di quell'atto. Vorrebbe però il Ministro francese soprassedere alla firma del protocollo fino a tanto che sia stata definita una vertenza pendente fra il Consolato di Francia a Bengasi e quell'autorità locale; vertenza questa che non può per l'indole sua influire sulle determinazioni degli altri Governi. Aggiunse il Signor de Remusat esser egli persuaso che l'Inghilterra non vorrà consentire a rinnovare i suoi impegni in un protocollo a quattro ed in ordine alle riserve che a noi sembrava utile far risultare in occasione della firma del protocollo relativo a Tripoli, quell'uomo di Stato si dimostrò disposto ad associarvisi quando avessero tratto solamente all'Egitto e non a Tunisi.

Il Signor Ressman, nel riferire quest'ultima parte della conversazione da lui avuta, mi scriveva essere facile cosa lo intravedere che il Signor de Remusat potrebbe lasciarsi più tardi indurre a fare per Tunisi ciò che ha in animo di firmare ora per Tripoli; aver egli tuttavia desiderato di conoscere le particolari ragioni che il Governo del Re poteva avere di voler estendere anche alla Tunisia le riserve che la Francia ammetterebbe soltanto per l'Egitto.

Se veramente il Signor de Remusat desidera che V. E. lo informi di tali ragioni, dal canto nostro non possiamo rifiutarci di soddisfare a tale suo desiderio, e ciò tanto più che V. S. avrà cosi un'occasione opportunissima per dire a S. E. il Ministro della Repubblica che nel proporre le riserve sopra ricordate l'Italia non era mossa da ragioni particolari ma soltanto da interessi che sono comuni a tutti i Governi.

Il Governo di S. M. riflettendo che il protocollo relativo a Tripoli avrà per effetto di distruggere un sistema di giurisdizione fondato in un'epoca in cui le relazioni internazionali con il Bey di quel paese erano regolate da appositi trattati, è stato naturalmente portato a considerare se con tal fatto non si veniva a stabilire un precedente pericoloso per •la validità di quei patti che i varii Governi hanno stipulato con il Bey di Tunisi, patti, che se non sono riconosciuti dalla Porta hanno però consacrato nella Reggenza tunisina una condizione di cose, sotto vario rispetto, molto diverse da quelle riconosciute nelle provincie ottomane dove le capitolazioni ebbero un'interpretazione molto più ristretta e limitata. Sulla fede e sulla validità di quei patti, che l'Italia non fu sola a conchiudere, si sono fondati degli interessi comuni a tutte le colonie straniere, i quali verrebbero sacrificati il giorno in cui, in conseguenza di un avvenimento qualsiasi, a quelle stipulazioni non si accordasse maggior peso e valore di quello che in oggi i varii Gabinetti sono disposti a dare ai loro antichi trattati con i Bey di Tripoli. Basti a dire per esempio che gli interessi degli stranieri, impegnati nel possesso di stabili urbani e rustici, non sarebbero più rispettati a Tunisi che sotto le condizioni imposte dalla Turchia ai possessori di simili beni, condizioni che annullano, o poco meno, il beneficio della giurisdizione consolare consacrata dal testo preciso delle capitolazioni.

10 -Documenti diplomatici -Serie Il -Vol. III

Si potrebbero moltiplicare gli esempi, ma ciò non avrebbe scopo, dappoichè

riescirà sempre facile al Signor de Remusat di verificare egli stesso le gravi ed

importanti differenze che corrono fra il sistema di giurisdizione consolare pra

ticato a Tunisi e quello che la Turchia ammette negli Stati soggetti all'immediata

sovranità del Sultano.

Queste e non altre sono le ragioni che ci mossero a proporre che i Governi

interessati nell'atto di assumere un impegno relativo a Tripoli dichiarassero

di non intendere di ammettere un principio od un precedente che potrebbe più

tardi pregiudicare altre più importanti questioni.

Se il Governo francese conviene con noi sull'opportunità di una riserva

comprendente non il solo Egitto, ma anche la Tunisia, noi manteniamo la pro

posizione che abbiamo fatto, ma se il Signor de Remusat ritenesse di non dovere

ammettere ciò che proponiamo che in quanto riguarda l'Egitto, è parer nostro

che convenga contentarci dello scambio di idee avvenuto in quest'occasione tra

i due Governi, senza ricercare un più formale accordo intorno a quistioni che

non hanno un carattere di urgenza.

In ogni modo dallo stato delle cose ci sembra di poter conchiudere che, essendo cessate le difficoltà di massima opposte altre volte dalla Francia all'accomodamento desiderato dalla Turchia relativamente a Tripoli, mancherebbe lo scopo del nostro indugiare a firmare il protocollo presentato dalla Sublime Porta. Epperò io desidero che da V. S. venga informato il Governo francese, essersi ormai verificata la condizione che noi avevamo posta alla nostra adesione a quel protocollo, che cioè esso fosse accettato in massima dall'Inghilterra e dalla Francia, epperciò mancare a noi ogni motivo di soprassedere alla firma di quel documento.

(l) Cfr. n. 70, in realtà del 14.

83

L'INCARICATO D'AFFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 237. Londra, 24 agosto 1871.

Ho preso attenta conoscenza del Dispaccio di V. E. di questa Serie, in data delli 30 scorso Luglio (1), e delle istruzioni al Signor Cavalier Nigra in esso contenute circa i negoziati in questo istante intavolati col Governo Francese per l'applicazione delle Capitolazioni nella provincia Ottomana che costituì la Reggenza di Tripoli di Barberia, al quale fine il Gabinetto di Londra conchiuse un separato accordo colla Turchia addì 12 del precitato mese.

Ove l'E. V. non abbia ancor conoscenza del testo del Protocollo a ciò relativo, ho l'onore di qui compiegarne una copia.

In assenza di Lord Granville mi dovetti limitare a parlare di questo affare al Sotto Segretario di Stato pel Foreign Office e gli comunicai, secondo gli ordini di V. E., come rammentandoci con sensi di gratitudine del Trattato che a nome della Sardegna la diplomazia Inglese stipulava nel 1816 per regolare

la posizione dei R. Sudditi nella Reggenza di Tripoli, ci saremmo ora, ove consultati, messi di buon grado d'accordo col Governo della Regina per dare una soluzione a questo affare.

Aggiunsi poscia, che, sebbene quanto noi avremmo maggiormente desiderato sarebbe stato una risoluzione presa in comune dalle Potenze interessate, tuttavia, nello stato presente della questione, avevamo creduto di rispondere al desiderio espressoci dal Gabinetto di Parigi per procedere ad uno scambio d'idee atto a condurre ad una pronta decisione a siffatto riguardo.

Il Sotto Segretario di Stato mi assicurò che avrebbe di questo dato informazione a Lord Granville e mi disse che era stato dietro alla viva insistenza spiegata dall'Ambasciatore Turco, Musurus Pascià, che Sua Signoria si era deciso a firmare il Protocollo di cui mando copia all'E. V.

Mi risulta inoltre che le stesse cose vennero dette da Lord Granville all'Ambasciatore di Francia il quale aveva ricevuto incarico dal suo Governo di fare a Mylord un'identica comunicazione. Quest'ultimo avrebbe pure soggiunto al Duca di Broglie che nel fondo quest'atto non aveva una grande importanza e che dei soli due articoli di cui esso constava, il secondo collo stabilire • che la Sublime Porta concederà ai Consoli ed ai Sudditi Inglesi a Tripoli il trattamento della nazione più favorita • riduceva a molta poca entità le concessioni fatte col primo.

Ho pure avuto un abboccamento con Musurus Pascià su questo argomento.

Egli mi confidò che quando propose a Lord Granville di stipulare l'accordo in discorso, Sua Signoria gli aveva subito osservato che avrebbe bramato di compiere quest'atto insieme all'Italia ed alla Francia. Ma a quanto pare l'Ambasciatore Turco che aveva pressanti istruzioni da Costantinopoli, pose in opera tale insistenza per ottenere che l'Inghilterra definisse questa questione senza ulteriore indugio facendogli notare i ritardi che molto probabilmente lo stato anomalo in cui si trova la Francia avrebbe potuto produrre qualora si avesse voluto aspettare il suo concorso, che Mylord si arrese ai suoi desideri.

'

La conversazione che ebbi con Musurus Pascià mi confermò la saviezza delle osservazioni fatte dall'E. V. al Cavalier Nigra circa l'importanza di scegliere la presente occasione per far ben comprendere alla Porta che la soluzione data alla questione di Tripoli non potrebbe da essa essere invocata in futuro per diminuire i privilegi e le immunità che godono gli stranieri in Egitto ed a Tunisi. Infatti l'Ambasciatore Turco non mi celò, sebbene a ciò facesse allusione in termini assai vaghi, che il momento non era lontano in cui la Porta avrebbe cercato d'applicare all'Egitto la stessa riforma introdotta adesso nel Vilayet di Tripoli dalla Convenzione coll'Inghilterra.

A questo proposito Musurus Pascià si servi meco dei consueti argomenti che le concessioni fatte ai Sudditi esteri sia in Egitto che a Tunisi erano dovute all'istigazione delle Potenze straniere e non mai approvate dal Divano, e certamente queste espressioni indicano quale sia l'ordine d'idee prevalente a Costantinopoli, rispetto tale rilevante affare.

Avendo l'E V. fatto di questo punto oggetto di speciale menzione al Cavalier Nigra, ho stimato opportuno riferirle confidenzialmente quanto precede onde porla in grado di premunirsi contro le difficoltà da Lei con tanta giustezza prevedute per l'avvenire.

Non avendo potuto vedere Lord Granville non ho cercato in nessuna guisa di scoprire se l'Inghilterra sarebbe disposta a rinnovare un Protocollo a quattro, tanto più che il Dispaccio Ministeriale delli 31 scorso Luglio non impartiva a questo riguardo alcuna istruzione.

Però, se consultato, il Gabinetto Inglese mostrasse disinclinazione a prendere parte ad un nuovo atto, credo che il suggerimento dato dalla E. V. al Cavalier Nigra circa la forma da darsi alla dichiarazione che il Governo del Re è chiamato a conchiudere colla Porta, cioè di seguire l'esempio dell'Inghilterra firmando un atto identico di concetto ma separato, sia preferibile ad una stipulazione in comune con la Francia.

Siccome Lord Granville, a quanto riferii più sopra all'E. V., nel prendere da solo quest'iniziativa agì in certo modo contro le sue proprie idee dietro alle istanze di Musurus Pascià, diè prova di non aver avuto animo con siffatto procedere di isolarsi dall'Italia e dalla Francia.

Per cui senza che sia necessario che queste due Potenze firmino un Protocollo insieme, secondo quanto l'E. V. osserva, l'accordo fra i Governi interessati potrà risultare perfettamente dall'identicità dei documenti redatti dai rispettivi Gabinetti.

Queste riflessioni che prendo la libertà di esternare non sono inspirate che dalla considerazione di quanto, a mio avviso, qui potrà parere più conveniente.

(l) Cfr. n. 51.

84

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 312. Bucarest, 24 agosto 1871 (per. il 2 settembre).

I Ministri Rumeni spargono la voce che il Gran Vizir schiverà ogni ingerenza nella quistione relativa ai possessori delle obbligazioni ferroviarie rumene, e farà rispondere al Cancelliere dell'Impero Germanico che codesta è una vertenza puramente interna dei Principati, ai quali il trattato di Parigi riconosce un'amministrazione indipendente e nazionale, Art. 23.

Da altre vie vengo invece assicurato che Aali Pacha nel ricevere la nota comunicazione del Principe di Bismarck non siasi punto dipartito dall'abituale sua riserva restringendosi ad accennare soltanto i limiti tracciati dalle stipulazioni del 1856 alla azione della Turchia e delle Potenze.

La R. Legazione a Costantinopoli, che avrà più esattamente ragguagliato il Governo del Re su quanto precede, le avrà pure fatto pervenire, Signor Cavaliere, il memorandum che d'ordine del suo Governo l'Agente Rumeno ha rimesso nei giorni scorsi alla Sublime Porta ed ai Rappresentanti delle maggiori Potenze accreditate presso di essa.

L'energia spiegata dal Principe di Bismarck nella questione che ci occupa

porge qui intanto pretesto ai più azzardati commenti. Essa viene perfino attribuita ad un mal celato disegno che si addebita alla Germania di voler forzare H Principe Carlo ad una abdicazione onde rovesciare i vigenti ordini interni della Rumenia, invisi ad una Potenza limitrofa che nell'ultima guerra segui con simpatia il successo delle armi tedesche.

Il convegno di Gastein accresce dall'altra parte le perplessità dei rumeni, i quali a torto od a ragione son persuasi che nei loro abboccamenti i Signori Bismarck e Beust non hanno potuto non parlare anche della Romania e della quistione Strousberg. Si pretende però che il secondo abbia rifiutato non solo di appoggiare le pratiche fatte dal primo a Stambul, ma anche d'intervenire presso il Gabinetto di Bukarest in favore dei possessori delle obbligazioni in modo diverso da quello che finora ha praticato.

Checchè ne sia, non sfugge a nessuno la circostanza che mentre un mese fa invitava il mio Collega di Austria-Ungheria a sostenere l'Agente dell'Impero Germanico nei passi che questi faceva a Bukarest, l'Imperia! Regio Governo si astenne finora dal dare le medesime istruzioni all'Ambasciata AustroUngarica a CostantinopoU. Credo anzi poter aggiungere che già in Germania si lamenta l'attitudine presa dal Signor Beust all'ultima ora, ed è alla sua mollezza che a Berlino si attribuisce la resistenza incontrata nei Principati. Come Potenza limitrofa l'Austria avrebbe potuto con un contegno più fermo vincere questa resistenza, od almeno apportare un gran peso nella bilancia. Ma H Gabinetto di Vienna non ignora che un'azione più energica di quella delle pure pratiche ufficiose a Bukarest renderebbe l'Austria ancor più impopolare in Rumania a totale beneficio della Russia, la di cui influenza aumenterebbe per la calcolata sua astensione.

In questo stato di cose io penso che per quanto ci concerne, le direzioni che V.E. m'impartisce col dispaccio n. 36 (l) sono le più opportune e le più conformi all'equità. Mentre continuerò a tutelare gli interessi dei RR. sudditi che sono impegnati in questo affare, mi adopererò come posso e come ho già fatto presso questo Governo, onde si studi di trovare un mezzo conveniente per sciogliere la vertenza con soddisfazione di tutte le parti interessate.

85

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Parigi, 25 agosto 1871 (per. il 29).

R. 1625.

Ieri mi recai a Versaglia ed ebbi col Signor De Remusat una conversazione

di cui ho l'onore di qui riferire all'E.V. i punti principali.

Anzitutto informai il Signor De Remusat della favorevole impressione che la

sua nomina aveva prodotto in Italia, dove il suo liberalismo e l'antica sua sim

patia pel nostro paese erano conosciuti ed apprezzati. Il Signor De Remusat si

mostrò assai sensibile a queste testimonianze e mi confermò la sua intenzione

e il suo vivo desiderio d'adoperarsi per rendere ottime ed intime le relazioni tra i due Governi d'Italia e di Francia. • Ma perchè possiamo riuscire in quest'intento, mi disse il Signor De Remusat, ci occorre l'ajuto volonteroso del Governo Italiano specialmente in due cose, cioè : nei riguardi da usarsi verso il Sommo Pontefice, e nella direzione della stampa quotidiana in Italia •. Rispetto al primo punto io m'affrettai a confermare al Signor De Remusat le assicurazioni da me già date più volte al Governo Francese sull'intenzione ben decisa del Governo del Re di portare nell'applicazione della legge delle garanzie un grande spirito di moderazione ed una larga interpretazione. Soggiunsi che in questo compito per buona ventura l'opera del Governo era efficacemente ajutata dall'eccellente spirito e dal senno della popolazione romana, la quale aveva tenuto e teneva una condotta molto sensata e lodevole. Il Signor De Remusat accolse con soddisfazione queste assicurazioni e m'impegnò vivamente a consigliare al Governo del Re d'usare ogni possibile riguardo verso il Santo Padre, d'evitare con ogni possibile cura ogni ragione, ogni pretesto di nuovi gravami per parte del Vaticano, ed anche d'accogliere con impegno le osservazioni e i reclami che le Potenze estere avessero l'occasione di dirigerci a questo riguardo, per quindi esaminarli e farci ragione all'uopo. • Il Governo francese specialmente, continuò H Ministro degli affari esteri, non può, nè in realtà nè in apparenza, mostrarsi per dir cosi disinteressato in tutto ciò che riguarda il Papa, la sua sicurezza, la sua libertà e l'esercizio della sua spirituale autorità. È molto a desiderare che il Governo italiano sappia tener conto di questa situazione speciale della Francia e del sentimento clericale che vi è ora molto più intenso ed esteso che durante l'epoca liberale del 1830 •.

Passando all'attitudine della stampa periodica Italiana, il Signor De Remusat sì lagnò che questa sembrasse credere e volesse far credere che ,la Francia tosto o tardi verrà R far guerra all'Italia per Roma. • Ora, mi disse il Signor De Remusat non senza vivacità, un tal linguaggio è assurdo ed ingiusto. Il Governo francese nè ora nè poi moverà guerra all'Italia pel ristabilimento del potere temporale. Esso desidera mantenere col Governo italiano una amicizia sincera e durevole. Se quindi il Governo italiano ha qualche azione sulla stampa italiana, sarebbe sommamente desiderabile che l'esercitasse nello scopo di combattere quest'erronea credenza e di diminuire gli attacchi, le irritazioni, le ingiurie, che ne sono la deplorevole conseguenza •. Risposi che udivo con soddisfazione dalla bocca del Ministro degli affari esteri di Francia la conferma esplicita d'una dichiarazione già fattami dal Signor Giulio Favre, e della cui esattezza io non aveva mai dubitato, sulla ferma risoluzione del Governo francese di non romper guerra all'Italia in favore del potere temporale dei Papi; che la mia convinzione profonda era che oramai nessun Governo in Francia avrebbe potuto risolversi ad una avventura cosi mostruosa e dirò pure cosi arrischiata, come sarebbe stata una guerra all'Italia per rimettere sotto il giogo pontificio le redente popolazioni romane; che io convenivo pienamente nel pensare che era conveniente di combattere la credenza ingeneratasi nella nostra stampa e nella nostra popolazione sulla possibilità d'una dichiarazione di guerra della Francia all'Italia in favore del Papa, ma che il Governo francese, e la stampa francese potevano ottenere quest'intento più facilmente che noi. • Questa fallace credenza, diss'io, ha origine, bisogna pur confessarlo,

nel linguaggio tenuto nell'Assemblea francese, nelle petizioni dei Vescovi

francesi che non esiterebbero a trascinare il loro paese in una guerra disastrosa

per dare al Papa un regno terrestre, nelle relazioni che m'astengo di qualificare

delle Commissioni dell'Assemblea Nazionale, ed infine nell'attitudine d'una

parte della stampa francese. Il Governo francese può quindi fare altrettanto

e meglio che H Governo italiano in questo scopo. Ma in ogni caso il Governo

del Re, per parte sua non trascurerebbe alcuna occasione per agire moralmente

e nei limiti che gli sono concessi dalla libertà della stampa che è completa

nel nostro paese, nel senso desiderato. Consola del resto il vedere che gli or

gani più illustri e più accreditati della stampa si in Italia che in Francia non

dividono nè questi timori, nè queste irritazioni, e si astengono dalle provo

cazoni e dalle ingiurie reciproche. Giova sperare che coll'ajuto del tempo questi

esempii frutteranno e si estenderanno •.

Prima di lasciare il Signor De Remusat toccai colla dovuta riserva (e lo feci

pure col Signor Thiers) della situazione della Legazione di Francia in Italia.

Sono lieto d'annunziare all'E. V. che tanto il Signor Thiers, quanto il Signor

De Remusat, convennero subito con me che il Ministro di Francia presso il Re

d'Italia dovrà recarsi e stabilirsi in Roma, quando la stagione lo permetterà e

l'arrivo degli altri Ministri lo consiglierà.

(l) Non pubblicato.

86

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AD ALESSANDRIA D'EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 169. Alessandria, 25 agosto 1871.

Appena mi pervennero il dispaccio di V.E. di questa serie N. 64 (l) ed i due esemplari della relazione della nostra Commissione sulla riforma giudiziaria in Egitto, mi premurai partecipare a S.A. le riserve che il R. Governo intendeva prendere qualora si pensasse d'introdurre degli emendamenti sostanziali al progetto elaborato dalla Commissione internazionale riunita in Cairo: e gli rimisi uno degli esemplari della relazione.

Sua Altezza mi assicurò che il primitivo progetto sarà sempre la base delle intelligenze definitive da prendersi.

Della relazione egli non si contentò di averne un'analisi presentatagli da Nubar, ma ne ordinò la traduzione in Francese. E recatomi ultimamente in Cairo egli me ne espresse tutta la sua gratitudine, apprezzandone altamente Il merito, e considerandola come il più efficace e serio concorso che l'Italia potesse accordargli in una questione di grande importanza.

Come annunziai all'E. V. fino dal 23 Giugno col mio rapporto N. 166 (l) si ritengono sormontati tutti gli ostacoli che parevano tener dubbia l'Inghilterra ed ostile la Sublime Porta. Si teme soltanto qualche incaglio dalla Francia, che potrebbe manifestarsi allorchè si verrà alla discussione definitiva.

Ad ottenere l'adesione della Porta il Vicerè ha inviato a Costantinopoli Riaz Pascià Guarda Sigilli. L'esito della missione è finora ignoto. La malattia del Gran Vizir ne è una causa -quindi mi si dice che la Porta sia stata un po' ferita che per una missione di tanta importanza il Vicerè avesse inviato un funzionario più che secondario della sua corte. Ed infatti è stato errore gravissimo del Vicerè, e per questa circostanza della posizione dell'inviato e principalmente per la di lui nota incapacità a trattare una questione come quella della riforma giudiziaria.

In quest'ultima sessione della Camera dei Delegati, chiusa nella scorsa settimana, il Vicerè ha elaborato e deciso una riforma radicale d'amministrazione interna, ed una riforma finanziaria.

Per la prima egli ha abolito la tassa del testatico, odiosissimo per gli arabi, ed ha impiantato il sistema di amministrazione provinciale. Su questa questione, che è pur gravissima, mi riservo ritornare allorchè si pubblicheranno tutte le leggi che saranno messe in vigore.

La seconda consisterebbe in questo. I quattro quinti delle proprietà in Egitto sono dette Abbadiek, i cui Hogget sono piuttosto contratti d'enfiteusi che titoli di assoluta proprietà. Con la più grande facilità queste terre possono esser dichiarate proprietà dello Stato. Il Viceré è per pubblicare una legge con la quale tutti i proprietari che volontariamente pagassero sei anni di tasse anticipate otterrebbero un Hogget di proprietà assoluta, nei quali sarebbero indicate le tasse territoriali da pagarsi immutabili in perpetuo. Per rientrare nelle somme anticipate i proprietari pagherebbero per altrettanti anni sino al saldo la metà delle tasse stabilite nei Hogget. L'annunzio di questa legge è stato accolto con soddisfazione generale. I possidenti saranno proprietari delle loro terre e non subiranno più capricciose e rovinose imposizioni; e si ritiene che la somma che si potrebbe incassare basterebbe per sanare il deficit delle Finanze dello Stato. Anche su questa questione debbo riservarmi al parlare a ragion conosciuta.

(l) Non pubblicato.

87

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 8. Vienna, 26 agosto 1871 (per. il 30).

Il Conte Beust è di ritorno a Vienna da due giorni; egli non tenne però ieri la consueta udienza del giovedi, quindi non ebbi ancora occasione di intrattenermi seco lui. Fui però oggi dal Barone Hoffmann che trovavasi presso il Cancelliere a Gastein. La conversazione che io ebbi col prefato capo della sezione politica parmi abbastanza importante per essere riferita senza ritardo a V.E.

S.E. il Barone Hoffmann mostravasi soddisfattissimo del risultato del Convegno di Gastein; egli dissemi nulla essersi firmato poichè non era il caso di stringere alleanze, ma che l'accordo il più perfetto erasi convenuto fra l'Impero germanico e l'austro-ungarico a fronte di qualsiasi evenienza di interesse generale; accordo che mentre si stabiliva in due, egli soggiungevami, ben sentivano di essere in tre a stringerlo, poichè in ogni suo punto di assoluto interesse dell'Italia pure; infatti il carattere di un tale accordo, egli dicevami, è eminente~ mente conservativo. Or bene se l'Impero Germanico ha tutto interesse a conservare ciò che attualmente possiede, eguale interesse ha l'Austria e pari convenienza, dissemi in modo accentuato, ha pure l'Italia. c L'Allemagne a besoin de temps et de repos pour digérer et égal besoin a l'Italie, n'est-ce pas? Eh bien, l'accord entre l'Allemagne et l'Autriche pourvoit précisémi!nt à ce besoin des deux pays • . Queste sono le precise sue parole che testualmente, quali me le ricordo, credo bene trascriverLe.

Credetti più opportuno fargli sentire che le informazioni che egli mi dava non potrebbero a meno di rafforzare ancora la buona impressione risentita dal Governo Italiano sin dal primo annuncio del Convegno di Gastein, non potendosi da noi nulla desiderare di meglio che di vedere regnare un perfetto accordo fra due Potenze colle quali ci troviamo legati dai più stretti vincoli di buona e cordiale amicizia.

A questo proposito, egli soggiunsemi, il Principe Bismarck non aver tralasciato di esprimere in ogni circostanza i suoi più simpatici ed amichevoli sentimenti per l'Italia. Egli dicevami ancora, a meglio chiarire il senso dell'accordo in quistione: l'Austria e la Prussia furono per lunghi anni sotto il vincolo federale legate in azione comune sul campo degli interessi comuni; il vincolo federale è ora spezzato e l'Austria vi ha rinunciato per sempre, ma gli interessi comuni sussistono e sussisteranno ormai sempre; mantiensi dunque fermo il campo sul quale è conveniente per le due Potenze si spieghi l'azione comune. Ecco presso a poco tutto ciò che mi fu detto sul convegno di Gastein; pel di più non potrei se non esprimere impressioni mie; una fra queste si è che chi potrebbe provare a sue spese l'effetto dell'accordo conchiuso, sarebbe la Francia, ove tentasse in modo qualsiasi di disturbare la quiete del potente suo vicino; la poca fiducia nella saviezza avvenire di quel paese che non si fanno ritegno di dimostrare le persone più influenti di questo Ministero degli Esteri, dà fondamento a questa mia persuasione. Anzi il Barone Hoffmann mi disse, il Principe Bismarck non dissimularsi la possibilità che i Francesi possano tentare, più presto di ciò che si crede, la rivincita; ed in tal caso non nascondere egli che la Germania non mancherebbe di farla finita per sempre con quell'incomodo vicino. c Si la France connaissait son véritable intéret • dicevami ancora il Barone Hoffmann c à notre accord à trois, elle s'unirait elle aussi en quatrième •. Contro chi, dovetti dirgli, evidentemente all'evenienza contro la Russia. Ciò però io accenno soltanto come un'impressione che l'E.V. apprezzerà per ciò che vale; non posso però tacere che il mio interlocutore, leggendo forse nei miei occhi ciò che io pensavo, o meglio giustamente indovinandolo, si aspettava di aggiungere come correttivo: la Francia fa assegno su di un'alleanza colla Russia, ma ella fa i suoi conti senza l'oste, poichè la Russia non s'alleerà mai con essa.

Sottopongo all'E.V., come Ella vede, non solo quanto mi è detto, ma anche le mie impressioni. Ella vaglierà queste e quello, e col concorso delle informazioni che Le pervengono da altre parti, potrà forse ricavare materiali che Le serviranno ad edificare il vero.

Nel mio, precedente rapporto N. 7 (l) io Le esprimevo il convincimento che il Convegno di Gastein avrebbe rafforzata la posizione del Cancelliere dell'Impero. Il Barone di Hoffmann compiacevasi constatarmi esso pure un tal fatto, al cui riguardo io gli dicevo essere persuaso esprimergli l'opinione del mio Governo nel congratularmene altamente.

88

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 869. Berlino, 26 agosto 1871 (per. il 31 ).

Ho messo tutto il mio impegno a raccogliere in questi giorni ogni sintomo che mi parve tale da poter gettare un po' di luce sul convegno di Gastein, ma non è senza esitazione che ardisco scriverne all'E. V. L'incontro di due Sovrani accompagnati dai loro primi Ministri è sempre un fatto importante, siccome quello che suoi indicare un nuovo stadio delle loro relazioni cogli altri Stati: né è quindi a .stupire se si vuoi pretendere che a Gastein il Principe di Bismarck e U Conte di Beust abbiano trattato insieme dello Schleswig, della vertenza rumena, della quistione d'Oriente, della lotta insorta fra la Chiesa Cattolica e lo Stato, della nuova situazione dei loro Governi in seguito agli sconvolgimenti dovuti alle vittorie della Prussia. Il campo delle supposizioni è troppo vasto per potervisi avventurare, senza che dal Cancelliere Imperiale stesso o da qualche suo confidente si sia ancora potuto ottenere qualche parola che serva di filo conduttore. Per ora il Principe di Bismarck è a Gastein, vi rimarrà a quanto pare sino alla metà del Settembre, e non sarebbe da stupire se di là ritornasse direttamente a Varzin, onde sfuggire alle investigazioni di cui è fatto segno.

Ne ho parlato ieri con il Segretario di Stato, prendendo argomento alla conversazione dalle notizie dei fogli di Vienna, secondo cui l'incontro dei due Imperatori e dei loro Ministri, lungi dal produrre un accordo quale si desiderava fra i due Governi, avrebbe posto in evidenza la divergenza di interessi che li divide. Il Signor De Thile smentì categoricamente siffatta versione, ed in risposta a varie mie osservazioni, mi assicurò che a Gastein non si era stipulato nulla, (non vi era stato nulla di abgemacht, per valermi della medesima espressione adoperata da lui), -che le idee scambiate in quell'incontro avevano soltanto messo in chiaro la piena conformità degli apprezzamenti politici dei due Gabinetti di Vienna e di Berlino, -che finalmente la reciproca soddisfazione prodotta da quel convegno non lasciava nulla da desiderare. La vertenza rumena, che da alcuni si voleva fosse ciò che stava essenzialmente a cuore al Principe di Bismarck nel recarsi a Gastein, non aveva per sé stessa valore bastante da spie

gare tanta soddisfazione, e difatti il Signor de Thile, quando ne feci cenno, mi disse che quella era per il momento una quistione sopita. Le sue parole avevano quindi un significato più serio: osservai che un accordo così intimo era naturalmente tale da dover preoccupare qualche vicino, ed udii con piacere rispondermi che l'Italia, per parte sua, aveva motivo di esserne soddisfatta; il Signor de Thile non volle però entrare in altre particolarità.

L'impressione che mi fecero le parole del Segretario di Stato ed alcune conversazioni con altre persone, mi inducono a credere che il Principe di Bismarck ed il Conte di Beust, senza aver stipulato un atto qualsiasi, si sono però messi d'accordo perchè i due Governi adoperino in comune tutti i loro mezzi ed influenze allo scopo di paralizzare ogni progetto di guerra in Europa. Il Governo Austro-Ungherese vi trova il doppio vantaggio, di dare in seno alla Monarchia un sostegno all'elemento tedesco così indebolito, e di allontanare il giorno di una collisione con la Russia in Oriente. Quanto alla Germania, le parole del Cancelliere Imperiale, che ebbi l'onore di riferire ier l'altro all'E. V., dimostrano abbastanza che il Principe di Bismarck non ritiene siccome cosa assolutamente impossibile che la Francia voglia presto ritentare la prova delle armi. Quandanche però la saviezza di chi regge ora le sorti di quel Paese riesca a tenere in freno le aspirazioni di un ardente patriottismo che non sa veder ostacoli, non v'ha dubbio che scopo essenziale della politica del Principe di Bismarck sarà d'ora innanzi quello di impedire che la Francia trovi in Europa un aHeato contro la Germania. Esso vi si era costantemente adoperato dal 1866 in poi, reputando che l'Imperatore Napoleone mai non avrebbe osato intraprendere da solo cotanta guerra: ogni suo sforzo vi tenderà ugualmente ora, che per il popolo francese il rinnovamento delle ostilità non può essere che una quistione di tempo. Il primo passo della Germania è quindi quello di tendere una mano amica all'Impero Austro-Ungherese e di stabilire una comunanza di interessi con esso: sarà senza dubbio cura del Principe di Bismarck di valersi della intimità dei Gabinetti di

S. Pietroburgo e di Berlino per appianare le divergenze dei suoi vicini nelle cose d'Oriente.

Credo di non andare errato nell'interpretare il convegno di Gastein siccome la base di un patto, il cui scopo è quello di isolare sin d'ora la Francia nelle sue aspirazioni di rivincita. Non avrebbe certamente da dolersene l'Italia, cui

il Presidente del Potere esecutivo francese ebbe cura di rappresentare quale solidaria dell'Impero Germanico. Un disastro della Germania sarebbe fecondo di conseguenze gravissime per l'Italia: se mi è concesso di esprimere all'E.V. il mio pensiero, è più che mai nostro interesse vitale stringere sempre più con il Gabinetto di Berlino quei vincoli di intimità e di fiducia che costituiscono l'efficace guarentigia di un comune avvenire.

Segnando ricevuta del dispaccio politico n. 219, del 19 corrente (1), ringrazio l'E.V. della notizia favoritami circa le prossime manovre militari in Italia.

(l) Cfr. n. 80.

(l) Non pubblicato.

89

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 238. Londra, 27 agosto 1871 (per. il 2 settembre).

Quasi immediatamente dopo la partenza del Cavalier Cadorna, Lord Granville accompagnò S.M. la Regina in !scozia ove egli si tratterrà ancora per qualche tempo. Questa circostanza m'impedì di vederlo e di parlargli di molte cose come avrei desiderato e se a ciò s'aggiunge che, salvo una o due eccezioni, tutti i Ministri esteri sono in congedo, V.E. comprenderà di leggieri la stagnazione completa di affari in cui Londra si trova in questo momento. In assenza di Lord Granville ho avuto un abboccamento al Foreign Office col Signor Odo Russell il quale non anderà ad occupare l'ambasciata di Berlino che verso la fine dell'anno, e che fa attualmente le veci del Signor Hammond che pure è in congedo. Fra i vari argomenti di cui intrattenni il Signor Russell cercai di scoprire da lui quale fosse l'attitudine del Governo Inglese nella questione dei reclami dei detentori di azioni delle Strade ferrate Rumene ma non ne ebbi che presso a poco la conferma di quanto Lord Granville aveva detto a tale riguardo al Cavalier Cadorna l'ultima volta che lo vide, cioè che il Governo Britannico bramava di non separarsi dal Governo Imperiale Germanico, senza però associarvisi con un atto identico al passo fatto dal Principe di Bismarck. Qui intanto mando all'E. V. la traduzione di una memoria (l) su questa vertenza stata presentata due giorni or sono al Foreign Office da una deputazione del Comitato degli Azionisti stranieri di questa Zona di cui venne pure rilasciata copia al Rappresentante della Germania ed alle altre Ambasciate interessate. Qualunque ne possa essere la ragione è un fatto però che il Governo Inglese, sia perché non voglia pregiudicare questa questione nel suo stadio presente, sia perché non ami, come ha dimostrato in più circostanze, di assumere alcuna responsabilità rispetto alle speculazioni commerciali che possano fare i Sudditi Britannici all'estero, sia infine perchè, come mi faceva osservare il Signor Russell, l'Inghilterra, dacché scoppiò la guerra Franco-Prussiana abbia adottato una politica di aspettativa (nous louvoyons fu l'espressione di cui egli si servì), non ha finora dimostrato, almeno in apparenza, di soverchiamente preoccuparsene. La stampa Inglese all'incontro ha consacrato un'attenzione speciale all'attitudine assunta dalla Prussia rispetto ai Principati Danubiani ed alle nuove alleanze che paiono prepararsi in Europa deducendone che non sia senza disegno che il Principe di Bismarck abbia posta la mano sopra un punto delicato come questo che può fornire ampia materia a portare in un dato momento la questione Orientale sul tappeto. La tenacità di proposito ben nota del Cancelliere dell'Impero Germanico è

causa che nessuno qui ponga in dubbio che la sua attuale linea di condotta debba essere il risultato di una risoluzione permanente presa di appoggiare i suoi recla

mi fino ai limiti che gli sarà possibile di farlo. A questo riguardo il Signor Odo Russell mi diceva che quando trovavasi presso il quartier generale Prussiano a Versailles il Principe di Bismarck gli parlò della Rumenia con la medesima energica determinazione esprimendogli il suo profondo malcontento per lo stato d'anarchia in cui giacciono le Provincie poste sotto l'autorità del Principe di Hohenzollern.

Ciò premesso è naturale che anche l'Inghilterra presti molta attenzione ai recenti convegni d'Ischl e di Gastein. Si rileva come il riavvicinamento che andò gradatamente manifestandosi fra la Prussia e l'Austria durante lo svolgersi della grande lotta ora appena terminata sia diventato più palese dacché scoppiò l'attuale incidente Rumeno. Cessato ogni pericolo di rivalità per la supremazia in Germania, si nota che le cambiate condizioni dell'Alemagna pongono in linea molti interessi comuni, e l'utilità di una cooperazione sincera fra i due Imperi dell'Europa Centrale per il presente non solo ma forse anche per il futuro. Come corollario di questa premessa il Signor O. Russell mi osservava che l'intimità delle Corti di Berlino e di Pietroburgo ha più che altro fondamento sui sentimenti personali dell'Imperatore Guglielmo e dell'Imperatore Alessandro. Comunque ciò sia alcuni dei giornali di Londra cominciano a porre in campo come l'unione dell'Austria e della Prussia costituirebbe la miglior guarentigia contro ogni possibile disegno aggressivo della Russia. Una linea di condotta in comune fra l'Austria e la Germania non è dunque qui veduta di mal occhio.

Lo spostamento d'interessi che produsse la caduta dell'Impero Francese e

lo stato in cui trovasi ora quel paese hanno distrutto anche per l'Inghilterra

l'edifizio che era fondato sopra l'alleanza francese. Le accuse d'ingratitudine

lanciate dalla Francia contro la Gran Bretagna, le allusioni a questo riguardo

che uscirono qui dalla bocca dello stesso Ambasciatore della Repubblica e le

ovazioni che in questi giorni la deputazione francese che portò in Irlanda i

ringraziamenti pei soccorsi ricevuti durante la guerra provocò dal partito

feniano-cattolico più fieramente avverso al Governo Inglese, costituiscono al

trettanti sintomi di questo mutato ordine di cose. Col prossimo invio del Signor

O. Russell a Berlino l'Inghilterra avrà colà un Rappresentante le cui idee sono in questo senso. • L'alleanza francese -egli mi disse -potrà in futuro riuscire funesta a chi la contrae. Ogni giorno i vantaggi che l'influenza Germanica è chiamata ad esercitare in Europa diventeranno più palesi e la prima a riconoscerlo sarà l'Italia •·

(l) Non pubblicata.

90

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 10. Vienna, 28 agosto 1871.

Nella visita da me fatta oggi al Cancelliere, il Conte Beust dopo avermi parlato nel senso indicato nel mio precedente rapporto di oggi (l) pure sul Convegno di Gastein, dissemi con tuono tra l'imbarazzato e lo scherzoso aver due parole a dirmi su di un affare relativo a Roma; intanto egli ricercava un di

spaccio del Conte Kalnoky di cui mi lesse un brano che riferivasi al fatto seguente:

c Da alcuni giorni il Papa • dice presso a poco il Conte Kalnoky c è molestato dal suono delle trombe delle truppe italiane che vanno a fare i loro esercizi proprio dietro il Vaticano. Il sentire quelle trombe non può essere mai cosa gradita al Papa, ma vi ha di peggio, e si è che esse suonano pure anche quando egli dice la Messa e gli sono allora di non lieve disturbo, fatto che io stesso ho potuto constatare, assistendo alla sua messa •. Pietosamente poi il Conte Kalnoky aggiungeva aver sentito dire che i trombettieri in quistione aggiungendo l'ironia al disturbo suonavano frequentemente il noto inno di Pio IX. Egli accompagnava l'esposizione dei fatti con commenti, per non dire insinuazioni, che ben chiarivano la mala disposizione del narratore a riguardo del Governo italiano. Il Conte Beust dissemi pregarmi a scrivere a V. E. persuaso di farle cosa grata segnalandole un fatto che recava molestia al Santo Padre, cosa che troppo egli era convinto non poteva mai essere negli intendimenti del R. Governo. Io gli risposi con tuono tra l'asciutto e lo scherzoso che se il Vaticano non trovava più gravi motivi di lagnanze a formolare contro il Governo italiano, potevamo applaudirci del modo col quale procedevano le cose in Roma. Non dissimulai che l'insinuazione fatta dell'inno di Pio IX suonato dalle incriminate trombe, circostanza sulla cui veridicità aveva i maggiori dubbi, mi dava la misura della passione che inspirava chi riferiva. Dissi che se il fatto era vero, non poteva se non essere fortuito, il R. Governo non avendo miglior desiderio che di dimostrare in tutti i modi il suo alto rispetto tanto pel Sommo Pontefice come per la veneranda persona di Pio IX. Soggiungeva ancora che a far cessare il lamentato inconveniente il mezzo il più pronto e sicuro sarebbe stato quello di portarlo a conoscenza della competente autorità in Roma stessa, cosa che non era disagevole fare. Ad ogni modo però conchiusi promettendo di scriverne all'E. V.

Il Conte di Beust mise, nel farmi tale esposizione tutte le forme cortesi possibili, ben vedevasi anzi che egli parlava solo per incarico avutone da alto. Per conto mio però credetti conveniente, tuttochè finissi col promettere di scriverne all'E. V., fare il viso dell'armi a simile comunicazione onde renderne meno agevoli le ripetizioni, poichè se tra potenze amiche avvisi ufficiosi di tale natura possono essere qualche volta ammessi e tenuti anzi come prova di buona amicizia, ove si ripetano di spesso, costituiscono una importuna ingerenza negli affari interni che nessuno stato indipendente può ammettere; una grande nazione meno poi ancora degli altri stati.

(l) Non pubblicato.

91

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 870. Berlino, 29 agosto 1871 (per. il 2 settembre).

Il Segretario di Stato ha avuto stamane la compiacenza di leggermi una circolare diretta da Gastein dal Cancelliere Imperiale ai rappresentanti della

Germania all'estero, relativamente al recente convegno dei due Sovrani, della Germania e dell'Austria.

L'Incaricato d'Affari tedesco in Italia soggiornando tuttora a Firenze, non

so se l'E. V. avrà già conoscenza di siffatto documento. Siccome però ad ogni

modo non mi risulta che i rappresentanti della Germania abbiano l'incarico

di comunicare il testo medesimo della circolare ai Ministri degli Affari Esteri

dei Governi presso i quali essi sono accreditati, mi affretto ad ogni buon fine

di riferirne all'E. V. il senso, quale mi fu dato di ritenerlo nella rapida lettura

che ne intesi.

Il Principe di Bismarck incomincia dal rilevare la favorevole impressione che il progetto di un convegno fra i due Imperatori produsse sulla pubblica opinione in Germania, la quale vi ravvisò una prova della buona armonia che doveva regnare fra i due Imperi, e la guarentigia di una era di pace. Passando a ragionare dell'incontro stesso avvenuto a Gastein, il Principe Cancelliere nota l'ottima impressione che i Sovrani ne riportarono: la loro soddisfazione deve dimostrare che è ormai pienamente cancellata la memoria di una guerra recente, che risultò bensì fatalmente dallo sviluppo storico della Germania, ma che ripugnava alla inclinazione dei due popoli ed agli intimi sentimenti dei loro Sovrani. Il Principe di Bismarck parla in ultimo dei suoi colloquii con il Conte di Beust, e si loda altamente del risultato che ebbero siffatti suoi abboccamenti con il Cancelliere Imperiale Austro-Ungherese: scrive che non vi furono vere stipulazioni o convenzioni, ma che le loro viste ed i loro apprezzamenti si trovarono pienamente concordanti su tutti i punti della politica: esprime la convinzione che, in seguito di ciò, i due Gabinetti di Vienna e di Berlino non trascureranno verun mezzo ed adopereranno tutta la loro influenza per consolidare la pace in Europa e per mantenere fra i due Imperi il migliore accordo, con grande vantaggio dei reciproci loro interessi.

Il Signor de Thile mi ripeté ancora ciò che ebbi l'onore di riferire all'E. V. nel dispaccio n. 869, del 26 corrente (1), che cioé l'Italia aveva ragione di rallegrarsi per quanto si era fatto a Gastein. Alle mie insistenze in proposito, oppose che da parte sua non era ancora abbastanza ragguagliato su quel convegno, per poter addentrarsi in veruna particolarità. Il Principe di Bismarck aveva però spedito da Gastein un corriere di Gabinetto direttamente in Italia, il che mi fa sperare che l'E. V. avrà ricevuto qualche schiarimento dal Conte di Wesdehlen.

92

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 157. Berna, 30 agosto 1871.

In risposta all'ossequiato Dispaccio di questa Serie N. 75, in data del 21 uscente Agosto (2), col quale, a nome dell'onorevole Ministro pel Commercio, mi si chiede se abbia qualche fondamento di vero la voce a lui pervenuta, che il Consiglio Federale si proponga di intavolare negoziati col Governo Reale,

al fine di fondare in uno de' nostri porti uno Stabilimento ad uso del commercio e della navigazione mercantile svizzera, mi reco a premura di brevemente ragguagliare l'E. V. intorno ai fatti che possono aver dato origine alle menzionate voci, e dei quali del resto è trattato ampiamente nel carteggio di questo Uffizio con codesto Ministero.

Ad istanza di molti Svizzeri che posseggono bastimenti mercantili che navigano sotto diverse bandiere, il Governo Elvetico, con particolare Messaggio, chiese, non sono molti anni, all'Assemblea Federale di essere autorizzato a trattare con le Potenze Marittime, perché fosse riconosciuta sui mari la bandiera neutrale della Confederazione. Le Potenze interpellate all'uopo, fra le quali l'Italia, risposero con le forme cortesi proprie del linguaggio diplomatico, se non negativamente, almeno pel momento, evasivamente.

Il Consiglio Federale non si perdé d'animo per questo, ma stimò dovere sospendere per alcun tempo le pratiche incominciate a cotesto riguardo; ciò cui lo consigliava d'altra parte lo stato dell'Europa e quindi la guerra del 1866.

Quando io giunsi a Berna il Signor Dubs, che esercitava allora la carica di Presidente della Confederazione, mi chiese in forma amichevole parlando meno al Rappresentante del Governo Italiano, che a colui che era conosciuto in Svizzera per avervi professato il diritto pubblico Internazionale, che volessi manifestargli il mio modo di vedere intorno alla domanda, che la Svizzera aveva diretto alle Potenze per ottenere il riconoscimento della bandiera federale.

Risposi di aver letto il Messaggio sopracitato, nel quale eran dedotte le considerazioni che muovevano questo paese a fare una simile domanda, e come non ignorava che il mio interlocutore ne era l'autore, ne lodai il tenore e la forma; aggiungendo però che, a mio avviso, invece di chiedere il riconoscimento della bandiera, sarebbe stato per avventura meglio il procedere altrimenti, dichiarando cioè alle Potenze, che la Svizzera intendeva usare dei diritti fermati nel Trattato di Vienna per ciò che tocca alla navigazione dei fiumi e de' loro affluenti comuni a diverse Nazioni, e che perciò invitava le Potenze a riconoscere a questo riguardo i diritti della Svizzera, e ad eccitare i Paesi Bassi a togliere gli impedimenti, pei quali non è agevole ai legni che navigano sul Reno di giungere al mare. La domanda avrebbe potuto toccare altresl la navigazione del Po e del Rodano.

Proseguii, dicendo che quando questo principio fosse riconosciuto, non sa

rebbe difficile alla Svizzera di ottenere dalle Nazioni Marittime, propriamente

dette, che consentissero allo stabilimento nei loro porti di fattorie Elvetiche,

dalle quali, come dalle antiche Case Anseatiche per le città che facevano parte

dell'Ansa, comecché non marittime, le navi mercantili della Svizzera si attaccas

sero, come al loro porto d'origine.

Sul Signor Dubs fecero breccia queste mie osservazioni, laonde egli mi

disse che il Mediterraneo e l'Adriatico erano i mari naturali della Svizzera,

e che Genova principalmente e Venezia sarebbero i porti ove sarebbe opportuno

di fondare le fattorie marittime Elvetiche. Mi chiese quindi se, ottenuta la rico

gnizione di cui si tratta, io credessi che il Governo Reale fosse disposto a trat

tare con la Svizzera per la fondazione degli accennati Stabilimenti. Espressi

l'avviso che ciò non fosse da rivocarsi in dubbio, non solo, ma che reputava che il Governo Reale si sarebbe adoperato d'accordo con la Confederazione per indurre le altre Potenze a riconoscere a suo esempio sui mari diversi la bandiera federale.

Gli dissi che avrei chiesto di esser autorizzato a trattare con lui per

mettere in chiaro la situazione rispettiva in questa faccenda.

Il Generai Menabrea con vera sentita dei vantaggi che i nostri porti ed i nostri traffichi potrebbero ritrarre da ciò, mi autorizzava a cercare d'accordo col Primo Magistrato della Confederazione di dar forma ad un disegno, che indi potesse servire di preliminare a negoziati effettivi.

E siccome la prudenza civile consigliava tanto alla Svizzera quanto all'Italia di condurre le trattative preparatorie con la più grande segretezza, il prelodato Ministro mi diede facoltà di non comunicargli l'andamento delle pratiche che stavano per cominciare, se non quando fossero giunte a un certo grado di maturità.

Ebbi successivamente diversi colloqui sopra di ciò col Signor Dubs. Vi fu scambio d'idee non solo, ma altresi comunicazioni di diversi progetti e poi modificati dall'una parte e dall'altra. In questo mezzo gli Stati Tedeschi cui non bagna il mare, ma che toccano direttamente al Reno o indirettamente per mezzo di loro fiumi navigabili, sotto gli auspici d'una grande Potenza, invocando appunto la stipulazione del Trattato di Vienna, indirizzarono ai Paesi Bassi una domanda conforme a quella ch'io consigliava di fare alla Svizzera, la qualcosa mentre accresceva autorità ai miei consigli, contribuiva però a ritardare le cominciate trattative con me, in aspettazione dell'esito che fosse per avere l'istanza degli Stati germanici.

I negoziati e le conferenze riguardanti l'impresa del S. Gottardo, per la quale la Svizzera si trovò ad un tratto divisa in due campi fieramente ostili, furono pure cagione che si mettesse pel momento da canto la quistione marittima, finché non fosse definita quella dei passaggi alpini, alla quale pose fine in principio il Trattato di Berna, testé approvato dal Parlamento Italiano.

La questione gelosa della bandiera fu perciò rimandata ad epoca più serena, Gli umori manifestati dal Governo Francese a seguito della Conferenza Internazionale di Berna per l'impresa del Gottardo, indussero la Svizzera come l'Italia a non aggravare a questo riguardo la loro situazione rispetto alla Francia, col porre innanzi la riduzione in atto di un progetto di stabilimenti marittimi, destinati a vantaggiare i porti Italiani a detrimento di porti francesi del Mediterraneo.

Da quanto precede non è arduo il comprendere quale fondamento avessero le voci di cui parla il Ministro dell'Agricoltura e Commercio, alle quali diede origine l'indiscrezione di taluno che non aveva se non una mediocre cognizione del vero stato delle cose.

Spero di poter venire, quando l'E. V. me ne conceda la facoltà, in Italia e se sarà possibile alla riapertura del Parlamento in Roma. Avrò allora occasione di fornire all'E. V. ed al suo Collega pel Commercio tutti gli schiarimenti che potranno chiedermi sulla quistione di cui si tratta, sulle difficoltà che può incontrare da un lato e dall'altro la sua soluzione, ed infine sulla opportunità di ripigliare le differite trattative.

li -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

(l) -Cfr. n. 88. (2) -Non pubblicato.
93

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3906. Pietroburgo, 31 agosto 1871, ore 17,45 (per. ore 3,30 del' 1 settembre).

D'après ce qu'il vient de me dire, le chargé d'affaires allemand a été chargé par télégraphe, il y a deux jours, d'informer le Gouvernement russe que l'entreuve de Gastein avait eu pour but de retablir entre l'Allemagne et l'Autriche la cordialité de rapports interrompue par la guerre de 1866. Il ajouta, qu'il n'y a pas lieu de demander l'adhésion de la Russie, parceque cette démarche indiquerait un but d'action qui allait au delà de l'esprit du rapprochement.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 1744. Roma, 2 settembre 1871, ore 22,50.

Italie n'a eu aucune part à l'entrevue de Gastein. Nos renseignements portent du reste qu'il n'y a eu aucun traité de signé et que tout s'est borné à un échange de vues ayant pour but le maintien de la paix. Le Roi et les ministres étant absents, je ne puis pas demander pour vous l'autorisation de présenter à M. Thiers les félicitations du Roi, cependant, je ne vois pour ma part aucun inconvénient à ce que vous le complimentiez au nom du Gouvernement.

95

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, R. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 27. Madrid, 2 settembre 1871 (per. il 9).

Questo, sino all'apertura delle Cortes in ottobre, è un momento di transizione e di preparazione. Si direbbe che, spossati dall'ultima crisi, d'un comune accordo, si riposino i partiti. Il Ministero è tutto intento alla questione finanziaria e a mantenere quell'ardua e principale promessa del programma del suo Presidente: il pareggio del bilancio. La Gazzetta Ufficiale, nel mese ora trascorso, ha pubblicato vari decreti per introdurre notevoli economie nei pubblici servigi; così, per atto di esempio, nelle obbligazioni generali dello Stato le spese sarebbero diminuite d'oltre i 46 milioni; nel Ministero delle Finanze di 9 e più milioni; in quello dell'Interno di l milione; e via dicendo sino a un totale di 100 milioni di franchi; chè cotesta è la cifra delle economie che il ministro delle Finanze, nella relazione che precede il decreto per l'imprestito di 150 milioni il quale avverrà li 6 del corrente, vanta di aver realizzate. I giornali ministeriali e i ministri medesimi affermano che il problema sia vinto e che non si debba della riuscita sicura e diffinitiva più dubitare. Sendo, dalle radicali economie, ridotto a poca cosa il deficit dell'attuale bilancio, nel prossimo, mercè di alcune leggi che verranno proposte alle Camere per aumentare gli introiti, il sognato pareggio sarebbe finalmente raggiunto. Ma per giudicarne, signor ministro, conviene aspettare di aver sott'occhio l'insieme di tutte le economie e di conoscere completamente il piano finanziario del signor Ruiz Gomez; nè sarà prudenza eccessiva l'andare a rilento ancora un poco nel dividere una tanta fiducia; e le discussioni che avverranno in Parlamento sole potranno essere base di criterio ed apprezzamento che non sia nè troppo severo, nè troppo credulo.

Il signor Zorrilla, oltre il pareggio -e che si raggiunga non è più fede, ma certezza in lui -afferma che la crisi ultima e la rottura della conciliazione dei partiti dinastici avrà recato un altro principale beneficio al paese: la formazione di due grandi partiti parlamentari. Egli si è compiaciuto discorrerne varie volte con me e mi conceda V. E. ch'io Le ripeta i più importanti argomenti che mi addusse per dimostrare come, nella prossima sessione del Parlamento, le forze dei partiti si presenteranno meglio divise, più compatte in due campi distinti, e quali sieno i vantaggi che ne saranno per risultare.

Egli è fuor di dubbio -mi diceva -che la conciliazione dei partiti fu necessaria per instaurare la nuova Dinastia e che il primo Ministero di Re Amedeo dovette, pertanto, riflettere questa conciliazione. La quale fu per due volte necessaria nei due periodi di lotta, e difesa della libertà, prima, e poi del trono. Ma giova considerare che se in molte cose il Governo della • Libertà conquistata • -cioè della rivoluzione o dell'interinato -non ebbe nè quella energia nè quella risoluzione che gli sarebbero state essenziali per condurre in atto le grandi riforme anelate e che se in molta parte l'opera della rivoluzione non fu compìta e rimasero molte antiche magagne e abusi di un passato corrotto, si fu che i partiti della medesima rivoluzione, uniti nel di della lotta, erano nell'applicazione da doversi dare alla vittoria separati profondamente; ed avvenne quel fatto naturale che due forze uguali cozzantesi in sensi opposti producono l'inazione. Lo stesso è avvenuto nei primi tempi del regno di Sua Maestà. E siccome a difendere ed affermare i trionfi della rivoluzione si dovette mantenere, a costo di ogni sacrificio, la conciliazione dei partiti radicale e conservatore, così la si è dovuta mantenere di tutt'i partiti dinastici a difendere e ad affermare i primordi del nuovo regno.

Ma egli è nondimeno cosa certa che se quella conciliazione aveva come sistema difensivo condizioni che furono un tempo di imperiosa utilità, ella come sistema di azione e di iniziativa di governo era dannosissma e pericolosa quando protratta oltre i limiti necessari.

• Tutto è mutato nel Palazzo Reale; ma nello Stato e nel Paese niente • era la voce dell'universale. E siccome questo popolo è privo del sentimento delle proprie piaghe, onde le crede quasi per instantaneo miracolo sanabili, e però gli manca quella costanza e pertinacia che altre nazioni hanno avute nel rifarsi, così molto e troppo chiede ai governanti; e il passato Ministero, pel suo vizio organico, privo d'iniziativa, di energia e di continuità di propositi, dava largo

argomento alle doglianze e alla generale sfiducia che potevano, durando, ridondare a danno del trono medesimo. Valgono meglio, con questa nazione, sbagli ed errori, che si possono addebitare a un partito, che l'inazione e quel tentennare fra diverse vie senza presceglierne alcuna. La conciliazione non era dunque più una forza, ma grave debolezza dacchè nissun pericolo incalzante, e comune pei partiti, imponeva alla coscienza di tutti di doverla ad ogni costo conservare, ed anzi nella coscienza di tutti stava che dovesse finire, era intollerabile, e ostacolo all'avviamento pacato e regolare dello Stato. Quella debolezza del governo della conciliazione era tale da far sì che continuassero frazioni ed uomini politici esitanti ad entrare nella legalità perchè dubbiosi se la legalità esistente avrebbe potuto così durare. Il partito conservatore, sformato del tutto, continuava in quella estrema divisione che non si lascia intendere nè definire; la confusione stava dovunque nel governo e nei partiti, e invece di una lotta legale e parlamentare fra aspirazioni e principii diversi, era un accendersi di odii personali, di sospetti e anche d'intrighi anti-costituzionali, che poi scoppiarono durante 'la crisi con tanto maggior impeto quanto fu maggiore e più lungo il ritegno e la violenza sofferta. Affogate, assieme, mercè della conciliazione, le idee che non possono vivere se non combattendosi, invece giganteggiavano più che mai le personalità, quel grande malanno della politica spagnuola. E qui, il ministro mi disse un pensiero scritto da un il\l.ustre pubblicista italiano con questi termini: • La politica, senza idea che la guidi, era diventata l'egoismo di ognuno di coloro i quali vi s'ingeriscono •.

Sin dalla prima seduta in cui si presentò il nuovo Gabinetto omogeneo dinnanzi alle Camere fu avvertito il mutamento che s'iniziava. I conservatori già si schieravano più compatti; il signor Rios Rosas tornava con solenne dichiarazione nelle file unioniste daUe quali si era coi suoi amici allontanato; il partito conservatore, infine, prov,ando l'imperiosa necessità della lotta e della difesa, e ubbedendo all'istinto della propria conservazione come partito, per impedire una sua fatale decadenza, accennava già chiaramente a ricostituirsi tutto intero nella legalità. Nel prossimo ottobre la Camera sarà, pertanto, divisa in due grandi partiti ambidue dinastici, onde la Corona, qualunque sieno le vicende parlamentari, potrà, oramai, con sicuro criterio esercitare l'alto suo mandato costituzionale. • Nissuno più di me -mi soggiungeva il signor Zorrilla -volle e combattette per la conciliazione quando ell'era necessaria, nis-suno si provò maggiormente di farla verace e non apparente, e di ravvicinare gli animi ad operare quella fusione, tentata invano. Ma era voler unire elementi che per loro natuva rifuggono perennemente dal fondersi e mescolarsi assieme. La separazione dei due campi politici raggiunge per altra via e in modo diverso lo stesso effetto, e l'opera, nella quale fui gran parte, di terminare la confusione e il caos, è -ne ho la coscienza -il massimo servigio ch'io potessi rendere .al re; egli, moderatore ed esecutore delle volontà nazionali, terrà nella mano la bilancia dei partiti, e potrà sicuramente giudicare da qual parte cada il peso della pubblica opinione. A fronte del partito più liberale si accamperà il più conservatore con Serrano, Topete, Rios-Rosas e gli altri capi; ma ambidue i partiti con pensieri fissi, precisi, programmi chiari di governo, con un ideale ~politico. Però sono io che ho formato il partito conservatore •.

E continuò con queste altre parole: • La devozione e mio affetto immenso pel mio re io li pongo anche quasi al disopra di quelli pel mio paese e certo al disopra dei miei doveri o degli interessi del mio partito. Operando come ho fatto, vi accerto soil.ennemente che fu mia unica guida e mio primo pensiero la promessa data aZ re d'Italia. Quando il mio re mi dirà: voglio un ministero conservatore, sarò io medesimo che cercherò questo ministero per cedergli il posto •.

Ma qualunque sia l'apprezz,amento che dei fatti occorsi e delle spiegazioni del presidente del Consiglio si possa fare (e anche Progressisti, non convinti, continuano a deplorare la rottura della conciliazione come prematura) egli è nondimeno cosa sicura che andarono errati sulle condizioni attuali dei partiti politici in !spagna quanti hanno creduto che sarebbe stata miglior sorte se al Ministero misto avesse succeduto un Ministero conservatore. E perchè si fosse potuto formare avrebbe fatto mestiere che un vero partito conservatore esistesse nelle Camere; ma l'unione liberale è scissa e divisa; e mentre una frazione d'essa, chiamata • Mori di frontiera • sono dinastici, altri unionisti sono alfonsini, altri montpensieristi, ed altri infine, che si danno nome di indipendenti, sono quella gente timida e paurosa che non sa decidersi e rifugge sempre dalle azioni che impongono una qualunque responsabilità.

Perciò fu vera e leale la dichiarazione fatta al re dal generale Serrano quando gli riuscì impossibile di ricomporre un Gabinetto di conciil.iazione, essere egli pronto a formare un ministero puro unionista, ma non poter rispondere delle conseguenze, perchè si dovrebbe imporre con la forza.

Ho creduto mio dovere di rivolgerle, signor cavaliere, questo mio rapporto, oggi che i fatti della crisi sono tanto lontani che si possono meglio giudicare per essere calmate le violenze reciproche delle due parti; ma non tanto 'lontani che quanto ho l'onore di riferire a V. E. possa sembrar solamente una digressione retrospettiva: della ultima crisi gli effetti non sono provati ancora, e il conoscere l'origine delle cose e le loro ragioni potrà forse servire ad apprezzare i risultamenti, qualunque sieno per essere, che non si verificheranno prima di un mese.

Opera cui lavora adesso il Ministero, dall'esito della quale dipendono per molta parte le sue sorti nel Parlamento, è l'assicurarsi di quella frazione del partito progressista, che, duce il Sagasta, si mostrò contraria alla rottura della conciliazione. Cotesta è la missione del Zorrilla medesimo; nè cessano le lettere e gli amici comuni dal mantener vivi i rapporti fra costui, capo dei progressisti e quegli capo dei progressisti più conservatori.

In un paese, dove le cose della politica sono soggette al,le più repenti e meno prevedute mutazioni, sarebbe azzardoso di asserire quale sarà l'attitudine della frazione • Sagastina •; ma se è lecito giudicare dalle dichiarazioni del signor Sagasta, dalle necessità della sua posizione personale, dalla obbligazione morale che ·avrà la parte meno numerosa del partito di non scindersi dalla maggioranza di esso, si può credere che il presidente del Consiglio non sarà deluso nella sua fede e che avrà avuto ragione di asserire che • Sagasta ed io saremo i capi del partito liberale di fronte ai conservatori •. Al signor Sagasta si vorrebbe dare la Presidenza della Camera dei Deputati.

96

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1636. Parigi, 3 settembre 1871 (per. il 7).

Il laborioso processo cominciato il 7 agosto scorso nanti il 3o Consiglio di guerra sedente a Versaglia contro 18 membri del Comune insurrezionale di Parigi giunse ier sera al suo termine. Dopo una deliberazione che durò piene dodici ore, il Consiglio cui erano stati sottomessi più di cinquecento quesiti pronunciò la sua sentenza che fu letta pubblicamente dal presidente, gli accusati non essendo però presenti.

Il Consiglio di guerra non ammise il capo d'accusa di complicità negli assassinì e negl'incendi che a carico dei nominati Ferré, Urbain e Trinquet. Esso pronunciò la pena di morte contro Ferré e Lullier, quella dei lavori forzati a perpetuità contro Urbain e Trinquet, la deportazione in un luogo fortificato contro sette accussati, la deportazione semplice contro due. Due accusati, i nominati Descamps e Parent furono assolti; due condannati a pene lievissime.

L'ex-delegato alle Finanze Jourde trov,asi tra i condannati alla deportazione semplice; l'ex-delegato alle relazioni estere Pasca! Grousset tra quelli condannati alla deportazione in un luogo fortificato.

97

IL VICECONSOLE A TUNISI, MACHIAVELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3914. Tunisi, 4 settembre 1871, ore 7,45 (per. ore 21,45).

Porte exige envoi Constantinople haut fonctionnaire Tunis pour s'entendre sur l'avenir de la régence, Bey n'osant pas refuser fera partir après demain général Kéredine pour connaìtre intentions de la Porte. Bey me demande lettre d'introduction pour ministre du roi Constantinople et prie V. E. d'écrire à ce dernier de venir en aide a son envoyé le cas échéant.

98

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 12. Vienna, 5 settembre 1871 (per. l' 8).

Siccome Le annunciava nel mio precedente rapporto delli 28 agosto u. s.

n. 10 (2), Sua Maestà l'Imperatore parte oggi per recarsi ad incontrare l'Imperatore di Germania a Salisburgo. Il Conte di Beust ed i Presidenti del Consiglio

delle due parti della Monarchia accompagnano il Sovrano. Pareva dapprima deciso che il Conte di Andrassy solo sarebbesi recato ad ossequiare l'Imperatore Guglielmo, ma venne poscia deciso che il Conte di Hohenwart pure si recherebbe a Salisburgo. Dicesi generalmente che tale determinazione sia stata la conseguenza di un puntiglio di amor proprio del Presidente del Consiglio Cisleitano. La quistione non avrebbe in se grande importanza se non venisse a dar peso alla voce che corre in taluni circoli abbastanza bene informati; che cioè a Gastein, ad iniziativa della Prussia si sii concertato coll'Austria un assieme di provvedimenti difensivi contro la minacciante azione dell'Internazionale, provvedimenti a cui i Presidenti del Consiglio delle due parti della Monarchia sarebbero ora chiamati a dare la loro sanzione. Ciò fatto, sempre stando alla voce in giro, le due Corti Imperiali sottoporrebbero alle altre di Europa l'accordo fra esse convenuto onde attenervi le loro adesioni.

Non do, per conto mio, gran peso a questa diceria, ma fra le molte che si fanno di questi giorni sui Convegni di Ischl, Gastein e Salisburgo, ho ciò nondimeno creduto opportuno farne cenno all'E. V., non però senza soggiungerle essere opinione mia che nei convegni sopranominati non si venne ad accordo pratico e di importanza per il presente, né per l'avvenire su nessuna delle grandi quistioni che interessano l'Europa.

Capirei un'alleanza fra le due Corti per uno scopo immediato, ma questo manca, in quanto ad una alleanza per uno scopo eventuale, non la trovo ammissibile; troppa è la non del tutto ingiusta diffidenza degli Asburgo per gli Hohenzollern, e d'altra parte troppo poco è il conto che in Prussia si ha della forza della Monarchia Austro-Ungarica, tanto a riguardo della sua costituzione interna come della potenza del suo esercito, per poter credere che essa faccia assegno su di lei per un'azione comune a compiersi in un tempo di là da venire. D'altronde, checché se ne dica, rotto l'antico patto federativo Germanico, l'Austria e la Prussia, non solo non hanno più un interesse comune, ma anzi tanto ad Oriente quanto ad Occidente, opino gli abbiano quasi tutti contrarj.

n sognar poi che tra le due Corti si siano gettate le basi di una nuova specie di Santa Alleanza, qualunque possa esserne lo scopo, parmi ciò un assurdo il supporlo.

Conseguentemente a questi miei apprezzamenti che mi permetto sottoporre all'E. V., sino a più precise informazioni in contrario, è mia opinione che il risultato del recente incontro dei Sovrani di Austria-Ungheria e di Germania, sarà uno stadio di relazioni abbastanza cordiali fra i due paesi, che durerà quanto potrà, ma che intanto eserciterà salutare influenza sul regolare andamento degli affari interni dei due stati interessati non solo, ma pure della rimanente Europa. Dedurne altre conseguenze sarebbe a mio avviso fuor di proposito.

(l) Cfr. n. 90.

99

L'INCARICATO D'AFFFARI A BERLINO, TOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 872. Berlino, 5 settembre 1871 (per. il 9).

In questi giorni l'Agenzia Wolff pubblicò un telegramma nel quale era riferito in poche parole un articolo della Opinione, che smentiva la notizia secondo cui il R. Governo aveva aderito ai supposti accordi presi a Gastein fra la Germania e l'Austria. Questi giornali espressero la sfavorevole impressione prodotta in Germania dalla premura da noi dimostrata a respingere una versione, che avrebbe provato una grande intimità di relazioni fra l'Italia ed il nuovo Impero. In una conversazione che ebbi stamane con il Segretario di Stato, ho potuto convincermi invece che, in questi circoli ufficiali, i rapporti ricevuti dall'Italia insieme ~al testo dell'articolo in discorso non avevano punto prodotto una tale impressione. Il Signor de Thile mi aveva già assicurato, come ebbi l'onore di riferirlo all'E. V., che a Gastein non vi era stata veruna stipulazione propriamente detta: non trovava quindi strano che da parte nostra si asserisse di non aver avuto l'occasione di aderire o meno ad accordi presi in quell'incontro.

Ebbi la conferma al tempo stesso che al nuovo convegno dei due Imperatori che avrà luogo quanto prima a Salzburg, oltre ai due Cancellieri Imperiali, interverrebbero pure il Conte Andrassy ed il Conte di Hohenwart. È fuor di dubbio che una ta,le circostanza conferma ed aumenta il carattere di intimità fra i due Imperi, e toglie le ultime ombre del quadro che presentano i due convegni dei Sovrani. Il Segretario di Stato però stimava che a Salzburg non si andrebbe più oltre di quello che si fece a Gastein, e che si rimarrebbe nei limiti di uno scambio di idee, quale risulta dalla circolare del Principe di Bismarck, di cui ebbi a parlare nel rapporto Politico N. 870 del 29 agosto ultimo (1). Dalle parole dettemi dal Signor de Thile, deduco che, se una quistione speciale formerà oggetto di trattative a Salzburg, la Società l'Internazionale ne fornirà l'argomento: il mio interlocutore non aveva notizia alcuna di una proposta di conferenza generale in proposito, cui accennano ora i giornali: non sarebbe però a stupire che una siffatta proposta uscisse dal prossimo convegno, malgrado la ripugnanza che forse proverebbe il Governo francese a prender posto in una riunione Europea accanto a quello dell'Impero Germanico.

Noterò un ultimo punto della conversazione che ebbi stamane. All'incontro dell'opinione alquanto accreditata che attribuirebbe al Governo Russo un certo risentimento e malumore per l'intimità stabilitasi fra i Gabinetti di Vienna e di Berlino, S. E. mi disse che lo Tsar aveva fatto esprimere la sua soddisfazione per il riavvicinamento e la riconciliazione fra i medesimi avvenuta, e la sua ferma ed inalterata fiducia nella amicizia e nella lealtà dell'Imperatore Guglielmo. Lo Tsarewitch da parte sua avrebbe dimostrato di nutrire sentimenti assai diversi di quelli che gli si vogliono attribuire siccome sfavorevoli alla Germania.

(l) Cfr. n. 91.

100

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, R. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 29. Madrid, 6 settembre 1871 (per. il 12).

Da vario tempo si è nuovamente vociferato che Bande Carliste non tarderanno a tener la campagna. Siccome coteste agitazioni già sonosi tante volte ripetute senza che alle minaccie seguisse poi lo scoppio della insurrezione, così non ho creduto di doverne informare l'E. V. prima di sapere dal Governo medesimo che caso egli abbia fatto di quelle voci.

Sui moti Carlisti nulla può dirsi di certo mentre non vanno quei partigiani oltre le minaccie; fanno molti apparecchi, spediscono messi, si esercitano misteriosamente alle armi, introducono dai confini convogli di fucili -e in modo che dalle Autorità possano essere sorpresi -e basta loro di aver così provato al Pretendente che i danari da lui somministrati servirono alla causa, ma che le occasioni erano contrarie.

Sembra, pertanto, che cotesto sistema d'agitarsi abbia troppo invecchiato nell'uso, e che Don Carlos esiga adesso migliori prove del modo come sia, da quelli ch'egli paga così caro servito; onde il Governo invigila con maggiore attività e provvede perché sia la ribellione, scoppiata appena, prontamente accerchiata e soffocata. Ma che cotesta insurrezione carlista, seppure avviene, non sarà che una commedia, lo provano le misure militari del Ministero della Guerra: gli eserciti che sono destinati a perseguitare i faziosi si comporranno cadauno di una sola Compagnia.

Ad ogni modo, i mestatori principali -se veramente si decideranno di mandare a morte alcuni miseri contadini esaltati dalle predicazioni ed incitazioni di un qualche parroco fanatico ed ignorante, avranno ottenuto lo scopo loro, quello cioè, di dare un pretesto e un colore alle ruberie di cui fanno vittima il loro padrone.

Le notizie sull'imprestito dei 130 milioni sono ottime; in Madrid la sottoscrizione fu coperta al di là d'ogni speranza; non sono ancora venute le informazioni sul risultato fuori di Spagna; ma già può dirsi che l'ammontare delle sottoscrizioni giungerà al doppio della somma richiesta. Io mi farò un dovere di rivolgerLe, Signor Cavaliere, maggiori e più particolareggiati dettagli appena li avrò ricevuti dalla cortesia del Signor Bauer, nostro Console Generale e che nella sua qualità di Rappresentante della Casa Rothschild ebbe gran parte nell'esito di quest'imprestito.

L'importanza del fatto non sarà per isfuggire all'E. V. e lo dinotano chiaramente le seguenti parole che ho udite pronunciare ad uno dei Deputati più influenti del partito repubblicano, il quale, a chi gli diceva essere la riuscita così bella dell'imprestito un trionfo pel Ministero, rispose negandolo, ed aggiunse: • è un trionfo del Re •. Così è diffatti: l'ammirevole condotta politica di Sua Maestà ha prodotto un tale effetto, e la fiducia inspirata al Capitale ha una eloquenza che i nimici stessi debbono, se onesti, confessare.

101

IL MINISTRO A RIO DE JANEIRO, CAVALCHINI GAROFOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 60. Rio de Janeiro, 6 settembre 1871 (per. il 4 ottobre).

Nei quindici mesi che passai in aspettativa in Italia lusingandomi di non più rivedere queste inospitali sponde dell'Oceano Americano, trascurai di occuparmi delle questioni di questo paese, ed i bianchi ed i neri, e le invidie dei partiti e quasi dirò gli stessi uomini di qui mi erano passati di mente. L'E. V. troverà son certo scusabile questa mia dimenticanza delle cose Brasiliane riflettendo che nel tempo che passai in Europa mille e cento avvenimenti successero e di siffatta importanza sia come Italiano sia come appartenente alla gran famiglia Europea che i fatti dell'Impero Brasiliano non potevano francamente interessare. Ma avendo l'E. V. voluto nuovamente affidarmi questa Missione mi trovo in dovere di rioccuparmi delle vicende Americane e specialmente di quelle di quest'Impero, le quali a parer mio hanno preso una via che meritano di essere studiate e che non mancano di certa gravità specialmente per noi Italiani che abbiamo in questa parte del Sud America interessi che tendono giornalmente al progresso. Nel mio ultimo dispaccio n. 59 del 23 Agosto ultimo (1), scritto quasi appena qui giunto, feci cenno a V. E. delle due questioni che si trovano all'ordine del giorno, cioè la legge che riforma lo stato degli schiavi, e la missione che si affidava al Barone di Cotegipe nella Repubblica del Plata. La legge sulla schiavitù ottenne un completo trionfo nel,la Camera dei Deputati ove l'opposizione si mostrò ardita, loquace, ma non potente, con che il progetto del Ministero ebbe una maggioranza grandissima. Ora si trova in discussione nel Senato e già jeri si ebbe un bel discorso di opposizione liberale da parte dell'ex Presidente dell'ultimo Gabinetto di questo partito Signor Zacharia, il quale censurò il progetto perché rimanda troppo in lungo la risoluzione della libertà dell'uomo, ma nel terminare dichiarò che essendo pur sempre una riforma in senso liberale avrebbe votato in favore del progetto. Così il primo ostacolo venne guadagnato dal Ministero, il partito liberale accetta la legge. Rimane l'opposizione del partito ultra conservatore il quale è piccolissimo nel Senato e non potrà che prolungare la discussione, ma non porre in pericolo l'accettazione della legge. Il progetto del Ministero accettato dalla Camera e presentato al Senato non è tale quale si desiderava dai liberali, giacché non rimane libero che il frutto della schiava, perciò le donne nate in oggi cioè prima della promulgazione della legge rimangono schiave ed i loro figliuoli saranno liberi solo all'età di 21 anno, in tal modo il Brasile avrà ancora degli schiavi fra 50 anni. Qui unito rimetto a V. E. copia di questa futura legge, presa nel giornale ufficiale di oggi, pubblicata senza fallo coll'intento di produrre effetto in Europa e far accogliere l'Imperatore con maggior simpatia nei nostri paesi civili.

Il Barone di Cotegipe partì avant'jeri per Montevideo. Volli conoscere il vero oggetto del suo viaggio, ma non mi fu fatto di esserne certo. Però, lascian

do da parte l'opinione di molti che questa Missione gli sia stata data per ricompensarlo della ~;ua condiscendenza per questo Gabinetto e così ristorare un po' la sua fortuna alquanto compromessa sebbene ancora vistosa, io credo che questa Missione, oltre come dissi nel mio ultimo dispaccio, di aver per oggetto il definitivo trattato di pace col Paraguay, ha pure per iscopo di formare in Montevideo un partito favorevole all'Impero. Il Barone di Cotegipe è forse l'unico uomo del Brasile che possa attirare a sè simpatie e la scelta non poteva essere migliore.

Come già accennai il Brasile non dispera di annettersi in un tempo più o meno remoto la Repubblica Orientale, la quale nella lotta dei partiti giornalmente si rende vie più impotente, perciò in questo momento che il partito bianco in Montevideo si trova depresso dai rossi il Brasile potrebbe ottenere vantaggi nel primo partito, e con speranze e lusinghe attirarselo a se, come già operò col partito coLorado nel 1864. L'odio di razza tra gli Orientali ed i Brasiliani è grande ma la stanchezza delle lotte tra le varie frazioni, finirà per rendere la Repubblica Orientale se non Provincia dell'Impero, almeno in realtà vassalla del medesimo.

Io credo di chiamare l'attenzione di V. E. su questo punto, giacché la conseguenza di una influenza Brasiliana .troppo grande in Montevideo potrebbe essere nocevole per gli interessi italiani in quelle contrade.

Su questo soggetto fisserò specialmente la mia attenzione e renderò l'E. V. informata di tutto ciò che mi parrà meritare che sia da Lei conosciuto.

Una legge che venne ultimamente approvata e già sancita è quella della Riforma Giudiziaria ma non trovandomi per ora in grado di apprezzarla mi riservo di trattenerne in seguito l'E. V.

(l) Non pubblicato.

102

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3917. Costantinopoli, 7 settembre 1871, ore 17,50 (per. ore 21,35).

Mahmoud pacha jusqu'ici ministre de marine vient d'etre nommé grand vizir. Ce choix est dù surtout à la faveur dont il jouit en ce moment près du sultan.

103

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATISSIMA 3413. Roma, 7 settembre 1871 (per. il 9).

Credo opportuno di far noto all'E. V. come da lettera sequestrata al Cafiero, principale agitatore dell'associazione internazionale fra gli operai in Napoli, resulti che pel 17 corrente sia stabilita in Londra un'adunanza privata dei rappresentanti le varie sezioni di quella Consociazione.

Uno dei fratelli Gambuzzi era desiderato come rappresentante la Sezione di Napoli e l'indirizzo del Segretario Corrispondente per l'Italia, presso il Consiglio Generale in Londra è il seguente

Mr. F. Engels 122 Regents Park Road N. N. Le lettere dirette al medesimo erano per suggestione dello stesso Engels rivolte a Miss Burns 122 Regent's Park. Delle investigazioni che l'E. V. avrà creduto di far praticare a tale riguardo, gradirò di avere qualche cenno dalla nota sollecitudine dell'E. V. (1).

104

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1640. Parigi, 7 settembre 1871 (per. il 10).

Accusando ricevuta del dispaccio che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi il 24 agosto scorso (2) e che si riferisce alla giurisdizione consolare in Tripoli ho l'onore d'informare l'E. V. che ho avuto oggi in proposito una conversazione col Signor di Remusat a cui ho esposto il contenuto del dispaccio stesso.

Il Signor di Remusat sembrò rendersi perfettamente ragione de' motivi che consigliano al Governo del Re di proporre le debite riserve non solo per l'Egitto, ma anche per Tunisi e mi ha impegnato a dirigergli una nota in proposito, !asciandomi comprendere che il Governo Francese non sarebbe alieno dall'associarsi alle due riserve.

Avrò cura di dirigere al Signor di Remusat questa nota, e se la sua risposta, come pare probabile, sarà nel senso del dispaccio dell'E. V., vi sarà luogo, suppongo, al mantenimento della proposta da Lei fatta precedentemente. Ad ogni modo mi farò premura di trasmettere all'E. V. la risposta del Signor di Remusat appena l'avrò ricevuta.

105

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 3400. Roma, 8 settembre 1871 (per. il 9).

Riscontrando alla nota a margine indicata (3), nel mentre La ringrazio della favoritami comunicazione, mi affretto a significarle che, dietro quanto ha riferito il R. Incaricato d'Affari a Londra, circa le difficoltà che incontrerebbe un servizio di speciale sorveglianza in detta città, e sulle spese che all'uopo

si dovrebbero incontrare, stimo opportuno di ricorrere all'espediente di ricercare se alle volte possa esservi qualcuno fra i funzionari attualmente in servizio, che possa inviarsi colà allo scopo di cui si tratta, onde mi riservo di prendere in proposito ulteriori determinazioni.

(l) -Annotazione marginale: c Scritto a Londra 9/9/71 •. (2) -Cfr. n. 82. (3) -Si tratta del D. 71 del 5 corrente, non pubblicato.
106

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 131. Therapia, 8 settembre 1871 (per. il 15).

Le tristi previsioni di cui fu mio debito di far precedentemente parte all'E.

V. sullo stato precario di salute in cui versava da qualche tempo Sua Altezza Aali Pacha, ebbero testé malauguratamente a verificarsi.

Con mio telegramma delli 6 corrente (l) io annunziai a V. E. che il Gran Vizir aveva cessato di vivere alle ore 4 e 1/2 del giorno stesso; egli soccombé ad un complicato malore tubercolare.

Nella giornata di ieri furono resi gli estremi onori all'illustre estinto. Non è negli usi religiosi del paese che i Capi missione od i forastieri in generale siano richiesti a convenire a tali cerimonie. Per deferenza però alla memoria di illustri personaggi dell'Impero, le Legazioni v'inviano a far atto di presenza, come si fece in questa circostanza, il Primo Interprete o qualche Membro delle rispettive Missioni.

Alla conferma dolorosa della notizia è appena d'uopo che io aggiunga che la perdita dell'eminente Uomo di Stato è vivamente sentita nell'Impero siccome essa sarà motivo a ben giustificato rimpianto all'estero. La gravità di tale irreparabile perdita non può non essere tanto più risentita in appresso.

La scelta fra i numerosi aspiranti al Gran Viziriato, quali Mustafà Fazyl, Kiamil Pacha, Mehemed Ruschdi Pacha, Mahmoud Pacha, non si fece attendere -nella giornata stessa di ieri per ordinanza espressa del Sultano così tosto formolata che messa fuori, l'ultimo di codesti personaggi venne investito dell'alta carica in discorso. Anche di tale notizia mi affrettai, come era mio dovere, di rendere consapevole V. E. col mio telegramma di ieri (2).

Mahmoud Pacha fu fin qui Ministro della Marina. Sua Maestà Imperiale ha particolar predilezione per tutto che ha tratto alla Marineria militare; nello Stato Maggiore di essa fece iscrivere, fa qualche tempo, uno dei proprii figliuoli, a cui il Ministro stesso aveva ordine di dar quotidiane cure -quindi l'occasione ad esso di acquistare maggior dimestichezza in Palazzo e di poter entrar molto avanti nelle grazie del Sultano -locché gli valse specialmente l'• Hatt • Imperiale che lo eleva alla suprema carica Viziriale, senza che possa dirsi però fino a quando, col perdurar in favore, si manterrà in essa.

Il nuovo Gran Vizir ha nome di uomo accorto non solo, ma alieno per carattere da avventate decisioni; benchè ignaro degli idioma e dei paesi d'occidente fu in qualche contatto cogli uomini di esso, all'epoca in cui, anni addietro, resse per più mesi il Ministero degli Esteri.

Si attende intanto la necessaria disposizione che provegga di titolare, il Ministero stesso degli Esteri che continua ad essere interinalmente retto da Server Effendi. Si parla per tale officio più che d'altri di Djemil Pacha attuale Ambasciatore a Versaglia.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 102.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A L'AJA, BERTINATTI

D. 15. Roma, 9 settembre 1871.

La ringrazio dell'avviso datomi relativo al viaggio che S. M. la Regina dei Paesi Bassi è in procinto di fare in !svizzera ed in Italia sotto il nome di contessa di Buren.

Sarà mia cura di avvisare in tempo le autorità doganali e quelle altre che debbono aver cognizione del viaggio della M. S. per facilitarlo in tutto ciò che è possibile.

V. S. Illustrissima suppone che io abbia già ricevuto qualche avviso in proposito dal signor Heldewier. Ciò non è. Questo rappresentante neerlandese è partito in congedo nei primi giorni di luglio dopo di aver fatto una breve apparizione in Roma durante il soggiorno del Re in questa capitale. Mentre egli è assente il Ministro del Belgio è stato incaricato del disbrigo degli affari olandesi in Italia, ma anche il signor Solvyns è assente da Roma nè sembra voler per ora lasciare la villa del Lago Maggiore dove è andato a passare la stagione estiva.

Le accenno tutte queste circostanze, signor Ministro, perchè mentre il rappresentante dell'Olanda presso il regno d'Italia è assente mi si dice che quello che rappresenta i Paesi Bassi al Vaticano non si è mosso da Roma. Io ignoro di questo signore persino il nome, ma la sua presenza m'è nota non foss'altro dalla recente narrazione, fatta dall'Osservatore Romano, della udienza in cui il corpo diplomatico, accreditato presso la S. Sede, ha presentato i suoi auguri a Sua Santità.

Dalle cose esposte V. S. ha già tirato probabilmente la conseguenza che spontaneamente si affaccia a tutti. Se il Governo olandese non pensa in tempo a mandare il signor Heldewier a Roma perchè vi si trovi al momento in cui arriverà la regina Sofia, sarà qui a riceverla ed a farle scorta un diplomatico con cui il Governo italiano non ha rapporti. Non mancherebbe certamente di produrre una spiacevole impressione al nostro paese il vedere che ad accompagnare la Regina dei Paesi Bassi nella capitale del Regno sia stato prescelto appunto il diplomatico che è accreditato presso la S. Sede ed è cosa sommamente rincrescevole che tale impressione possa prodursi in occasione del viaggio

di una Principessa di tanto ingegno che ha sempre professato vivissime simpatie per la causa nostra.

Questo mio dispaccio deve avere un carattere affatto confidenziale. Io desidero ch'Ella faccia sue le mie osservazioni ripetendole a codesto signor Ministro degli Affari Esteri acciocchè questi non possa in qualunque caso allegare dimenticanza od inavvertenza in un affare che anche all'Olanda conviene sia convenientemente regolato.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 337. Roma, 9 settembre 1871.

La ringrazio di avermi segnalato per telegrafo le disposizioni più favorevoli che Ella ha trovato presso il Signor de Remusat per ammettere anche per Tunisi le riserve colle quali noi abbiamo proposto di accompagnare la firma del protocollo relativo alla giurisdizione consolare a Tripoli di Barberia. Il nostro intento sarà sufficientemente raggiunto quando sia confermata la esistenza di una identità di vedute fra l'Italia e la Francia intorno a quel punto di questione.

In ordine alla sottoscrizione del protocollo presentato dalla Turchia, il Governo inglese ci ha fatto sapere, per mezzo del suo rappresentante a Roma, non essere egli alieno dal rinnovare, in forma collettiva, l'impegno preso col protocollo separato firmato a Londra. Sir A. Paget ebbe istruzione di dichiararmi che l'Inghilterra nel procedere da sola alla firma di quel protocollo non ha inteso di separare la propria azione da quella degli altri Stati interessati. In un affare nel quale il Gabinetto di Londra si trovava in massima d'accordo con la Turchia, non parve a Lord Granville di poter ricusarsi ad aderire alle premurose istanze che gli faceva l'Ambasciatore Ottomano.

Naturalmente il Governo inglese, allo stato attuale delle cose, desidera che noi gli facciamo conoscere se intendiamo firmare un protocollo separato, oppure se continuiamo a dare la preferenza ad un atto collettivo sottoscritto dalle quattro potenze.

Prima di dare una risposta a Londra, io desidero che V. S. abbia una conversazione con il Signor de Remusat, in seguito alla quale da noi possa prendersi una risoluzione definitiva.

La questione di massima, non poneva più dubbio neppure per la Francia che ci faceva sapere, sino dalle prime comunicazioni scambiate, essere disposta ad ammettere per Tripoli il principio sancito nel protocollo anglo-ottomano. Le difficoltà per il Gabinetto francese si riducevano al cambiamento di qualche espressione nel preambolo ed alla opportunità di ritardare a risolvere la quistione finchè fosse composta una vertenza sorta tra il Consolato francese di Bengasi e quella Autorità locale. Se io conoscessi precisamente quali sono le espressioni che il Governo francese intende modificare, e quali modificazioni

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egli intenderebbe precisamente di proporre, potrei scrivere a Londra per chiedere se nell'atto collettivo da firmarsi dalle quattro Potenze l'Inghilterra sarebbe disposta ad accettare i cambiamenti che la Francia desidera. Ma io credo che per intendersi sovra di ciò non occorra la nostra intermissione, bastando certamente che V. S. faccia conoscere le disposizioni del Gabinetto inglese al Signor de Remusat perchè questi possa procurarsi direttamente un accordo perfetto anche sulla questione della forma da darsi al protocollo. Al quale riguardo noi non intendiamo però insistere più del dovere, bastandoci di aver potuto verificare che lo avere le Potenze agito separatamente nell'affare della giurisdizione consolare di Tripoli, non significa, per parte di alcuna di esse, un disconoscimento dell'interesse identico che esse hanno di procedere concordemente in questi affari.

Se pertanto il Signor di Remusat per una qualsiasi ragione non istimasse cosa utile il richiedere l'Inghilterra di ripetere in un atto collettivo l'impegno da Lei già assunto separatamente, ancorchè ora si sappia che Lord Granville sarebbe disposto ad aderire a tale richiesta, io La pregherei di prendere atto di questa dichiarazione facendo sentire al Ministro degli Affari Esteri di Francia che dal canto nostro apriremo trattative colla Porta sulla base della firma di un protocollo separato. Noi non potremmo, senza far credere ad un malvolere che non esiste, ritardare maggiormente le trattative aperte dalla Turchia coll'Italia sulla base sovra riferita.

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L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3921. Costantinopoli, 9 settembre 1871, ore 20,30 (per. ore 1,15 del 10).

Server Effendi Mustechar, secrétaire général au ministère des affaires étrangères, élevé au grade de Muchir pacha, vient d'etre nommé ministre des affaires étrangères. A sa place un jeune fils d'Aalì pacha est nommé. Différentes modifications dans le Cabinet et dans le gouvernement des provinces se vérifient successivement.

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L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 681/245. Londra, 9 settembre 1871 (per. il 13).

Per molte ragioni gli affari d'Italia hanno recentemente fissata in modo particolare l'attenzione dell'opinione pubblica dell'Inghilterra. Il progresso morale e materiale che tutti i corrispondenti della stampa sono unanimi nel riportare da Roma, la prossima inaugurazione della grande comu

nicazione del Cenisio, da cui tanto vantaggio ne trarrà il commercio Britannico, e la supposta partecipazione della nostra Diplomazia agli scambi d'idee che, se non altro, hanno dovuto aver luogo a Gastein e a Salzburgo sono altrettante naturalissime cause di questo fatto.

La prosperità e l'importanza che acquista ogni giorno l'Italia sono oggetto di universale soddisfazione in questo paese che ci è sinceramente simpatico ed amico. Parimente la possibilità della nostra associazione ad un accordo di vedute fra i due grandi Imperi dell'Europa Centrale, -accordo che, come già ebbi occasione di dire a V. E., !ungi dal destare qui un sentimento di diffidenza è nel contrario contemplato come una garanzia di pace -viene discusso in uno spirito favorevolissimo a noi.

Un punto grave però ha fornito in questi giorni ampia materia di commenti alla stampa Inglese cioè i rumori, veri o infondati, i quali sono in circolazione circa lo stato delle nostre relazioni colla Francia. È superfluo che io additi l'importanza che gli uomini di Stato Inglesi accordano a qualunque più piccolo fatto che a ciò si riferisca, ma qualora mancassero ancora prove a V. E. dell'interesse che l'Inghilterra vi prende, mi permetto di inviarle, Signor Cavaliere, gli articoli di fondo pubblicati dal Times ieri ed oggi e dal Daily News, potendosi questi due giornali a buon diritto considerare come gli organi più influenti della stampa di qui. La gravità di questo soggetto certamente non mancherà di produrre nuovi commenti e riflessioni ma gli articoli suddetti possono tuttavia dare una giusta idea all'E. V. del modo al quale la nostra posizione verso la Francia viene giudicata in Inghilterra.

Or è appena una settimana che a proposito della dilazione spiegata dal Governo Francese nel costruire le 10 miglia di strada ferrata fra S. Miche! et Modane, le quali devono legare la grande arteria di ferrovia Italiana che passa attraverso il Cenisio al sistema delle linee ferrate francesi, il Times fa notare che questo ritardo non si deve interamente ascrivere alle calamità dell'ultima guerra ed alle conseguenze di essa, ma sibbene alla gelosia della Francia che prevede che la strada di Brindisi sarà preferita assolutamente alla via di Marsiglia nelle comunicazioni coll'estremo Oriente.

La Francia, continua lo stesso giornale, che si era dimostrata cosi favorevole al traforo del Cenisio allorchè non prevedeva che Solferino sarebbe seguito da Sadowa, sente raffreddare il suo zelo per quella nobile impresa adesso che gli Stati Italiani sono diventati un solo Regno con una sola frontiera ed una sola linea di strada ferrata da Susa a Brindisi.

Oggi il Times poi discutendo, nell'articolo che mando a V. E., l'incidente nato a Roma inqualificabile, se esatto, che l'intervento degli Agenti della corporazione Romana presso due Conventi, collocati con qualche pretesto sotto la protezione francese, fu apposto dal Cancelliere del Conte d'Harcourt invece di un mandatario del Rappresentante accreditato presso il Governo Italiano [sic], termina con queste parole:

• Gli Ambasciatori francesi furono da gran tempo avvezzi a considerare Roma come una dipendenza della Francia, ad assumere verso il Governo locale il tuono addicentesi ad un altro protocollo. Egli è ormai tempo che si avvedano che lo stato di cose è mutato, che il Governo di Roma non è più quello di un

12 -Documenti diplomatici -Serie li -Vol. ill

vecchio Pontefice dipendente dalla Francia per l'unico suo soffio di vita, ma quello di una giovane Nazione piena di aspirazioni, compresa di quanto deve alla sua propria dignità, avente titolo e probabilmente anche la determinazione di mantenere la sua posizione indipendente e con ogni ragione di desiderare l'amicizia della Francia, opposta ad acquistarlo col sagrifizio dei suoi diritti e col compromettere il suo onore •.

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IL VICE CONSOLE A TUNISI, MACHIAVELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 250. Tunisi, 9 settembre 1871 (per. il 14).

Confermo il mio telegramma in cifra, del 4 corrente (1), riassunto d'una comunicazione fattami per incarico del Bey dal Generale Elias Mussalli, 2° Direttore al Ministero degli Affari Esteri. Dissemi questi la vertenza della Gedeida ed altre aver dato luogo ad una corrispondenza molto attiva fra Costantinopoli ed il Bardo, in seguito alla quale S. A. S. aveva ricevuto perentorio invito di spedire a Costantinopoli un suo agente per intendersi colla Sublime Porta sull'avvenire della Tunisia (parole testuali del dispaccio turco); soggiungeva poi che, non osando il Bey nelle attuali circostanze resistere alla Turchia, avrebbe fatto partire il mercoledì seguente alla volta di Costantinopoli il Generale Khereddin, al solo scopo però di conoscere quali siano le idee della Porta e senza facoltà di addivenire ad un accordo qualsiasi; conchiudeva infine domandandomi di rimettere al Generale Khereddin una lettera d'introduzione pel Ministro del Re a Costantinopoli e di pregare l'E. V. di volergli impartire gli ordini opportuni, affinchè presti, occorrendo, appoggio al suddetto Generale.

Nel seguito della conversazione il Generale Elias mi manifestò la speranza, che le recenti divergenze non avessero mutati i sentimenti del Governo del Re verso la Reggenza per l'interesse che ha l'Italia che ne sia rispettata l'autonomia.

Risposi che avrei data la lettera d'introduzione pel Conte Barbolani e riferito all'E. V., secondo il desiderio del Bey.

La decisione d'inviare il Generai Khereddin a Costantinopoli fu presa, come seppi confidenzialmente da un funzionario del Bardo, in un gran consiglio, al quale intervennero i Consoli di Francia e d'Inghilterra, ed in cui pare siasi trattato da principio d'inviare a Costantinopoli Sidi Taib, uno dei fratelli del Bey, arguendosi ciò dall'aver il medesimo assistito al detto consiglio, malgrado la prammatica, che tiene qui lontani i Principi del sangue dagli affari politici.

Il fatto poi che, mentre consultavansi i consoli di Francia e d'Inghilterra, non si faceva neanche un cenno al Commendator Pinna delle esigenze della Turchia, sebbene egli si recasse al Bardo il giorno stesso che precedette la sua par

tenza, sembrami degno di esser notato in prova del sentimento di diffidenza, ond'è animato a nostro riguardo il Governo del Bey, ed a conferma del quale valgono pure le voci, sparse fra i mori aventi rapporti in corte, di progetti ostili verso la Reggenza da parte dell'Italia, a cui da molti si aggiunge ora la Prussia la quale appoggia energicamente al Bardo le pretese del Banchiere Erlanger per crediti, che la Commissione finanziaria rifiutò ammettere al passivo della Reggenza.

Fatto sta che il Console inglese, Signor Wood, coerente alle idee che ha sempre professate, si adopera anche in quest'occasione a tutt'uomo, perché il Bardo faccia buon viso alle pretese turche di alta sovranità sulla Reggenza, non rifinendo egli dal dichiarare che solo col venir riconosciuta parte integrale dell'Impero ottomano ed esser quindi compresa nella guarentigia, che l'Europa gli accorda, potrà la Tunisia trovare schermo nei conflitti colle Potenze vicine; devesi anzi al Signor Wood se il Bey accettò di deferire alla S. Porta la scelta del 5° arbitro nella questione della Gedeida con risoluzione così improvvisa che nè il Generale Khereddin, nè gli altri principali dignitari, all'infuori del Primo Ministro, furono consultati; onde malumori e perfino minaccie di dimissioni.

Il Generale Khereddin ritardata la sua partenza d'un giorno, muoveva per Costantinopoli il 7 corrente alle ore 10 a.m., prendendo imbarco sul vapore tunisino • Essad • comandato dal Vice Ammiraglio in persona.

L'E. V. troverà qui unita copia della lettera pel conte Barbolani, che ho creduto poter rimettere al prefato Generale anche senza previa autorizzazione, trattandosi d'un semplice atto di cortesia verso il Bey.

(l) Cfr. n. 97.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 873. Berlino, 10 settembre 1871 (per. il 14).

Siccome, pochi giorni dopo il recente convegno di Gastein il Signor de Thile aveva la compiacenza di leggermi la circolare del Principe di Bismarck che vi si riferiva, mi recai jeri a fargli visita, onde informarmi se il Cancelliere Imperiale gli aveva per avventura già dato qualche istruzione circa il modo di esprimersi relativamente al nuovo incontro dei due Imperatori a Salzburg.

Il Segretario di Stato non aveva avuto ancora veruna istruzione in proposito, e sembra che questa volta le riceverà verbalmente dal Cancelliere Imperiale, che deve giungere quanto prima a Berlino, per recarsi poi nuovamente a Varzin. La sola versione ufficiosa pertanto che continua ad aver corso, consiste nell'attribuire al convegno di Salzburg il medesimo significato che a quello di Gastein: sincera riconciliazione fra i due Governi, fondata sulla nuova situazione politica europea, conformità di idee circa le varie quistioni attuali, ed accordo morale per mantenere durevolmente la pace in Europa.

Biffatte dichiarazioni sono però assai vaghe, e mettono solo in evidenza la circostanza di fatto che, dopo i risultati decisivi dell'ultima prova tentata dalle armi francesi, l'Impero Austro-Ungherese abbandona la speranza che sino all'anno scorso aveva nudrito, di riprendere in Germania l'antica sua posizione: che una Potenza la quale volesse ora muovere contro di questa una guerra e mettere in forse lo stato di cose su cui è fondato il nuovo Impero, non potrebbe più fare assegnamento sulle antiche aspirazioni dell'Austria. È però difficile di prevedere fino a qual segno il Gabinetto di Berlino si sarà indotto ad assecondare i disegni di quello di Vienna nei futuri conflitti dei suoi interessi con quelli della Russia nelle cose d'Oriente. Il Principe di Bismarck avrebbe espresso su questo arduo punto il suo pensiero, dicendo di volersi adoperare con ogni miglior mezzo per mantenere inalterato il buon accordo con la Russia, senza però sagrificarle mai gli interessi della Germania. Le relazioni personali dello Tsar con l'Imperatore Guglielmo vi potranno in molta parte contribuire.

Da persona che a Gastein era in rapporti famigliari con alcuni degli uomini di Stato colà radunati, raccolsi che si divisava discutere nel secondo convegno, tenuto poi a Salzburg, di alcuni punti speciali sovra i quali era comune interesse stabilire un perfetto accordo. Accennasi alle difficoltà pendenti per la condotta da tenere verso la Chiesa Cattolica, la Rumenia e la Società dell'Inter

nazionale.

Sul primo punto, ammettendo che la definizione del dogma della infallibilità pontificia era tale da alterare le condizioni delle relazioni esistenti fra lo Stato e la Chiesa, i due Governi sarebbero andati intesi di prescindere dalla .considerazione di quel dogma nei loro rapporti con il clero e con i loro sud.diti cattolici. In una parte dell'Impero Austro-Ungherese l'insegnamento pubblico p. e. è a carico delle finanze dello Stato, e quindi facilmente sorgeranno .conflitti simili a quelli cui abbiamo assistito in Prussia, come il Signor Conte de Launay ebbe a riferirlo all'E. V. nel suo dispaccio politico N. 845 (1).

Quanto alla Internazionale, ho avuto già l'onore di accennare nell'ultimo rapporto politico che essa avrebbe fornito l'argomento di una discussione a Salzburg. Stando al tema che appunto in questi giorni sembra essere stato dato da svolgere ai più accreditati di questi giornali, non si tratterebbe tanto di misure repressive simili a quelle adottate altravolta a Carlsbad, quanto di risoluzioni generali ed urgenti nello stato odierno della quistione sociale. Converrebbe che i Governi mettessero dalla loro parte la classe degli operai col :soddisfarne le legittime pretese e col consacrarne nelle leggi i diritti: interessata al buon andamento della cosa pubblica, essa sarebbe ormai la sola diga efficace contro i travolgimenti sociali di cui è simbolo l'Internazionale, mentre fornisce ora un facile strumento nelle mani di chi mira a distruggere ogni ordine governativo.

Per ciò che si riferisce ai Principati Danubiani, i Gabinetti di Berlino e di Vienna converrebbero di adoperarsi entrambi onde far sì che il Principe Carlo non abbia ad abbandonare il trono. A tale oggetto si tratterebbe esclusivamente come cosa finanziaria la malaugurata quistione sorta dalle strade ferrate rumene.

A questo proposito noterò che, sino a jeri almeno, il Signor de Thile non sapeva nulla di una pretesa decisione del Governo tedesco, annunziata da questi giornali, di respingere a Bucarest una nota di quel Governo, diniegandogli, nella sua qualità di Stato vassallo, il dritto di fare delle comunicazioni dirette in via diplomatica. Sembra che il Gabinetto di S. Pietroburgo si assoderebbe ad una politica favorevole al Principe Carlo. Quantunque la Russia non abbia visto di buon occhio la riunione dei due Principati sotto un solo Sovrano, è tuttavia del maggiore interesse per essa di impedire un intervento armato della Turchia, che sarebbe la conseguenza di una rivoluzione a Bucarest.

Se realmente di queste varie quistioni si sarà trattato a Salzburg in tal senso, esse dovevano certamente venire in seconda linea, scopo essenziale della Germania essendo quello di togliere alla Francia le alleanze che questa volesse cercare per una nuova guerra. La preoccupazione che gli agenti francesi dimostrano per le voci di una adesione dell'Italia ad un supposto trattato di alleanza difensiva austro-tedesco, farebbe quasi credere a piani nascosti della Francia contro di noi. In tal caso sarebbe utile rafforzare l'opinione, che un attacco contro l'Italia verrebbe interpretato in Germania come il preludio di una nuova guerra franco-tedesca.

P. S. -Prendo la libertà di unire qui una lettera, che sarei grato all'E. V. di voler far rimettere al Signor Conte de Launay.

(l) Non pubblicato.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERNA, MELEGARI

T. 1754. Roma, 15 settembre 1871, ore 13,30.

Veuillez annoncer au président de la confédération la nomination du comte Sclopis comme arbitre italien pour les affaires de l'Alabama. Je vous prie de me dire si quelque décision a été prise relativement au moment de la convocation de la commission.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI

D. 20. Roma, 16 settembre 1871.

Già con altra mia lettera mi riservai di far conoscere a V. S. Illustrissima il nome del personaggio che sarebbe stato designato da S. M. il Re siccome arbitro per la definizione degli Alabama claims. Mi pregio oggi di notificarle che S. M. si compiacque di scegliere a tale ufficio S. E. il Conte Federigo Sclopis sena

tore del Regno, Ministro di Stato. Il decreto Reale porta la data d'oggi. Il Conte Sclopis il quale copri cariche cospicue ed è insignito dell'Ordine Supremo dell'Annunziata, è certo tra i più illustri cittadini del Regno. Io ho ferma lusinga che il Governo degli Stati Uniti vorrà ravvisare nella scelta fatta da S. M. un nuovo pegno dei sentimenti coi quali il Governo del Re ha accettato il mandato affidatogli dal Trattato di Washington.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 875. Berlino, 16 settembre 1871 (per. il 20).

Ho letto stamane il dispaccio circolare che il mio collega austriaco aveva ricevuto dal suo governo sovra la visita restituita a Salzburg dall'Imperatore d'Austria-Ungheria a quello di Germania. Siffatto dispaccio, che porta la data del 12 corrente e di cui l'E. V. avrà senza dubbio ricevuto comunicazione, non è che una ripetizione di quanto i giornali ufficiosi dei due governi hanno ormai ripetuto a sazietà relativamente a quel convegno: non vi fu stipulazione di sorta -scambio delle reciproche idee sovra le questioni presenti e sovra quelle che l'avvenire tiene in serbo -accordo reale e completo nel modo di apprezzarle -garanzia che ne risulta per il mantenimento della pace generale.

Hanno luogo attualmente delle trattative, che costituiscono un primo risultato pratico delle conferenze tenute fra i due Cancellieri Imperiali. A Salzburg, toccando delle cose di Rumenia, il Conte di Beust faceva osservare quanto importava di togliere al conflitto sorto per le strade ferrate di quel paese ogni carattere politico, !imitandolo ad una questione puramente finanziaria: i creditori azionisti avrebbero potuto in tale intento formare un comitato il quale negoziasse direttamente col Governo rumeno per riuscire ad una transazione. n Principe di Bismarck entrava volentieri in un tale ordine di idee, ed il Conte Beust ne fece tenere parola a Bucharest, dopo di che trasmise a Berlino delle proposizioni più precise; esse formerebbero una base sulla quale il Governo del Principe Carlo sarebbe disposto a quanto pare ad entrare in trattative con un consorzio che rappresentasse la totalità dei creditori. Si erano già costituiti a Breslau ed a Berlino comitati parziali di tal genere, ed anzi il primo aveva di già fatte delle proposte a Bucharest: il Governo rumeno però esige che il comitato col quale avrà da negoziare, sia generale per la rappresentanza degli azionisti, e che il Gabinetto di Berlino ne approvi innanzi tutto la formazione e lo scopo. Il Signor de Thile ha preso questa comunicazione ad referendum, ma non può guarì esservi dubbio che essa sarà accolta.

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L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 260. Pietroburgo, 16 settembre 1871 (per. il 29).

Sono in grado di confermare alla E. V. l'esattezza delle informazioni ch'ebbi l'onore di esporre, senza commentarle, nel mio rapporto dei 26 agosto/ 7 settembre n. 256 (1). Debbo peraltro renderla avvertita che l'impressione prodotta qui dagli abboccamenti d'Ischl e di Gastein si è ora modificata; ed ho ragione di credere alquanto dissipata l'atmosfera di sospetti in mezzo a cui il Gabinetto di Pietroburgo serbava, con qualche rara ed eccezionale manifestazione di malumore, quell'attitudine che suolsi qualificare di expectante.

Egli era nell'ordine logico che un ravvicinamento fra la Prussia e la rivale della Russia nelle quistioni orientali inquietasse tanto quest'ultima, quanto la Francia che tende a prepararsi alleati pel dì della rivincita. II linguaggio del Signor di Westmann a questo Ambasciatore di Francia trovava adunque la sua spiegazione in quegli stessi sospetti, mantenuti vivi dal mistero che naturalmente avviluppa siffatti Convegni, e veniva ancora ad avvalorarli l'ignoranza,

o meglio forse le mostre di calcolata dubbiezza sullo stato delle cose in cui, mi si dice, che il Signor di Banneville lasciasse, ad arte, ma con dimostrazioni di simpatia, il suo Collega di Russia in Vienna a fine di meglio controllare le proprie informazioni.

Le nozioni del Governo Russo erano per conseguenza insufficienti, come me lo diceva il Generale Leftò; ed il Signor di Westmann per iscandagliare l'Ambasciatore, esprimeva verso la Francia parole pomposamente simpatiche, alle quali le presenti condizioni passive di questa Potenza attenuavano il peso.

II Consigliere di Stremoukoff, Direttore del Dipartimento Asiatico, la di cui posizione influente presso il Principe Gorchakoff non è ignota alla E. V. m'interpellò pochi giorni fa chiedendomi, in modo faceto, se l'Italia avesse preso parte ai... (affettò di non ispecificare) di Gastein. Risposi con una quistione; domandando sullo stesso tuono, quale fosse il risultato dei Convegni.

Secondo lui il risultato non avrebbe raggiunto lo scopo primitivo cui mirava la Prussia, l'influenza e gl'intendimenti del Conte di Hohenwart avendo -contrabilanciato le disposizioni del versatile Conte di Beust.

Il linguaggio del Signor di Stremoukoff non dissimulava poca simpatia verso cotesto uomo di Stato; vantava egli il programma del Conte di Hohenwart, e palesava ammirazione per i Czechi di Boemia e per l'abilità dei Meneurs che li dirigono.

In un suo rapporto al Conte di Beust di cui il mio Collega d'Austria mi offrì lettura egli osservava che le comunicazioni fatte qui dalla Legazione di Germania avevano prodotto buon effetto, e suggeriva con prudenti forme l'opportunità che l'Austria facesse una comunicazione analoga.

Finora il Barone Frankenstein non ha avuto risposta.

Tutto quanto ho avuto l'onore di partecipare alla E. V. a propo:sito dei Convegni potrà servire, se non erro, a dipingere l'impressione prodotta qui. E mi sembra che un giusto apprezzamento della situazione e dei rispettivi interessi delle Potenze spieghi, distruggendola, l'apparenza di qualche contradizione che potrebbe infirmare l'esattezza delle impressioni da me ricevute.

Ho ragioni fondate di credere che questo Gabinetto sia nel pensiero che nulla sia stato conchiuso a Gastein da poter allarmare la Russia, e si può adunque presumere la linea politica da essa seguita non sia ora per modificarsi.

(l) Non pubblicato.

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IL VICE CONSOLE A TUNISI, MACHIAVELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 251. Tunisi, 16 settembre 1871 (per. il 21).

Nella comunicazione fattami dal Generale Elias Mussalli, argomento del mio rapporto precedente (1), era taciuta una circostanza importante, che cioè la Porta aveva invitato il Bey a recarsi in persona a Costantinopoli, ma egli, temendo che nella sua assenza nascessero torbidi, ovvero il Sultano gl'impedisse di ritornare a Tunisi, credè prudente seguire il consiglio datogli dal Signor di Botmiliau, di fare invece partire il Generale Khereddin, il quale è giunto felicemente in quella capitale lunedì scorso, dopo cinque giorni di navigazione. come ha per telegrafo annunziato al Bardo.

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IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 89. Washington, 17 settembre 1871 (per. il 5 ottobre).

Ieri ricevetti il telegramma che l'E. V. mi fece l'onore di rivolgermi il giorno innanzi (2) per ordinarmf significassi a questo Governo la Maestà del Re avere, in conformità coll'Art. 1° del Trattato di Washington, nominato S. E. il Conte Sclopis in qualità d'arbitro al Tribunale internazionale che debbesi riunire a Ginevra per l'aggiustamento della quistione detta dell'• Alabama •. E ne diedi pronta ed officiale contezza a questo Signor Segretario di Stato.

Ricevetti per la posta il dispaccio che l'E. V. mi fece l'onore d'indirizzarmi li 23 agosto (2) per confermarmi la sua adesione già comunicatami per telegrafo, alla proposta dei Governi della Gran Bretagna e degli Stati Uniti che io avessi

ad esercitare le funzioni di terzo Commissario nella Commissione dei richiami che secondo l'art. XII del predetto trattato sta per riunirsi in Washington. E prego l'E. V. d'aggradire i miei sentiti ringraziamenti per le lusinghiere espressioni che in questa circostanza si compiacque usare a mio riguardo.

(l) -Cfr. n. 111. (2) -Non pubblicato.
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IL CONSOLE A SCUTARI, PERROD, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 107. Scutari, 17 settembre 1871 (per. il 28).

Ho l'onore d'informare l'E. V. che il nuovo Governatore dell'Albania Mustafa Assim Pascià giunse in Scutari il 14 corrente mese e tosto prese le redini dell'Amministrazione. Egli fu ricevuto con giubilo dall'universale popolazione ed è sperabile che la sua presenza, essendo riuscita a tranquillare gli animi, varrà a promuovere quelle riforme e quelle opere di cui questo paese da tanto tempo negletto e trascurato ha il più urgente bisogno.

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L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 134. Therapia, 22 settembre 1871 (per. il 30).

È a mia notizia che il nuovo Ministro Imperiale degli Affari Esteri si preoccupa in questi giorni di una questione sollevata non è guarì dal Governo della Rumenia, sul diritto di avere all'estero una Rappresentanza avente il carattere pressochè diplomatico.

Appare che l'Agente d'Allemagna a Bucharest non tralascia occasione per accentuare l'obbligo della soggezione del Governo Principesco a quello altosovrano di Costantinopoli.

L'Allemagna non solo fa chiedere, come gli altri Governi, alla Porta il voluto berat per il riconoscimento dei suoi agenti Politici in Rumania, ma l'Agente Tedesco a Bucha_rest subordina l'insediamento ufficiale d'ogni Agente Consolare nel Principato alla previa approvazione del Governo ottomano; egli di più non accetterebbe dal Ministero del Principe comunicazione qualsiasi che per poco abbia un carattere politico. Si è perciò che il Governo del Principe Carlo si decise, non è molto d'indirizzare al suo Agente a Costantinopoli una nota in cui, dopo d'avere esposto tali fatti, cerca di provare come per consuetudine ammessa da lunga data, i Principati abbiano per mezzo di agenti loro proprii, regolarmente riconosciuti, diretti rapporti diplomatici alla Porta non solo, ma cogli Esteri Governi.

Alla comunicazione che il rimpianto Aali-Pacha avea avuto di tale nota, erasi questo accontentato di rispondere in allora e pel momento in un modo evasivo, che tutti i riguardi cioè continuerebbero ad essere usati all'Agente Rumeno in questa residenza, che i rapporti internazionali della Rumania cogli Esteri Governi non mancherebbero di conservarsi regolari ed illesi laddove, al pari del Governo Alto-Sovrano, quello di Bucharest, fedele ai patti sanciti si ispirasse esso pure ai migliori principii di conciliazione e di prudenza.

Il nuovo Ministro degli Affari Esteri raccolse fra gli altri meno agevoli compiti quello di atteggiare più nettamente il contegno e gli intendimenti del Governo del Sultano di fronte alla comunicazione in discorso.

Stan d'un lato, pelle decisioni a prendersi qui, le esigenze ben chiarite della Cancelleria Imperiale Tedesca di non riconoscere comechessia altra rappresentanza pelle faccende esterne della Rumania che l'azione della Sublime Porta, e dall'altro la tema di sollevare una questione che qui si comincia a chiamar Rumena da chi ha sentore di questi particolari.

Questo Agente Rumeno par avvedersi fin d'ora di modi men riguardosi da parte della Sublime Porta. Non altrimenti che all'Agente privato del Khedive, e di qualsiasi altro Pacha Governatore di Provincia, verrebbe diniegato, da qualche tempo, ogni favore doganale al Signor Strat nonchè altre agevolezze costantemente dianzi accordategli.

Di tali tendenze il Signor Strat mi pare pel suo Governo ne sia singolarmente preoccupato. Siffatte riservate informazioni ho da buon luogo, e V. E. non mancherà averne notizia dal R. Agente a Bucharest.

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L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 135. Therapia, 22 settembre 1871 (per. il 30).

Il Generale Tunisino Kheredin Pacha di cui annunziai precedentemente a

V. E. l'arrivo a Costantinopoli si compiacque visitarmi oggi.

S. E. nell'intrattenermi delle fasi della differenza fra il Governo del Re e quello del Bardo (i di cui particolari fui in grado di conoscere pella compiacente comunicazione mano mano fatta a questa Legazione da codesto Ministero dei documenti relativi) mi espresse il massimo desiderio del suo Governo che siffatta difficoltà venisse senza più composta a comune soddisfazione.

L'Inviato Tunisino lamentava di trovar al Governo in Turchia uomini nuovi, con cui non aveva potuto peranco interloquire efficacemente su tale questione. Fra i chiarimenti ch'egli sembrava chiamato a dare il Generale mi parve alludere in ispecie alla giustificazione eventualmente a fornirsi da lui alla Porta del rifiuto opposto già dal Bey alla scelta dell'Inviato Ottomano in Italia come quinto Arbitro -rifiuto che motivò una Nota Turca a Tunisi ch'egli qualificò di acerba assai: Il Bey cioè non accettò Photiades Bey perchè S. A.

lo aveva rifiutato di già quando la Società l'avea proposto -ma che faceva ora prova della maggior condiscendenza e di spiriti della miglior conciliazione nel promuovere e ratificare la scelta or fatta invece di quello, del personaggio Italiano ultimamente designato.

Nel serbar tutte le dovute riserve nella conversazione avuta coll'Inviato di Tunisi, non mancai di mostrarmi a lui grato della cortese deferenza usatami nell'essersi condotto a visitare la Legazione Italiana.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 116. Belgrado, 22 settembre 1871 (per. l' 1 ottobre).

Parmi potere restringermi ad inviare senza commentario a V. E. il discorso dei Reggenti quando fu aperta la Scuptcina di quest'anno.

Degli schemi di legge annunciati il solo che chiama l'attenzione è quello che si riferirà alla ferrovia: ma è mistero se alla costruzione di essa s'intenda provvedere con denari pigliati a prestito ovvero ad una società estera darne la concessione.

Il Governo serbo dichiara volere porre mente prima che ad altri oggetti alla pubblica istruzione ed all'esercito, e nell'ultima parte del discorso si dà un cenno che sembrami almeno incompleto dei risultamenti delle conferenze radunatesi in passato a Londra relativi a progetti di lavori nel Danubio, ed allato non si fa nessuna menzione dei lunghi e non fertili negoziati fra la Serbia e la Monarchia Austro-Ungarica per modificare le capitolazioni.

Dalla sessione presente non sorgerà alcun fatto che possa in qualche guisa turbare le relazioni estere del Principato, ma varrà a provare che se le leggi costituzionali non valsero ad infondere la vita costituzionale, almeno non furono da alcun partito o da alcuna persona più intraprendente ed energica presi come arma atta a disturbare la pace interna dello Stato.

Le dichiarazioni relative ad un progresso economico importante sono ai miei occhi premature: v'ha forse aumento considerevole di traffico, ma, se pur vi si ha, è minimo assai il progresso nel commercio, nell'industria e nell'agricoltura.

Nelle elezioni il Governo fu oltremodo favorito: i candidati dell'opposizione o meglio alcuni individui opponenti che presentaronsi furono negletti dagli elettori ed il numero dei deputati che nella Scuptcina darà la voce al Governo è sopraffacente in modo che i Reggenti non ebbero bisogno di esercitare per intero il diritto d'inviare all'Assemblea trentasei deputati scelti dal Principe, e solamente diciotto ne furono nominati.

Come V. E. vede a nessun Ministero in Europa è la via del governare meno intralciata dai deputati della nazione: ma a nessun ministero sta di contro una maggiore diffidenza nazionale verso il progresso e maggiore riluttanza ad uscire dalle vecchie idee ed a svestire la pesante cappa dei pregiudizi nazionali.

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L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 248. Londra, 25 settembre 1871 (per. il 29).

In eseguimento degli ordini contenuti nel di Lei dispaccio di questa Serie

n. 103 (1), ho l'onore di rassegnarLe che feci subito tutto quanto era in mio potere per cercar di sottoporre a sorveglianza il nominato Gambuzzi il quale, secondo le indicazioni dall'E. V. fornitemi nel precitato dispaccio, doveva rappresentare la Società Operaia di Napoli al meeting privato che i membri dell' • Internazionale • avevano fissato di qui tenere il 17 corrente.

Ella già ebbe, Signor Cavaliere, frequenti occasioni di sperimentare l'assoluta mancanza d'appoggio che la Polizia Inglese offre agli Agenti diplomatici esteri in questi casi. Essa però è bene informata, nei presenti momenti sopratutto, delle mene dei partiti sovversivi che trovano sicuro usbergo nelle vecchie istituzioni di questo paese. Fortunatamente, e per sola conoscenza personale di un Ispettore di Polizia, ho potuto sapere che veramente il giorno 17 ebbe luogo il meeting dall'E. V. annunziatomi, in una taverna situata in Percy Street N. 17.

Vi assistevano molti membri dell'c Internazionale • e fra essi non meno di Bergeret della Comune di Parigi e Thiez, che mi venne segnalato come uno dei più pericolosi capi dell'associazione attuale. Fra gli altri mi furono citati i seguenti nomi: Doby, Melotte e Urbain, ignoro se parente di quello recentemente condannato a Versailles.

A questa congrega era pur presente un Italiano, probabilmente il Gambuzzi, ma nulla su ciò mi venne detto di positivo. Mi riuscl tuttavia di accertare che egli fa realmente capo al ricapito di Regent's Park Road, inviatomi da V. E., e che l'Engel, di cui lo stesso individuo si serve, è un rivoluzionario tedesco notissimo.

Non si seppe o non mi si volle dire l'oggetto del meeting, ma non vi può esser dubbio che suo scopo fosse di trattare gli interessi della Società in connessione fors'anche cogli scioperi di operai in quest'istante esistenti in Inghilterra ed in varie altre parti dell'Europa.

La persona che confidenzialissimamente mi diede le informazioni che

precedono mi riconfermò quanto io già aveva l'onore di rassegnare all'E. V.,

cioè che regna attualmente un insolito movimento ed andirivieni di comunisti

tra il continente e questo paese e che il numero di rivoluzionari italiani in

Londra è pure maggiore dell'usato.

Mi venne assicurato che le continue domande di denaro rivolte dai Comunisti all'c Internazionale • sono state da questa ultima poco favorevolmente accolte e che ciò abbia anco da annoverarsi fra i motivi che indussero Felix Pyat a dipartirsi da questa città. La Cecilia, benchè non assistesse al precitato meeting, è tuttora qui.

In presenza di questi fatti il Signor Ministro dell'Interno potrà ancor maggiormente formarsi un criterio sull'utilità di avere in Londra un Agente speciale, di cui V. E. mi faceva cenno coll'altro suo Dispaccio Politico

n. 104 (1).

In ogni caso e qualunque possa essere la decisione del sullodato onorevole di Lei Collega, credo che pur sempre mi gioverebbe avere i connotati del nominato Gambuzzi.

(l) Non pubblicato, ma cfr. n. 103.

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L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1662. Parigi, 25 settembre 1871 (per. il 29).

Nel colloquio ch'ebbi ieri a Versaglia col Signor di Remusat io informai

S. E. di quanto col dispaccio in dala del 9 corrente l'E. V. scriveva al Cavalier Nigra (2) circa la firma d'un protocollo relativo alla giurisdizione consolare a Tripoli di Barberia.

Feci conoscere al Ministro Francese degli Affari Esteri che Sir A. Paget aveva dichiarato all'E. V. non essere il Governo Inglese alieno dal rinnovare, in forma collettiva, l'impegno preso col protocollo separato firmato il 12 Luglio ultimo a Londra e gli chiesi se con ciò egli non stimasse opportuno di trattare direttamente col Gabinetto di St. James per mettersi d'accordo sulla forma da darsi ad un nuovo protocollo collettivo.

Il Signor di Remusat mi promise, come tosto ne informai l'E. V. per telegrafo, che scriverebbe a tal fine senza indugio all'Ambasciatore di Francia a Londra, trovandosi ora in congedo Lord Lyons, col quale egli avrebbe altrimenti potuto trattare la questione.

Il Signor di Remusat, al quale ricordai in questo incontro la lettera statagli diretta dietro suo desiderio scritta dal Cavalier Nigra onde spiegare le ragioni della riserva relativa a Tunisi sulla quale il R. Governo credeva utile d'intendersi coi Gabinetti di Parigi e di Londra, non mi diede ancora su ciò una risposta categorica.

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L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 262. Pietroburgo, 26 settembre 1871 (per. il 6 ottobre).

Benché io debba supporre che le informazioni pervenute alla E. V. da Constantinopoli non La lascino in dubbio sulla soddisfazione provata da questo Governo per la nomina di Mahmud Pascià a Gran Visir e quella di Server

Pascià a Ministro per gli Affari Esteri, mancherei alla mia missione se omettessi di far notare la franchezza con cui tali nomine sono qui applaudite.

Il Signor di Westmann, discorrendone con me, qualificava di perdita internazionale la morte di Aalì Pascià, ed il Signor Stremoukoff palesava la simpatia del Governo per Mahmud Pascià e Server Pascià • eredi di quella sincera politica Russo-Turca inaugurata dal defunto Gran Visir e simbolica di pace in Oriente •.

Il Direttore dell'Imperiale Dipartimento Asiatico mi disse del timore avuto qui che venisse al potere Halil Pascià, facendomi anche l'osservazione che c'eut été un autre Beust.

Quell'Ambasciatore a Vienna è qui accusato di antipatia personale per la Russia e si sussurra ch'egli, cedendo alla sua tendenza favorita pei bons-mots, avrebbe con un alto Personaggio austriaco paragonato l'amicizia della Turchia con la Russia al bacio di Giuda, ritenendo, presumesi, per il suo Governo la parte del Tradito.

Da questo Incaricato d'Affari di Turchia ho saputo che Mustapha Pascià, Governatore Generale di Erzerum, aveva ordine di recarsi a Tiflis per complimentare l'Imperatore di Russia, ed era inoltre latore delle Insegne dell'Osmanié per il Gran Duca Michele, Luogotenente dell'Imperatore al Caucaso.

(l) -Non pubblicato, ma cfr. n. 105. (2) -Cfr. n. 108.
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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 3663. Roma, 28 settembre 1871 (per. il 29).

In continuazione del foglio n. 3182 in data del 23 agosto (1), mi pregio di comunicarle le seguenti ulteriori notizie politiche su Nizza, venutemi da fonte attendibile.

• Il partito francese comincia a commuoversi per la notizia che la stazione internazionale su questa ferrovia, sarà stabilita in Ventimiglia. La questione con molta moderazione è appena accennata dal Phare du Litoral e per ora le pretese si restringerebbero a far sì che le casse di mercanzie impiombate potessero essere sdaziate in Mentone o Nizza.

La polemica su tal questione è cresciuta in questi ultimi giorni e credesi che se ne aumenteranno sempreppiù le proporzioni, perché il partito francese del contado di Nizza avversa fortemente l'Italia. Un tal Rebuffe, negoziante di Mentone, ha scritto una lettera sul Phare du Litoral proponendo petizioni all'Assemblea, adducendo fra le altre ragioni che Ventimiglia e precisamente il luogo scelto per la stazione, sono di aria malsana, ed assicurando che attualmente vi sono seicento ammalati di febbri.

Il Pensiero di Nizza, salvato dalle strette finanziarie per opera del suo partito, guerreggia strenuamente e combatte sempreppiù acremente il Deputato Lefèvre e l'Ordre Social che lo sostiene.

Nel rimanente tutto è tranquillo.

Vi era del vero nella notizia che correva in Nizza circa l'andata colà e negli altri Dipartimenti ceduti dall'Italia, del Presidente Thiers. Ora si assicura non solo dai giornali nizzardi, ma anche da molti francesi, che quanto prima sarà attuato tale disegno.

Il Pensiero sta per superare una nuova crisi, ed è quella di dover apprestare, secondo una nuova legge, la cauzione di lire seimila. Pare sicuro che vi riuscirà perché già la nuova sottoscrizione è abbastanza proficua.

Nizza è tranquilla quantunque animati diverbi e vie di fatto per dissonanze politiche, siano all'ordine del giorno specialmente nei caffé degli Americani e della Maison Dorée. Però sono fatti isolati e privati, che rivelano il profondo dissenso ed antipatia, ma non accennano a pubbliche perturbazioni.

Il predetto giornale Il Pensiero ottenne ultimamente dal patriottismo dei Nizzardi il fondo abbastanza cospicuo di seimila lire per la cauzione e non è poco quando si consideri non essere gran tempo che aveva potuto raccogliere 4000 lire per abilitarsi al soddisfacimento delle multe.

Non fu altrettanto fortunato il giornale del partito Lefèvre, ossia del partito francese, L'Ordre Social, il quale ha dovuto cessare dalla pubblicazione per essergli venuto meno appunto il fondo di cauzione, secondo quanto si ha argomento di credere.

Resta a vedere se l'arrivo a Nizza del Signor Lefèvre annunziato dal Pensiero di ieri, non soccorrerà all'uopo, massimamente al cospetto della circostanza di trovarsi prossimi alle elezioni dei Consigli Generali ed alla necessità pertanto di un organo di più pel partito.

Anche il Deputato Bergondi è ritornato in Nizza, stando all'annunzio che ne dà il Pensiero.

Raccogliesi dal Phare du litoral una notizia ricavata dal primo numero di un giornale che venne in luce a Mentone sotto il titolo di Cosmopolita. Dice che la regina di Spagna (resta inteso che voglia alludere alla ex regina) per consiglio dei medici ha cercato una villa in quei dintorni al quartiere detto di Garavan.

(l) Non pubblicato

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 878. Berlino, 28 settembre 1871 (per. il 2 ottobre).

La questione del miglior modo di combattere l'Internazionale, e meglio ancora di prevenire gli sconvolgimenti sociali che si fanno tanto minacciosi, continua a formare qui l'argomento di serio studio. Ho avuto l'onore, nel rap

porto politico n. 873 (1), di dare all'E. V. un cenno di ciò che in proposito mi si riferiva essere stato detto a Gastein e a Salzburg, e mi affretto ora ad informarLa di alcune comunicazioni che hanno avuto luogo in seguito nel medesimo ordine di idee.

A Salzburg il Principe di Bismarck aveva insistito sull'interesse comune a tutti i Governi di reprimere l'azione dei comitati dell'Internazionale che, malgrado l'orrore manifestatosi in Europa per i fatti di Parigi, lavoravano apertamente a preparare forze bastanti per poterli rinnovare con miglior successo dovunque se ne presentasse l'occasione. Il Conte di Beust era pienamente d'accordo sovra cosifatto interesse di tutti i Governi, quantunque nell'Impero Austro-Ungarico i sintomi non fossero per ora così serii come in Germania, dove a Lipsia e ad Amburgo hanno la loro sede Comitati filiali della Internazionale. Il Cancelliere Imperiale austriaco non era però d'avviso che i mezzi repressivi valessero da soli ad ottenere un risultato pratico: conveniva, secondo lui, studiare i modi migliori per opporre una diga di interessi conservatori alle passioni di chi vuoi distruggere ogni ordine governativo: favorire e proteggere le pretese degli operaj, nel limite della giustizia, promuovere le associazioni in cui essi trovino vantaggi reali e duraturi: togliere, così in una sola parola dalle mani dei sovvertitori l'arma di cui si valgono per mantenere ed usufruttare il malcontento nato da molteplici cause nello sviluppo odierno delle imprese e delle industrie. II Principe di Bismarck approvò questo pensiero, e si fu per aderire ad un suo desiderio, che il Conte di Beust dopo il convegno di Salzburg comunicava a Berlino un memorandum, nel quale il suo concetto era lungamente svolto. La specie di accordo che intanto si era preso, era quello di preparare i lavori necessarii onde proporre poi agli altri Governi la riunione di una commissione internazionale che avrebbe discusso il da farsi: l'invito sarebbe a suo tempo partito dal Gabinetto di Berlino.

In data del 16 corrente, il Conte di Beust fece pervenire qui un secondo memorandum, che non si inspira più ad un punto di vista generale, ma tratta la medesima quistione nei suoi rapporti con la legislazione dell'Impero AustroUngherese, ed entra in minute particolarità sui mezzi di accontentare le classi operaje: convien però notare che a questo proposito lo scritto in discorso accenna più che ad altro all'esempio di associazioni che hanno fatto già buona prova di se. Il Cancelliere Imperiale Austriaco insiste nuovamente sulla insufficienza della repressione: esso vorrebbe che J.a commissione internazionale si prefiggesse apertamente come programma del suo lavoro, Io scopo di migliorare le condizioni delle classi sofferenti della società e di soddisfare con maturo esame le loro richieste che ora pajono così pericolose; la repressione sarebbe un corollario di questo programma, il quale non apparirebbe quindi siccome odioso alle classi popolari.

Qui a Berlino, il Governo si occupa in questo momento di costituire una commissione speciale di uomini competenti, la quale dovrà esaminare le condizioni sociali moderne, scovrire il male, e ricercare quali sono praticamente le misure da proporsi per rimediarvi. Nel seno della medesima verrebbero

poi scelti i delegati tedeschi per la commissione internazionale da proporsi, se vi sarà luogo, agli altri Governi. Rimane ancora da vedere se questi ultimi saranno tutti disposti a convenirvi.

In questi giorni il Governo francese scriveva qui al suo rappresentante con quanta soddisfazione egli vedeva altri Stati occuparsi seriamente dei pericoli della Internazionale, V. E. ricorderà difatti come, prima dei convegni di Salzburg e di Gastein, il Signor Favre allora Ministro degli Affari Esteri, sotto la impressione degli orrori della Comune, aveva già diretto a tale scopo una circolare agli altri Gabinetti. Il Conte di Rémusat non dimostra però molta simpatia per il progetto di una commissione internazionale, temendo di offendere anche solo in apparenza quei principii di libertà che stanno a fondamento del Governo della Francia. Ciò nondimeno esso troverebbe conveniente. che tutti gli Stati si mettessero fra di ·loro d'accordo per applicare, ciascuno per conto proprio, le medesime norme di repressione· preventiva: vorrebbe vedere da tutti adottato il principio che il solo fatto di appartenere ad una Società che si prefigge lo scopo di distruggere l'ordine sociale, costituisca un delitto e sia come tale colpito dalla legge penale: concorda però con il Conte di Beust nel rimanente del suo largo programma di migliorazioni sociali. Mi sembra che per il Governo Francese la principale preoccupazione sia quella di evitare le apparenze contrarie alla libertà, giacchè i voti che esprime il Conte di Rémusat per un accordo nèi mezzi identici di repressione equivalgono esattamente, meno la forma, alla commissione che gli ripugna.

L'ostacolo principale si incontrerà nella legislazione inglese, che per tradizione incrollabile rifiuterà ogni repressione, sintanto che non sia provocata con vie di fatto. Ed è, appunto a Londra che tengono tranquillamente la loro sede centrale le delegazioni di ogni Paese della Società l'Internazionale. Mi par difficile che il Governo inglese consenta a disturbare quei convegni, se non avrà prima dovuto subire esso stesso gli amari frutti di tanta tolleranza.

Da quanto ho avuto l'onore di riferire sin qui, l'E. V. vedrà che il progetto di una commissione internazionale per la quistione sociale, nato dal convegno dei due Cancellieri Imperiali, non può in ogni caso essere di una attuazione molto prossima, ma che a Berlino se ne prosiegue la realizzazione.

(l) Cfr. n. 112.

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L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 136. Therapia, 29 settembre 1871 (per. il 6 ottobre).

L'Inviato di Tunisi non fu per anco ricevuto dal Sultano, ma ha frequenti conferenze coi Ministri della Porta. In esse -so di buon luogo -non è questione tanto delle fasi e della soluzione della vertenza tra l'Italia ed il Governo del Bardo, come della convenienza e del miglior modo di definire nettamente d'or innanzi i rapporti tra la Potenza Alto-Sovrana e la Reggenza.

13 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

Il Governo del Bey è in possesso -mi notava con compiacenza il Generale Khereddin stesso -d'una vera autonomia per diritto consuetudinario di tre secoli. Convien perciò dire che se il Governo di Tunisi, che fin qui perfettamente si accomodò di tale sanzione, consente ora a negoziati o per avventura ad un accordo esplicito sui suoi diritti e doveri, lo faccia -se non è semplicemente malaccorto -o per non inasprire il Governo Imperiale con un rifiuto reciso o perchè creda di infrenare qui le aspirazioni ad una supremazia assoluta sulle popolazioni Musulmane per parte di chi vuol essere Capo politico come religioso dell'unità Islamitica.

Di siffatte tendenze del Governo del Sultano a ridurre i Vassalli ad assoluta soggezione Khereddin Pacha nel discorrerne incidentalmente meco se ne mostrava per lo appunto inteso -e come esse si manifestarono nelle suscettibilità or appena sopite coll'Egitto, e nel fatto dell'ultimo firmato protocollo su Tripoli, e nelle recenti intraprese nell'Yemen e nel Nedjed, così si affermano ora negli attuali adopramenti in discorso relativi a Tunisi.

Il Generale Khereddin avrebbe eziandio missione di ottenere dalla Porta un firmano che sancisca un mutamento nell'ordine di successione nella Reggenza, in favore della linea discendentale invece di quella dei collaterali.

Tale innovazione, laddove consentita, non avrebbe pratica applicazione che pell'avvenire, il Bey non avendo figli, ma il principio in se stesso non può che essere consono ai sentimenti del Capo di questa Dinastia Regnante, e suscettibile quindi d'essere accolto con favore.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AD ALESSANDRIA D'EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 173. Alessandria, 29 settembre 1871 (per. il 5 ottobre).

In continuazione ai miei rapporti N. 169 (l) e 171 (2) ho l'onore di informare l'E. V. che per notizie giunte dalla Legazione di Costantinopoli a questo Agente Britannico non può concepirsi dubbio sulle intenzioni favorevoli del nuovo Gran Vizir e del nuovo Ministro degli Affari Esteri per la riforma Giudiziaria in Egitto. Ma parrebbe che la Porta, d'accordo con il Governo Inglese, o almeno con la Legazione, vorrebbero introdurre qualche modificazione al progetto presentato all'approvazione dei Gabinetti Europei.

Il Viceré che mi ha comunicato questa notizia ignora tuttavia quali sarebbero le modificazioni proposte. Nubar suppone che debbano riguardare lo studio e l'approvazione dei Codici che le Potenze si sono riservate. Il Signor Moore, gerente l'Agenzia Inglese, mi ha assicurato che non si tratterebbe che di modificazioni di nessuna importanza.

Il Viceré a cui la Porta non si è rivolta direttamente ma che per mezzo

degli agenti Inglesi gli ha fatto pervenire queste sue intenzioni, ha risposto

non potere accettare nessuna proposta di modificazione del progetto primitivo,

tanto più che a suo credere la Porta stessa non potrebbe modificarlo dopo di

averlo essa stessa comunicato alle Potenze ed attenutone l'approvazione. II

Viceré ha diretto un memorandum in questo senso all'Ambasciatore Inglese.

Dai discorsi del Signor Moore pare che il suo Governo o la sua Ambasciata

propugnino più che la Porta le modificazioni che vorrebbero proporre, e che

forse il Governo Inglese prenderebbe l'iniziativa a trattarle con gli altri Go

verni.

Ho creduto opportuno di ripetere tanto al Viceré che al suo Governo, le riserve che il R. Governo intendeva prendere quando si pensasse di modificare il progetto di riforma da esso già studiato.

Il Viceré nel darmi queste notizie mi ha interessato pregare l'E. V. in suo nome di voler fare agire la R. Legazione a Costantinopoli presso Server Pascià onde persuaderlo a non far nascere nuovi ostacoli ad una riforma, richiesta d'urgenza, dagl'interessi generali del paese e degli stranieri. E dopo la riforma di amministrazione interna introdotta dal Viceré, la cui legge ho rimessa all'E. V., quella giudiziaria è divenuta molto più necessaria per la nostra Colonia che per l'Egitto stesso.

Oso sperare che l'E. V. vorrà aderire alle preghiere del Viceré.

(l) -Cfr. n. 86. (2) -Non pubblicato.
130

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, R. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 31. Madrid, 30 settembre 1871 (per. il 6 ottobre).

Il R. Console Generale a Barcellona avrà telegrafato alla E. V. la partenza di S.A.R. il Principe di Piemonte.

Sua Altezza, che si degnò esprimermi il desiderio -siccome ebbi l'onore di informarne l'E. v. col mio rapporto di questa serie n. 25 delli 25 agosto andato -(l) ch'io Le facessi seguito nella Sua gita in Andalusia, giunto a Malaga, m'invitò a seguirlo sino a Barcellona, perché dovendo, a causa della presenza in questa città dell'Augusto Suo Fratello, !asciarvi di bel nuovo l'incognito mantenuto in Andalusia, credette opportuno che l'Incaricato d'Affari d'Italia Le fosse accanto.

La mattina medesima, che il nostro Principe Reale partiva per Genova, il Re di Spagna lasciava Barcellona continuando il viaggio nelle provincie di Catalogna e di Aragona.

Sua Maestà si è degnata volermi con sè fino a Lerida, dove ho preso la via diretta di Madrid ed ho potuto assistere alle ovazioni di entusiasmo che in ogni luogo Le si facevano simili a quelle che già vedemmo in Barcellona.

lo non credo di dover fare all'E. V. una relazione di questo viaggio del Re, imperocché dal telegrafo e dai rapporti dei Consoli nostri Ella ne sarà stata informata; ma questo posso dire che a farsi una esatta idea di quanto è occorso, conveniva essere spettatore, e che ogni descrizione mi è sembrata pallida ed inferiore a quanto ho veduto. E io non credo di esagerare dicendo che la Dinastia si è, con questo viaggio che a buon diritto è stato detto un trionfo, più radicata in !spagna che non l'hanno potuto le passate per venerazione secolare. Era uno spettacolo nuovo in questo paese vedere il Re, lasciata indietro la scorta, avanzarsi solo a piedi ed a cavallo nella folla, onde sin dal primo momento l'aspettazione e la curiosità generale si mutavano in applausi ed in entusiasmo. Ed alla fama acquistata di Re liberale dalle recenti prove dell'ultima crisi, ora vi si aggiungeva il fascino (mi sia concessa la parola) esercitato da

S. M. su quanti Spagnuoli lo avvicinano, da quel suo modo di essere, per cui traluce la grande sua stirpe, così lungi dall'alterigia, come da ogni familiarità di chi mendica il favore popolare, e che fa dire a chi lo scorge: quegli è il Re.

Questa nazione che, frammezzo a tutte le vicende patite, ha serbato sempre un carattere nazionale di nobiltà e di dignità ed un tipo che chiama • Hidalguia •, ha incontrato, sorpresa e ammirata, questo suo ideale sul Trono; né altro vogliono dire le parole che ho udite io medesimo pronunziare nelle folle traversate: Egli è davvero il Re degli Spagnuoli, e le grida dovunque ripetute di Viva il Re Cavaliere.

Quello che poi dà il suo carattere principale alle dimostrazioni è la spontaneità loro; è il popolo che accorre tutt'intero ad acclamare ed a festeggiare il suo Principe, mentre -come a Barcellona per atto di esempio -le Autorità non solo si astennero da qualunque eccitamento per timore che il popolo non reagisse in senso opposto, ma stettero dubbiose ed inquiete sino all'ultimo istante sull'accoglienza che riceverebbe Sua Maestà. Ed i più intransigenti repubblicani, vinti essi pure, né sapendo come conciliare la professione di fede della vigilia coll'entusiasmo pel Re, interrogati rispondevano: noi vogliamo la Repubblica col Re Amedeo •.

Sua Maestà è oltremodo soddisfatta e mi diceva che l'accoglienza ricevuta iu di gran lunga superiore ad ogni sua aspettativa.

A Zaragozza furono le ovazioni uguali a quelle delle altre Città. A Logro'fio il Re è stato ricevuto alla stazione dal Generale Espartero Duca della Vittoria, e poiche Sua Maestà ebbe abbracciato questo Veterano della libertà spagnuola, il Duca pronunziò un discorso giurando difendere la Dinastia, che terminò al grido di • Viva il Re e la Regina • che fu da tutti ripetuto.

Sua Maestà fa domani ritorno a Madrid. Accusando a V. E. ricevuta dei due pregiati dispacci politici n. 4 e 5 (l) delli 14 del corrente e riserbandomi di rispondere nel più breve spazio di tempo possibile a quello che tratta delle Corporazioni religiose in !spagna colgo questo incontro...

(l) Non pubblicato.

(l) Non pubblicati.

131

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN

D. 347. Roma, l ottobre 1871.

Il Signor Barone de la Villestreux mentre già era travagliato dalla malattia che lo condusse alla tomba volle farmi conoscere il senso generale delle istruzioni impartitegli dal Signor di Remusat circa le relazioni della Francia con l'Italia. In queste istruzioni il nuovo Ministro degli Affari Esteri di Francia accenna ad una conversazione che io ebbi qualche tempo fa coll'Incaricato d'Affari francese, e si rallegra di sapere che io abbia considerato la sua nomina a Ministro degli Affari Esteri come un pegno del desiderio della Francia di mantenere coll'Italia delle relazioni fondate sopra il reciproco buon volere e sul buon accordo che deve esistere fra i due paesi. Rammenta egli stesso di avere qualche titolo a non essere considerato in Italia come un nemico, e si dimostra lieto che nelle mie conversazioni col Signor de la Villestreux io abbia particolarmente insistito sopra le simpatie ben note dello insigne pubblicista per il nostro paese. Inspirandosi a tale concetto, il Ministro degli Affari Esteri di Francia spiega al rappresentante della Repubblica in Italia il senso del discorso pronunziato dal Signor Thiers nell'Assemblea Nazionale, ne dimostra il tuono moderato ed il senso pacifico, il quale mentre toglie, dic'egli, ogni dubbio circa ai sentimenti della Francia verso l'Italia, esclude l'idea che quella voglia, in una misura qualsiasi, rimettere in questione lo stato delle cose stabilite nel nostro paese. Ho notato specialmente un periodo di quelle istruzioni con cui si mettono opportunamente in luce i vincoli naturali che esistono fra l'Italia e la Francia.

Per ciò che concerne gl'interessi francesi relativi alla Santa Sede, il Signor de Remusat ripetendo le cose dette dal Signor Thiers nell'Assemblea ne deduce la dichiarazione esplicita che l'indipendenza religiosa della Santa Sede è uno dei grandi interessi politici e sociali del suo paese, che questi interessi impongono alla Francia dei doveri che essa non può trascurare, ma che le sono comuni cogli altri stati cattolici, ai quali la Francia si unirebbe per adempiere alle sue obbligazioni. Ogni volta che parla di questi doveri della Francia verso il Pontificato Romano, il Signor de Remusat accenna nelle sue istruzioni al carattere spirituale degli interessi che il suo paese è chiamato a difendere in Roma, ed egli confida in particolar modo nello spirito di transazione e di conciliazione del Governo Italiano per appianare le difficoltà della situazione creata al S. Padre dagli avvenimenti compiutisi in Italia.

L'emozione prodotta nel nostro paese dalle discussioni dell'Assemblea fran

cese, non sarebbe dunque, agli occhi del Signor di Remusat, giustificata. A questo

proposito, il Ministro degli Affari Esteri di Francia deplora il linguaggio della

stampa italiana che avrebbe contribuito a far nascere delle impressioni discor

danti dalla realtà dei fatti.

Tali sono, nelle istruzioni date al Signor de la Villestreux, i punti più rimarchevoli, ed io, nel segnalarli alla S. V. ne prendo atto con tanta maggiore soddisfazione che essi corrispondono pienamente al linguaggio che lo stesso Signor de Remusat mi tenne, nei colloqui che io ebbi con lui, in occasione delle feste inaugurali della galleria del Cenisio.

Dal canto mio non ho che a riferirmi al dispaccio che in data del 16 luglio indirizzai a codesta R. Legazione (1), per indicare il tenore del linguaggio che io tenni alla mia volta al Signor di Remusat. Niuno deplora quanto me che in una parte della stampa italiana si manifestino diffidenze esagerate ed ingiusti rancori verso l'attuale governo francese. È però debito di giustizia il riconoscere che buona parte del giornalismo francese si fa l'organo di sentimenti tali verso l'Italia, da fare sì che non sia difficile a comprendersi l'atteggiamento analogo di alcuni giornali italiani. Ad ogni modo però i due Governi convinti dello interesse reciproco di mantenere fra loro le attuali relazioni di fiducia e di concordia, devono dedicarsi entrambi all'opera comune di condurre a miglior indirizzo l'opinione pubblica traviata da violente passioni e da falsi giudizi nelle cose e negli uomini.

L'Italia ha del resto un interesse anche maggiore della Francia a serbare verso il Sommo Pontefice tutti quei riguardi che gli son riconosciuti da una legge solennemente votata dal Parlamento e sancita dal Re.

Non solo è sincero desiderio nostro, ma è suprema necessità politica del nostro Stato che l'indipendenza spirituale della Chiesa rimanga illesa e tale sia riconosciuta da tutto il mondo cattolico. Il Governo Italiano, dacchè fu posta la questione romana, ha fatto base principale del suo programma la separazione della Chiesa dallo Stato e la completa libertà del Sommo Pontefice nello esercizio della sua missione religiosa. L'Italia non potrebbe quindi venir meno alle sue promesse sotto questo rapporto, ed Ella vorrà fare osservare quando gliene si offra la occasione, che la migliore sanzione di quei riguardi che le potenze cattoliche ci consigliano verso la Chiesa, consiste, all'infuori del nostro vivo desiderio di mantenere colla Francia e colle altre Potenze cattoliche le nostre ottime relazioni attuali, nel nostro supremo interesse di non spostare la base fondamentale di tutta quanta la nostra politica interna, di mantenere saldi quei principi a cui s'informa ormai tutta la nostra legislazione.

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IL VICE CONSOLE A TUNISI, MACHIAVELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 257. Tunisi, 1 ottobre 1871 (per. il 5).

Ieri a sera tarda ho finalmente ricevuta la risposta del Primo Ministro alla mia nota dei 19 Settembre p. p., relativa all'arbitraggio per la questione della Gedeida. Andava congiunta al testo arabo la traduzione in lingua italiana, della quale unisco copia.

La proposta, che fa oggi il Bardo, non meriterebbe neppure di esser presa ad esame, se non fosse che io credo poter la medesima esser trasformata in guisa da diventare accettabile. Infatti ora il Governo tunisino è unicamente dominato dalla puerile preoccupazione che gli arbitri siano per giudicare senza ben conoscere gli elementi di fatto della controversia, se prima non praticano essi stessi in Tunisi i necessarii incombenti; potrebbe quindi stabilirsi che la commissione arbitratrice si riunirebbe a Firenze sotto la presidenza di S. E. il Cavalier Vigliani e che per gli atti di procedura, che possa occorrere di compiere sul territorio della Reggenza, si recherebbero in Tunisi gli arbitri scelti dalle parti, per riunirsi poi di nuovo a Firenze e giudicare sotto la presidenza della prefata E. S.

Così gl'inconvenienti si ridurrebbero ad incomodare senza necessità tutti quattro gli arbitri scelti dalle parti e ad incontrar spese, che si avrebbe potuto almeno in parte evitare; ma nulla vi sarebbe di contrario ai principi che regolano in materia.

Sottopongo questa mia idea all'alto apprezzamento dell'E. V. e del Cavalier Vigliani, persuaso che il Bey non farebbe troppe difficoltà ad accettarla.

ALLEGATO

MUSTAFÀ A MACHIAVELLI

Tunisi, 30 settembre 1871.

Lode a Dio solo!

All'onorevole, distinto e perfetto Signor G. B. Machiavelli, Vice Console Reg

gente il Consolato Generale d'Italia in Tunisi (che Iddio conservi).

Abbiamo ricevuta la vostra lettera dei 19 Settembre 1871 e preso nota delle

osservazioni contenutevi riguardo all'arbitraggio voluto per la definizione della

vertenza colla società agricola per la Tunisia.

II Governo di S. A. il Bey, come voi ben sapete, aveva, sul principio, adottato

il sistema italiano per l'arbitraggio in quistione, scegliendo per quinto arbitro

S. E. il Cavalier Vigliani. Più tardi, avendo il Governo tunisino saputo per mezzo del Consolato Generale d'Italia quanto gli veniva riferito dall'Eccelso Governo italiano, cioé che S. E. il Cavalier Vigliani aveva accettato l'incarico affidatogli, ma che, siccome le numerose occupazioni dell'E. S. risultanti dalle sue variate funzioni impedivangli di potersi recare in Tunisi per trattare quivi l'affare, il Governo italiano proponeva che si seguisse nell'arbitraggio il sistema francese, ed il Governo tunisino aderì pure a questa nuova proposta, volendo mostrare il suo desiderio di vedere sistemata questa vertenza.

Ora, la vostra lettera precitata addimostra il pensiero di un nuovo cambiamento di sistema per adottare da ultimo il sistema italiano, e, vista l'impossibilità nella quale si trova S. E. il Cavalier Vigliani di recarsi a Tunisi, si vorrebbe che la Commissione d'arbitraggio si riunisse a Firenze, desiderando l'E. S. assistervi in persona. Questa ultima proposta fu sottomessa all'Augusto Nostro Sovrano.

S. A. è d'avviso che la riunione a Firenze di questa Commissione per esaminare i dettagli della vertenza e per giudicarla riesce impossibile: per ciò la Commissione potrebbe riunirsi a Firenze per pronunciare la sua sentenza soltanto; ma in quanto all'istruzione dell'affare, all'esame dei documenti ed a tutti i lavori preparatori per la sentenza in un modo perfetto, essi non potrebbero trattarsi che a Tunisi, perchè fra le altre bisognerebbe citare in persona i testimoni:, verificare sui luoghi medesimi certe cose, e via discorrendo di altre circostanze che potrebbero far nascere il bisogno di penetrarsi della verità.

In questo stato di cose S. A. propone che i quattro membri componenti la Commissione d'arbitraggio, ad eccezione di S. E. il Cavalier Vigliani, si riuniscano a Tunisi, esaminino i dettagli della vertenza con tutte quelle particolarità necessarie ed avendo così fatto il loro rapporto preparatorio si rechino presso il quinto arbitro per pronunziare seco lui la sentenza, dietro tale rapporto. In questo caso, il Governo di S. A. invierebbe a Firenze un suo incaricato per assistere al giudizio colla parte avversaria.

Ecco quanto S. A. è d'avviso sul da farsi e che ci ha ordinato di comunicarvi per essere messo in esecuzione se è possibile. Conservatevi sotto la santa guardia di Dio. Scritto dal povero innanzi al suo Dio il Generale di Divisione Mustafa, Primo Ministro e Ministro degli Affari Esteri, li 16 Regeb 1288 (30 Settembre 1871).

(l) Cfr. n. 21.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 117. Belgrado, 2 ottobre 1871 (per. l' 8).

Non giunsero in Serbia le dottrine socialistiche ed il lavoro come lo scarsissimo numero dei lavoratori non danno campo a che prendano radice i germi dell'. Internazionale • che tanto male cagionarono e tanto ne minacciano altrove. Tuttavia si stampa qui il Pradinik (operajo) gazzetta di opposizione ed ultra radicale; essa difese la • comune • e gl'incendii ed i massacri; e vien letta più che ogni altro diario. Mi si assicura che riceve sussidio in danaro da Gipevra.

Non vedrei quale scopo pratico e diretto vengano a ricercare gli agitatori europei: se alcun sconvolgimento qui potrà essere tentato non potrallo che nel campo politico, e non per sicuro nel campo sociale e nell'economico. Intorno a questa gazzetta si va formando un gruppo di malcontenti: son professori rinviati, studenti ed impiegati ed anche ecclesiastici fino ai quali giunge l'influsso dei nichilisti della Russia, fra l'azione dei quali e quella dell'internazionale noterassi nel futuro, se non è ancora notata, un'analogia di dottrine e di programmi. Questi malcontenti riunisconsi a Neusatz ai Serbi Ungheresi che cosi aspra sebbene non pericolosa guerra fanno al Governo di Pest, e se congiugerannosi le idee repubblicane e socialistiche alle idee nazionali e serbe e se saranno confuse in un solo programma, nasceranne un grave pericolo a questo Governo, e ciò che più importa saranno i Governi dell'Europa colta di meno in meno propensi a favorire il progressivo svolgimento politico di questi popoli.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R.ll8. Belgrado, 2 ottobre 1871 ( per. L' 8).

Che fra le questioni di maggiore momento per l'avvenire della Serbia primeggi la costruzione di una ferrovia non è universalmente riconosciuto nel Principato : che la minaccia di una diretta comunicazione delle ferrovie ottomane colle linee ungheresi al di fuori della Serbia sia minaccia al progresso suo economico, sociale e politico, vuolsi negare da parecchi: e di questo fatto, misura della condizione della cultura di questo popolo, sembrami dovere esserne menzione nelle mie relazioni.

Fra le gazzette sorte negli ultimi tempi si fa notare e per la copia degli argomenti in essa trattati e per l'opposizione abilissima al governo dei Reggenti, l' • Operajo • (Ludinik): esso è generalmente letto e gli venne riuscito di sollevare in Belgrado l'opinione di tutti i ceti contro la costruzione di una ferrovia: e sebbene quando i Reggenti recavansi alla Scuptcina sembrassero risoluti a sciogliere la questione, già a detrimento degli interessi serbi, per sì lungo tempo in sospeso, l'opposizione crescente avrà forse un ascendente dannoso sopra un governo così avido di popolarità.

Se si costruisce una ferrovia la Serbia sarà dall'un lato aperta all'esercito turco, dall'altro all'esercito austriaco: se la Serbia si accinge a negoziare oggi, lo farà nella condizione di un piccolo e povero stato e non avrà la forza di difendere i suoi interessi dalla rapacità straniera: la Serbia compiuta, ingrandita, vittoriosa, sciolta dalla dominazione turca, affratellata ad altri serbi oggi servi e domani signori nell'Ungheria darà e non riceverà legge: Io spirito d'indipendenza, il carattere di una speciale nazionalità svanirà dinanzi all'invasione straniera, che qui è detta germanica : il paese dovrà sottomettersi a maggiori carichi; la Serbia pagherà ed arricchirannost delle sue spoglie gli stati stessi che ne invidiano l'ingrandimento e la prosperità. Son sofismi ma nell'ignoranza universale questi sofismi fecero del gran male.

Finora nessuno è sorto a combattere; oggi solamente nella gazzetta semiufficiale cominceranno pubblicazioni a difesa del governo, e della probabile sua domanda di avere facoltà a contrarre un prestito per la costruzione di una ferrovia; e vedrassi se stavolta i Reggenti troveranno energia e vorranno almeno combattere anche a scapito della loro popolarità.

Finchè non sarassi deliberato dalla Scuptcina sopra questo oggetto, non conchiuderannosi i negoziati per la congiunzione colle ferrovie turche e per la costruzione di un ponte attraverso il Danubio sebbene fra le numerose proposizioni fatte al Governo Serbo l'una fra le più serie, ad onore dell'industria del nostro paese, sia fatta dalla Banca di costruzioni di Milano, credo dover tralasciare per ora il Iato commerciale dell'affare, non sembrando sufficientemente sicurò che dal Governo serbo e dall'assemblea si risolva in quest'anno di costruire o di far costruire la ferrovia.

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IL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI, DE FALCO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Roma, 2 ottobre 1871.

Vi accludo una copia del nuovo progetto di legge sulle corporazioni religiose e gli enti ecclesiastici di Roma: materia complicata e difficile più di quello che si crede. Ho cercato di prestare un poco più di precisione nella definizione degli Istituti ecclesiastici esteri, e pare che tutte le loro pretensioni ragionevoli trovino sufficiente guarentigia negli articoli 2 e 16. Siccome poi la principale differenza fra i diversi progetti sta nello stabilire la persona che possa raccogliere i beni degli enti soppressi, io ho creduto riunire all'attuale progetto le diverse idee seguite sul proposito. Troverete perciò a lato all'art. 2, l'art. 2 del primitivo progetto che consisteva nel sopprimere tutto, e dar tutti i beni alla Santa Sede: concetto che mi sembra assai arduo e pericoloso. Troverete ancora a lato degli artt. 2, 3, 4 e 5 del nuovo progetto gli artt. 2, 3, 4 e 5 dell'altro mio progetto, che è pur quello accettato e propugnato dal Cadorna; il quale consiste nel togliere la personalità civile a tutti gli enti ecclesiastici della Città di Roma, ma assegnarne i beni una parte alla Santa Sede, ed una parte alla Chiesa della propria parrocchia. Ed infine l'ultimo progetto che tenderebbe a conservare, in linea di eccezione, come persona civile alcuni enti ecclesiastici che hanno un carattere più spiccato di cattolicità e di dipendenza dal Papato. La differenza, come comprenderete col vostro acume fra questi due ultimi progetti non è grande, quanto a prima parte può sembrare, ma tutta sta sullo sceglier modo onde questi enti ecclesiastici che si credono necessari all'esercizio del Pontificato, possano essere mantenuti. Nell'un progetto rimarrebbero come associazioni libere a disposizione esclusiva della Santa Sede che ne avrebbe i beni, o la rendita di questi. Secondo l'altro, rimarrebbero come enti civili particolari aventi, siccome ogni altra persona, vita propria ed indipendente. Secondo l'un concetto non si farebbe alcuna eccezione al principio generale della nostra legislazione che non riconosce come enti civili le corporazioni religiose; ma in riscontro si avrebbe l'inconveniente di mettere una massa di beni e molte congregazioni di uomini a disposizione esclusiva della Santa Sede. Secondo l'altro concetto si eviterebbe questa difficoltà; ma s'incontrerebbe l'altra di derogare al principio generale della nostra legislazione, e dover mantenere e garantire ancora come persone civili parecchie case di queste corporazioni religiose ed altri enti ecclesiastici. È questione, come vedete, di scegliere fra gli uni o gli altri di questi inconvenienti; ma, in questa complicatissima materia, l'uno o l'altro sistema può, a mio credere, esser seguito con uguali ragioni e con pari successo. Questo sul quale richiamo la Vostra attenzione, è l'art. 6 e l'art. 12, i quali pare che provveggano alle maggiori difficoltà che incontrava il progetto, quello cioè della esecuzione della legge. Del resto queste non sono che proposte, le quali meditate meglio e discusse possono subire tutte quelle modificazioni e miglioramenti, che saranno stimati o riconosciuti più opportuni e più convenienti.

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L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 264. Pietroburgo, 3 ottobre 1871 (per. il 13).

Ebbi l'onore in data del 13/25 settembre (N. 261) (l) di trasmettere all'E. V. copia del Dispaccio del Conte di Beust relativo ai recenti Colloqui e di cui l'Incaricato d'Affari d'Austria-Ungheria aveva dato lettura al Consigliere di Westmann. Quel documento è venuto ad aggiungere la sincerità delle sue dichiarazioni a quelle che il Principe di Bismarck aveva già fatte qui, e parecchi indizi mi persuadono che dopo il Dispaccio telegrafico e la Nota Germanica di cui ebbi già l'onore di tener parola a V. E. questa Legazione della Germania ha cercato di convincere il Gabinetto Imperiale della natura amichevole delle sue intenzioni.

La Russia deve dunque forzatamente mostrarsi rassicurata. La sua gelosia,

o i timori che avevano fatto nascere i primi apprezzamenti si sono -almeno in apparenza -calmati. Tale è l'impressione che l'Ambasciatore di Francia ha riportato d'una conversazione avuta col Direttore del Ministero Imperiale.

Il Barone di Franckenstein dette lettura del Dispaccio al signor di Westmann, il quale si limitò a prendere alcuni appunti senza chiederne copia.

Giusta le asserzioni di quell'Incaricato d'Affari, questo Personaggio, dopo udita la lettura non uscì dalla sua abituale riserva sempre dominata dalla previsione di superiori apprezzamenti, se non per esprimere l'opinione che il Principe di Bismarck non agognava ai Tedeschi dell'Austria per la maggior parte cattolici. Quindi, dopo questa rassicurante osservazione che gli dava in pari tempo la soddisfazione di additare il difetto della corazza, avrebbe soggiunto che esisteva un point noi1·, • la Gallizia • nella politica austriaca rispetto alla Russia.

Come appunto dicevami il mio Collega d'Austria, l'autonomia accordata al Reame di Gallizia, a questo Ceppo della Polonia, è una causa di continua inquietudine per la Russia, e il mio rapporto del 15/27 settembre (N. 263) (l) ha l'onore di esporre all'E. V. un passo fatto dal Governo Austriaco evidentemente diretto a svincolare la propria responsabilità intol'no ad un punto di cotesta quistione. Ma lo scoglio che osta all'annientamento completo della Polonia è sempre visibile all'orizzonte mercè il sistema politico adottato dall'Austria; e la Dieta di Gallizia nel votare il suo ultimo indirizzo all'Imperatore Francesco-Giuseppe ha reclamato eziandio più larghe concessioni in nome di una • individualità storica! •.

Il Signor di Stremoukoff conversando meco sull'incontro dei Sovrani e dei loro Ministri paragonava quei Colloqui alla montagna che partoriva un topo. Ma un personaggio del circolo intimo del .Principe Gortschakoff criticava siffatta maniera di vedere che non è forse che vagamente fondata e, a quanto credo, basata soprattutto sulla convinzione del non essersi preso a Gastein alcun im

pegno scritto, e sul beneficio universalmente riconosciuto che reca a tutti in questo momento la pace.

Infatti come è egli possibile, Signor Ministro, che il Gabinetto Russo il quale mostrava sull'affare Strousberg tanta suscettibilità, in ciò che concerne i Principati, non siasi adombrato, non dirò dal fatto, ma dalla logica di una intelligenza comune fra l'Austria e la Germania?

È peraltro evidente che lo stato delle cose consiglia piuttosto una prudente riserva anzichè manifestazioni di malcontento.

Nella mente di molti prevale qui una opinione che attribuisce un carattere inquietante al fatto dei Colloqui: è la convinzione che la prima guerra che scoppierà in Europa sarà fra la Russia e l'Austria, sia a causa della Gallizia, sia a causa della quistione d'Oriente. D'onde non v'ha che un passo ad indurre ehe il previdente Principe di Bismarck è nell'interesse di precipitare una soluzione da questo lato prima che la Francia non travisi apparecchiata alla riscossa.

Nel mio Dispaccio telegrafico del 7/19 settembre (l) stimai dover far notare una differenza di contegno caratteristica fra l'Incaricato d'Affari di Germania e quello d'Austria; sembrando il Signor di Pfuel, almeno con me, molto più desideroso del Signor di Franckenstein di persuadermi che il ravvicinamento tra la Germania e l'Austria è solidamente stabilito.

Vengo da buona fonte assicurato che in un dispaccio del 17 settembre al Signor di Remusat, il Signor di Banneville non invalidava punto i ragguagli da lui precedentemente trasmessi, e dei quali ebbi l'onore di dar cenno alla E. V. Egli insisteva a dimostrare che da parte dell'Austria i Colloqui non costituivano alcun pericolo per la Francia, e citava le seguenti parole indirizzategli sorridendo dall'Imperatore c Nous sommes convenus, l'Empereur d'Allemagne et moi, que tous ont besoin de paix •.

(l) Non pubblicato.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R.119. Belgrado, 3 ottobre 1871 (per. L'8).

Il Ministro degli affari esteri comunicò a coloro fra noi che fecerne richiesta il c Libro azzurro • per la prima volta reso in Serbia di pubblica ragione. Non contengonsi in esso altri dispacci o documenti al di fuori di quelli che riferisconsi alle conferenze di Londra ed alla parte assuntavi dal Principato rispetto le proposte austriache perchè sieno tolti gli ostacoli che in alcuni luoghi oppongonsi alla facile navigabilità del Danubio. Siccome dell'azione del rappresentante serbo a Londra e del modo col quale il Signor Ristié giudicò i risultamenti di quel congresso, nulla è ignoto al ministero, e siccome leggo nelle mie relazioni ·il riassunto intero ed esatto dei dispacci inseriti nel c libro azzurro • l'analisi di essi sarebbe opera superflua.

Colla pubblicazione in discorso e specialmente con quella di un dispaccio nel quale il ministro degli affari esteri riferisce al Miatovié a Londra un colloquio qui tenutosi fra l'Agente Austro-Ungherese ed il Signor Ristié, nel quale conchiudeva il Reggente dicendo al Signor Kallay, perchè questi prevedeva che anche senza il concorso della Serbia le opere consigliate dal suo Governo si eseguirebbero, che a colui il quale invocava il diritto del più forte potrebbe in determinati casi opporsi il diritto di un più forte, con tale pubblicazione il Governo serbo intende evidentemente a dimostrare ch'egli può e vuole all'occasione mostrarsi scortese verso il Governo Austro-Ungarico.

Già nell'inverno scorso io notava i primi sintomi della condizione presente delle relazioni fra i due Governi vicini: accadde poscia che la corte suprema del Regno Ungherese per mancanza di prove rinviava assolto il Karagiorgevié dall'accusa di complicità nell'assassinio del Principe Michele: mostraronsene questi Signori irritatissimi e varrà a mantenerli malcontenti la tema che della libertà concedutagli sen serva il Karagiorgevié a cOspirare contro la dinastia regnante.

Finora il Governo serbo erasi mantenuto in stretta neutralità nei dissidii e nelle agitazioni provocate nei confini militari da coloro che a Zagabria ed a Vienna vogliono fino all'ultimo porre intralcio al nuovo ordine di cose: parrebbe a giudicarne da un libello qui venuto alle stampe, con quanta complicità diretta od indiretta delle persone che governano nol so, nel quale cumularonsi le più grosse ingiurie contro i Governi di Vienna e di Pest alla più diretta chiamata alle armi ed alla rivoluzione. Si allegherebbe a scusa, se un richiamo per questa pubblicazione fosse stato dal Signor Kallay diretto al Governo, la libertà della stampa: poco valida scusa se riflettesi alla dipendenza stretta di tutte le tipografie dal Governo: ai miei occhi è questo non di meno un altro segno di un mutamento nell'indirizzo polHico, ma, sia sottinteso, che della sua durata non vò farmi mallevadore.

Nell'assemblea presente non farassi parola delle modificazioni che recherebbonsi alle capitolazioni, se il Governo Austro-Ungarico accoglierà favorevolmente, come il rappresentante suo a Belgrado l'accolse, un secondo controprogetto preparato dal Governo serbo.

ao l'onore di inviare a V. E. sotto fascia il • Libro azzurro • ...

(l) Non pubblicato.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, GALVAGNA

D.7. Roma, 4 ottobre 1871.

Ho ricevuto coll'ultimo corriere il di Lei rapporto del 23 settembre (l) relativo all'affare delle miniere del Laurium. V. S. mi riferisce la conversazione che in quei giorni ella avea avuto con il presidente del Consiglio il quale, insistendo sulla sua proposizione di sottomettere la vertenza ai tribunali ordinari,

le avea lasciato intendere che dopo la venuta del signor Melitopoulos in Italia, le cose aveano mutato d'aspetto. Prudentemente V. S. mi domanda di essere informato della situazione presente di questo affare, ed io la invito ad esprimere al signor Comoundouros la sorpresa che ci ha cagionato il suo contegno, mentre che se il signor Melitopoulos lo ha rettamente informato dell'esito che ebbe la sua missione presso di noi, gli deve aver scritto che tale missione, avendo dato motivo ad una vasta discussione della quistione controversa, ci ha sempre più confermati nell'opinione che il buon diritto sta dalla parte della Società Roux Serpieri e conseguentemente nella necessità per noi di mantenere la questione in quegli stessi precisi termini nei quali l'abbiamo posta sin da principio e nei quali fu mantenuta anche nella conversazione avuta con il signor Melitopoulos.

Ed acciocchè il signor Comoundouros non si faccia alcuna idea inesatta del nostro modo di vedere in questo affare io invito V. S. a valersi di quanto le scrivo oggi e di ciò che le scrissi il 6 agosto (dispaccio n. 3) (l) intorno alle conclusioni che emersero dal convegno fra il signor Raeli ed il signor Melitopoulos.

(l) Non pubblicato.

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IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 33. Madrid, 4 ottobre 1871 (per. il 10).

Par Sa dépeche du 7 Septembre dernier (1), cette Légation a eu l'honneur de renseigner V. E. sur la situation que la question du Candidat à la Présidence de la Chambre avait faite au Ministère. Pendant tout un mois les partisans de

M. Sagasta, c'est-à-dire les Progressistes Conservateurs, n'ont cessé de combattre au moyen de la presse l'élection de M. Rivero, candidat des ProgressistesDémocrates. M. Zorrilla, qui était resté immobile devant le dilemme ou de s'aliéner le parti avancé sur lequel il s'appuyait pour obtenir une majorité dans la Chambre ou de diviser son propre parti progressiste, s'est enfin décidé avant hier à déclarer que M. Rivero était le Candidat du Gouvernement, parce que, en ayant conseillé à S. M. la rupture de la Conciliation, c'était en lui que se personnifiait le plus complètement la politique du Cabinet.

La rupture de la Conciliation avec le parti conservateur proprement dit avait été inspirée et conseillée par les Démocrates. Le Ministère homogène, rejeté forcément du còté de la gauche, ne pouvait s'assurer une majorité, à la réouverture des Sessions parlementaires, contre les votes réunis de toutes les fractions conservatrices, que par l'appui des Républicains. De là, cette complaisance avec ceux-ci, qui a été le grand grief de la moitié du parti progressiste qui penche vers la droite; de là l'inévitable nécessité pour le Ministère de déclarer M. Rivero son candidat et de s'opposer à M. Sagasta, hai: par le parti fédéral.

Le nom des deux candidats représentant désormais deux principes opposés, il s'en suivait nécessairement que le résultat de la votation impliquait un blàme ou

une approbation de la politique suivie par le Gouvernement avec le parti républicain.

Tous les efforts faits pour éviter la scission et pour trouver un terme d'entente ont échoué. Les réunions des Députés n'ont fait qu'augmenter l'abime qui séparait en cette question les deux fractions du parti progressiste. MM. Zorrilla et Sagasta ont taché en vain de se mettre d'accord, dans les longues conférences qu'ils ont eues ensemble dès l'arrivée de ce dernier qui n'est revenu à Madrid que le l du mois. M. Sagasta avait proposé de se retirer si M. Rivero en faisait autant; mais ce moyen a été repoussé.

Tandis que les amis de M. Zorrilla soutenaient que l'ancien parti s'était transformé et devait se nommer dorénavant • Progressiste-Démocrate •, les amis de M. Sagasta repoussaient toute solidarité avec les • monarchiques d'occasion • -comme les démocrates ont été appelés -, et ils accusaient le Ministère Zorrilla de s'etre laissé entrainer par leurs perfides conseils au point d'avoir permis au parti républicain de se reconstituer et de se refaire de toutes les défaites qu'il a subies.

• Le Cabinet -disaient-ils -a obtenu la bienveillance des Fédéraux, et il désire leur appui. Mais quelles seront les concessions que le Cabinet devra leur faire à son tour? Il devra leur accorder le droit illimité de faire de la propagande, et surtout assurer leur triomphe dans les prochaines élections municipales qui sont le foyer des élections politiques. Nous ne pouvons tolérer la politique démocrate qui tend à nous livrer à nos ennemis, et cette politique soidisante d'attraction qu'on suit avec les républicains pourrait bien etre favorable à M. Zorrilla, mais elle est la perte de la Monarchie •.

Sur ces entre-faites est arrivée la votation d'hier au soir. 45 progressistes ont voté pour le candidat du Ministère avec les démocrates et les Républicains; mais 49 progressistes, soutenus par les votes de toutes les fractions conservatrices de la Chambre, Dynastiques ou non, -y compris 10 votes carlistes au second scrutin, -ont donné la victoire à M. Sagasta.

Aussitot que ce résultat eiìt été connu, M. Zorrilla au nom de tous ses collègues a déclaré qu'il allait présenter sa démission au Roi. Tel est, M. le Ministre, l'état actuel des choses. La Chambre s'est prorogée;

S. M. a fait télégraphier au Due de la Victoire pour le charger de la formation du nouveau Ministère; le Général Espartero n'a pas encore répondu à l'heure qu'il est. Il est impossible de rien prévoir dans le cas où il refuse.

(l) Non pubblicato.

140

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA

T. 1759. Roma, 6 ottobre 1871, ore 18.

Le Gouvernement français craint que le Général Khereddin négocie en ce moment avec la Porte pour la soumission complète de la Tunisie. Entr'autres choses le Bey renoncerait au droit d'envoyer et de recevoir des agents consulaires. La France désire que nous nous associons à ses démarches pour le maintien du statu quo. Avant de prendre une décision, je vous prie de m'envoyer des renseignements exacts par télégraphe.

141

IL MINISTRO A STOCCOLMA, SALLIER DE LA TOUR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3953. Stoccolma, 6 ottobre 1871, ore 18,10 (per. ore 2,50 del 7).

Si Wachtmeister n'entre pas dans la nouvelle combinaison ministérielle, il sera probablement destiné à Rome, et le comte Piper à Vienne.

142

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 35. Madrid, 6 ottobre 1871 (per. l'11).

L'Amiral Malcampo est réussi à former un Ministère de la manière suivante: Présidence et Marine: Malcampo.

Guerre: Bassols, jusqu'ici Capitaine Général de Madrid.

Intérieur: Candau.

Gràce et Justice: Alonso Colmenares.

Fomento: Telesforo Montejo.

Ultramar: Balaguer.

Finances: Santiago Angulo.

Le Ministère des Affaires Etrangères a été offert par télégraphe à M. Cantalapiedra, absent de Madrid.

Le Ministère se compose d'autant de Sénateurs que de Députés, et M. Malcampo, qui était le Commandant de la frégate la • Saragosse • lors de la Révolution de Septembre, est Sénateur. Ils sont Ministres pour là première fois.

Tous les efforts du nouveau Président du Conseil pour que des membres du parti Progressiste-démocrate eussent accepté quelques portefeuilles ayant échoué le Cabinet ne se compose que de Progressistes-Conservateurs ou du parti de Sagasta.

Ce Ministère est évidemment de transition, et tout ce que l'on peut espérer c'est qu'il trouve le moyen de durer jusqu'au terme légal imposé par la Constitution à l'existence des Cortès. Les partis Démocrate et Républicain lui feront, sans doute, une rude guerre; mais il est possible que, par cela meme, il sera soutenu par la droite de la Chambre.

L'impatience, et je puis méme dire l'exaspération du parti Radica!, à cause de sa défaite, a sa raison d'étre, ainsi que j'ai eu l'honneur de l'indiquer hier à V. E., dans l'approche des élections municipales qu'il aurait voulu diriger à sa guise, et dans la>crainte que la dissolution des Chambres ayant lieu avec un Ministère à tendances conservatrices, l'existence du parti ne soit gravement menacée si, ·lors des nouvelles élections politiques, le Gouvernement du pays sera confié aux mains de ses adversaires. Les journaux démocrates de ce matin ne s'en cachent pas et ils accusent ouvertement le Cabinet actuel d'étre un masque couvrant la personnalité de M. Sagasta qui n'a pas eu le courage ~ selon eux -d'accepter la responsabilité de ses propres actes et de la scission du parti progressiste.

Mais ces mémes journaux, en faisant le récit des péripéties de la Crise, rendent tous hautement justice à la conduite constitutionnelle du Roi, et déclarent que l'Espagne n'a plus rien à envier, sous ce rapport, ni à la Belgique ni à l'Italie.

Le nouveau Ministère, qui a preté hier au soir serment au Roi, se présentera aujourd'hui devant les Chambres, et j'aurai l'honneur d'informer V. E. sur les déclarations qu'il croira devoir faire, sur l'accueil qu'il recevra, et sur l'attitude que les partis pourront prendre au milieu de la confusion et du déchainement de passions qui offrent un spectacle aussi lamentable qu'inquiétant.

143

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3954. Costantinopoli, 7 ottobre 1871, ore 21,50 (per. ore 0,45 dell' 8).

Reçu télégramme d'hier de V. E. On ne nie pas à la Porte d'une manière absolue que la cession de la part de Tunis du droit d'envoyer et de recevoir des agents consulaires ait été dejà discutée avec le général Keredine. Il y a tout raison de croire qu'il en a été question. Ambassadeur de France m'a dit le savoir d'un télégramme qu'H a reçu ce matin de Tunis, qui confirme que le général Keredine en a (léjà référé a son Gouvernement. Server pacha ne cache pas que l'arrangement qu'on négocie avec Tunis serait dans le cas tout favorable en principe et en fait à la puissance suzeraine. Ambassadeur de France croit que le statu quo pourra étre maintenu parle désislement de notre part de réclamations que l'on croit moins modérées qui seraient la cause du consentement de la Tunisie à s'assujetter à la Turquie, et par l'action commune de l'Italie et de la

France auprès de la S. Porte.

14 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

144

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 3868. Roma, 7 ottobre 1871 (per. l' 8).

Già nello scorso anno il sottoscritto ebbe ad intrattenere codesto Ministero sulla troppa facilità con cui convenivano nelle città del confine Svizzero i rifugiati politici, e sul grave pericolo che ne ridondava al nostro paese, costituendo quei conciliaboli una costante minaccia all'ordine pubblico ed alla sicurezza.

Vengo ora assicurato che siffatti convegni si ripetono presentemente in Lugano, e che di recente fu in detta città Mazzini con altri del suo partito, i quali si radunano colà per mettersi d'accordo, a quanto pare, onde procedere con unità di azione nei loro tentativi di sovversione.

Riferendomi pertanto alla corrispondenza in proposito tenuta con codesto Ministero nello scorso anno e specialmente nel mese di Marzo, io prego l'E. V. di voler fare nuovi uffici a quel Rappresentante del Re, onde impedire che in paesi così prossimi alla nostra frontiera si raccolgano i nemici del nostro paese, e si cospiri contro le nostre istituzioni e l'ordine pubblico.

145

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 36. Madrid, 7 ottobre 1871 (per. il 13).

M. Sagasta a occupé hier le fauteuil de la Présidence des Cortès, et au moment où il adressait la parole à la Chambre, M. Zorrilla, suivi de tout son parti, est entré dans la salle en interrompant l'Orateur. M. Sagasta a cru devoir prendre peu de temps après sa revanche en refusant la parole à M. Zorrilla, sans avoir consulté la Chambre. Ces incidents, qui n'ont en eux memes aucune valeur, servent pourtant à démontrer combien les traines sont ardentes et que la scission du parti Progressiste est un fait sur lequel il sera, malgré tous les efforts, bien difficile de revenir.

Le discours du Président de la Chambre a été surtout une plaidoirie • pro domo Sua •, et sa déclaration d'etre toujours un fidèle Progressiste-Démocrate n'a rencontré de la part des Conservateurs qu'une incredulité bienveillante, et de la part des Radicaux qu'une véhémente protestation.

Le nouveau Cabinet a pris hier meme possession du banc ministériel, et

M. Malcampo, ayant demandé la permission de lire son discours (ce qui a produit une mauvaise impression, car on n'y est pas habitué dans ìes Cortès Espagnoles) a exposé le programme du Gouvernement. Après quelques phrases, -qui en toutes autres circonstances auraient paru d'une trop grande modestie, -pour expliquer que son patriotisme a été son unique mobile en acceptant une mission qui est au dessus de ses forces, il a déclaré que son programme est celui du Ministère précédent; qu'appartenant, ainsi que ses collègues, au parti progressiste-démocratique, sa politique sera celle de ce parti, que le Ministère réalisera une politique c expansive • et en aucune manière agressive ou répulsive; que dans l'ordre politique, tout en professant le plus grand respect pour les libertés assurées par la Constitution de 1869, il fera en sorte que la Constitution et les lois soient respectées et exécutées.

Tels sont les points les plus saillants d'un discours qui a été reçu avec une méprisante ironie par les Radicaux et avec une grande indifférence par les Conservateurs; car ni les uns ne veulent accepter ce Ministère comme une émanation de leur parti, ni les autres ne veulent admettre qu'il continuera la politique de l'ancien Cabinet.

En effet dans la réunion advenue hier meme des Progressistes-démocrates, où on a fait serment de déclarer une guerre à mort au Ministère, M. Martos a dit que ce Ministère était c un navire-pirate qui se sert du pavillon qui lui convient le mieux •. Et la fraction de l'Union-Libérale qui est dynastique s'étant décidée à soutenir le Cabinet, M. Romero-Robledo expliquait cette déCision de la manière suivante: c Nous le défendrons, parceque nous ne craignons pas la liberté, et parcequ'il ne continuera pas une politique qui était la destruction de la Monarchie •.

Dans cette lutte d'influences, il me semble que le véritable vaincu a été le parti progressiste dont les deux partis extremes se sont partagé les dépouilles. Les démocrates, -qui étaient jusqu'ici un Etat-major sans armée, -ont réussi à s'annexer, avec M. Zorrilla, ceux des Progressistes qui penchaient pour les idées radicales, tandis que les Unionistes sont parvenus à s'attirer, -sinon ouvertement, du moins dans le fait, -les Progressistes qui, avec M. Sagasta, craignent l'empire et la prépondérance de principes et d'une politique trop favorable aux idées républicaines.

Mais je dois ajouter que cette situation des partis n'est véritable qu'autant que dureront les Cortès présentes. Il n'est pas possible de prévoir si elle restera la meme dans les Cortès prochaines, et encore moins si le triomphe que viennent de remporter les Conservateurs n'étant pas ephémère, les Progressistes qui penchent de leur còté finiront par se fusionner définitivement et franchement avec eux, comme les partisans de M. Zorrilla viennent de le faire avec les démocrates: ces monarchiques qui ont toujours gardé un pied dans le camp républicain.

146

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 106. Roma, 8 ottobre 1871.

Le accuso ricevuta dei suoi pregiati rapporti di questa serie fino al n. 250 incluso e La ringrazio per le interessanti notizie in essi contenute.

Appena mi pervenne il suo pregiato rapporto segnato al n. 24& (l) ne tra

smisi copia al ministero dell'interno e chiesi i connotati del nominato Gambuzzi

i quali sono (vedi nota dell'Interno n. del protocollo 138) (2).

Il suddetto Ministero riconferma che il Gambuzzi fu uno dei più attivi capi dell'Internazionale di Napoli.

Quanto poi allo scopo della recente conferenza tenutasi in Londra il suddetto Dicastero crede sapere da confidenze fatte dall'Engels ad un suo corri~ spondente, ch'essa avea tratto solo a questioni pratiche intorno all'amministrazione interna ed all'organamento della società a cui il consiglio generale avrebbe presentata una relazione della sua gestione nei decorsi anni.

Solo i delegati che hanno soddisfatto le contribuzioni al prefato consiglio possono prendere parte al congresso in discorso. Questa contribuzione sarebbe al più d'un penny annuo (?).

Anche il Ministero dell'Interno riconosce da parte sua l'opportunità di tenere in Londra un agente stipendiato dipendente immediatamente da codesta Legazione allo scopo di sorvegliare specialmente le trame dei facinorosi italhini di~ rette contro la sicurezza dello Stato e vorrebbe che se ne tentasse l'esperimento per qualche mese. Attende quindi dalla S. V. ulteriori dettagli e desidera conoscere pure quali sarebbero le spese occorrenti all'uopo.

Spero perciò ch'Ella potrà quanto prima fornirmi questi ragguagli e raccomandandole di continuare ad invigilare sulle mene della setta internazionale ed in ispecie del nominato Gambuzzi...

(l) -Cfr. n. 123. (2) -Non pubblicata.
147

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CIFRATO 265. Pietroburgo, 8 ottobre 1871 (per. il 15).

J e viens de lire la dépeche adressée le 29 Septembre par le Comte Beust au Chargé d'Affaires d'Autriche ici et que mon télégramme du 6 Octobre a eu l'honneur de annoncer à V. E. (1). Elle est brève et conçue en termes précis. Chancelier écrit qu'ayant appris que l'Allemagne avait donné au Cabinet Impérial des explications spécialement destinées à éviter des appréciations erronées sur l'esprit des entrevues, il vient aussi compléter, si cela est nécessaire, les déclarations de sa dépeche du 12. Après avoir répété que l'entente entre l'Allemagne et l'Autriche, loin de avoir un caractère inquiétant, était un gage de paix, il fait allusion à ce passage de son discours aux Délégations, où il a dit:

• les amis de nos amis sont nos amis •, et applique cette pensée en disant que l'harmonie entre Autriche et Allemagne d'une part, la Russie et l'Allemagne de l'autre doit etre • le trait d'union • entre Autriche et la Russie.

(l) Non pubblicato.

148

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA

T. 1761. Roma, 9 ottobre 1871, ore 15,40.

Je vous prie de demander de ma part au gran vizir si les bruits qui courent sur les négociations de la Porte avec Tunis sont exacts, et si ces négociations ont réellement pour but de changer, au point de vue international, la situation de la Tunisie. Dans ce cas nous serions obligés de ne pas cacher que le moment ne nous paraìt pas opportun pour soulever une question de ce genre. Naturellement la question de la succession ne nous regarde pas; mais en ce qui concerne les droits des consuls et agents des états européens à Tunis, nous devons veiller à ce que le statu-quo soit maintenu. Je vous autorise donc à vous associer, au besoin, aux démarches de l'ambassadeur de France à ce sujet, et de le faire savoir à M. de Vogué. Comme chargé d'affaires intérinaire vous aurez cependant soin d'appuyer seulement les démarches de la France, et votre langage devra ètre empreint de la plus grande modération.

149

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 1762. Roma, 9 ottobre 1871, ore 16.

D'après nos renseignements le Bey de Tunis a envoyé à Constantinople le général Kereddine pour obtenir la succession directe au lieu de la succession en ligne collatérale. Il est probable qu'en mème temps le Bey reconnaisse plus solennellement ~a haute suveraineté de la Porte, et, peut-ètre les privilèges des agents et consuls européens à Tunis pourraient ètre par conséquent soumis à des graves restrictions.

Nous sommes disposés à associer nos démarches à celles de la France pour maintenir le statu quo en ce qui regarde les attributions et privilèges de nos consuls. Je ne suppose pas que le comte de Remusat ait l'intention de s'opposer au changement de succession dont je vous ai parlé.

En faisant cette communication, veuillez appeler l'attention de M. de Remusat sur les calomnies de quelques journaux comme le Soir et le Gaulois, ce journal accuse l'ltalie de s'accorder avec le Bey contre la France.

150

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI

D. 14. Roma, 10 ottobre 1871.

Appena mi pervenne il Rapporto che Ella mi scrisse dopo aver conferito con il Signor Fish circa gli affari nostri al Venezuela, mi affrettai di trasmettere copia al R. Incaricato d'Affari a Caracas per prevenirlo delle istruzioni che riceverebbe il Ministro degli Stati Uniti presso quella Rappresentanza e per commettergli di trarre dall'appoggio che gli offrirebbe quel dispaccio il miglior profitto possibile per gli interessi italiani.

Non solamente noi accettiamo l'offerta fattaci dal Governo di Washington di appoggiare i nostri richiami a Caracas; ma desideriamo che V. S. esprima al Signor Fish i nostri sensi di gratitudine per tale vantaggiosa proposizione.

151

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Vienna, 10 ottobre 1871.

Vi ringrazio sentitamente per le molte notizie che vi piacque darmi con le vostre lettere particolari del 3 e 4 corrente (1), esse mi riesciranno di sommo vantaggio come norma di condotta all'evenienza. Nè il Cancelliere nè nessun altro ebbe a tenermi parola della questione dei conventi, e quindi non ebbi sino ad ora a parlarne, non aprirò bocca al riguardo se non mi si trarrà sull'argomento; verificandosi però questo caso, amerei sapere se i lavori della Commissione di giurisconsulti ed altri di cui era caso nel dispaccio del 3 Maggio (2) abbiano avuto un ,risultato, o no, non trovando menzione del suo operato nelle vostre risposte al Conte Zaluski.

In quanto al trasferimento a Roma della Legazione Imperiale, sono in grado di darvi notizie che pajonmi abbastanza sicure. Ieri l'altro fu da me il Barone Kiibeck che viene a trovarmi ogni qualvolta giunge a Vienna da Grati ove fruisce del suo congedo. Egli dissemi, il suo congedo spirar col corrente mese, alla qual epoca farebbe ritorno in Italia, ciò non andava perfettamente d'accordo con quanto avevami confidenzialmente detto pochi giorni prima sulla sua nomina a Costantinopoli che non ancora ufficiale era però cosa decisa. Essendovi quella sera parecchie persone in casa mia, non mi si presentò l'opportunità d'un colloquio particolare onde chiarir la cosa. Mi valsi però di questa circostanza per toccar tal argomento ieri col Conte Beust, ciò che potevo far tanto meglio che mai ne avevo aperto bocca con lui. Notizie d'altronde contenute negli odierni giornali me ne davano pur ragionevole pretesto. Il Conte Beust dissemi tosto che il Barone Kiibeck ritornava in Italia, che verrebbe a Vienna a prender congedo dall'Imperatore al ritorno di S. M. da Ischl verso la metà del corrente, che dopo ciò si recherebbe al suo posto. Che non bisognava prestar fede di sorta alle dicerie corse che il Barone Kiibeck non volesse andar a Roma, che anzi ci andrebbe prossimamente. Che più tardi potrebbe verificarsi il caso ch'egli avesse un'altra destinazione, ch'egli si riservava allora di dirmi

il personaggio che l'Imperatore intendeva dargli per successore, ma che intanto poteva accertarmi che la scelta del Governo Imperiale sarebbe caduta sopra persona accettissima all'Italia. Parlando del ritorno in Italia del Barone Kiibeck, insinuai inèidentalmente che il Parlamento si sarebbe riaperto in Roma nella prima quindicina di Novembre, e che prima di quell'epoca il Re si sarebbe colà recato. Il Conte Beust si prerin.irò d'assicurarmi che per quell'epoca la Legazione Imperiale sarebbe trasferita a Roma, egli mi disse anzi che degl'ordini eran già dati in proposito, e scherzando ma con marcata intenzione soggiunsemi, tenez la chose comme faite nous n'entendons pas vous faire de petites chicanes. Confesso però che amerei già sapere la cosa effettivamente fatta, poichè la posizione del Conte Beust parmi talmente scossa che il suo forzato ritiro non sembrerebbemi per nulla improbabile, ed è evidente che le circostanze che potrebbero motivar il suo ritiro, sono di natura a non lasciar dubbio di sorta sul partito a cui apparterrebbe il successore. I miei· successivi rapporti dacchè sono a Vienna avranno potuto farvi persuaso della poca fiducia che ho nell'avvenire di questo paese, ciò non m'impedisce di ravvisar essenzialissimo di tenerlo per intanto quanto possibile amico; dico per quanto possibile, poichè in fondo simpatie per noi, qui non ce n'è di sorta, non bisogna farsi illusione al riguardo. Il Conte Beust però, non divide certamente le antipatie contro di noi dell'entourage dell'Imperatore, e finchè egli resterà Cancelliere, le relazioni dell'Austria coll'Italia non perderanno l'impronta di cordialità che hanno oggi, ma venendo egli a cadere, molto probabilmente le cose muterebbero aspetto. Siccome però un tal fatto sarebbe il principio di gravissimi guai interni per questo paese, non mi preoccupo troppo di tal eventualità. Quel che è certo si è: che le cose così non possono durare, conviene che uno dei due o il Conte Beust od il Conte Hohenwarth si ritiri. L'accoglienza che il Governo sarà per fare all'indirizzo Boemo che vi trasmetto oggi in extensum, rischiarerà la situazione, se per avventura non troncherà del tutto la questione. L'accoglienza fatta in Italia a quei Signori che vi si recarono per· l'inaugurazione del tunnel, li ha vivamente impressionati, ed altamente ebbero a lodarsene con me con tutti, furono particolarmente grati alle cortesie che usaste loro; giustizia d'altronde vuole ch'io dica, che tutti gl'Italiani che vengono qui con qualche incarico del Governo, vi trovano ogni facilità e la miglior possibile accoglienza. Per conto mio non posso se non altamente lodarmi, tanto dell'Imperatore quanto del suo entourage, che in ogni circostanza spiegano a mio riguardo somma cortesia. Le mie relazioni col Conte Beust non potrebbero essere più cortesi, nè più cordiali, così dicasi del Generale Kuhn e di quanti altri coi quali ebbi l'occasione di trovarmi in rapporto. Come vedete dunque la mia posizione sino ad oggi nulla lascia a desiderare.

Non mancherò di tenervi informato di tutto ciò che potrà succedere d'interessante per noi in questo paese, vogliate intanto...

P. S. -Mi son scordato di dirvi che verificandosi il trasloco del Barone Kubeck a Costantinopoli par fuori di dubbio che il successore sarà il Conte Wimpfen.

(l) -Non pubblicate. (2) -Cfr. serie II. vol. II, n. 412.
152

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3959. Therapia, 11 ottobre 1871, ore 8,20 (per. ore 15).

A la suite du télégramme du 9 de V. E. (l) j'ai vu grand vizir. Il m'a dit qu'il ne s'agit que de changer la lettre vizirielle de réconnaissance pour chaque bey en Tunisie en un firman qui en reconnaitrait d'une manière permanente les droits et la succession. Ceci ne constitue pas un changement du statu quo. Je lui ai néanmoins fait connaJtre les désirs du Gouvernement du roi. J'ai également vu Server pacha, ministre des affaires étrangères, avec qui le corps diplomatique a des rapports plus directs. Les modifications du statu quo, selon lui, ne seraient pas radicales. Je lui ai également fait connaitre les appréciations de V. E. sur la question, qui n'ont pas manqué d'etre l'objet de sa plus sérieuse attention. J'ai fait verbalement la communication officielle dont V. E. a bien voulu [me charger] à l'ambassadeur de France, qui l'a reçue avec les meilleures dispositions.

153

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3962. Parigi, 12 ottobre 1871, ore 19,05 (per. ore 0,15 del 13).

Le Gouvernement français s'est déjà préoccupé de la question de Tunis et il prépare des lettres aux puissances européennes pour s'entendre à l'effet d'empecher que la Porte n'amoindrisse la situation du Bey. M. de Rémusat croit que le Gouvernement turc vise à des modifications très préjudiciables à l'autonomie du bey et qu'il aurait été meme question de demander le renouvellement d'un tribut. Une communication sera faite à cet égard à V. E. par M. de Sayve dès que la France aura arreté sa ligne de conduite. M. Casimir Perier est nommé ministre de l'intérieur.

154

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1685. Parigi, 12 ottobre 1871 (per. il 16).

Ho ricevuto il telegramma in data del 9 corrente (2) col quale l'E. V. volle informarmi dello scopo della missione del Generale tunisino Kerredin a Costantinopoli e mi incaricò di far conoscere al Governo francese che il Go

verno di Sua Maestà era disposto ad agire d'accordo con esso onde mantenere intatti i privilegi e le attribuzioni dei C0nsoli de' due paesi nella Tunisia in previsione del caso in cui il Bey si lasciasse indurre a riconoscere più solennemente la sovranità della Porta in seguito a qualche concessione ottenuta nell'ordine di successione ed in cui per conseguenza le prerogative degli Agenti e Consoli europei a Tunisi fossero minacciate di gravi restrizioni.

Ebbi poi il secondo telegramma dell'E. V. in data dell'Il ottobre corrente (l) col quale Ella mi comunicò più recenti informazioni a Lei pervenute da Costantinopoli intorno all'oggetto delle trattative tra il Bey ed il Governo turco. Secondo queste le modificazioni relative alla successione del Bey di Tunisi che si tratta d'introdurre non sarebbero radicali; alla lettera ministeriale di riconoscimento d'ogni nuovo Bey sarebbe in avvenire sostituito un firmano che riconoscerà in modo permanente il diritto di successione.

Intrattenni quest'oggi, nel colloquio ch'ebbi con lui, il Ministro degli affari esteri della Repubblica di questa quistione, comunicandogli le informazioni avute dall'E. V. Gli dissi quali erano le apprensioni del R. Governo e lo assicurai ch'esso era disposto ad associarsi ad ogni pratica che potesse tornare opportuna onde allontanare il pericolo d'una diminuzione de' privilegi degli Agenti e Consoli europei nella Tunisia.

S. E. il Signor di Remusat mi rispose che dal suo lato egli già s'era preoccupato delle trattative ch'ebbero luogo tra il Bey e la Porta e che si stavano preparando nel suo Dicastero lettere alle Potenze europee allo scopo di concertarsi per impedire che le condizioni del Bey non sieno sostanzialmente mutate. Il Signor di Remusat disse che rapporti pervenutigli da vari lati gli avevano fatto presumere che il Governo ottomano mirasse in fatto a cambiamenti che potrebbero tornare gravi per la situazione della Tunisia e ch'egli temeva che il Bey potesse non opporre una sufficiente resistenza a tali mire. Secondo il Signor di Remusat si sarebbe perfino sospettato che la Porta volesse accampare la pretensione di farsi pagare di nuovo un tributo dal Bey. Egli prese nota delle informazioni ricevute dall'E. V. ch'io gli comunicai, ed osservò che dal suo Iato egli per molto tempo aveva avuto dubbi sul vero motivo e scopo del viaggio del Generale Keredin. Finalmente S. E. promise che una comunicazione in proposito sarà fatta tra non molto all'E. V. dall'Incaricato d'Affari di Francia in Italia.

Nel corso della conversazione non omisi di segnalare al Ministro degli affari esteri l'impressione penosa che dovevano produrre in Italia le calunniose quanto assurde insinuazioni di giornali francesi, come il Soir ed il Gaulois che accusavano il R. Governo di connivenza col Bey in alcuni fatti di cui la Francia erasi querelata. Diedi lettura al Signor di Remusat dell'articoletto del Gaulois del 6 ottobre e non gli lasciai ignorare che quelle malevoli invenzioni non erano sfuggite all'attenzione dell'E. V.

Egli mi rispose che a lui pure rincresceva quel linguaggio, ma che non v'attribuiva nessuna importanza e che invero non comprendeva neppure come si fabbricassero tali favole.

(l) -Cfr. n. 148. (2) -Cfr. n.l49.

(l) Non pubblicato, ma cfr. n. 152.

155

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE RISERVATO 156. Lisbona, 12 ottobre 1871 (per. il 20).

I rapporti tra il Portogallo e la Santa Sede sono attualmente assai tesi pel rifiuto della Curia Romana di aderire a proposizioni concilianti fatte da questo Governo a Roma nell'interesse del Paese.

Anzitutto il Conte di Thomar prima di venire in congedo ha chiesto particolarmente il richiamo di questo Nunzio Apostolico, Monsignor Oreglia di S. Stefano, il quale, come già altre volte ne informai il R. Governo, passa qui non solo per incoraggiare la resistenza dell'alto Clero Portoghese ai tradizionali privilegi del Portogallo, ma supponesi puranche mischiarsi di politica ed essere centro di opposizione Governativa. Forse Roma non sarebbe stata aliena a dargli un successore, od almeno volle mostrare di non esserlo, ma mise innanzi la difficoltà del Cappello Cardinalizio che tutti i Nunzii a Lisbona ricevono lasciando questa Nunziatura, e che non si è disposti per ora a dare a Monsignor Oreglia. Sia o non sia questo il vero motivo il fatto sta che l'attuale Nunzio rimane al suo posto con poca soddisfazione del Governo e della numerosa parte liberale del Paese.

Il Signor Andrade Corvo nel confermarmi jeri confidenzialmente tali dettagli mostrommi puranche confidenzialmente il malcontento dell'attuale Gabinetto verso la Curia Romana pel rifiuto reciso di recenti proposte tra quali: quella della nomina d'un Delegato Ecclesiastico nelle Indie Portoghesi per surrogare colà il Vescovo di Goa che non pare disposto, nè il Governo sembra desiderarlo, a ritornare in quella sua Diocesi; di sanzionare la nomina d'un Prelato Portoghese non ha guarì fatta dalla Corona, com'è suo diritto; e quello di conferire il Cappello Cardinalizio al nuovo Patriarca di Lisbona che fu sempre accordato in passato e considerato qui come diritto acquisito ed immediato per tale alta Prelatura. A tale proposito fuvvi un diverbio assai vivo giorni sono tra il Nunzio ed il Ministro e questi finì per dire a S. E. Reverendissima che se Roma persisteva nel suo rifiuto, il Governo Portoghese reclamerà la restituzione delle rilevanti somme pagate in antico a Roma per tale privilegio. Sonovi poi diverse altre questioni sulle quali Roma non vuole assolutamente transigere nè ora nè poi.

Il Ministro degli Esteri soggiunse essere tanto più giusto il malcontento del Governo e Roma male ispirata nei suoi rifiuti, ché il Portogallo era in questi tempi il solo paese d'Europa col quale Roma non avea questioni bTIUlantes e che ben male si apponeva la Curia se credeva che le resistenze Romane troverebbero eco ed appoggio nel Paese, il qual nei rapporti tra la Chiesa e lo Stato rimase sempre fermo nelle vie liberali, anzi mostra ora perfino un indifferentismo religioso certo non desiderabile. Infatti le recenti conversioni di preti Cattolici al protestantismo, per causa di matrimonii, e lo stabilimento d'una chiesa Spagnuola protestante dissemi S. E. passarono inaperçus (sic) né l'opinione pubblica se ne preoccupò menomamente.

Il Signor Corvo terminò il suo confidenziale colloquio col dirmi che se Roma persiste in tale proposito di non ammettere alcuna ragionevole conciliazione, il Governo dal canto suo si servirà di tutti i mezzi che ha a sua disposizione per l'assetto delle difficoltà.

S. E. confermommi puranche che il Conte di Thomar ritornerà ben presto al suo posto a Roma poiché questo esperimentato Uomo di Stato continua a godere la piena fiducia del Re e del Governo ed è, più di ogni altro, atto al difficile disimpegno della di lui delicata Missione Diplomatica.

Un alto Personaggio affermommi poco dopo quanto il Signor Corvo mi avea comunicato relativamente alla tensione dei rapporti con Roma dolendosi che in questi ultimi tempi la Curia e la sua Nunziatura qui abbiano assunta un'attitudine manifesta di malvolere che il Ministero attuale non può nè deve sopportare.

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IL MINISTRO A L'AJA, BERTINATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 43. L'Aja, 13 ottobre 1871 (per. il 17)..

Io non dubito menomamente che il mio collega a Londra ed il R. Console a Dublino abbiano di già esattamente informato l'E. V. delle mene cattoliche in Irlanda, e degli apparecchi militari che colà si fanno allo scopo di una non lontana crociata in favore del Potere temporale.

Benchè, lo ripeto, io sia persuaso che tanto il Cavaliere Cadorna, quanto il Console Pandolfini tengano l'E. V. esattamente ragguagliata su tutto ciò, e malgrado il lato ridicolo che pur si attacca a simili conati degli ultra cattolici, pure credo dover mio il comunicarLe alcune informazioni, che da fonte sicura, mi giunsero in proposito. Se non ad altro esse varranno all'E. V. per porle in confronto di quelle ricevute d'altra parte, ed a provarle che, al pari di tutti gli Agenti di Sua Maestà all'Estero, provo il desiderio di ragguagliare il R. Governo delle trame che si stan facendo contro l'Italia, ovunque siasi.

Si è organizzata, a quanto mi si scrive, in Irlanda, un'associazione che si vorrebbe tenere secreta, e che ha ramificazioni o tenta di averne nel Belgio, in Olanda, in Francia, nella Silesia ed in Italia.

Essa è posta sotto il patrocinio di San Sebastiano, protettore dei prigionieri, forse perché si pretende che il Papa sia tenuto prigione nel Vaticano dal Governo Italiano.

In ogni parrocchia irlandese si scelgono quattro giovani di conosciuta fede cattolica, fra i quali, ben inteso, sono preferiti quelli che hanno già servito nella milizia nazionale, nel disciolto esercito pontificio o negli ex zuavi papalini, i quali in Irlanda ascendono a due o tre mila.

Questi formano il nucleo della crociata che, in un avvenire non determinato, sperano di tentare; dessi sono incaricati di trovare neofiti alla futura impresa,

o per meglio dire di fare arruolamenti; ad essi viene affidata l'istruzione militare delle reclute; ed aspettando il momento opportuno per essere gettati alla spieciolata in Italia a spese delle rispettive parrocchie, essi si uniscono in piccole squadre di 15 e 20 uomini, ora in un sito, or in un altro, per esercitarsi nelle manovre militari.

Ogni settimana si raccolgono sottoscrizioni per creare il fondo dell'associazione, ed i contribuenti affluiscono. I membri di detta associazione appartengono per la maggior parte al clero, agli artigiani della città, ed ai piccoli proprietarii delle campagne.

Capo Supremo di essa è il Cardinale Cullen, i cui agenti principali sono Monsignor Murray, suo segretario particolare, Monsignor Ford ex cappellano della Legione irlandese già al servizio del Papa, ed il famoso O'Reilly arruolatore degli zuavi, e membro del Parlamento inglese.

Le principali ramificazioni di detta società sono nel Belgio, in Francia, nelle provincie napoletane, e specialmente in Sicilia, dove molti emissari sono continuamente spediti dall'Irlanda.

La persona che fornì tali informazioni, e che per le sue opinioni politiche ha sofferto molte persecuzioni dal Cardinale Cullen nella sua qualità di Sacerdote, asserisce che la Società posta sotto patrocinio di San Sebastiano ha ultimamente preso grandissime proporzioni, particolarmente nelle provincie di Leinster, Munster e Connaught; che tutte le Diocesi ne sono infestate, ad eccezione di quella di Tuam, perché l'ottuagenario Arcivescovo Monsignor Hale non la vuoi favorire, essendosi egli pronunciato contro il dogma dell'infallibilità.

La corrispondenza per l'Estero si trasmette per mezzo di preti, è scritta in caratteri e cifre conosciute soltanto ai capi dell'associazione, i cui membri si conoscono fra loro per segni convenuti (1).

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L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 140. Therapia, 13 ottobre 1871 (per. il 20).

V. E. con telegramma in data delli 6 corrente (2) nel compiacersi farmi parte del desiderio espressole dal Governo francese d'una azione comune con quello del re pel mantenimento dello • statu quo • nella Reggenza di Tunisi, facevami l'onore, prima di prendere una decisione, di richiedere dei ragguagli sopra i negoziati in corso tra la Porta ed il generale Kereddin, i quali temevasi in Francia, tendessero alla soggezione completa della Tunisia. Con telegramma del 9 (3), l'E. V. incaricavami d'interpellare per di lei parte il Gran Vizir sull'esattezza o no delle voci che vanno attorno sui negoziati fra la Porta e Tunisi, e se essi abbiano per iscopo un mutamento al punto di vista internazio

nale della situazione della Tunisia; che se così fosse, il Governo del re non potrebbe dissimulare la sua opinione sull'inopportunità del momento per sollevare una questione di tal genere. La questione di successione non riguardarci, sibbene quella interessarci e dover esser mantenuta nello • statu quo • che riguarda i diritti dei consoli ed agenti europei a Tunisi. V. E. compiacevasi poi autorizzarmi ad associarmi, come ve ne fosse d'uopo, ai passi dell'ambasciatore di Francia al soggetto, ed a far ciò offi.cialmente a questo conoscere.

Coi miei telegrammi responsivi delli 7 ed 11 corrente (1), io ebbi l'onore di far conoscere all'E. V. come vi fosse luogo di credere che nei negoziati fra la Porta e l'Inviato tunisino fosse stata di già ventilata la questione relativa ad una moditìcazione da introdursi nel diritto attualmente in vigore a Tunisi sull'invio e sul riconoscimento dei consoli ed agenti consolari; come il Gran Vizir alle interpellanze fattegli, d'ordine dell'E. V., mi rispondesse che non si trattava nei negoziati attuali con Tunisi che di surrogare alla lettera Viziriale di riconoscimento che si accorda ad ogni Bey un firmano che ne consacrerebbe d'un modo permanente i diritti e l'ordine di successione. Io faceva parte del pari a V. E. come Mahmoud Pacha ed il Ministro imperiale degli Esteri credano che gli accordi che si stan ·da loro trattando con Tunisi non costituiscano una vera o radicale modificazione allo • statu quo •.

Non mancai nullameno, come ne diedi avviso a V. E., di far conoscere al Gran Vizir nonchè a Server Pacha, col quale ultimo personaggio i rappresentanti esteri hanno più direttamente ad intendersi, i desideri e gli apprezzamenti del

R. Governo nel senso dei sovramenzionati impartitimi ordini.

La mia comunicazione è stata oggetto per loro parte della maggior dovuta attenzione, nella guisa stessa che questo ambasciatore di Francia accolse colle migliori disposizioni la partecipazione sovramentovata .che io aveva mandato di fargli, dell'autorizzazione cioè che io aveva ricevuto d'associarmi, eventualmente, ai passi che egli darebbe pel mantenimento dello • statu quo • a Tunisi.

Mentre è mio debito di confermare tali riscontri, ho l'onore d'aggiungere che se i ministri predetti del Sultano vollero da un lato farmi credere che il firmano che si ha in mente di mandar fuori d'accordo coll'Inviato del Bey, non muterà dal punto di vista internazionale lo stato attuale delle cose nella Reggenza -ho d'altro canto sicure informazioni onde consta che il firmano in discorso che deve surrogare la lettera Viziriale del 1864 al Bey, conterrebbe non solo le disposizioni per definire in modo permanente l'ordine di successione (pare non si sia stabilito per anco se in linea diretta o collaterale) ma si aggiungerebbe in esso che si continuerà a riconoscere nel Bey e nel suo Governo i diritti consentitigli fin qui dal lungo uso in tutto ciò però che non riguarda questioni politiche.

Si è per ciò che malgrado le asseveranze del Vizir che non si avesse in mente di mutare lo • statu quo •, ho fatto ben nettamente, credo, ma in quella forma temperata che mi vien raccomandata, conoscere a Sua Altezza ed a Server Pacha l'apprezzamento del Governo del re sull'inopportunità d'un mutamento nell'ordine internazionale delle cose nella Reggenza

Siffatto apprezzamento e desiderio del R. Governo non han potuto e non possono non essere seriamente pesati dai ministri del Sultano, ma debbo dire, per adempimento scrupoloso del mio compito, che sia il Gran Vizir che Server Pacha non cercarono nelle loro risposte a me che di attenuare la portata dell'accordo che hanno in mente con Tunisi e provaronsi a fare, in modo vago, vedere l'utilità che vi sarebbe, a loro avviso, per tutte le Potenze ad una definizione precisa e permanente dei rapporti che devono esistere tra la Potenza alto-sovrana e la Reggenza, ma non dissero parola nè fecero allusione ad intenzione per loro parte di mutare il loro proposito di dar seguito ai negoziati tendenti all'emanazione di un nuovo firmano pelle cose tunisine.

La tema di una preponderante influenza dell'Italia o di sue sognate mire sulla Reggenza è il motivo dei negoziati attuali tra il Governo turco e quello del Bey, e degli accordi che voglionsi stringere per un firmano nel senso sovraccennato. La Porta ed il generale Kereddin non lo dissimularono ad altri -e lo so di buon luogo.

Si è per ciò che questo ambasciatore di Francia insiste presso di me perchè l'E. V. veda se non sarebbe il caso di far pervenire a questo Governo delle assicuranze formali che valgano a tor di mezzo le apprensioni che, comechessia, esistono a nostro riguardo a Stamboul ed a Tunisi, e che rendan vano così il pretesto ad ulteriori negoziati per un cambiamento nel regime politico attuale della Reggenza. Quando io feci parte al conte di Vogué delle direzioni datemi dall'E. V. su tal quistione, aveva questi di già fatto presente. alla Porta l'inopportunità dei mutamenti progettati nei rapporti internazionali della Tunisia. Gli venner in ispecie opposte considerazioni sull'asserita necessità sia pel Governo del Sultano che pel Bey di avere serie e meglio definite garanzie dei reciproci loro diritti di fronte a qualsiasi eventualità. L'ambasciatore stesso ricevè, non è guarì, più particolareggiate istruzioni in base alle quali accentuerà maggiormente la sua azione a persuadere questo Governo a non agire per rispetto a Tunisi altrimenti che la Francia, la quale continuerà a dare come pel passato prove della sua ferma intenzione di rispettare scrupolosamente i diritti e lo

• statu quo • del paese limitrofo dei suoi possedimenti nell'Algeria.

Nell'assicurare rispettosamente l'E. V. di tutto lo studio che pongo e porrò ad attenermi strettamente agli ordini di lei ed a metterli per quanto meglio in atto...

(l) -Il contenuto di questo rapporto fu comunicato il 18 ottobre con D. 107 da Artom a Maffei perchè ne informasse il Governo inglese affinchè • egli possa prendere dal canto suo i provvedimenti opportuni, e rendersi conto almeno di quelli che dovranno prendersi dall'autorità italiana per sorvegliare le mene ostili all'ordine esistente nel nostro paese •. (2) -Cfr. n. 140. (3) -Cfr. n. 148.

(l) Cfr. nn. 143 e 152.

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L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3974. Costantinopoli, 16 ottobre 1871, ore 22,15 (per. ore 2,02 del17).

Server pacha que j'ai vu de nouveau cet après midi, tout en protestant des sentiments constants de la meilleure amitié du Gouvernement impérial pour celui du roi, m'a dit que la Sublime Porte, vu l'état intérieur précalre de la Tunisie, ne pouvait se dispenser d'en régler, sous peu, d'une manière précise,

la situation et les rapports vis-à-vis de la puissance suzeraine. Les arrangements que l'on a en vue ne modifient, il le répète, pas du tout l'état actuel des choses. Aufait, dit-il, si le bey ne pourra pas conclure des traités d'alliance ou de cessions territoriales, il pourra toujours faire des conventions commerciales. Server pacha, m'ajouta que, du reste, dans le courant de la semaine il mettrait Photiades bey à meme de donner des amples informations et assurances à ce sujet.

L'ambassadeur a pu également se convaincre, dans ses entretiens avec Server pacha, que l'on continue ici à avoir intention arretée d'un prochain firman sur Tunis.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 887. Berlino, 16 ottobre 1871 (per. il 21).

M. de Thile m'a beaucoup remercié des détails que j'avais chargé le Chevalier Tosi de lui fournir, en voie particulière, relativement à l'inauguration du Tunnel du Mont-Cenis. Il m'a également remercié d'avoir cherché à me rendre utile et agréable dans cette occasion au Comte de Wesdehlen. Il y voyait une nouvel,le preuve de notre désir de continuer les bons rapports existants entre les Cabinets de Rome et de Berlin.

Je lui ai dit que tel était bien notre programme, qui n'avait jamais varié, notamment durant la dernière guerre entre l'Allemagne et la France. Le Gouvernement du Roi s'était appliqué, et avait réussi, à maintenir son attitude de neutralité malgré les efforts tentés à plusieurs reprises, avant comme après Sédan, pour nous détourner au profit de la France de cette ligne de conduite. Ce n'était plus un secret pour personne, après les publications faites entre autres par le Prince Napoléon. Nous tenions donc beaucoup à vivre dans les meilleurs termes avec l'Empire et à concilier de plus en plus nos intérets mutuels. J'en avais reçu l'assurance du Roi et de son Ministère. Mais nous comptions sur la réciprocité de la part du Cabinet de Berlin, en sorte qu'il s'établisse entre les deux Gouvernements un courant de confiance mutuelle et un échange de vues sur les différentes questions qui pourraient surgir. Nous avions, comme l'Allemagne, le meme intéret à veiller et à contribuer au maintien de la paix générale. Je serais bien aise que mon language fllt rapporté au Prince de Bismarck.

M. de Thile m'en a exprimé sa satisfaction. Il se rendrait mon interprète auprès du Chancelier lmpérial, qui ne manquerait pas de me recevoir, dès que les travaux du Reichsrath et du Reichstag lui laisseraient quelque loisir.

160

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1765. Roma, 17 ottobre 1871, ore 14,10.

Le Gouvernement français nous a demandé, il y a quelques jours, de nous associer à ses démarches à Constantinople pour empecher que la mission du général Khereddine ait pour effet d'amener des changements politiques considérables dans la situation de la Tunisie. Mes renseignements ayant confirmé que les craintes du Gouvernement français n'étaient pas sans fondement, j'ai chargé la légation du Roi à Constantinople de faire remarquer que le moment actuel ne me paraissait pas opportun pour mettre en avant cette question. Cependant j'ai lieu de croire que la Porte persiste dans son projet, et que la France de son còté adressera une circulaire à l'Angleterre et à l'Italie pour connaitre leurs idées. Il est donc indispensable pour moi de savoir le-plus tòt possible de quelle manière lord Granville envisage la question dont il s'agit. En accueillant les premières ouvertures de la France, j'ai eu en vue surtout de prévenir ou de faire cesser des défiances dont l'opinion publique en France est animée vis-à-vis de l'Italie. Veuillez l'expliquer au comte de Granville.

161

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3976. Parigi, 17 ottobre 1871, ore 6,30 (per. ore 23).

Rémusat a donné par télégraphe instructions au chargé d'affaires français à Athènes de demander au Gouvernement grec, d'accord avec ministre Italie, arbitrage pour l'affaire du Laurium. Nous sommes convenus de proposer deux arbitres pour la Grèce, un seui pour l'Italie et un seui pour la France sous la présidence de arbitre étranger. M. de Rémusat desire que ce dernier fut le ministre anglais à Athènes. Il demandera au Gouvernement anglais s'il consent. Veuillez en faire autant. Rémusat m'a dit qu'il avait écrit à son chargé d'affaires à Rome pour amener avec le Gouvernement royal une entente sur la formation du conseil d'arbitrage. D'après les instructions de V. E. j'ai cru devoir me prononcer tout de suite catégoriquement à cet égard dans le sens susdit pour obtenir action immédiate. Chargé d'affaires de Russie vient de insister très vivement auprès de Rémusat pour qu'on ne crée au •Ministre grec situation difficile par cette question; Rémusat lui a répondu qu'il n'en sera pas question politique mais qu'il restait décidé à poursuivre une solution équitable.

162

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3978. Pietroburgo, 17 ottobre 1871, ore 17 (per. ore 3,47 del 18).

Ambassadeur de France a reçu le douze télégramme de Rémusat demandant appui du Gouvernement russe auprès de la Porte afin d'empecher qu'il ne fiìt apporté des restrictions à l'indépendance du bey, à la suite de notre différend avec Tunis. Une première réponse de l'ambassadeur de France a été mal comprise à Versailles. Accueil de Westmann valait un refus de s'occuper de cette affaire.

163

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. 4002. Roma, ... ottobre 1871 (per. il 17).

Codesto Ministero non ignora che il partito d'azione ha progettato di effettuare in Roma un congresso generale delle associazioni democratiche.

Recenti notizie pervenute in proposito a questo Ministero assicurano che va a diramarsi all'uopo una circolare non solo in Italia, ma anche alla Sezione dell'Internazionale di Ginevra, e che da questa città a sua volta si mandano vivi incoraggiamenti all'impresa.

Nel rendere di ciò avvertita l'E. V. per le opportune comunicazioni al Rappresentante del Re in detta città, Le comunico, in appoggio alla accennata notizia, una lettera diretta il 15 settembre p. p. al cittadino Cerretti in Mirandola, dalla detta Sezione di propaganda e d'azione socialista rivoluzionaria di Ginevra.

ALLEGATO

LA SEZIONE DI PROPAGANDA E DI AZIONE RIVOLUZIONARIA SOCIALISTA DI GINEVRA A CERRETTI

Genève., 15 septembre 1871. Oher Citoyen

À la nouvelle de la convocation à un Congrès des Diverses associations démo

cratiques d'Italie, la Section de Propagande et d'action révolutionnaire socialiste

de Genève a décidé de vous transmettre ses plus sincères féliciiations pour votre

courageuse entreprise.

Elle vous prie également de la renseigner pour la question suivante.

Le Congrès projété dans la pensée de ses organisateurs, est-il et doit-il rester

exclusivement Italien, ou s'ouvrira-t-il au contraire devant les déléguées des diffé

rents groupes socialistes de divers pays, y compris les délégués :ies Sections Inter

nationales.

Il est inutile d'ajouter que l'opinion de la Section de Propagande et d'action

révolutionnaire socialiste Genève est faite pour ce chapitre, et que, nous croyons

15 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

que pour mener à bonne fin l'oeuvre entreprise il est de toute nécessité de supprimer les frontières, et de grouper toutes les forces révolutionnaires de l'ancien et du nouveau monde.

Section de l'Internationale, nous sommes convaincus que la révolution ne peut se faire qu'internationallement et nous faisons des voeux pour que, se pénétrant de cette vérité, le Congrès des associations démocratiques d'Italie décide l'adhésion èn masse à l'association Internationale des Travailleurs.

Veuillez, cher Citoyen, joindre à votre réponse l'ordre du JOUr du Congrès ainsi que la circulaire indiquant le jour et le lieu de la réunion. Salut et solidarité.

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IL CONSOLE GENERALE A MARSIGLIA, STRAMBIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 74. Marsiglia, 17 ottobre 1871 (per. il 21).

Ho l'onore di rassegnare qui compiegato a V. E. un rapporto del R. ViceConsole di Tolone contenente alcuni cenni sulla Società Internazionale in quella città.

Il resultato delle Elezioni in Marsiglia ed in altri grandi centri di Francia indicano indubbiamente che, se non la così detta Internazionale, il partito radicale almeno vi è perfettamente organizzato con disciplina perfetta.

.ALLEGATO

COMELLO A STRAMBIO

R. 177. Tolone, 14 ottobre 1871.

Nelle attuali circostanze, e fatto calcolo della prossimità della frontiera, credo opportuno di trasmettere alla S. V. Illustrissima un qualche cenno sull'influenza della Società Internazionale in questa città onde Ella possa informarne il R. Governo.

!: fuor di dubbio che l'Internazionale ha qui degli aderenti in numero considerevole, e fra i principali l'intero Consiglio Municipale. Ond'essere assolutamente convinti dell'esistenza di questa Società, e delle estese sue ramificazioni nella città di Tolone, basterebbe i voti dati, in guisa del tutto solenne, in favore della Comune di Parigi in piena rivolta, e le domande ripetute al Governo di Versailles perché sia accordata piena amnistia a tutti coloro .che trovansi prigionieri dopo la vittoria dell'esercito.

Queste però sarebbero prove in certo modo morali, ma in auesti giorni l'autorità ha potuto aver una prÒva materiale incontestabile sull'esistenza e sull'organizzazione della Società.

Il Signor Saint-Quentin, Luogotenente Colonnello del genio, Comandante in Antibes, ha trasmesso a queste autorità un libretto trovato presso un soldato, ove sulla prima pagina sta scritto: Internazionale -Sezione di Tolone.

Il partito è disciplinato, compatto, risponde come un sol uomo all'appello dei capi, e ne abbiamo la prova colle recenti elezioni del Consiglio Generale nelle quali riuscirono, a grande maggioranza di voti, individui scelti e patrocinati dalle varie riunioni ultra repubblicane dei Cantoni perfettamente organizzate.

Il giornale Progrès du Var redatto dal Signor Oscarre Tardy, è sostenuto dalla Società e vi esercita una grande influenza. Questo giornale fu fondato a Tolone nell'ultima epoca imperiale da Emilio Ollivier ex Ministro il quale è tutt'ora uno dei pochi e principali azionisti.

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L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3980. Londra, 18 ottobre 1871, ore 17,47 (per. ore 21,10).

Lord Granville étant absent, j'ai du me borner à lui communiquer le sens de votre dernier télégramme. En réponse à ma démarche il a donné l'ordre de me faire lire une dép~che qu'il a adressée 1'11 à l'ambassadeur britannique à Constantinople pour qu'il représentat au grand vizir l'inopportunité de céder au désir du bey de Tunis en lui accordant un nouveau firman dans le but de modifier les dispositions viziriales de 1864, en considération des difficultés que cela pourrait créer aux puissances. Ces instructions ont été communiquées au chargé d'affaires britannique à Rome, et lord Granville m'a chargé de faire connaitre à V. E. qu'elles ont été aussi lues et approuvées par le ministre des affairés étrangères de France. J'espère pouvoir parler à lord Granville dans: deux ou trois jours, et j'espère alors pouvoir compléter les renseignements que j'ai l'honneur de vous transmettre aujourd'hui.

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L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 266. Pietroburgo, 18 ottobre 1871 (per. il 27)..

Ebbi l'onore nel mio Rapporto cifrato n. 265 (l) di esporre all'E. V. il contenuto del Dispaccio diretto in data dei 29 settembre a questo Incaricato d'Affari d'Austria-Ungheria dal Conte di Beust, ed il mio telegramma dei 6 ottobre/24 settembre (2) informava brevemente l'E. V. della accoglienza fatta dal Signor di Westmann a tale comunicazione.

Rilevai dalla lettura che ebbi del relativo rapporto del mio Collega che il Direttore del Ministero Imperiale gli disse: essere stato l'Imperatore il primo ad applaudire al ravvicinamento compito fra l'Austria e la Germania, i Convegni non aver punto eccitato diffidenza; aggiungendo che la stampa Russa, col linguaggio acre che aveva tenuto in proposito, era stata ben !ungi dal rappresentare il modo di vedere del Gabinetto Imperiale.

Ora che il fluttuamento dei primi apprezzamenti si è calmato sembra che le reiterate spiegazioni date qui dal Principe di Bismarck ed alle quali allude il Conte di Béust nell'ultimo suo Dispaccio abbiano giovato a non alterare i' buoni rapporti esistenti fra la Russia e la Germania, e sarei inclinato a credere che le dimostrazioni simpatiche fatte ad arte dal signor di Westmann all'Amba

sciatore di Francia, e ben note al Rappresentante Germanico fossero destinate a provocare tali soddisfacenti spiegazioni. Ma le spiegazioni date dal Conte di Beust non pare abbiano sortito l'esito corrispondente. L'Incaricato d'Affari di Germania mi disse averlo constatato ed

• ingannarsi l'Austria se credesse d'aver raggiunto lo scopo di rassicurare la Russia, scopo al quale s'oppone anzitutto la stessa individualità del Conte di Beust •.

Senonchè questo Cancelliere pare vogliasi studiare a scemare l'antipatia che ha per lui il Governo Russo e specialmente il Principe Gortchakoff. Egli dava non ha guari a questo Rappresentante Austro-Ungherese incarico di far notare al signor di Westmann ch'Egli erasi astenuto dall'andare ultimamente a Brody a fine di non destare la suscettibilità del Governo Imperiale.

Com'è naturale, ben più che al Rappresentante Germanico, il Signor di Westmann palesa all'Ambasciatore di Francia la difficoltà di un ravvicinamento fra la Russia e l'Austria, e mi viene assicurato da buonissima fonte che quel Direttore parlando l'altro ieri col Generale Leflo qualificava di • tese • le relazioni fra le due Potenze.

L'Ambasciatore mi disse che il signor di Westmann non aveva fatto con lui parola del secondo dispaccio del Conte di Beust, egli aveva sperato che il Dispaccio del 29 settembre non conteneva che • des phrases à la suite d'échanges de courtoisie •.

Tuttavia il Direttore del Ministero Imperiale dovette convenire che la frase relativa ad una intelligenza preventiva Austro-Germanica sopra tutte le quistioni politiche poteva destare inquietudine. Ma tale confessione fu attenuata dalla considerazione che il Conte di Beust era andato • dans ses épanchements avec M. de Bismarck • al di là delle intenzioni del suo Sovrano e seguita da una diatriba contro il Cancelliere Austro-Ungherese, destinata forse a mettere la Francia in diffidenza di lui. Accusò, ad esempio, il Conte d1 avere in tempo utile a' suoi fini ingannato il Duca di Grammont sulla attitudine che avrebbe serbata l'Alemagna del sud nel caso di una guerra fra quella del Nord e la Francia.

(l) -Cfr. n. 147. (2) -Non pubblicato.
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L'INCARICATO D'AFFARI DI FRANCIA A FIRENZE, DE SAYVE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Firenze, 19 ottobre 1871 (per. il 20).

Dans la lettre particulière que vous m'avez fait l'honneur de m'adresser avant hier (1), vous avez bien voulu me dire que vous aviez invité le Chargé d'Affaires d'Italie à Costantinople à entretenir le Ministre des Affaires Etrangères du Sultan de la nécessité de ne point altérer le statu quo politique de la Tunisie et que vous aviez reçu l'assurance, que les arrangements projetés par la Porte, ne modifieraient pas l'état actuel des choses dans la Régence.

Il résulte cependant de nouveaux renseignements parvenus au Gouvernement français, et dont M. de Rémusat vient de me donner connaissance, que le Bey de Tunis aurait sollicité à Constantinople un firman destiné à établir l'ordre de succession en ligne directe dans sa famille, en définissant les rapports de la Régence avec la Turquie, et que le Sultan consentiràit à accorder ce firman pourvu que la Tunisie renonçat à entretenir des relations directes avec les Puissances et se reconniìt tributaire.

Un pareil arrangement ne pourrait sans doute pas plus convenir au Cabinet de Rome qu'à celui de Versailles; l'Autriche, la Russie, l'Angleterre, consultées à cet égard, ont témoigné au Gouvernement de la République leur bon vouloir pour le maintien de l'ordre de choses existant actuellement en Tunisie, mais il importe de ne pas se méprendre sur le but à atteindre: ce qui motive les observations de M. de Rémusat, ce n'est pas seulement le projet ottoman de faire cesser les relations diplomatiques entre la Régence et les Puissances Européennes et de la soumettre à un tribut; c'est tout aussi bien le projet tunisien de faire régler les rapports du Bey avec la Porte par un firman, car, quelles que soient les dispositions de cet acte, il constituera toujours par luimeme une restriction aux droits souverains dont jouit aujourd'hui la Tunisie au point de vue politique, et la conséquence de cette première atteinte portée à la situation du Bey, quoique plus lente à se produire, sera la meme que s'il souscrivait dès à présent aux propositions du Gouvernement ottoman: ce Prince retombera fatalement dans cet état de dépendance auquel la Turquie cherche à le réduire.

J'ai reçu de mon Gouvernement M. le Ministre, l'ordre de soumettre à

V. E. les réflexions qui précèdent et d'ajouter que, si vous trouviez ces appréciations fondées, le Cabinet de Versailles vous serait reconnaissant de donner au représentant de l'Italie à Constantinople comme à son agent à Tunis, les instructions les plus propres à déjouer une négociation dont le Bey lui-meme envisage les suites avec inquiétude. Je serai, dans tous les cas, fort obligé à

V. E. de vouloir bien me mettre à meme de faire connaitre à M. de Rémusat les résolutions auxquelles le Gouvernement du Roi aura jugé à propos de s'arreter.

(l) Non pubhbcato.

168

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 142. Therapia, 20 ottobre 1871 (per. il 27).

Dalle informazioni che ebbi da buona fonte il Firmano che si ha qui ognora in mente di mettere fuori riguardo a Tunisi, verrà modellato sulla Lettera Viziriale del 1864. Benchè non siasi addivenuto fino a questo momento alla redazione definitiva di esso, il senso essenziale suonerebbe così: il Sultano, soddisfatto del modo con cui il Bey governò finora in Tunisia, conferma a lui ed ai suoi successori il diritto di governare quella parte dell'Impero Ottomano.

Il Bey potrà come pel passato fare gli atti tutti di amministrazione interna, nominare gli impiegati civili e militari ecc., potrà di più intrattenere rapporti colle estere Potenze, con esse però egli non avrà potere di stringere accordi di alleanza offensiva o difensiva, di far convenzioni militari o trattati portanti cessione di territorio o recanti lesione ai diritti del Sultano. La Tunisia conserva il diritto di avere una bandiera propria; il Bey continuerà a poter distribuire l'Ordine del • Nicham Ihftigar •. Sarà egli poi quinci innanzi dispensato dal pagare tributo al Sultano -di fargli il dono solito all'occasione dell'avvenimento al Governo della Reggenza -e di recarsi a far visita alla Corte AltoSovrana.

Il Generale Kereddin so che cerca di fare spiccare il pregio delle concessioni in ultimo citate; son nulle in realtà chè l'esausto tesoro Tunisino non può inviare nè invia da lunga data a Costantinopoli tributi o doni -nè i Bey di Tunisi furono usi a far gite a Stamboul.

169

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, GALVAGNA

D. 9. Roma, 21 ottobre 1871.

Confermo alla S. V. il telegramma che le indirizzai il 18 di questo mese (l) col quale io la invitava a concertarsi coll'Incaricato di Francia in Atene, per chiedere collettivamente al Governo Ellenico che la quistione del Laurium venga deferita ad una Commissione arbitrale, composta di due greci, di un italiano, di un francese, e presieduta dal Ministro d'Inghilterra presso codesta Corte, per ottenere il concorso del quale il Governo francese si offriva di fare presso il Gabinetto di Londra le pratièhe necessarie. Questo progetto implicherebbe, come ella vede, una modificazione al sistema altra volta proposto dalla Società Serpieri Roux per la formazione della Commissione arbitrale che quella Società chiedeva fosse chiamata a pronunciarsi sulla sua vertenza col Governo greco. Le considerazioni di equità che ci suggeriscono questa modificazione sono menzionate nel dispaccio alla R. Legazione a Parigi, di cui le trasmetto qui unito una copia nel quale dopo aver accertato la perfetta consonanza delle nostre idee con quelle del Governo francese circa la quistione del Laurium, io segnalava la convenienza di adottare un sistema che non desse nella proposta commissione arbitrale, la preponderanza ad alcuna delle parti interessate. Le obbiezioni che, in base a quel dispaccio il R. Incaricato d'Affari a Parigi sottopose al Ministro degli Affari Esteri della Repubblica, vennero prese da S. E. in benevola considerazione. Il signor Ressman potè quindi telegrafarmi fino dal 17 u. s. (2) e confermarmi con successivo rapporto giunto questa mane. avere il signor de Remusat spedito per telegrafo al rappresentante francese in Atene istruzioni identiche a quelle che io stesso impartii all'E. V. Il Governo

del Re si lusinga che la proposizione di arbitraggio sarà accolta favorevolmente dalla Grecia. Noi offriamo per essa al Gabinetto di Atene il miglior mezzo di uscire dalle difficoltà costituzionali nelle quali egli si aggira. Trattandosi di questione che se tocca per un lato gli interessi finanziari della Grecia, interessi sui quali il Parlamento greco ha ragione di voler esercitare la propria tutela, per altra parte concerne i diritti spettanti a capitalisti stranieri, non vi ha dubbio che le risoluzioni del Parlamento ellenico non possono avere il valore di una inappellabile decisione, nè può esservi assemblea, per quanto agitata di passioni, che non comprenda le necessità del Governo di accogliere una proposizione così equa come quella di sottoporre la contestazione ad un arbitraggio che offra alle due parti eguali guarentigie di imparzialità.

La seconda parte del mio telegramma del 18 u. s., con cui io la pregava di insistere presso il Governo ellenico perchè venga intanto revocata la inibizione di esercizio inflitta alla Società Serpieri, è pur essa conforme alle idee da noi scambiate su questa vertenza col Gabinetto di Parigi. Senonchè, sembra che la nostra proposizione dovrà incontrare ad Atene difficoltà assai gravi la cui sostanza ella. mi espose nel suo rapporto del 14 di questo mese (1). Comprendo le considerazioni cui V. S. accenna circa lo stretto legame che il votò del parlamento greco ha creato fra la quistione principale della proprietà delle miniere del Laurium, e quella dì possesso, ossia di continuazione d'esercizio per parte della Società concessionaria; ma io credo che, al punto in cui si trova ormai la vertenza, lo stesso Governo greco dovrebbe riconoscere la convenienza di adottare un temperamento nel senso di quello che noi invochiahmo, d'accordo col Governo francese, in favore della Società interessata. La riunione, che io spero non sarà lontana, della proposta commissione arbitrale, se per una parte ci assicura che la presente quistione riceverà una soluzione conforme ai più severi principii di giustizia e di equità, ci lascia però travedere con un breve lasso di tempo, prima che il desiderato verdetto sia pronunziato e riceva la sua esecuzione. In tale stato di cose, appare evidente la convenienza che, d'accordo fra le parti, si cerchi il modo di evitare una sospensione di lavori la quale, mentre arreca gravi danni alla Società non migliora in alcun modo la condizione giuridica del Governo elleno. Non mancano a questo i mezzi di garantire i suoi eventuali diritti, sia colla dichiarazione di esplicite riserve, sia coll'adozione di quelle ulteriori ed effettive cautele che essa crederà di esigere. Giova inoltre osservare, e V. S. potrà farlo notare anche al Governo greco, che la Società Roux Serpieri ha fatto formale istanza perchè si domandi che venga tolta la inibizione ai lavori. E siccome questa domanda, ove non venisse accolta, potrà poi essere invocata per fondare un diritto positivo ad un largo risarcimento, non solamente dei danni ma anche dei lucri cessanti, così i Governi che hanno assunto la tutela degli interessi della compagnia, non possono ricusarsi a dar corso regolare alla sovra mentovata istanza. Io spero, signor barone, che l'azione comune della S. V. e dell'Incaricato d'Affari di Francia riuscirà ad indurre il Governo ellenico ad un'equa determinazione, la quale corrisponda ai moderati consigli che ci hanno guidato in tutto il corso di questa difficile controversia.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 161.

(l) Non pubblicato.

170

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'INCARICATO D'AFFARI A CARACAS, VIVIANI

D. 13. Roma, 21 ottobre 1871.

Con il rapporto del 12 settembre (l) V. S., mentre mi accusava la ricevuta del mio dispaccio del 3 luglio (2), accennava pure di essere in attesa di risposta alle precedenti sue relazioni del 15 e 23 giugno. Scopo di quest'ultime era di rappresentare al Governo di S. M. la convenienza di far precedere le istanze collettive di cui l'Allemagna voleva prendere l'iniziativa da certe preliminari intelligenze fra i Governi che alle istanze stesse erano invitati a pigliar parte.

V. S. proponeva anzi i punti principali sui quali gli accordi avrebbero dovuto formarsi, e suggeriva molto accortamente di procurare che ai Governi europei si associassero gli Stati Uniti dell'America Settentrionale se pure si aveva in animo di scansare difficoltà che altrimenti avrebbero attraversato senza fallo la via a qualunque efficace azione si volesse tentare verso il Venezuela.

Sembrarono al R. Governo molto savie le considerazioni della S. V., ed io non avrei domandato di meglio che di poterne tener conto se mi fossero giunte in tempo. Ma raffrontando semplicemente le date delle mie istruzioni con quelle dei di lei dispacci le sarà agevole avvedersi come ciò non sia stato possibile.

Il 20 giugno io avea già avuto occasione di spiegarmi con il Rappresentante degli Stati Uniti circa il carattere ed i limiti dell'azione che l'Italia, in seguito all'iniziativa presa dalla Germania, intendeva di esercitare al Venezuela. Ed il 26 dello stesso mese io le aveo appunto tracciato la linea di condotta da tenere nell'appoggiare i passi del di lei collega dell'Allemagna. Poco dopo (il 3 luglio) io le comunicavo le istruzioni del Governo britannico al suo rappresentante in Caracas, e confermandole le precedenti direzioni datele, mi felicitavo del perfetto accordo esistente tra le nostre viste e quelle dell'Inghilterra.

Ora avendo io ricevuto soltanto nella seconda metà di luglio i rapporti che V. S. mi scriveva il 15 ed il 23 giugno, riesce manifesta l'impossibilità in cui mi trovai di tenerne conto nel periodo delle trattative nel quale i suggerimenti di lei avrebbero potuto riuscire di maggiore utilità.

Per proporre ai Governi interessati negli affari del Venezuela di intendersi sulle domande da farsi a codesto Rappresentante, per intavolare una discussione sulle serie quistioni riguardanti le relazioni dei Governi europei con il Gabinetto di Caracas, per risolvere infine sovra il modo di chiedere e conseguire la cooperazione degli Stati Uniti nelle pratiche da farsi, sarebbe stato necessario che nè la Germania, nè gli altri Stati interessati avessero ancora spedito le loro istruzioni ai rispettivi rappresentanti, mentre invece tali istruzioni erano già partite dall'Europa da circa un mese.

In tale stato di cose io ho pensato che di quegli accordi che i Gabinetti Europei non aveano potuto prendere preliminarmente fra di loro, terrebbe luogo un concerto dei rappresentanti diplomatici accreditati a Caracas interessati tutti a tutelare uguali diritti dei loro connazionali contro le medesime pretese delle

autorità locali. Mi duole di essermi forse di ciò lusingato invano, imperocchè scorgo dalle ultime relazioni di V. S. che un accordo tanto indispensabile non poteva ormai sperarsi dai colleghi di lei, divisi troppo di opinioni e di tendenze per poter dar mano ad un'azione efficace di comune interesse.

Tali sono, signor cavaliere, le considerazioni che a me occorreva esporle per rispondere al di lei rapporto del 12 settembre. Resterebbe ora soltanto a manifestarle quale sia il pensiero del Governo di S. M. circa i diversi punti di quistione sovra i quali V. S. avrebbe voluto che i Gabinetti interessati promuovessero una formale risoluzione del Venezuela. E siccome anche all'infuori di qualunque azione collettiva dell'Italia con altre potenze, potrebbe accadere che

V. S. abbia da prendere un partito sovra l'uno o l'altro di quei punti controversi, così io colgo ben volentieri l'occasione presente per far palesi a lei le idee che nell'esame delle quistioni anzidette, spontaneamente mi si affacciano. A tal fine unisco a questo mio dispaccio una breve memoria in cui a fronte delle quistioni da V. S. proposte ella troverà iscritti alcuni sommarii appunti.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 3.
171

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A BERNA, MELEGARI

D. 78. Roma, 22 ottobre 1871.

Il Ministero dell'Interno è stato informato confidenzialmente che il partito d'azione, nell'intento di tradurre in atto la progettata convocazione in Roma, di tutte le Associazioni democratiche, pensa diramare un'apposita circolare anche alla Sezione della Società Internazionale che ha sede in Ginevra, e dietro alcuni dati recentemente raccolti ha dovuto accorgersi che da tale Sezione partono messaggi di eccitamento alla detta impresa. In prova di ciò quel Dicastero mi ha comunicato la copia, qui unita, di una lettera indirizzata da Ginevra, il 15 settembre u. s., al signor Ceretti in Mirandola (1).

Mi reco a premura di portare a conoscenza di V. S. Illustrissima queste notizie, affinchè ella possa valersene per quelle pratiche che le occorresse di fare in proposito, allo scopo segnatamente di tenersi informata con esattezza circa gl'intendimenti dell'Associazione e circa i suoi rapporti colle Società analoghe esistenti nel Regno.

172

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. 98. Roma, 22 ottobre 1871.

Essendo Ella in procinto di ritornare a Costantinopoli reputo utile riassumere in un breve dispaccio ciò che durante la di Lei assenza da quel posto, il Governo del Re ha fatto nell'interesse della conservazione dello Statu quo nelle condizioni politiche della Reggenza di Tunisi.

La condotta del Governo di S. M. formò l'oggetto di accuse propagate anche

da giornali che godono molto credito; ed anzi da alcuni organi importanti

della stampa francese furono a questo proposito lanciate invettive e calunnie

contro la politica italiana. Di tutto ciò faccio menzione non nell'intenzione di

soffermarmi a rettificare simili giudizi; ma unicamente per avvertire quanto sia

delicata la nostra posizione nell'affare di cui desidero oggi intrattenere V. S.

E per incominciare converrà ch'io La informi come nei primi giorni del mese di Settembre il Reggente del Consolato Generale in Tunisi mi telegrafasse la Sublime Porta esigere l'invio a Costantinopoli di un funzionario tunisino di grado elevato per trattare delle sorti future della Reggenza; il Bey non osare rifìutarsi a simile invito; esser egli deciso a far partire l'indomani il Generale Kherredine per conoscere le intenzioni della Porta. Soggiungeva il Reggente del Consolato Generale italiano avergli il Bey chiesto una lettera di introduzione presso il Ministro di S. M. in Costantinopoli ed aver sollecitato l'appoggio della nostra legazione per il suo inviato a Costantinopoli.

Io non ho creduto necessario di ottemperare al desiderio che il Bey di Tunisi mi faceva esprimere. Ho riflettuto che la Legazione del Re in Turchia era abbastanza istruita dell'interesse che in ogni tempo abbiamo annesso al mantenimento delle presenti condizioni politiche della Tunisia, per non ignorare che anche senza precise e nuove istruzioni essa avrebbe dovuto intervenire con i .suoi buoni ufficii quando lo statu quo della Reggenza fosse realmente messo in pericolo dalle pretese della Porta. Il Generale Kherredine avrebbe egli stesso rappresentato alla nostra legazione la opportunità di tale appoggio se una simile eventualità fosse stata da temersi. Ma nel tempo stesso io non mi faceva un'idea abbastanza chiara di una missione di cui ci giungeva l'annunzio due giorni prima della partenza del personaggio incaricato di compierla, e fìnchè meglio non ci fosse noto il mptivo vero del viaggio del Generale Kherredine, non avremmo certamente potuto promettere a quell'inviato del Bey un eventuale appoggio.

V. S. troverà a Costantinopoli tutte le informazioni che le potranno essere utili circa il seguito che ebbe la missione dell'inviato tunisino. Il mistero che la circonda non cessò per noi neppure dopo che il R. Incaricato d'affari ebbe occasione di abboccarsi con il commissario del Bey.

Il R. Governo si trovò dunque ridotto a formare semplici congetture sopra i negoziati in corso fra la Porta ed il Generale tunisino non potendosi avere per sicure delle informazioni che non ci sono state comunicate direttamente dalle parti interessate in quelle trattative.

Nessuna indicazione sicura ha parimenti avuto il Ministero circa le ragioni date dal Governo di Tunisi alla Francia per la subitanea decisione presa di mandare un delegato speciale a Costantinopoli. Ma a tale riguardo noi possiamo avere qualche lume dal contegno assunto dallo stesso Gabinetto di Versailles rispetto a noi in questa occasione.

Già bisogna ch'io apra una parentesi.

Ricorderà certamente V. S. i particolari della lunga e faticosa quistione nata fra il Governo tunisino e la Società agricola industriale italiana per la Tunisia. La condotta del Bardo verso quella Società avea fatto sorgere gravi incertezze sulla sorte riservata alle imprese agricole che vari coloni italiani hanno da alcuni anni incominciato ad esercitare sul territorio della Reggenza. Per guarentire quegli interessi, e per assicurare il rispetto e l'osservanza delle convenzioni esistenti, il Governo di S. M. si trovò costretto di insistere presso il Bey per la stipulazione di un protocollo di cui Ella ebbe comunicazione. Agli interessi speciali impegnati nella contestazione fra il Bardo e la Società agricola industriale italiana, si è contemporaneamente provveduto collo stabilire che la vertenza sarebbe sottoposta ad un giudizio arbitrale. Mancò malauguratamente in questo affare il sincero desiderio di risolvere equamente le quistioni che le parti si dichiaravano disposte a deferire agli arbitri. Quindi alla contestazione sul numero degli arbitri da designarsi tenne dietro quella della procedura da seguirsi; poi nacquero i dissidii sulla scelta del quinto arbitro; e tuttora è pendente la quistione di sapere dove la commissione arbitrale dovrà riunirsi. Ora avvenne che mentre le due parti non giungevano ad intendersi sulla scelta del sovr'arbitro, la società italiana, ascoltando non so quali suggerimenti, proponesse al R. Governo di portare la quistione a Costantinopoli. La Turchia, dicevano gli amministratori della Società, troverebbe modo di terminare subito quest'affare, e siccome in quella via il Governo del Re non era disposto ad appoggiare i passi della compagnia, questa usciva fuori ad un tratto con la proposta di Photiades-bey, Ministro della Sublime Porta in Italia, come quinto arbitro da designarsi.

Il R. Governo era nel suo diritto di dire alla Società italiana che non ne avrebbe appoggiato i passi presso la Porta Ottomana; però non poteva ugualmente vietare a quella Società di fare quelle pratiche che essa stimava dover condurre alla immediata risoluzione di difficoltà che da vari mesi apparivano inestricabili. Ma di questa particolare situazione del Governo italiano, situazione di cui la responsabilità ricadeva tutta unicamente sul Governo di Tunisi, non pare che a Versailles si sapesse tener conto. Il Ministro francese ci fece sapere che sentiva con vivissimo dispiacere l'Italia aver chiamato la Turchia ad ingerirsi di affari nei quali l'indipendenza del Bey di Tunisi era stata sin qui accettata.

Il Governo di Versailles potè però avere la prova che l'Italia si preoccupava non meno della Francia della necessità di impedire che la quistione relativa alla situazione politica della Tunisia venisse anche soltanto indirettamente pregiudicata. Eravamo stati noi e non la Francia a segnalare a Parigi ed a Londra la opportunità di accompagnare il protocollo relativo alla giurisdizione consolare in Tripoli di una dichiarazione che valesse a far comprendere alla Turchia che il primo atto ufficiale di riconoscimento che le Potenze facevano delle mutazioni operate a Tripoli, non doveva allettarla a tentare simili novità a Tunisi ed in Egitto.

Ella comprende, Signor Ministro, che l'Italia non può avere alcun interesse a mantenere vivi dei sospetti che essa non ha certamente contribuito a far nascere. Questi sospetti, lo ripeto, non sono giusti; ma dal momento che esistono, noi dobbiamo tenerne conto per raddoppiare di franchezza in tutti i nostri atti, in tutta la nostra condotta.

Appena dunque il Governo francese ci ebbe fatto conoscere il desiderio suo che l'Italia si associasse ai passi da farsi presso la Porta Ottomana per mantenere a Tunisi la situazione politica di cui la Reggenza è stata sinora in possesso, noi abbiamo ordinato all'Incaricato d'Affari in Costantinopoli di esprimersi con i Ministri del Sultano in modo da non lasciar dubbio sulla ferma nostra intenzione di vegliare a che lo statu quo delle relazioni internazionali della Tunisia con l'Italia non abbia ad essere alterato, e non abbiamo taciuto che il momento non ci sembrava opportuno per sollevare le discussioni alle quali la missione del Generale Kherreddine dovea necessariamente dar origine.

Ella troverà a Costantinopoli le istruzioni da me impartite a quella R. Legazione sino dal giorno 9 corrente (1). A V. S. non isfuggirà certamente la particolare raccomandazione fatta all'Incaricato d'affari di S. M. di far noto allo Ambasciatore francese le istruzioni ricevute e le pratiche eseguite presso i ministri ottomani per dare appoggio ai passi della diplomazia francese. Ciò significa che il Governo italiano non vuoi dare appiglio a sospetti. Egli segue nell'affare di Tunisi una politica che non ha fini reconditi e che può essere palesemente confessata, tanto alla Francia quanto alla Turchia od a qualunque altra potenza vi prenda interesse.

Coerentemente alla nostra linea di condotta noi dovevamo indirizzarci anche all'Inghilterra. Lo abbiamo fatto, informandola che avevamo rappresentato alla Porta l'inopportunità di sollevare in questo momento, la quistione tunisina e la convenienza somma di lasciare invece sussistere lo Statu quo nella Reggenza.

L'accordo con la Francia e con l'Inghilterra è sempre stato, come V. S. non ignora, la base della nostra politica negli affari di Tunisi che ci offrono un interesse comune con quelle due Potenze.

Abbiamo ritenuto e riteniamo tutt'ora che la migliore guarentigia della conservazione dello stato presente della Tunisia consista appunto nella azione concorde dei tre governi che si dividono gli interessi maggiori degli stranieri in quel paese. Mantenere il concerto dei tre governi fu dunque mira costante dei nostri sforzi, e noi possiamo andar lieti che nel caso presente non si siano affacciate difficoltà da superare per istabilire fra i Gabinetti di Roma, di Parigf, e di Londra un accordo che noi giudichiamo necessario. Un telegramma della

R. Legazione in Inghilterra (2) mi dà infatti la notizia che sino dall'll corrente Lord Granville avea scritto all'ambasciatore britannico a Costantinopoli di far conoscere al Gran Vizir che il Governo inglese trova inopportuna la concession9 di un nuovo firmano importante modificazioni delle disposizioni viziriali del 1864, e ciò in vista delle difficoltà che per tal guisa si creerebbero alle Potenze.

Mantenendosi pertanto V. S. nei limiti delle mie istruzioni telegrafiche al Signor Cova, Ella si troverà ad esercitare un'azione conforme a quella prescritta dalla Gran Bretagna al suo rappresentante presso il Sultano.

Se la Porta persisterà nel divisamento di dare altra norma ai suoi rapporti con Tunisi, V. S. insisterà dal canto suo nel senso di dimostrare quanto un simile proposito riesca pericoloso mentre tutta l'Europa ha bisogno di riposo e di tranquillità. Ella dovrà manifestare al Gran Vizir tutta l'importanza che giu

stamente dall'Italia si annette alla conservazione dei suoi rapporti con Tunisi sul piede attuale. Qualunque mutamento sostanziale non potrebbe essere ammesso senza un preliminare concerto delle potenze impossibile ad ottenere. Pensi dunque la Porta prima di spingere un passo troppo innanzi in una via tanto avventurosa, daddove potrebbe riuscirle più tardi molto diffiicile ritirarsi con convenienza e dignità.

Queste ed altre simili considerazioni che V. S. vorrà presentare ai Ministri del Sultano, saranno tanto più ascoltate quanto maggiore sarà in essi la convinzione che l'Italia non intende arrogarsi a Tunisi alcuna influenza esclusiva, nè mettere comechessia in pericolo la indipendenza del potere sovrano della Reggenza. A questo riguardo le di Lei dichiarazioni possono essere esplicite quanto i Ministri del Sultano lo possono desiderare. Noi non possiamo lodarci della amministrazione tunisina nei suoi rapporti cogli Italiani stabiliti in quel paese, ma nelle nostre vertenze con il Bardo abbiamo ognora fatto prova di una grande moderazione e di uno spirito di equità costante. Anche nella trattazione degli affari finanziari, per i quali l'Italia, con la Francia e l'Inghilterra, ha dovuto domandare la guarentigia di una commissione amministratrice, noi siamo stati quelli che maggiormente ci siamo preoccupati di salvare al Bey i diritti essenziali dei quali egli deve rimanere in possesso per amministrare non solamente di nome, ma anche di fatto la Reggenza. V. S. conosce abbastanza la condotta del R. Governo in quell'occasione per poter ora trarne argomento persùasivo nei suoi discorsi con i Ministri Ottomani.

A questi Ella aggiungerà tutti quegli altri riflessi che Le potranno sembrare utili per ottenere che la Porta desista dal proposito d'intraprendere novità a Tunisi. Ma nel modo stesso in cui noi ravvisiamo tali novità come assolutamente inopportune, riconosciamo pure il momento attuale come il più mal scelto per intavolare una discussione sopra ciò che si deve intendere compreso nello statu quo della Reggenza.

I rapporti della Tunisia con l'Impero ottomano e la dipendenza del Bey dal Sultano non sono cose definite in modo da non lasciar sussistere gravi divergenze d'opinione fra i varii gabinetti. L'Italia non vuoi pregiudicare le sue decisioni a questo riguardo senza che un'assoluta necessità la costringa a prendere un partito. E siccome questa necessità non ci è ancora fatta manifesta, cosi è desiderio del Governo del Re che V. S. proceda molto cauta in tutto ciò che potrebbe interpretarsi come espressione dell'opinione nostra circa i rapporti della Reggenza colla Porta.

Il R. Governo si astiene dal considerare tutte le altre combinazioni sulle quali un accordo potesse intervenire anche fra la Francia e la Turchia. Ma io raccomando a Lei di vegliare oculatamente sovra tutti i dati che la quistione di Tunisi può offrire. Ella non deve mai perdere di vista che l'Italia ha un interesse assoluto a che i porti della Tunisia, Biserta in special modo, non abbiano per effetto di alcuna combinazione, a cadere in mano di altre Potenze. Questo interesse, proprio dell'Italia, è diviso anche da altri governi aventi interessi politici nel Mediterraneo. Non bisogna perder di vista la vicinanza di Biserta al confine algerino e la facilità di ridurre quell'importante porto in formidabhle arsenale di guerra.

Le contestazioni presenti fra il Governo tunisino e la Francia a proposito di alcuni insorti algerini che si dicono rifugiati a Tunisi, debbono farci avvisati che il momento è venuto di tenere gli occhi aperti anche da quella parte, senza però far mostra di aver concepito sospetto o di nutrire timori che potrebbero essere anche esagerati.

In ogni caso, anche in vista delle circostanze Ella può vedere, Signor Ministro, che questo non può essere tempo di compromettere alla leggiera la questione di sapere se la Tunisia sia compresa nella guarentigia collettiva che copre tutto il territorio ottomano.

Tali sono le principali considerazioni che importa siano tenute presenti da

V. S. nella trattazione degli affari di Tunisi, ed io aspetto con qualche premura le informazioni di V. S. per formarmi un concetto più esatto della situazione attuale di questa quistione.

(l) Cfr. n. 163, allegato.

(l) -Cfr. n. 148. (2) -Cfr. n. 165.
173

L'INCARICATO D'AFFARI A CARACAS, VIVIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 56. Caracas, 22 ottobre 1871 (per. il 19 dicembre).

Il mio Collega di Germania mi annunziò ieri confidenzialmente essergli stato partecipato dal proprio Governo che il concetto del Protocollo, di che ne' miei Rapporti n. 46 e 47 (l) (finora senza risposta) non fu preso in considerazione. Nell'informarlo di questo fatto, egli gli ha ordinato di procedere, senza più a combinare co' di lui colleghi di Inghilterra, d'Italia, di Spagna e di Danimarca, l'azione diplomatica proposta ed accettata. Essa deve avere per fine il miglioramento della condizione dei sudditi delle parti intese e l'esecuzione degli impegni internazionali contratti dal Venezuela. Nel procurare di raggiungere, unito a' suoi colleghi, questi fini, l'agente germanico deve evitare con c somma cura • tutto ciò che potrebbe produrre delle complicazioni.

La divisione navale, composta della fregata • Niobe • e delle corvette

• Veneta • e • Gazzella • (sulle quali sono imbarcati molti allievi di marina) spedita dal governo germanico in questi mari, non è giunta ancora. Per quanto l'azione da esercitarsi qui debba essere meramente diplomatica e sia esclusa dal governo germanico qualunque idea di c coercizione materiale •, la presenza delùa suddetta squadra non sarà, moralmente parlando, inutile. Con l'invio di tali forze navali nei mari delle Antille, onde essi devono visitare gli emporii più importanti, il governo germanico ha inteso, non tanto di dare un • punto di appoggio effettivo • al suo agente nel Venezuela, c quanto di tacitare il commercio di Amburgo e di Brema, che si lagna di non essere abbastanza protetto in queste parti •. Inoltre, il gabinetto di Berlino si trova nella necessità di dare qualche soddisfazione al partito, che vuole che la Germania si mostri e divenga anche potenza marittima.

La proposta del gabinetto di Berlino non ha ricevuto a Washington l'accoglienza stessa che ebbe a Londra, a Roma, a Madrid ed a Copenaghen. Pare

{l) Non pubblicati.

che gli Stati Uniti abbiano creduto di scorgere una coperta minaccia contro l'indipendenza del Venezuela e sospettato che l'azione diplomatica dovesse servire di mantell.lo ad una spedizione militare eventuale. Essi hanno quindi dato una risposta cortesemente evasiva, dalla quale si deduce che intendono conservarsi liberi da qualunque impegno. Sembra che l'iniziativa presa dal gabinetto di Berlino abbia sorpreso grandemente il gabinetto di Washington. Si vede ch'egli non ha avvertito che, fra le potenze europee, la Germania è appunto quella che ha maggior numero di sudditi da proteggere e d'interessi da tutelare nel Venezuela. Essa ha inoltre importanti reclami da liquidare.

Nel. darmi nel modo più confidenziale le informazioni qui riassunte, e lettura di brani di dispacci, che le confermano, il signor de Giilich ha molto insistito sul fatto della somma prudenza inculcatagli dal suo governo, dolendosi che, con l'invio di una squadra sieno da una parte stati messi a di lui disposizione efficaci mezzi di azione e dall'altra vietato di servirsene come e quando sarebbe necessario.

Il Signor de Giilich ha concluso col dirmi che quanto prima convocherebbe a conferenza i rappresentanti delle Potenze che hanno aderito alla proposta del suo Governo.

174

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 891. Berlino, 23 ottobre 1871 (per. il 29).

J'ai eu avant-hier une audience chez le Prince de Bismarck.

Je lui ai dit comme à Monsieur de Thile (dépeche n. 887) (l) que, durant mon dernier séjour e.n Italie, j'avais été de plus en plus à meme de connaitre la pensée intime de mon Gouvernement et que j'avais rapporté Ies meilleures impressions. J'avais acquis de nouvelles preuves que la ligne de conduite que j'ai toujours suivie rencontrait l'entière approbation du Roi et de son Ministère. Il ne pouvait en etre autrement, car je m'étais constamment appliqué à me conformer aux instructions de V. E. qui n'avait jamais varié dans ses sympathies pour l'Allemagne. J'avais l'instruction de continuer et de développer les rapports d'amitié entre les deux pays. Nous tenons donc beaucoup à vivre sur le pied d'une réciproque confiance et à entretenir un échange de vues qui puisse nous profiter de part et d'autre s'il surgissait quelque incident de nature à compromettre la paix générale ou à mettre en péri>l nos intérets mutuels, intérets si évidents qu'il devient superfiu de !es désigner autrement.

Le Chancelier Impérial m'a dit à son tour que nous ne devions avoir aucun doute sur un égal désir du Cabinet de Berlin de vivre en bonne intelligence avec l'Italie. La position géographique des deux pays, Ieur assigne un

role important pour le maintien de la paix; leurs intérèts ne les divisent pas, mais les rapprochent.

• Vous ne pourriez un jour avoir des dangers à courir que du cOté de la France, mais de longtemps, mème si contre toute prévision, Henri V montait sur le trone, elle ne sera pas en mesure de vous nuire. Mais en aurait-elle les moyens, elle ne pourrait tenter l'aventure sans pressentir nos dispositions. Or notre silence seui sous ce rapport lui donnerait à réftéchir. Nous pourrions aussi lui laisser entendre que nous aviserions, comme elle l'a fait vis-à-vis de nous en 1866, en prenant une attitude d'abstention peu rassurante. Nous pourrions faire des préparatifs militaires dans le Grand-Duché de Baae concentrer des troupes à Metz. Toute tentative de la France serait alors paralysée. Telle serait à l'occurrence ma manière de voir et d'agir. En attendant il n'y a pas péril en la demeure. Les hommes sont mortels. Je n'ai pas un brevet de longévité; mais quelque soit mon successeur dans les conseils de la Couronne, il ne saurait permettre à la France de défaire l'Italie. Ce serait faire acte d'imbécillité •.

En terminant cet entretien le Prince de Bismàrck m'a chargé de vous remercier, Monsieur le Chevalier, du langage que vous m'aviez autorisé à lui tenir et il m'a donné l'assurance de ses bonnes dispositions à notre égard.

(l) Cfr. n. 159.

175

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 892. Berlino, 23 ottobre 1871 (per. il 29).

Dans l'entretien que j'ai eu avant hier avec le Prince de Bismarck, il m'a demandé si notre Gouvernement était instaUé à Rome. J'ai répondu qu'il l'était au point que les représentants étrangers qui se trouvaient encore à Florence en étaient réduits à prendre un billet de chemin de fer allée et retour, quand'ils voulaient faire une communication verbale à V. E.

Il m'a demandé si notre Auguste Souverain fixerait sa résidence dans la nouvelle capitale. Je me suis borné à répondre que, d'après le récit des journaux, Sa Majesté s'y rendrait au mois de Novembre pour ouvrir la prochaine session du Parlement.

• Il faudra donc, répliquait Son Altesse, que le Comte Brassier se transfère à Rome. Le Comte Arnim n'y retournera plus. Il est désigné in petto pour le poste de Paris • .

J'ai laissé entendre que sur ce point je n'étais chargé d'exprimer aucun désir, car nous ne doutions pas un seul instant que le Cabinet de Berlin saurait agir dans cette occasion avec la mème courtoisie, avec cette mème bienviellance, dont il avait fait preuve au mois de Juillet dernier lorsque, conformément à ses instructions, le Comte Brassier avait été le premier parmi ses col1lègues à saluer le Roi lors de son entrée solennelle au Quirinal.

• Il parait au reste, ajoutait le Prince de Bismarck, que le Pape semble en ce moment mieux disposé pour vous que pour nous. Il fulmine quand nous faisons mine d'éternuer.

Quand à Versailles Sa Saintété nous a félicité de nos victoires, on pouvait presque croire qu'El1le serait tentée de venir spontanément sacrer le nouvel Empereur d'Allemagne. Je me représentais déjà en pensée, si Elle arrivait dans ce pays, combien nous serions embarrassés pour ne pas lui fausser compagnie. A mon retour à Berlin, on m'a rendu compte de la campagne si maladroitement entreprise par la fraction Catholique du Reichstag. C'en était dès lors de mes appréhensions. Mon tempérament n'est cependant pas vindicatif. Autrement je pourrais rappeler que vers le 15ème siècle quatre de mes ancetres ont été excomuniés et qu'une partie considérable de leur fortune a passé au rachat de leurs ames et de leurs sépultures. Le crime de l'un d'eux avait été de permettre, près d'une Eglise, l'établissement d'une école où l'enseignement était indistinctement donné aux Chrétiens et aux Juifs. Il est vrai qu'il y a trois cents ans Ùn des Electeurs de Brandebourg a dépossédé ma famille de grandes propriétés après avoir attiré un Bismarck dans un guet-apens et l'avoir fait enfermer à Spandau. Une partie des forets situées dans la Marche, où parfois je chasse avec mon Auguste Souverain, relevaient alors des fiefs de ma famille. C'est ainsi qu'on devient des sujets fidèles et dévoués. Noblesse Oblige! Si non j'aurais quelque titre à etre au meme degré républicain que je suis hérétique •.

On ne saurait plaisanter d'une manière plus spirituelle.

P. S. -J'ai l'honneur de prévenir V. E. que je lui écrirai, par occasion, une lettre particulière.

176

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 893. Berlino, 23 ottobre 1871 (per. il 29).

Le Prince de Bismarck m'a aussi parlé des rapports entre l'Allemagne et la France. Par les Conventions récentes signées avec M. Pouyer Quertier et destinées à régler sur plusieurs points essentiels l'exécution du Traité de paix de Francfort, la position de M. Thiers a été fortifiée.

Il était dans l'intéret du Cabinet de Berlin de s'y preter et de faciliter ainsi la tache du Gouvernement qui est encore débiteur de trois milliards. Lorsque ce payement aura eu lieu, l'Allemagne, comme pays limitrophe, restera intéressée à la sagesse de la France.

Si l'Italie peut etre rassurée pour quelques années contre toute menace du còté de cette Puissance, il n'est également pas à supposer qu'elle songe de sitòt et sérieusement à une revanche contre l'Allemagne. Si la Prusse d'avant 1866 avec 19 millions d'habitants, pouvait mettre sur pied un million de soldats, l'Allemagne réunie pourra disposer d'une force double quand l'organisation

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16 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

militaire aura fourni tous les contingents. La période actuelle de paix est mise à profit pour tirer parti des expériences faites dans la dernière guerre et améliorer de plus en plus le système. Une nouvelle lutte serait formidable. On devrait procéder sans ménagements, faire table rase de tous les villages où se commettrait des attentats contre le soldat Allemand, et fusiller sans merci les corps francs. Le Français est ainsi fait qu'il ne s'avoue vaincu que lorsqu'il a deux et meme trois bayonnettes dans la poitrine. Il a la fureur du fanatisme, absolument camme chez les sauvages. Il ne faut pas oublier d'ailleurs que la guerre aurait désormais pour point de départ Metz, dont on est occupé à augmenter les fortifications aussi bien que celles de Strasbourg. L'Allemagne étant armée jusqu'aux dents, et à quelques marches de Paris, la France, à moins de faire acte de démence, ne se risquera donc pas à la légère, et si contre toute attente elle parvenait à trouver un aUié sur le continent, il y aurait dans l'Empire assez de troupes pour faire face de deux cotés à la fois.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 894. Berlino, 23 ottobre 1871 (per. il 29).

Ayant amené la conversation sur les entrevues de Salzbourg et de Gastein, j'ai été dans le cas de faire savoir au Prince de Bismarck qu'avant d'avoir eu connaissance de sa circulaire et de celle du Comte de Beust, nous n'avions pas hésité à voir, dans le rapprochement entre l'Allemagne et l'Autriche, une garantien de plus pour le maintien de la paix générale auquel nous étions intéressés à un égal degré. Aussi avions-nous applaudi à ce rapprochement.

Le Chancelier Impérial m'a donné l'assurance que nous avions eu parfaitement raison de faire cette interprétation qui a été confirmée par les circulaires précitées et par le discours de la Couronne à l'ouverture du Reichstag. Il pouvait certifier que le Comte de Beust, comme son interlocuteur, s'était exprimé de la manière la plus amica[e envers l'Italie. On devait etre pleinement édifié à Vienne sur la politique du Cabinet de Berlin. Il n'y a que des reveurs qui puissent lui attribuer des projets d'agrandissement au détriment de l'Empire des Habsbourg. • Nous n'en voulons à aucun prix. Ce serait compromettre notre position en Allemagne. Les Allemands Autrichiens ne nous apporteraient pas une force véritable, tandisqu'ils sont dans leurs provinces un élément de cohésion parmi les autres races éparpiUées sur le vaste territoire d'un Etat dont l'existence est nécessaire à l'equilibre Européen. C'est là une considération qui explique pourquoi nous n'avons pas donné la main aux Hongrois en 1866, et pourquoi nous avons arreté nos troupes à peu de marches de Vienne. Les Français nous reprochent de répéter trop souvent que nous sommes satisfaits. C'est que nous le sommes réellement, quoiqu'il nous reste à faire un travail de digestion qui présente à lui seui bien des difficultés. Nous sommes d'ailleurs absorbés par notre organisation à l'intérieur. Aussi, quand l'occasion se présente, nous prechons aux Allemands autrichiens de ne pas fournir des motifs de plainte à leur Empereur. Nous conseillons en meme temps aux Hongrois de ne pas compromettre leur position par des exigences. Au lieu de tendre la corde, le parti le plus sage serait celui de laisser aux choses leur cours nature!. L'Autriche est ainsi faite, qu'e1le est coutumière de crises qui éreinteraient d'autres Pays, mais qui finissent par se calmer sans compromettre son existence. Ainsi tout porte à croire que le conflit actuel n'aboutira pas à un éclat et sera du moins ajourné par quelque compromis.

La Russie également n'a aucun intéret à susciter des embarras à l'Autriche. On sait à St. Pétersbour'g à quoi s'en tenir sur les aspirations des Slaves. Il leur faut un idéal fantastique pour objet de leur culte. La Russie a des frontières assez étendues pour ne pas se risquer au jeu de la guerre, à moins d'etre elle-meme en butte à des attaques.

L'Empereur Alexandre et meme le Cesarewitch ne pensent pas autrement. Tel est aussi l'intéret de la dynastie. Il ne faut pas ajouter trop d'importance aux criailleries d'une partie de la presse Moscovite.

178

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Parigi, 23 ottobre 1871.

La lettera particolare che l'E. V. volle scrivermi in data del 15 (l) mi giunse invero opportunissima. Essa mi permise di confermare con maggiore autorità al Signor di Remusat ciò che nelle nostre conversazioni io già un pajo di volte gli aveva detto intorno ai nostri rapporti con Tunisi. Appena entrato al Ministero, il Signor di Remusat (come poi egli me l'ha ammesso) fu indotto a concepire qualche sospetto sulla politica seguita verso Tunisi dal Governo del Re. Sino dal mio primo interim nel mese di agosto m'era parso d'avvedermi che qualche malevola insinuazione avesse trovato adito presso di lui e che egli volesse tastare il terreno per rendersi conto delle vere nostre intenzioni. In uno dei miei ultimi colloqui il Signor di Remusat mi ebbe l'aria di voler tentare di nuovo uno scandaglio. Il senso di alcune sue parole fu abbastanza chiaramente questo: • m'avevano messa una pulce nell'orecchio; mi avevano messo in guardia contro le tendenze dell'Italia presso il Bey; ma io non indovinavo troppo il perchè. Una frase dettami dal Cavalier Visconti Venosta a Torino mi aprì appena gli occhi. Il vostro Ministero protestò contro ogni mira di conquista in Africa •.

E poscia il Signor di Remusat, con molta bonarietà, prosegui • che dal suo lato egli sicuramente non vorrebbe mettere ostacolo a tali mire, che lascerebbe fare, ma che gli pareva che l'esempio dell'Algeria e dei tesori e del sangue francese che essa ingojava dovrebbe servirei d'antidoto contro ogni tentazione d'acquisti di colonie •.

Ella ben suppone, Signor Ministro, che io protestai energicamente e recisamente contro ogni simile sospetto. Risposi che altrettanto quanto ogni ufficiale comunicazione del!l'E. V. sui rapporti con Tunisi, la propria mia conoscenza delle condizioni, dei sentimenti e dei bisogni del nostro paese e del suo Governo mi permettevano di affermare che la protesta statagli fatta quasi scherzando dall'E. V. era perfettamente sincera e che non nascondeva nessuna arrière pensée. Ma fui doppiamente lieto che Ella nella Sua ultima lettera particolare tornasse spontaneamente suHe cose di Tunisi, ciò dandomi il destro di parlarne un'altra volta in modo estra-ufficiale al Signor di Remusat e di premunirlo contro ogni nuova insinuazione del suo fedele consigliere M. Desprez (ch'è poco amico nostro) e di altri membri del Ministero della stessa scuola. Non esitai a dargli confidenzialmente lettura d'alcun passi deliJ.a lettera di V. E. e credo -d'averlo lasciato convinto.

Egli mi disse un'altra volta che anche la Francia non desiderava nulla di più che il mantenimento dello statu quo a Tunisi. Incidentalmente poi osservò che per disgrazia l'ingerenza che il Console francese doveva forzatamente prendere nelle cose della finanza tunisina faceva nascere talvolta qualche urto; che ve ne furono col Console inglese; ma che in ciò il carattere personale degli Agenti v'entrava per più che le tendenze di Governi.

Per ciò che concerne la scelta del nuovo Ministro francese in Italia, mi riferisco al telegramma ch'ebbi l'onore d'indirizzarle or sono quattro giorni. Forse, quando Le giungerà la presente, Le sarà già stata trasmessa daU'Incaricato d'affari di Francia quella comunicazione in proposito che una prima volta era stata preparata dal Signor di Remusat e che poi rimase in sospeso per qualche difficoltà sopravvenuta. Il Signor di Remusat non proferl nessun nome. È verosimile che in fatto siavi stata questione del Signor Picard, come già da molto tempo Io telegrafai all'E. V., ma che l'accoglienza fatta arlla notizia datane in guisa di baHon d'essai dai giornali abbia provocato nuove esitanze. Ad ogni modo, inspirandomi di ciò che l'E. V. mi scrisse, io feci presenti al Signor di Remusat le considerazioni che sopratutto in questo momento consigliavano una scelta simpatica all'Italia, ed egli di nuovo dichiarò che sperava accontentarci. Anzi su questo argomento lo trovai in ottimi sensi, perocchè disse che gli doleva di non avere da tanto tempo un ministro in Italia, e che la colpa n'era del solo Choiseul il quale tanto tardò a dimettersi avendo prima rifiutato di tornare subito al suo posto sotto pretesto di lavori preparatori per la sua elezione a consigliere generale, di doveri parlamentari, ecc.

Il Signor di Remusat non prevede un esito brillante dalle pratiche che si

fanno per l'affare del Laurium. La commissione arbitrale, egli dice, potrà

pronunciarsi per un'indennità. Ma secondo il solito il Governo greco non la

pagherà.

(l) Non pubblicata.

179

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 122. Belgrado, 25 ottobre 1871 (per. l' 1 novembre).

Debbonsi ricercare le cagioni del mutamento di politica così indubbiamente mostrato dalla visita del Principe Milano allo Czar, principalmente nelle condizioni interne della monarchia Austro-Ungarica. I tentativi, le condiscendenze ungheresi verso la Serbia erano controbilanciate a Vienna; le agitazioni croate, promosse dal partito militare ed in ultimo dallo Czeco, hanno sempre un'ombra di minaccia contro la Bosnia; nei miei dispacci che trattarono dei confini militari furono a lungo indicati i sospetti ed i timori degli statisti serbi a questo oggetto: finchè il dualismo mostrossi forte e resistette alle tendenze separatistiche la Serbia poteva cercare sostegno nell'Ungheria, della quale però s'ebbe sempre qualche diffidenza: ma quando il temuto federalismo entrò nel campo dei fatti il Principato non vide più per sè altro che pericoli dal vicino stato. La Serbia opera come governo nazionale, e dalla nazionalità oppressa dei serbi dell'Impero Ottomano ricava il suo diritto di egemonia: se questo diritto si trasferisce ad aUri Slavi i quali possano disporre delle forze di un potente Stato, non solo l'egemonia serba cade, ma la stessa indipendenza del Principato è gravemente minacciata. Se la Boemia ottiene diritti di autonomia, li otterrà la Croazia; e la Serbia si troverebbe allora in questo difficile dilemma: o mantenersi unita all'oppressore della Croazia, come chiamano l'Ungheria, e rinnegare i principi dell'esistenza propria: o sottoporsi ad una necessaria decadenza ed alla rinuncia del programma nazionale, per la forza delle cose rapitole da popolo più colto, più intraprendente e capace per la riunione sua agli altri elementi Slavi dell'Impero e irradiare iJ.'ascendente suo sugli Slavi ottomani.

I motivi immediati del raffreddamento della Serbia verso la Monarchia Austro-Ungherese furono di mano in mano che essi palesaronsi dalle conferenze di Londra in poi indicati nella mia corrispondenza: le manifestazioni sue negli ultimi tempi furono da me parimente notate: ma queste cagioni non spiegano sufficientemente, a mio avviso, un cambiamento così grave e così solenne, e v'ha d'uopo attribuirlo a considerazioni di più aiJ.ta importanza.

Non è a mettersi in dubbio la sincerità dei Reggenti quando nei loro colloqui mostravansi alienissimi dal ricercare la protezione della Russia, essi non ignorano la instabilità e la doppiezza sua, e nella storia del Principato ne trovano parecchie e palesi prove. La prevalenza della Russia in Oriente è a detrimento delle nazionalità: essi lo sanno e, se quella prevalenza divenisse conquista essi sanno pure che per i serbi del Principato non vi sarebbe luogo nella mappa panslavistica. Ma forse ai loro occhi quel pericolo è lontano, mentre i fatti minaccev<Yli camminano a passo veloce nella vicina monarchia. Essi credono che un'invasione della Bosnia, un'occupazione della Serbia possano essere impedite dalla lontana protezione Russa, mentre invece ne sarebbe accelerata, e forse la Serbia si lusinga, in caso di guerra, di poter ricevere ajuti da quel Potentato, ed a favore suo combattere essa stessa e far insorgere le provincie finitime.

Non spetta a me il giudicare dell'importanza reale della nuova politica serba: a mio avviso, essa non dovrebbe in nessun modo diminuire la fiducia che nella condizione delle alleanze in Europa, la pace in Oriente non può presentemente essere turbata. I pericoli a questa pace non verranno dalla Serbia, perchè la forza sua militare non lo permette, come propongomi dimostrarlo in una prossima relazione; essi verranno dagli Slavi dell'Ungheria, e come tante volte l'ho preveduto ad essi va trasferendosi la parte che la Serbia vuole e non puote sostenere, perchè non ebbe il coraggio dei mezzi da impiegarsi, e perchè il fine è disproporzionatamente superiore al grado suo di coltura. Il riavvicinamento alla Russia indica soggezione ed implica la rinuncia tacita alla massima che l'Oriente farà da se.

P. S. -La Serbia per conservare la sua dinastia, per completare la sua indipendenza deve respingere l'ascendente degli Slavi del Regno Ungherese e per sè e per le provincie Ottomane: ed è naturale che per sfuggirvi si appigli a mezzi che agli occhi suoi stessi sono pieni di pericoli.

180

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 261. Tunisi, 28 ottobre 1871 (per. il 2 novembre).

Nel recente mio passaggio per Roma 'l'E. V. mi ha fatto l'onore di intrattenermi sulla natura delle trattative esistenti in Costantinopoli tra questa Reggenza e la Sublime Porta, come pure del modo con cui i nuovi rapporti politici che si dicevano stabiliti verrebbero considerati dal Governo del Re e dalla Francia.

Il signor di Botmiliau fin dalla sua prima visita mi disse d'altra parte che dispacci da Versailles lo aveano informato di questa comunanza di viste coll'Italia, per cui mi richiedeva di appoggiare le stesse osservazioni e riserve ch'egli aveva già fatte al Bardo a tale riguardo. Nel confermare l'accordo esistente colla Francia ho risposto al mio collega che mi proponevo di parlarne col Primo Ministro del Bey, e che mi sarei regolato dalle spiegazioni che ne avrei ricevuto.

Ora il Generale Sidi Mustafa che ebbi occasione di vedere in questo frattempo, mi assicurò che l'atto intervenuto in Costantinopoli, nel consacrare lo statu-quo della Reggenza e la successione al trono dell'attuale dinastia secondo la legge musulmana, nulla avea innovato nei rapporti politici tra i due Governi e che avea avuto solo per iscopo di meglio definire alcune pratiche, del resto precedentemente usate, riguardo alla investitura dei Bey, alla preghiera per il Sultano nelle moschee, al conio delle monete ed all'obbligo di fornire all'occorrenza un contingente di truppe.

Da parte mia però mentre non ho nascosto al Ministro le complicazioni che potrebbero derivare dai passati accordi, mi sono creduto in dovere di dichiarare che ricevevo ad referendum le datemi spiegazioni, e ad accennare che in ogni caso i due Gabinetti di Roma e di Versailles riguardavano la questione sotto lo stesso punto di vista.

Da ieri poi corre la voce che al Bey sia stato conferito dal Sultano il titolo di Kedive, e che i Generali Sidi Mustafa e Khereddin furono elevati aJl grado di Mousur, aspettandosi però da un momento all'altro quest'ultimo da Costantinopoli, sapremo ben presto a che cosa attenerci su queste notizie che per altro ho luogo a credere abbastanza fondate. Nel qual caso i cambiamenti avvenuti nei rapporti politici tra la Reggenza e la Turchia non sarebbero puramente di forma come il Generale Sidi Mustafa ha voluto darmi ad intendere.

181

IL VICE CONSOLE A BUCAREST, GLORIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 319. Bucarest, 29 ottobre 1871 (per. il 5 novembre).

L'apertura della sessione straordinaria del parlamento ebbe luogo stamane e mi affretto ad inviare qui unito all'E. V. alcune copie del discorso pronunziato in quest'occasione da S. A. il Principe Carlo (1).

L'insieme del discorso quantunque pieno di adulazioni verso la Camera, l'armata il pubblico e tutta la Rumenia fu accolto piuttosto freddamente dai pochi deputati sparsi nell'aula. Tolte poche espressioni alludenti all'ordine e contro il partito d'azione tutto il discorso fu pronunziato in mezzo al silenzio ed interrotto solo da parzialissimi applausi.

Come V. E. potrà vedere la questione estera fu appena toccata di volo e riguardo a quella delle strade ferrate Strusberg il Gabinetto Principesco non volle in bocca al Sovrano alcuna parola che potesse menomamente far conoscere il modo di vedere del Governo in questa vitale questione.

Si spera che domani i deputati saranno abbastanza numerosi per poter tenere seduta pubblica e cominciare la discussione di quella gran massa di progetti annunziati nel discorso Principesco.

182

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, GALVAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4000. Atene, 30 ottobre 1871, ore 2,25 (per. ore 1,10 del 31).

Le roi a ouvert personnellement la chambre des députés. En parlant de ses bonnes relations avec les puissances, il a dit: j'espère que la question du Laurium ne causera aucun trouble dans mes rapports amicaux avec quelqu'une des puissances. Mon Gouvernement vous communiquera les pièces relatives à cette affaire.

(l) Non pubblicato.

183

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 731/254. Londra, 30 ottobre 1871 (per. il 5 novembre).

Io fui piuttosto restìo a prestare intera fede alla importanza degil.i apparecchi di una crociata che si starebbero facendo in Irlanda in favore del potere temporale del Papa, per quanto dettagliate fossero le informazioni pervenute a cotesto Ministero e dall'E. V. comunicatemi col Dispaccio n. 107 di questa Serie in data del 18 ottobre (1).

Un tale apparecchio, per la natura stessa della propaganda da farsi, non avrebbe, almeno lo spero, potuto passare interamente inosservato in questo paese ma, accennato dai giornali, ripetuto nei circoli non avrebbe mancato di dare qualche indizio di sé. Ciò non ostante mi sono recato a premura di chiedere ragguagli sull'esistenza di esso prima di dirigermi officialmente al Principale Segretario di Stato per gli Affari Esteri. Mi posi dunque in relazione confidenziale con vari personaggi importanti e principalmente col Segretario di Stato per l'Irlanda come la fonte più autorevole che avrebbe potuto dar sanzione d'autenticità a tali rumori, ed ecco qual'è il riassunto di ciò che ho appreso.

Non regna agitazione alcuna in .Irlanda più accentuata di quello che sia stato nei tempi passati in favore del potere temporale del Papa e se mai esistesse un'associazione sotto il patrocinio di S. Sebastiano della quale si cerchi estendere la ramificazione in vari Paesi del continente, dovrebbe avere proporzioni veramente minime non essendo mai nulla trapelato al Governo, assai vigilante per gli affari d'Irlanda, sul conto di essa.

D'altra parte però se nelle parrocchie Irlandesi si fanno delle sottoscrizioni per raccogliere fondi in favore del Papa, queste sottoscrizioni più che probabi!lmente non hanno nulla di straordinario essendo le abituali raccolte di moneta in favore dell'Obolo di S. Pietro alla qual tassa Papale l'Irlanda ha contribuito sempre in larghe proporzioni.

In quanto poi alle istruzioni che si danno ai giovani e agli arrolamenti di antichi militari dell'ex-esercito pontificio di cui gli feci cenno, Lord Hartington non crede essere fuori del vero assicurandomi che queste mene e preparazioni possano essere state confuse colle macchinazioni del partito Feniano che non cessano mai di essere clandestinamente condotte nei distretti cattolici in ispecie.

Avute queste informazioni che combinano appunto colle mie opinioni personali, ho creduto dovere astenermi di fare pel momento pratiche officiali presso Lord Granville e di comunicargli H Dispaccio dell'E. V., tanto più che Lord Hartington mi promise di fare intraprendere le più diligenti ricerche ad ogni buon fine e di farmi sapere il risultato di esse.

Dal contenuto di quest'attesa comunicazione dipenderà in seguito la scelta della via da tenersi. Ciò non ostante è mio dovere rassegnando quanto sopra all'E. V. di aspettare i di Lei ordini in proposito onde conoscere quanto nell'alto suo giudizio :le parrà conveniente indicarmi.

(l) Non pubblicato, ma cfr. n. 156.

184

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. 100. Roma, 31 ottobre 1871.

Al suo giungere a Costantinopoli avrà trovato che il Generale Kherreddine avea lasciato codesta città per ricondursi a Tunisi latore di un firmano del Sultano al Bey avente per iscopo di determinare i rapporti della Reggenza con l'Impero.

Di tale notizia, già segnalatami con telegramma del Signor Cova in data 28 corrente (1), ebbi oggi la conferma in un colloquio avuto poc'anzi con Photiades Bey.

L'inviato ottomano ha ricevuto istruzioni di annunziarmi ch'egli fra pochi giorni sarà in grado di comunicare a me il testo del firmano imperiale rilasciato al Bey di Tunisi e di porgere così al Governo italiano la prova che per tale atto non soffrirà alterazione lo statu quo deHa Tunisia rispetto ai governi stranieri aventi in quel paese interessi commerciali da tutelare. Il firmano determina, mi disse egli, la condizione politica della Reggenza ma lascia intatti i diritti del Bey in tutto ciò che concerne gli affari commerciali e di amministrazione interna. S. A. continuerà come per il passato a poter stipulare deUle convenzioni commerciali; non potrebbe però assumere impegni d'indole politica.

Il progetto di dare una base stabile ai rapporti della Tunisia con la Porta, soggiunge Photiades Bey, data nel 1864. Si stimò tuttavia in quell'anno di poter soprassedere alla conclusione dei negoziati intavolati a tale effetto fra Tunisi e Costantinopoli; ma nel periodo trascorso da quel tempo in poi divenne sempre più manifesto che, per difetto di uno stabile ordinamento, l'amministrazione della Tunisia versava ormai in condizioni di tale instabilità da compromettere seriamente gli interessi politici che l'Impero ottomano ha il diritto ed il dovere di difendere e preservare.

Queste spiegazioni, mi disse l'inviato ottomano, egli era incaricato di presentarmi in risposta alle osservazioni fatte dal Governo italiano alla Sublime Porta mentre appunto stavasi elaborando a Costantinopoli il Firmano consegnato in questi di al Generale Kherreddine.

Io ringraziai il Ministro di Turchia delle spiegazioni che la Porta ci faceva dare. Noi abbiamo sostenuto, gli diss'io, il momento essere inopportuno per risvegliare una quistione daHa quale erano nate altre volte complicazioni assai gravi. In questa nostra opinione convenivano altre Potenze, e ci risultava che l'Inghilterra e la Francia avevano espresso a Costantinopoli sensi non diversi dai nostri. Feci inoltre notare a Photiades Bey come praticamente sia impossibile il determinare a priori il limite oltre il quale un affare in origine puramente commerciale e di interna amministrazione cessa di essere tale ed acquista i,l carattere e l'importanza di una quistione politica. E dappoichè l'inviato ottomano

mi avea assicurato che il firmano non toglieva al Bey la facoltà di assumere impegni internazionali d'indole commerciale, insistetti dal canto mio in particolar modo sopra questa considerazione che quando l'amministrazione tunisina non osservi i patti stipulati o per alcun aUro suo atto di interna amministrazione dia legittimo motivo ad un Governo estero di richiamarla ad un più giusto sentimento dei suoi doveri la questione piglierà un aspetto politico ed allora la Porta si troverà nell'alternativa o rinchiudersi in un sistema di completa astensione, o di assumere la responsabilità e subire le conseguenze di impegni presi e di atti compiuti a sua insaputa da un'amministrazione che sfugge al suo ordinario sindacato. H partito preso dalla Porta avrebbe dunque l'inconveniente di scemare nel Governo del Bey il sentimento della propria responsabilità, e ciò non tenderà a migliorare le condizioni della Reggenza.

Or siccome uno stato di cose da cui possano temersi siffatte conseguenze non dovrà mai influire sovra gli interessi degli stranieri in Tunisi, io dissi a Photiades Bey che l'Italia, dopo di aver sconsigliato il firmano, ora che questo atto è compiuto si riserva di esaminarlo e intanto rimane ferma nell'opinione che per esso non possa alterarsi il carattere delle sue relazioni con la Reggenza queste rimarranno sul piede stesso che per il passato, senza che la diretta responsabilità del Bey e del suo Governo possa scemarsi per gli atti che fossero lesivi delle ragioni e degli interessi degli italiani.

In questo senso io ho parlato a Photiades Bey. E dappoichè V. S. non ebbe campo di valersi delle istruzioni impartitele in Roma circa i passi che avremmo ancora desiderati fare in quest'importante vertenza; ora è mestiere che Ella conosca il mio linguaggio coll'inviato ottomano acciocchè ad esso possa conformare il suo con i Ministri del Sultano.

lo desidero anzi che al ricevere di questo dispaccio Ella si rechi presso codesto Ministro degli Affari Esteri e che questo senta ripetere da lei ciò che io stesso ebbi occasione di dire al Plenipotenziario ottomano.

(l) Non pubblicato.

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L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 255. Londra, 31 ottobre 1871 (per. il 6 novembre).

Mi onoro segnarle ricevuta del pregiato di Lei Dispaccio riservato di questa serie, N. 106 (1), col quale V. E. mi dava incarico di continuare a tenerla al corrente delle mene della Società • Internazionale • che ha qui il suo centro principa'le.

Non mancai di comunicare privatamente alla polizia i connotati del Gambuzzi trasmessimi col precitato dispaccio, ma fin'ora questo mio passo non ebbe alcun risultato. Circa poi il desiderio che Ella nel medesimo mi ripete, di cono

scere cioè quale sarebbe la spesa occorrente a tenere un Agente stipendiato in questa Capitale allo scopo di sorvegliare specialmente le trame dei facinorosi italiani, non posso che riferirmi a quanto già aveva l'onore di rassegnarle in proposito addì 31 dello scorso Agosto col mio rapporto della serie politica

N. 239 (1).

Solo mi permetterò di aggiungere che, se l'Onorevole Ministro dell'Interno si appiglia al partito d'inviare un siffatto agente, considero come condizione essenzialissima del suo successo che gli vengano provveduti liberamente i fondi necessari a far fronte alle spese impreviste che gli potranno occorrere per ottenere l'esito che il R. Governo contempla.

È ovvio che questa mia osservazione trae con sè la naturale conseguenza che la persona cui verrebbe affidato tale incarico, oltre all'essere fornita dell'intelligenza e destrezza volute dovrebbe pure essere meritevole della più illimitata fiducia.

La polizia Inglese non dà molta importanza all'opera degli agitatori stranieri che hanno qui rifugio, ma su di ciò il prefato Signor Ministro dell'Interno saprà esattamente qua.le e quanta possa essere l'influenza dei settarii Italiani residenti all'Estero sulle macchinazioni dei nemici dell'ordine nel nostro paese.

In Inghilterra prevale l'opinione che la Società • Internazionale • non eserciti molto prestigio sulle classi operaie, le quali sono unite in associazioni certamente fondate su basi democratico-radica,li, ma non comuniste al pari delle affigliazioni che esistono per lo più nelle stesse classi sul continente. Si crede ovunque che, anche ammettendo che l' • Internazionale • abbia potuto trarre a sè un certo numero di incauti, quando le masse inglesi si accorgeranno della perversità e della negazione di ogni principio sociale da cui è animata tal setta, si affretteranno a rescindere ogni legame con essa ripudiandone i dettami, e sperasi che ogni onesto operaio, riconosciuto l'inganno in cui fu trascinato, cesserà di far parte di un'associazione così pericolosa e capace di condurre a qualunque eccesso.

Comunque sia la cosa è un fatto che da qualche settimana l'attenzione del pubblico è stata fissata in modo tutto particolare sulle discussioni che ebbero luogo nei numerosi meetings tenuti dai membri dell' • Internazionale • e sulle operazioni di essa.

In primo luogo deggio rassegnare all'E. V. che in questi ultimi giorni si produsse una profonda scissione, seguita da una ardente polemica tra il Segretario Generale della Società • Internazionale •, Signor Hales, ed il Signor Brandlaugh -presidente del Club Repubblicano di Londra -ed altri leaders della propaganda socialista. Questo incidente proverebbe quanto ho avuto l'onore di avanzare poco anzi, cioè che l'elemento democratico di questo paese comincia a scoprire di essere stato tratto in errore dagli • Internazionalisti •, per servirmi della nuova espressione che viene qui usata. Del resto questa attitudine dei radicali Inglesi non è che 11a ripetizione della via tenuta ora da Mazzini e da altri repubblicani dell'antica scuola.

La precitata controversia fu originata dall'asserzione fatta dal Signor Brandlaugh che l' • Internazionale • non aveva molto potere in questo paese e che le associazioni operaie dell'Ingh~lterra non dovevano prestare il loro appoggio ad una società, di cui il Segretario in una pubblica adunata aveva rappresentato l'incendio degli edifici di Parigi come una semplice misura di strategia militare.

A questo il Signor Hales Segretario dell' • Internazionale • rispose che il Signor Brandlaugh non aveva alcuna autorità per parlare in tale guisa. Ammise di considerare gli incendi di Parigi come una misura giustificabile, avendo essi materialmente assistito la difesa della comune, e sostenne essere assolutamente falso che l'influenza dell' • Internazionale • in Inghilterra fosse di così poca ,levatura come si voleva rappresentare, contandosi già in questo paese non meno di 8000 membri che pagavano regolarmente le loro contribuzioni. Il signor Hales in conclusione pubblicò a foggia di programma la seguente dichiarazione :

• La missione dell' • Internazionale • è di stringere in un legame fraterno gli operai di tutti i paesi ed essa patrocina gli interessi del lavoro, e non altro che questo. Esso proclama che ognuno che nasce, uomo o donna, ha diritto di vivere a condizione che si sottometta ad una parte equa del lavoro richiesto dalla Società; e che nessuno che nasce ha questo diritto eccetto che a condizione di fare in iscambio di esso un lavoro utile intellettualmente o manuale.

Non vi può essere dittatura nell'associazione perché è organizzata col principio federativo ed ogni sezione ha piena libertà di agire sopra tutte le questioni politiche o sociali, nazionaj}i o locali a condizione che nulla abbia luogo in antagonismo coi principi dell'associazione •.

Anche supponendo che le osservazioni del Signor Hales sulla estensione dell'organizzazione dell' • Internazionale • non sieno esagerate, non riman men vero che qui, come altrove, regna una scissione nel campo democratico e g{l.i antichi repubblicani si trovano d'un tratto divenuti i rappresentanti della parte conservativa del radicalismo moderno. Questo è ciò che in questo paese fa concepire a molti la speranza che le masse Inglesi col senso pratico che loro ha sempre appartenuto, scorgeranno a tempo l'abisso in cui si vorrebbe precipitarli. Ma si potrà sperarne altrettanto nei vari paesi del continente in Itallia ed in !spagna specialmente ove, sia per la novità di questi principi di associazione, sia per il minor grado di coltura del popolo, molti possono essere gli incauti che si lasceranno sedurre?

Qui mi cade in acconcio fare osservare a V. E. che non ho potuto sapere se la contribuzione di un • penny • annuo, di cui mi fa cenno il precitato Dispaccio di questa serie N. 106, sia veramente il montare della sottoscrizione pagata dai membri Inglesi. La polizia crede piuttosto che questa infima contribuzione di un • penny • si riferisca probabilmente alla partecipazione degli operai esteri, i quali, mercé tale piccolissima quota, potrebbero considerarsi affigliati alla associazione universale avente sede in Londra. Sul fondamento di questa supposizione io però non so nulla.

Ritornando sull'argomento del favore che l' • Internazionale • incontrerebbe attualmente in Italia ed in !spagna, debbo segnalare all'E. V. che questo fu il tema che venne maggiormente svolto nella seduta del Consiglio Generale di questa Società delli 17 corrente, nella quale venne dichiarato che il progresso che fa l'associazione in quei due paesi era rapido e soddisfacente quanto il più ardente dei suoi promotori lo potesse desiderare. Il Consiglio Generale congratulò la Società sulla totale estinzione dell'influenza di Mazzini sugli operai Italiani, attribuendo un tale risultato al solo fatto dell'avere egli denunziato i principii dell'c Internazionale • a cagione del loro carattere empio ed irreligioso.

Qualunque siano state le cose che Mazzini può aver scritto o detto a questo riguardo, le congratulazioni espresse dal Consiglio Generale sulla caduta d~lla sua supremazia, dimostrano ad ogni evento quali siano le basi su cui si fonda la organizzazione dell'c Internazionale •.

Le notizie comunicate alla stessa seduta dall'Agente Spagnolo furono parimenti oggetto di rallegramento pei membri dell'associazione la quale per bocca del suo Segretario, pronunciò che questo successo era dovuto alJla Comune di Parigi la quale aveva diviso in due campi diversi il partito repubblicano attirando a sè l'elemento giovane in tutti i paesi.

Non contenta della sua organizzazione in Europa l' • Internazionale • medita ora di estendere le sue affigliazioni in America in considerazione, siccome ci dice il Segretario di Londra, dei risultati c spaventevoli a contem~arsi • che anche colà produce il riconoscimento della proprietà fondiaria individuale.

Mando intanto qui unito a V. E. gli estratti dei due ultimi mesi di un giornale ebdomadario chiamato c The Eastern Post • che ha molta circolazione fra le più basse classi, e che registra in ogni suo numero il rendiconto delle sedute dell'c Internazionale •.

Nel numero del 14 corrente si leggono i nomi di commissarii corrispondenti per i varii paesi, fra cui figura quello di Engels per l'Italia e la Spagna. Mi sembra che potrebbe tornare utile al Signor Ministro dell'Interno di farsi spedire regolarmente il periodico precitato.

Ma il documento più ragguardevole che mando pure qui accluso è una pagina del Times di or son tre giorni, la quale contiene per intero la storia dei primordii e dell'organamento dell' • Internazionale •. Essendo questo uno dei soggetti più rilevanti dei nostri tempi, l'accurat~ esposizione che in breve spazio condensa le varie fasi cui passò quest'or potente associazione, verrà letto con molto interesse. Essa fu fondata in Londra nel 1840 sotto il nome di c Arbeiters Bildung-Verein •, da un piccolo gruppo di Tedeschi espulsi dalla Francia nel 1839.

Nel 1847 un'importante Conferenza di comunisti Tedeschi venne qui tenuta sotto gli auspici del D. Karl Marx e Federigo Engels, e da quell'epoca, ajutata dagli eventi che avevano luogo in Europa, l'associazione assunse una vera gravità, e vi presero parte i democratici di tutte le Nazioni.

Fin d'~llora si manifestarono in essa le due contrarie tendenze che con varia fortuna si disputarono la supremazia, e che ora come ho esposto più sopra, nuovamente si spiegano una avente per iscopo di convertire la Società in una Setta politica, l'altra invece preferendo d'occuparsi esclusivamente di tutto ciò che si riferisce allo stato sociale degli operai ed alle questioni relative al lavoro, stipendi, scioperi e simili. Ma gradatamente insorsero altri prob~emì sociali ed economici, e di comune accordo venne deciso che la questione politica della forma di governo repubblicano fosse lasciata in sospeso. Ciascun paese rimase libero di adottare la linea di condotta politica che credeva, ed il solo vincqlo d'unione fra i membri dell'associazione fu limitato a certi principi d'aspirazioni comuni rispetto alle aspirazioni sociali ed economiche.

La parte sopra la quale mancano dati positivi è quella che concerne la forza numerica approssimativa della Società. Secondo taluni essa non conterebbe più di 100.000 affigliati. Secondo altri 7.000.000. Ma anche prendendo per base la prima cifra e ponendo mente a~la circostanza che i suoi mezzi finanziari sono dei più ristretti, è impossibile di non essere colpito del potere dell' • Internazionale • e di non vedere che potrà diventare una formidabilissima organizzazione, si può dire che questa Società sia ancora in uno stato d'infanzia, e già produsse la Comune di Parigi. Cosa sarà capace di fare col volgere degli anni?

È questa una considerazione che dovrebbe aver peso presso il Governo Inglese e spingerlo a prestarvi la più seria attenzione onde impedire che sotto Jl'usbergo delle sue leggi si tramino cospirazioni aventi per oggetto la distruzione di ogni istituzione sociale in Europa.

(l) Cfr. n. 146.

(l) Non pubblicato.

186

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 897. Berlino, 2 novembre 1871 (per. il 7).

A son passage pour retourner en Russie, le Prince Gortschakow s'est arrété trois jours à Berlin durant les quels il a été reçu par l'Empereur d'Allemagne et par le Prince de Bismarck. J'ai eu deux fois l'avantage de le voir et j'ai recueilli quelques unes de ses impressions.

I~ ne tarissait pas d'éloges sur la profondeur et la sagesse des vues développées par le Chancelier Allemand, pour l'organisation intérieure de l'Empire et ses rapports avec les Puissances étrangères. Tout me porte à croire que le Prince de Bismarck se sera prononcé vis-à-vis de lui dans un sens analogue à celui dont j'ai rendu compte par mes dépéches du 23 Octobre (1).

Etait-il réellement aussi satisfait qu'il le montrait? ~l m'a mis lui-méme sur la voie de concevoir quelques doutes, lorsqu'il fit, hors de propos, cette observation: qu'il ne nous demandait en ce moment qu'une seule chose: à savoir, de régler la pension de la veuve du Chevalier Regina, ancien Ministre de l'ex Roi de Naples et qu'~l ne pouvait arriver à. un résultat. Il en était de méme à l'égard du Prince de Bismarck quand on lui parlait de choses qui

intéressaient directement la Russie. • Il répond que nous enfonçons une porte ouverte; mais il ne sort pas des généralités •· Je me suis souvenu alors d'une appréciation qui ne manque pas de justesse, consignée dans le livre de M. Benedetti c Ma mission en Prusse •: c La Russie est une carte dans le jeu de M. de Bismarck... il tient essentiellement à ne pas intervertir les roles, à ne pas devenir lui-meme une carte dans le jeu du Cabinet de St. Pétersbourg •.

J'ai fait une allusion aux entrevues d'Ischl et de Salzbourg c C'est là un sujet dont je ne m'occupe pas •. Mais le Prince Gortschakow a prononcé c es mots d'un ton qui ne m'a pas semblé d'accord avec le fond de sa pensée. C'était plutot l'expression d'un sentiment d'orgueil du Ministre d'une grande Puissance, qui ne veut avouer à personne qu'il ne voit pas sans quelque préoccupation ses deux voisins se rapprocher, lorsque leur désaccord lui conviendrait bien davantage. 1(1 reconnaissait pourtant l'à propos d'un jugement porté par un diplomate sur ces entrevues: c C'est l'entente entre le Cavalier et le... cheval. Le cavalier est à Berlin •.

Les embarras sérieux que traverse en ce moment le Cabinet de Vienne sont-ils peut-étre aussi de nature à enlever dans son esprit de l'importance à une pareille entente. Il était néanmoins de l'avis que l'existence de ~a Monarchie Austro-Hongroise est une condition essentielle de l'équilibre Européen. On ne saurait d'ailleurs par quoi la remplacer, si elle tombait en ruines. Il est dans l'intérét généraJl d'éviter tout ce qui pourrait compromettre les bons rapports entre les Puissances. Mais le Comte de Beust n'avait pas la main heureuse, et son caractère inquiet nuisait autant à la bonne conduite des affaires, que le caractère irrésolu de son Souverain.

Son Altesse m'a cité un cas où M. de Beust s'était complètement mépris, meme sur des communications de son propre agent à St. Pétersbourg (1). Il y a quelques mois, le Comte Choteck désireux de rétablir des rapports de confiance entre les deux Puissances se rendit lui-meme à Vienne avec des dépéches qu'il avait rédigées d'après des notes fournies en quelque sorte par le Chancelier Impérial. Le Comte de Beust donnant une fausse interprétation à ces ouvertures, croit ou veut presque y voir des tendances à une action militaire combinée des deux Etats contre l'Allemagne, et indique à St. Pétersbourg quelles sont les forces dont l'Empire Austro-Hongrois disposerait à cet effet. Le Prince Gortschakoff en manifesta plus que de la surprise au Corte Choteck, qui avait été sur le point de donner sa démission en voyant combien à Vienne on avait tortué le sens de ses paroles. De son coté le Comte de Beust reçus l'avis que non seulement on ne le suivrait pas dans cette voie, mais que si des troupes étaient mises en mouvement vers l'Allemagne, la Russie ne pourrait s'emp&her de faire une démonstration vers la frontière Autrichienne. Le Comte de Beust est en proie au cauchemar que chacun en veut au Cabinet de Vienne, et il s'expose à de fausses démarches. Il voit entr'autres la main de la Russie voulant exercer en dehors de son territoire une pression matérielle et morale

sur les Slaves. Comme si elle y songeait, comme si on avait pu sa1s1r un seui de ces agents nombreux, qu'on prétend etre chargés de faire de la propagande! Il n'est pas à nier, il est vrai, qu'il existe dans l'Empire Austro-Hongrois un parti de Slaves mécontents qui, de son propre mouvement, s'agite dans un courant d'opposition. Mais il appartient au Cabinet Austro-Hongrois de travailler à le désa·rmer par une politique habile, autrement il luttera avec désavantage contre cette opposition très dangereuse, si on ne s'entend pas mieux à la ramener dans une autre voie. La Russie ne cherchera pas à susciter des difficultés et elle compte bien qu'elle n'aura pas à s'opposer, comme le cas échéant elle le ferait sans faute, si le Cabinet de Vienne voulait s'attaquer à la Roumanie ou à la Serbie. La Russie lui barrerait le chemin. Le Comte de Beust sait parfaitement à quoi s'en tenir à-cet égard.

Relativement à l'Allemagne, l'Empereur Alexandre tient à entretenir l es meilleurs rapports avec cette Puissance. Certainement que la presse Russe, durant la guerre, se montrait fort peu sympathique à la cause A~lemande, et qu'une partie de l'opinion publique partageait le meme sentiment; mais tel est le prestige du Tsar qu'il a réussi sans difficultés à maintenir son programme politique.

Quant à la Franèe le Prince Gortschakow pensait que la république ne se soutiendrait pas et que les d'Orléans avaient le plus de chances de revenir au pouvoir; lors meme qu'ils n'eussent point su se concilier le bon vouloir du Cabinet de Berlin. Sans vouloir discuter les problèmes de l'avenir, Son Altesse estimait que de longtemps les projets de revanche n'avaient rien de sérieux, vu la condition intérieure d'un pays aussi profondément bouleversé;

Iil n'y a pas non plus de complications à redouter du còté de l'Orient. En suite de la révision du Traité de 1856, la Turquie est en très bons termes avec le Cabinet de St. Pétersbourg. Elle se trouve fort à l'aise d'étre délivrée de l'espèce de tutelle qu'à son endroit exerçaient la France et l'Angleterre.

Les Gouvernements devraient profiter du calme actuel dans les régions politiques, pour s'occuper chacun chez soi de 1la question sociale. L'Internationale a mis une sourdine à son agitation en se rendant compte de l'effet détestable produit par ses excès en France, mais ses agents n'en continuent pas moins à miner secrètement l'édifice de la société, là mème où le terrain est le moins préparé à leurs plans de destruction. Le Prince Gortschakow ne croyait pas à la possibilité de formuler entre les différens pays un accord sur cette importante matière. La diversité des législations serait un des principaux obstacles, mais rien n'empecherait que chaque gouvernement prit chez lui des mesures énergiques pour mieux se garantir contre ce ver rongeur de l'Europe. En Russie l'autorité est décidée, si la démagogie socialiste voulait lever la tete, à procéder instantanément et impitoyablement pour écraser toute tentative criminelle. Le Prince de Bismarck parait avoir quelque inquiétude du còté des paysans Russes, mais à tort. Si le système communal est défectueux en ce qu'il laisse indivise une partie des biens-fond, au lieu de les par.tager entre les habitans et de les intéresser ainsi davantage à la chose publique, il existe un contre-poids très fort dans le principe d'autorité auquel personne ne porterait attente impunément.

En Russie il n'y a pas notamment des grèves, comme en Allemagne, (à Chemnitz, par exemple, où plus de 7000 ouvriers ont souspendu leurs travaux).

J'ai interpeHé le Prince Gortschakow sur les pourparlers entre le Cardinal Antonelli et Monsieur de Kapnitz, et s'il était vrai que le Saint Siège mit comme condition au rétablissement des rapports diplomatiques le retour dans leur diocèse des Evéques exilés du Royaume de Pologne. Il m'a dit: qu'en suite des avances faites par le Cardinal secrétaire d'Etat, des pourparlers avaient en effet eu lieu. ~l n'en connaissait pas encore le résultat; mais en aucun cas la Cour de Russie n'accepterait la condition ci dessus inventée par quelque journal Catholique.

(l) Cfr. nn. 174, 175, 176 e 177.

(l) c maintenant gouverneur de la Bohème depuis quelques mois. Durant la guerre entre la France et l'Allemagne •. Questa frase è aggiunta sull'originale con questa nota: • rettificazioni prescritte dal successivo rapporto del Conte de Launay, n. 898 •·

187

IL CONSOLE GENERALE A SERAJEVO, DURIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 125. Serajevo, 2 novembre 1871 (per. il 15).

A complemento del mio rapporto N. 121, di questa Serie (1), riferisco avermi il Console Inglese dato jeri lettura di lettera particolare del Console Generale Inglese di Belgrado portante che quei Reggenti determinavano il Principe Milano a visitare lo Czar in Crimea a pegno di futura intiera sommessione ai postulati della politica russa per effetto di pressione della Skupcina, e nella lusinga che, amicandosela per tal modo, rìescirebbe consolidata la pericolante autorità loro, lusinga vana al dire del Signor Longworth, stantechè la tardiva resipiscienza dei Reggenti non sia per essere ricambiata dalle simpatie protettrici di quel Console Generale Russo acquisite al partito degli avversarj loro. Il nuovo indirizzo della politica serba farebbe sì che il Signor Longworth preveda fra la Serbia e la Bosnia complicazioni che vorrebbe vedere possibiQmente scongiurate da un contegno prudente, corretto e vigilantissimo delle autorità bosniache.

188

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA

D. s. N. Roma, 3 novembre 1871.

La presenza in Firenze dì una commissiOne triestina per celebrare la battaglia di Digione e per prender parte alla cerimonia che, pare debba aver luogo in quelle circostanze, non mancherà di sollevare la suscettibilità del Governo Austro-Ungarico il quale per lo passato ci ha sempre indirizzato, ogni qual vo~ta si erano prodotte in Italia manifestazioni triestine, delle amichevoli e

17 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

confidenziali ma ad un tempo consistenti osservazioni. Quanto ai componenti della commissione medesima essi si esporrebbero probabilmente al loro ritorno in Trieste, a conseguenze sgradevoli per parte delle autorità locali, le quali in questi ultimi giorni aveano fatto segno di misure severe un triestino accusato di aver portato in Roma in occasione dell'ingresso del Re una bandiera triestina.

In questo stato di cose ~l sottoscritto reputerebbe opportuno, qualora codesto Ministero ne abbia i mezzi, di sconsigliare tale dimostrazione e di fare ogni opera per prevenirle potendo produrre effetti spiacevoli per il Governo del Re, ed in ispecie per i cittadini triestini che prendessero parte alla progettata dimostrazione.

Tanto si reca a dovere il sottoscritto di rispondere alla pregiata nota di codesto dicastero in margine segnata.

(l) Non pubblicato.

189

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4007. Parigi, 3 novembre 1871, ore 19,20 (per. ore 22,30).

Rémusat désire retarder encore signature du protocole sur la juridiction consulaire à Tripoli pour témoigner à la Turquie son mécontentement de ce qu'el~e ait rendu le firman sur la Tunisie. Il veut au moins attendre d'avoir lu auparavant ce firman et il pen~:~e que V. E. ferait bien d'en faire autant. S'il est vrai que le firman maintient statu quo à Tunis, il n'hésitera pas à signer protocole pour Tripoli à quatre, de préférence à un protocole seui.

190

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1686 bis. Parigi, 3 novembre 1871 (per. il 7).

Col dispaccio di serie politica n. 350 in data del 31 ottobre ultimo (1), l'E. V. espresse il desiderio d'essere informata senza dilazione se il Governo Francese preferisca procedere alla firma di un protocollo separato colla Turchia per regolare la questione relativa ai limiti della giurisdizione consolare nel territorio di Tripqli di Barberia, oppure se valendosi delle buone disposizioni dell'Inghilterra esso intenda firmare insieme a quella Potenza ed all'Italia un protocollo a quattro.

Nella conversazione che ho quest'oggi avuta col Signor di Remusat, io ho pregato il Ministro degli Affari Esteri de~la Repubblica di mettermi in grado di far conoscere prontamente le sue intenzioni su ciò all'E. V.

Egli mi rispose che in presenza del firmano che fu reso dal Governo Turco relativamente alla Reggenza di Tunisi malgrado alle rimostranze fatte dalla Francia e drull'Italia, ed il quale tende a far ridivenire la Tunisia più Turca di quanto era, non gli pareva opportuno di mostrarsi troppo arrendevole verso il Governo Turco coll'affrettare la firma del protocollo concernente la giurisdizione Consolare a Tripoli, che dà soddisfazione ai desideri della Turchia. Il Signor di Remusat, non tenendosi pago d~lle dichiarazioni dell'Incaricato d'affari della Sublime Porta secondo le quali il nuovo firmano nulla muterebbe nello statu quo della Tunisia, desidera per lo meno d'aver letto il testo stesso del firmano, prima di firmare ~l protocollo per Tripoli. Egli tuttavia, se anche vuoi mostrare un po' di malumore, non modifica perciò in nessuna guisa le prime sue intenzioni circa il regolamento della questione di giurisdizione a Tripoli e mi ripeté espressamente che avendo la Turchia rinunziato al preambolo del protocollo di Londra egli preferirà firmare insieme col Governo del Re e col Governo Britannico un protocollo a quattro.

(l) Non pubblicato.

191

IL MINISTRO AD ATENE, MIGLIORATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 21. Atene, 4 novembre 1871 (per. il 10).

Di ritorno dal mio congedo non ebbi l'occasione di vedere che per un istante il Ministro degli Affari Esteri, col quale scambiai poche frasi di complimenti. In questo brevissimo colloquio egli si astenne dal farmi la benché menoma allusione sulla questione d€jl Laurium; siccome sembravami che al punto in cui sta questo negozio l'iniziativa ad intrattenermene avrebbe dovuto essere presa dal Signor Coumoundouros, reputai eziandio miglior partito non uscire da quella riserva che ci è imposta in aspettativa di una risposta alla proposizione che d'accordo colla Francia facemmo al Gabinetto Ellenico.

Dalil.e conversazioni avute con qualcuno dei miei colleghi credo dover ritenere ch'e non possiamo farci illusione sulla risposta che a questo riguardo ci verrà fatta dal Ministero Ellenico; sembra egli deciso a declinare la proposta da noi fatta di deferire la decisione di questa controversia ad una commissione di arbitri l) perché egli riguarderebbe come compromessa la propria autorità rimettendosene al giudizio di un tribunale d'arbitri mentre si crede in diritto il solo chiamato a risolverla; 2) perché prevede la condanna della condotta e dell'opinione da esso sin qui sostenuta; 3) perché non potrebbe a suo avviso aver fiducia nell'influenza che è chiamato ad esercitare il Presidente di essa, trovandosi questi nella persona del Rappresentante britannico, l'Agente di quella Potenza che nel corso di quelle negoziazioni ebbe per istruzione di appoggiare in modo officioso le rimostranze che l'Italia e la Francia d'accordo fecero pervenire al Signor Coumoundouros. Non è del resto .ovvio l'osservare che in presenza della precarietà del Gabinetto attuale, contro il quale si agitano e si riuniscono gli sforzi dei differenti partiti che l'osteggiano, voglia egli e possa assumere la responsabilità di far entrare in una nuova fase una controversia di tal natura.

La s01luzione che avrà in questi giorni la questione della scelta del Presidente alla Camera elettiva ci fornirà forse l'occasione di additarci la via che ci converrà seguire; sembrano a tal riguardo in perfetto accordo il Ministero ed i varii partiti che gli fanno opposizione: tutti sono decisi di fare della scelta del Presidente oggetto di questione politica; e non è inverosimile che l'attuale Gabinetto vada in ciò ad essere ~l soccombente.

In aspettativa delle istruzioni che Le piacerà Signor Ministro, impartirmi riguardo all'azione che dovrò seguire in questa controversia, ho l'onore di offrirLe...

192

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 124. Belgrado, 4 novembre 1871 (per. il 15).

Ricercando nell'ultimo mio dispaccio (l) le ragioni per le quali alla Serbia parve conveniente di proclamare che la politica seguita negli ultimi anni dovea essere mutata, considerai ciò solamente che pareami risguardare gli interessi generali del paese. V'è un'altra riflessione che ora mi si affaccia e che forse più d'ogni altra pesò nel consiglio dei Reggenti: ed a questo proposito conviene osservare che il ministero, solo responsabile secondo lo Statuto, sembra non abbia avuto cognizione precedente della risoluzione repentina di condurre il Principe Milano ad ossequiare l'Imperatore di Russia. QuelJ.a riflessione m'è suggerita dai pericoli veri od immaginari che minacciano la dinastia regnante in seguito della sentenza di non farsi luogo a condanna, toccata al Karagiorgeovic; i progressi fatti dalla Serbia celano a mala pena quei pericoli; la doc~lità e sommessione del contadino al governo di fatto assicura un facile esito alle cospirazioni e la reluttanza ad ammettere un'opposizione legale e legittima, la rabbia colla quale ogni tentativo di opposizione è soffocato nel seno stesso dell'assemblea, costringono i ma;lcontenti alla cospirazione segreta. I malcontenti sono di due categorie: i partigiani della dinastia Karagiorgevic nascondonsi gelosamente ed appena a rarissimi intervalli giunge a noi una parola od una informazione vaga secondo le quali in alcune città del Principato la fazione avrebbe un germe di vitalità: gli altri malcontenti più numerosi sono i fautori dell'Omladina che, a detto loro, furono ingannati e traditi dal Ristic. L'arte del Governo fu quelìa di offrire impieghi (qui come in Grecia e per motivi analoghi la distribuzione degli impieghi è di massima rilevanza) ai capi di quel partito: fecesi entrare il Matic a;l ministero ed i rinnegati,

com'è solito, vollero far prova di zelo: ciò andò bene finchè eranvi funzioni e salari disponibili, e di più alla riuscita del disegno voleasi che non si trovasse alcuno disposto a succedere ai capi corrotti nella direzione del~a società. Oggi l'Omladina si risveglia : essa è incerta sulla scelta di un programma definito e pratico: essa correrà forse verso l'estremo radicalismo; alcuni suoi membri scrivono nel Radnik, e posti su questa via s'incontrano, com'ebbi a notare, colle fazioni le più radicali e sovversive dell'Europa.

A V. E. è noto che il colonnello Milivoi Blasnavatz fu sempre un oppositore dell'ascendente Russo: ma le sorti sue sono legate a quelle della dinastia e, forse, vedendo dall'estero minacciata non solo l'egemonia ma l'autonomia serba, come mi provai a dimostrarlo nell'ultimo dispaccio, e nell'interno vedendo apparire germi di opposizione i quali malgrado le apparenze contrarie hanno alcuna probabilità di buon successo in mezzo ad un popolo più ch'ogni altro avido di novità, dovette risolversi a tirare profitto dell'odio che di recente nacque verso l'Ungheria, ed a rassodare la dinastia mostrandola legata ad un potentato che nelle basse classi in Oriente ha pur sempre conservato il prestigio religioso.

Non si avranno spiegazioni su ciò che avvenne fino al ritorno dei Reggenti dalla Scuptcina; sarà difficile il chiederle queste spiegazioni, così recente e così decisa era la ripugnanza che i Reggenti mostravano nei loro discorsi ad avvicinarsi alla Russia.

Ritorniamo agli anni che precedettero la guerra di Crimea: il popolo che in Oriente si assumeva e nel quale le potenze occidentali compiacevansi di scorgere l'elemento che avrebbe cominciata l'opera di un organamento della penisola balcanica colle sole forze nazionali, morali e militari, si dichiara col fatto incapace a compiere la sua missione ed in modo inaspettato sembra volere legare i suoi interessi a quelli di quel Potentato stesso al quale la pace di Parigi intendea impedire J'ingerimento negli affari orientali.

Se questi eventi fossero accaduti in una contrada Europea, sarei in grado di scrivere a V. E. ragguagli più precisi e sia nel giornalismo sia nelle conversazioni private vi sarebbe mezzo d'indagare prontamente e sicuramente il suo significato. Per ora debbo restringermi a supposizioni, il valore delle quali corrisponde a quello che può avere la conoscenza mia delle condizioni della Serbia.

A Roma ed a Costantinopoli debbesi giudicare del modo nel quale questo avvenimento è apprezzato dal Governo Ottomano. Io ne sarei meravigliato se ne sorgessero difficoltà: la Porta credesi probabilmente più minacciata che dalla Russia dalle aspirazioni degli Slavi dell'Impero Austro-Ungarico, e la Russia sarà probabilmente richiesta di agire a Costantinopoli in favore della Serbia e lo farà nei limiti fissati dalla tradizionale sua politica. Chi sa che il pericolo di vedere l'egemonia Croata sostituirsi alla Serba, e quello che in momenti favorevoli dalla Croazia si operi un colpo di mano sulla Bosnia, non serva a risvegliare nella Russia il desiderio di consigliare alla Porta alcune fra le concessioni tanto desiderate in Serbia?

Sarà prima che a Belgrado noto a Roma il modo di vedere del gabinetto Austro-Ungarico a questo rispetto. Si risentirà vivamente in ogni caso la differenza nella condotta tenutasi quando l'Imperatore Francesco Giuseppe passava a Basiasch e vi era ossequiato dal colonnello Blasnavatz.

Inoltre si rimpiangeranno forse le concessioni e la deferenza, talvolta ai miei occhi eccessiva, fatte per interesse politico alla Serbia il frutto delle quali fu lungi dall'essere soddisfacente.

(l) Non pubblicato, ma cfr. n. 179.

193

IL CONSOLE A GINEVRA, GAMBINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. RISERVATA S. N. Ginevra, 4 novembre 1871 (per. il 7).

Depuis la dernière insurrection de Paris une foule de personnes compromises, soit à Paris méme, soit dans les Départements, sont venues chercher un refuge à Genève.

Il semble que récemment, suivant un mot d'ordre, ou un plan concerté, beaucoup de ces personnages dangereux, se dirigent vers l'Italie en prenant la voie du Simplon; ce qu'elles ne pourraient faire en passant par le Mont Cenis, où la surveillance est très rigoureuse.

J'ai cru devoir attirer l'attention de V. E. sur ce passage qui mérite d'étre surveillé surtout en présence du Congrès International des ouvriers convoqué à Rome.

194

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 262. Tunisi, 4 novembre 1871 (per. il 9).

Il Generale Kherredin ch'era aspettato da Costantinopoli sin dai primi della scadente settimana, si è fermato in Malta per purgarvi la quarantena, onde non sarà qui che verso i 20 dell'andante mese.

Intanto è stato da me il Signor di Botmiliau per comunicarmi un nuovo dispaccio pervenutogli da Versailles, nel quale è detto che nel Firmano di cui è latore il prefato Generale, il territorio componente la Tunisia veniva dichiarato parte integrante dell'Impero ottomano, dichiarazione questa che intaccando lo statu quo della Reggenza non poteva essere gradita dalla Francia, e siccome insieme coll'Italia erano dell'istesso avviso l'Inghilterra e l'Austria venivagli inculcato d'intendersi coi Rappresentanti di quelle Potenze per fare, ciascuno dalla sua parte, le stesse riserve a,l Governo tunisino. Mi aggiunse pure che il Console inglese cui ne aveva diggià parlato, si era destramente astenuto dal prenderne impegno, nè poteva essere altrimenti conoscendosi oramai la parte da lui presa nel maneggio di questa faccenda. In quanto a me io gli osservai che a questo riguardo mi ero già spiegato col Primo Ministro di S. A. in termini abbastanza espliciti, ma che nullameno avendo occasione di vederlo nuovamente non mi sarei peritato di ritornare sull'istesso argomento.

Questa volta il Generale Sidi Mustafa fu meco più espansivo, e non mi nascose che continue essendo da una parte le questioni colla Francia per la delimitazione delle frontiere, e facendosi daLl'altra più insistenti, per non dire minacciose le pressioni esercitate in ultimo dalla Porta, il Bey avea creduto in questo modo di garantire il suo territorio ed assicurare a un tempo il pieno esercizio de' suoi diritti sovrani; prendendo però la conversazione un tuono più confidenziale ed amichevole riuscii per altro a capacitarlo dei perico!li che sovrastavano alla dinastia regnante ed alla autonomia della Reggenza dalla ratificazione di quel Firmano di cui mi si era taciuto il punto principale, in vista di che H Ministro mi promise che anzitutto il Firmano sarebbe stato sottoposto all'appreziazione delle grandi Potenze.

Io non saprei affermare che il Generale Sidi Mustafa mantenga la sua promessa; in questo caso però coll'aprirsi la via a delle negoziazioni diplomatiche si semplificherebbe di gran lunga ~la questione, ed il Console di Francia cui ne resi edotto, se ne addimostrò piuttosto soddisfatto.

195

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4009. Pietroburgo, 5 novembre 1871, ore 1,35 (per. ore 0,25 del 6).

L'ambassadeur de France me dit avoir été chargé par télégraphe de déclarer ici que son Gouvernement considérerait comme non avenues les restrictions apportées par le firman à l'autonomie politique de Tunis. La méme démarche aurait été faite à Constantinople. M. de Westmann aurait, en apparence du moins, accueilli ces déclarations avec sympathie.

196

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 264. Tunisi, 5 novembre 1871 (per. il 9).

Ieri sera ho ricevuto finalmente la J.ettera promessami dal Bey in ordine

alle modalità da seguirsi nel consaputo arbitraggio conformemente alle pro

poste di S. E. il Cavalier Vigliani, ed essendovi stato il tempo di farne la

traduzione, sono lieto di poterne trasmettere con questo stesso vapore il pre

ciso tenore.

Contenendo questa lettera le medesime assicurazioni da me avanzate nel

precedente rapporto (1), cui per il resto mi riferisco...

ALLEGATO

MUSTAFÀ A PINNA

(traduzione)

N. 2016. Tunisi, 4 novembre 1871.

Lode a Dio!

S. A. il Mio Magnifico Signore avendo preso conoscenza così del foglio a me diretto dal Cavalier Vigliani come di quello diretto dal medesimo a S. E. il Ministro degli Affari Esteri di cui la S. V. Illustrissima ci ha comunicato il tenore ha convenuto che la riunione degli arbitri abbia luogo in Firenze sotto la presidenza del Cavalier Vigliani e che in seguito i quattro arbitri si rechino in Tunisi per compiervi quegli incumbenti ed atti preparatori che saranno del caso per ritornare poscia in Firenze onde procedere alla definizione della vertenza secondo la procedura italiana e sotto la presidenza sempre del Cavalier Vigliani.

La r;>refata A. S. ha pure aderito al modo di giudicare in caso di divergenza di opinione fra i quattro arbitri che si troveranno in Tunisi per compiervi gli atti preparatori di cui è cenno più sopra, come altresì su quello che concerne l'esecuzione della Sentenza che sarà pronunziata.

Riferiamo ciò alla S. V. Illustrissima perché possa farne analoga partecipazione all'Eccelso di Lei Governo. Dimori sempre sotto la custodia di Dio.

(l) Non pubblicato.

197

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 900. Berlino, 6 novembre 1871 (per. il 10).

L'épiscopat allemand, en suite des conférences de Fulda, avait fait parvenir à l'Empereur une espèce de monitoire pour se plaindre de l'oppression qui pesait sur les Catholiques en Prusse. Cette requéte datée du 13 Septembre récriminait notamment contre quelques mesures adoptées par le Ministère des Cultes, entre autres en ce qui concerne les écoll.es, mesures dont j'ai déjà rendu compte. Elles étaient envisagées comme une atteinte aux croyances des catholiques.

L'Empereur a répondu le 18 Octobre par une lettre adressée à l'archevéque de Cologne. Après une réfutation des griefs articulés par les évéques,

S. M. laisse entendre qu'Elle avait espéré que l'opposition qui s'était montrée dans certaines régions de l'Eglise Catholique, à 1'égard du mouvement national opéré sous l'égide de la Prusse, aurait fait piace à des meilleurs sentiments, après la nouvelle organisation de l'Allemagne. Cet espoir avait été corroboré par la teneur d'une lettre autographe du Pape à S. M. après le rétablissement de l'Empire. L'Empereur déclare qu'aucunes désillusions à cet égard le détourneront de veiller à ce que chaque confession en Prusse conserve l'entière mesure de liberté conciliable avec les droits d'autrui et avec l'égalité de tous devant la loi.

Le fait de cette correspondance m'a été confirmé par le Secrétaire d'Etat. n m'assurait cependant que le langage de son Souverain quelque ferme qu'il fut, n'était pas sorti des limites de la modération. Il m'a répété à cette occasion que les instigateurs de l'agitation représentée au Parlement dans la fraction Catholique du centre, faisaient fausse route et partant nuisaient beaucoup aux intérets dont ils se constituaient les champions.

n m'a aussi parlé de l'allocution prononcée par Sa Sainteté au dernier Consistoire. Sa première impression avait été très défavorable, parce qu'il semblait croire que le passage où le Pape se plaint de ce que • quelque part • des Ministres protègent meme publiquement les nouveaux sectaires, était aussi à l'adresse directe du Cabinet de Berlin. M. de Thile disait meme que l'allocution faciliterait le transfert du Comte Brassier à Rome. Mais dans un second entretien que j'ai eu avec S. E., elle m'a déclaré avoir constaté que le passage dont il s'agit s'appliquait à la Bavière.

Quant au transfert de la Légation Impériale accréditée auprès de Notre Auguste Souverain, elle s'opérerait quand S. M. aurait établi sa résidence dans la nouvelle Capitale. Aucune allusion n'a été faite de la part du Secrétaire d'Etat si alors on confierait à une seule personne la double mission qui existe encore aujourd'hui auprès des deux autorités, l'une temporelle, rautre Spirituelle.

198

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 901. Berlino, 6 novembre 1871 (per. il 10).

Quelques journaux en Italie ont reproduit du Télégra:ph un avis annonçant qu'un Envoyé du St. Siège avait été reçu en audience secrète par l'Empereur Guillaume. Sa mission avait pour objet de s'informer si le Cabinet de Berlin aurait quelque objection à ce qu'un conclave se réunit hors de Rome dans une ville quelconque, en France par exemple. Cet Envoyé aurait reçu une réponse évasive et serait reparti avec une lettre de S. M. exprimant ses sympathies pour le Pape. Ce qui a pu donner lieu à ces suppositions c'est qu'elles ont coincidé avec la présence à Berlin du Cardinal de Hohenlohe qui vient de temps à autre visiter ses parents. n est pariaitement exact qu'il a eu une audience de l'Empereur comme tout personnage de distinction. A-t-il eu en effet une mission quelconque? Le Secrétaire d'Etat ne pouvait l'admettre.

H me racontait à ce propos qu'il y a quelques années, lorsqu'il représentait la Prusse à Rome, le Pape lui avait dit à lui M. de Thile, en démentant le bruit qui s'était répandu que Monseigneur Hohenlohe, Eveque alors de je ne sais

plus quel Diocèse, allait etre préconisé pour le Siège Archi-Episcopal de Cologne: • È un santo... ma! • et ce ma accompagné d'un geste laissant comprendre que l'intelligence de ce membre du Sacré Collège n'était pas à la hauteur de ses vertus chrétiennes.

199

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN

D. 352. Roma, 8 novembre 1871.

Il Marchese di Sayve venne jeri da Firenze a farmi per parte del Signor Rémusat una comunicazione di cui mi pare opportuno ch'Ella abbia notizia.

L'Incaricato d'Affari di Francia mi disse che le Potenze cattoliche, e fra esse specialmente la Francia, si preoccupano assai delle voci che corrono sulla nuova legge circa le corporazioni religiose che sarebbe proposta dal Ministero italiano al Parlamento. Parrebbe al Conte di Rémusat sommamente desiderabile che questo progetto di legge fosse informato a quello spirito di moderazione che la presenza del Santo Padre a Roma richiede, e che perciò non solo si mantenessero intatti gli stabilimenti religiosi esteri esistenti in Roma, ma che si lasciassero del pari sussistere le case generalizie, le quali sembrano necessarie all'esercizio dell'Autorità spirituale del Pontefice. Se ciò non avvenisse sarebbe a temersi che il Papa si appigliasse al grave partito di lasciare Roma, la qual cosa potrebbe trar seco gravi imbarazzi per l'Italia e pel resto d'Europa.

Risposi al Marchese di Sayve che il Consiglio dei Ministri stava da parecchi giorni occupandosi di codesta questione, senza però aver preso finora intorno ad essa alcuna decisiva deliberazione. È innegabile la necessità di sciogJliere Roma ed il suo territorio da quei vincoli di mano morta che recarono tanto danno all'igiene ed alla prosperità di questa parte del territorio italiano. Tuttavia né i miei Colleghi né io disconosciamo l'opportunità di procedere con saggi temperamenti nell'estendere a Roma ed alle sedi suburbicarie le leggi italiane su questo argomento. Per quanto spetta gli stabilimenti esteri io non avevo difficoltà a ripetere quanto avevo già detto altra volta, che cioè il Governo avrebbe posto la massima cura nel rispettare i diritti dei Governi esteri. Il Consiglio dei Ministri pare fin d'ora propenso a fare altresì un'eccezione a favore delle case generalizie. Però io debbo a questo riguardo il.imitarmi a manifestare le intenzioni mie e quelle dei miei Colleghi, non potendo naturalmente prendere alcun impegno circa il voto del Parlamento.

L'Incaricato di Francia ammise la necessità di far cessare la mano morta, scomparsa ormai dalle ~egislazioni di quasi tutti gli Stati. Tuttavia egli credette dover insistere affinché le Case Generalizie non solo potessero continuare ad esistere come persona morale, ma fossero altresì eccettuate dall'obbligo di operare la conversione dei loro fondi immobili in rendita mobiliare. Su questo punto altresì io ho dovuto !imitarmi a rispondere che avrei esposto ai miei Colleghi le sue osservazioni.

Nel corso della conversazione io ebbi occasione di manifestare di nuovo il vivo desiderio del Governo del Re che il Papa continui a rimanere al Vaticano. La sua presenza a Roma, diss'io, contribuisce efficacemente alla tutela degli interessi spirituali: e quella stessa trasformazione che è così vivamente desiderata dai romani, si farà in modo molto più graduale e temperato, se il Papa non ascolta gli improvvidi consigli di chi vorrebbe costringerlo ad andare ramingo per l'Europa ed a bandir la crociata contro il suo popolo e la sua patria. Per quanto riguarda specialmente le corporazioni religiose, è noto che una riforma fu spesso vivamente desiderata da ottimi ecclesiastici per fini puramente religiosi. Una legge temperatissima che agevolasse alla Chiesa stessa il modo di liberarsi di quegli elementi esuberanti che si sono introdotti negli ordini religiosi, non dovrebbe spaventare il Santo Padre, né costringerlo ad abbandonare il Vaticano. Nel rimanente del Regno la soppressione della personalità civHe non impedì che le Corporazioni religiose continuassero ad esistere sotto forma di libere associazioni. Il Governo non solo non vieterà che la stessa cosa avvenga a Roma, ma si sforzerà eziandio di prevenire quelle difficoltà e quegli inconvenienti che talora si verificarono per la applicazione delle leggi del 1866 e 1867. La Francia, la Spagna, il Belgio procedettero a codeste riforme senza perdere il loro carattere di paesi eminentemente cattolici: l'Italia non ha fatto che seguire l'esempio altrui, ed il Governo spera che anche a Roma questa riforma possa essere con acconci temperamenti introdotta senza scapito degli interessi religiosi e con sommo beneficio della società civile.

La prego di esprimersi in questo senso col Conte di Rémusat qualora S. E. le parli di questo argomento.

200

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 158. Berna, 8 novembre 1871 (per. il 14).

L'Assemblea Federale si è aperta Lunedì per discutere la revisione della Costituzione Federale. Le due Camere o Consigli onde si compone quest'Assemblea si sono riunite senza rumore come per le loro tornate ordinarie. Ciascuna di esse attenderà, nel periodo consacrato alla revisione, anche alle attribuzioni che le sono assegnate per la Sessione d'inverno con questa sola differenza, che il Consiglio degli Stati si occuperà dapprima esclusivamente delle attribuzioni ordinarie, mentre il Consiglio Nazionale discuterà a sua volta in primo luogo la riforma Costituzionale, e viceversa.

Fino ad ora gli animi, tanto nel paese, quanto nell'Assemblea federale sono cc~lmi, quantunque le riforme proposte non vadano egualmente a versi né di tutti gli Stati federati, né di tutti i partiti, e possa la riforma intera correr pericolo di non essere ammessa, quando il paese, Cantoni e nazione sian chiamati a darvi la loro sanzione.

Alla fine dell'ultima Sessione, ciò di cui in altro mio Rapporto mi feci debito d'informare l'E. V., in previsione dell'opposizione che il vecchio Sonderbund fosse per fare aHe riforme più desiderabili, i deputati liberali, quelli cioè che stanno di mezzo tra gli estremi del partito conservatore e del partito radicale, si riunirono al fine di assicurare nell'imminente riforma i mutamenti che da ogni parte si ravvisano opportuni. Il risultato di questa riunione parve favorevole al loro intento, non per tanto l'attitudine dei clericali, e il fatto della diffalta di Lucerna che è passata al clericalismo, non lasciano i liberali sicuri, tantomeno che per simile fatto nella Camera de~li Stati i due partiti si bilanciano, sicché dipende da un voto l'approvazione o il riggettamento delle migliori proposte. Il paese del rimanente non sembra reclamare le innovazioni che gli sono pur presentate dai migliori spiriti; e se si pon mente all'esito in gran parte negativo che ebbe già la riforma presentata nel 1866, non recherà meraviglia che anche in quest'anno, se non tutti i mutamenti proposti, la parte maggiore e più importante di essi fosse respinta, sia dal paese, sia dai Cantoni. La Svizzera è essenzialmente federale. Il radicalismo stesso dei Cantoni francesi che avanza quello degli altri Cantoni, quando si tratta di riforme interne rifugge dalle novità più caldeggiate dai radicali Tedeschi, quando si tratta del campo federale, dove le popolazioni di razza francese temono di essere sopraffatte dallo spirito unificatore ed invadente dei Cantoni tedeschi.

I Cantoni di confessione cattolica si collegano a questo riguardo coi radicali e conservatori francesi, e bilanciano per certa guisa le tendenze protestanti che nelle quistioni dove non si tratta di confessione si trova ordinariamente al servizio dei Novatori più arditi.

In questo stato di cose non è agevole il poter formare un prognostico adeguato sull'avvenire del lavoro, che sarà per essere deliberato nella Assemblea federale. Molte delle riforme proposte sarebbero di una grande utilità per l'Italia, quelle soprattutto che concernono i diritti garantiti, in tutti indistintamente i Cantoni, agli Svizzeri poiché nell'accordare a questi simili diritti si accordano nello stesso tempo agli Italiani, cui è assicurato da1l nostro trattato di stabilimento in ciascun Cantone un trattamento uguale a quello che si avranno i cittadini degli altri Cantoni. I Regnicoli che giungono annualmente in copia in tutte le parti della Svizzera per applicarvisi a diversi esercizi, mestieri e professioni, profitterebbero grandemente da queste riforme, che consolidando il loro stabilimento, darebbero ad essi ansa di trarre dal ·loro ingegno naturale e dalle loro diverse attitudini lucri che loro contrasterebbero invano i nazionali e gli altri stranieri.

Io ho fatto quanto mi è stato possibile perché i mutamenti proposti a questo riguardo fossero temperati, e perciò accettabili dalla maggioranza della nazione e dei Cantoni, ma temo che le proposte liberali che già fece i1 Consiglio Federale a questo fine non vengano esagerate e non corrano perciò rischio di non essere ammesse dal paese.

Importanti sono pure per noi le riforme che tendono a regolare con una legge civile comune i matrimonii, ed a prosciogliere in tutti i Cantoni, come nella Confederazione, la Chiesa dallo Stato: ma temo che l'ultima proposta non comprometta la prima, e che i partigiani troppo recisi della separazione non ci privino dei vantaggi che per noi risulterebbero dalla legislazione dvile del matrimonio.

Finora le discussioni che hanno luogo nel Consiglio Nazionale non hanno offerto nessun incidente che meriti di essere particolarmente riferito all'E. V. Io spedirò del rimanente sotto fascia a codesto Ministero il Bollettino delle discussioni che per questo oggetto è stampato d'ordine del Consiglio Federale. Non contiene che un sunto brevissimo dei discorsi pronunciati, ma compilato in guisa da renderne lo spirito e l'effetto. Per ciò che può riguardare la parte, dirò così sotterranea dell'azione dei partiti, o d'altro, io mi farò mano mano debito d'informarne adeguatamente l'E. V.

201

IL VICE CONSOLE A BUCAREST, GLORIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 320. Bucarest, 8 novembre 1871 (per. il 18).

La Camera dopo 11 giorni di vacanze forzate si è finalmente ier l'altro trovata in numero ed ha potuto procedere alla nomina di due segretari e della commissione incaricata di redigere la risposta al discorso del Trono. Essa riuscì composta di deputati Governamentali e dell'estrema destra.

Appena compiute queste elezioni a richiesta del Ministro degli Affari Esteri la Camera tenne per due giorni continui seduta secreta. Il Signor CostaForu cominciò dal leggere una lunghissima relazione sulla condotta del Ministero durante il tempo di vacanza dei deputati, quindi d'accordo col Ministro dei lavori pubblici depose sul banco della presidenza tutti i documenti diplomatici riguardanti la questione Strousberg come pure tutte le proposte presentate al Governo Rumeno per 1a costruzione del resto della rete ferroviaria, per la conversione delle obbligazioni presenti ed infine la proposta fatta da certo Hartel che si dice rappresentante del Comitato di Breslau e perciò di 150 milioni nominali in obbligazioni.

Lasciando da parte tutte le altre che quali più quali menu non ponevano nessun fine alla vertenza fra la Rumania ed i detentori e che potevano essere rifiutate od accettate dal Governo Rumeno secondo il suo beneplacito credo pregio dell'opera dire alcune parole sulla proposta Hartel annunziata nel qui unito brano del Journal de Bukarest la quale è basata sulla legge votata dalle Camere nella passata sessione di cui i Ministri fecero gran pompa dicendo di essere sul punto di aggiustarsi direttamente coi detentori che meno indocili del Governo Germanico offrivano condizioni accettabili.

Fatta da un uomo senza alcun peso, che partito per Berlino alcuni mesi or sono al fin di ottenere il pagamento di alcune miglliaia di franchi dovutegli da Strousberg al cui servizio era stato durante un paio d'anni, ritornava a Bukarest spacciandosi qual rappresentante del Comitato di Breslau senza aver però alcun titolo ufficiale per sostenere le sue asserzioni, questa proposizione è fortemente osteggiata dalla Russia la quale vede in essa una manovra di Strousberg e che a suo dire non può tendere ad altro che a nuove complicazioni a danno dei detentori. Ed infatti qltre molte altre considerazioni il capitale risultante dall'emissione delle obbligazioni sul prodotto della riduzione del 2 e mezzo per cento dell'interesse garantito dalla Rumania, non può essere sufficiente per compiere la gran massa dei lavori ancora da terminarsi tenendo principa:lmente conto degli ostacoli di ogni sorta che sempre incontra un intraprenditore qualunque di lavori in questo paese per parte delle persone destinate a controllarli alle quali non son mai sufficienti i loro stipendi personali.

Il Gabinetto Principesco vedendo questa opposizione per parte del Governo Germanico grida contro il poco spirito di conciliazione che quel)o mostra verso la Rumania, ma nello stesso tempo teme quasi che la proposta Hartel riesca poichè certo dell'impunità cui egli è avvezzo in tutte le questioni avute colle Potenze Estere trova molto più conveniente per il paese di non pagare se non dietro evaluazione fatta da una Commissione esclusivamente Rumena, i lavori già compiuti rimanendo libero da ogni ulteriore engagement. Lo stesso Presidente del Consiglio giorni sono sollevandosi contro l'opinione da me emessa in privato convegno che la Romania doveva ben ringraziare la sua stella se, come esso Signor Catargi me lo assicurava, il compromesso proposto da Hartel riusciva terminando così una questione che poteva esser cagione di gravi danni per il paese, risposemi che al paese avrebbe convenuto ben più se ~a legge del 17 Giugno avesse la sua esecuzione solamente nella parte in cui tratta dell'evaluazione e relativo pagamento dei lavori fatti da Strousberg rompendo del tutto una conversazione [sic] sì gravosa alle finanze Rumene. A simili parole lo guardai meravigJ.iato ed egli si affrettò ad aggiungermi:

• Soyez pourtant siìr que nous ferons notre possible pour tacher de tout arranger d'une façon satisfaisante et que toute proposition acceptable nous venant d es détenteurs sera discutée sérieusement et soutenue par le Ministère •.

Comunque sia per me sta che la proposta Hartel fatta senza solide garanzie non condurrà a nulla.

L'evaluazione dei lavori compiuti da Strousberg la quale era già stata fatta dall'Ingegnere Donici in 150 milioni al dire di persone altolocate e che faranno parte della Commissione verificatrice non potrà elevarsi a più di 45 o 50 milioni di franchi. Una simile somma, se pur anche questa non si troverà modo di non pagare, sarà quanto otterranno i detentori sui 245 milioni da essi sborsati.

202

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN

D. 353. Roma, 9 novembre 1871.

Troverà qui unito copia del rapporto (l) col quale la Legazione di S. M. a Costantinopoli mi ha trasmesso la versione in lingua francese de;l firmano consegnato al Generale tunisino Khereddin. Da quel rapporto V. S. potrà scorgere come quella versione confrontata col testo originale in lingua araba sia stata riconosciuta imperfetta in alcuni punti essenziali.

Noi annettiamo molta importanza a sapere quale impressione abbia prodotto a Parigi il Firmano in discorso, e se la Francia intenda muovere nuovi passi a Costantinopoli ed a Tunisi nell'interesse della conservazione dello statu qua dei rapporti esistenti fra la Tunisia ed i Governi stranieri. Nel parlare di questo affare con il Signor de Rémusat, io desidero che V. S. si esprima in guisa da fargli comprendere che noi abbiamo mosso la stessa domanda a Londra, giacché è nostro intento di contribuire per quanto sta in noi al mantenimento di un accordo completo sulla condotta e nel linguaggio dei tre Governi relativamente agli affari generali della Tunisia.

203

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 114. Roma, 9 novembre 1871.

Bench'io non ebbi sott'occhio U testo del firmano consegnato in Costantinopoli al Generale Khereddin, ho stimato inutile trattenere V. S. sopra questo argomento di cui il Governo italiano non cessò mai di preoccuparsi vivamente.

Il linguaggio che Ella tenne a Sidi Mustapha Khasnadar corrispose esattamente al nostro modo di vedere e d'altronde se un'azione diplomatica poteva avere qualche possibilità di successo, i passi erano da farsi piuttosto alla Porta che non al Bardo.

Ora però che ~l firmano è stato concesso, la quistione entra in una seconda fase, la quale rende necessarie nuove preventive intelligenze fra i Gabinetti interessati, e noi ci adoperiamo in questo momento ad affrettarle, per mantenere possibilmente un'uniformità di linguaggio e di contegno fra i rappresentanti dell'Italia, della Francia e dell'Inghilterra in Tunisi. Sin tanto che siffatti preventivi accordi non avranno potuto esser presi, non conviene che V. S. si discosti dalle istruzioni genera;li che già possiede. Se alcuna formale dichiarazione dovrà farsi al Bardo, io mi affretterò a farle pervenire quelle ulteriori

istruzioni che a tal fine le sarebbero necessarie. Intanto V. S. potrà prendere norma dai miei dispacci a Costantinopoli in data del 22 e 31 ottobre (l) per regolare il proprio linguaggio con il Bey ed i suoi Ministri. Le sarà ugualmente utile di aver cognizione d~l firmano quale verrà comunicato alla Legazione italiana a Costantinopoli. Conseguentemente, io ne trasmetto qui unito una copia a V. S.

(l) Non pubblicato.

204

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4015. Vienna, 9 novembre 1871, ore 16,27 (per. ore 19,10).

Démission baron de Beust accordées. Il est nommé ambassadeur à Londre3. Andrassy a accepté ministère des affaires étrangères. Lonyay aura très probablement présidence du ministère hongrois. Crise cabinet Cisleytan continue. J'ai été chez Beust et je lui ai exprimé mes regrets son éloignement tant personnels que comme ministre d'Italie. Il y a paru très-sensible. Il m'a dit que Andrassy lui avait donné assurance qu'il suivrait exactement meme ligne politique étrangère et qu'on pouvait y compter. Il m'a résumé ce qui s'est passé par le mot suivant aussi juste que fin, aussi difficile à expliquer que facile à comprendre. Situation reste grave car démission Beust est arrivée trop tard pour contenter ses ennemis et est pour tous symptòme d'un système de Gouvernement absolument personnel plein de danger.

205

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 125. Belgrado, 9 novembre 1871 (per. il 15).

Sua Altezza, i Signori Reggenti ed i Signori Ministri giunsero ier l'altro da Kragujevatz e stamane ebbi col signor Ristié un colloquio del quale mi fo l'onore di rendere conto a V. E.

Fu questione del viaggio del Principe Milano a Livadia: il signor Ristié spontaneamente dissemi desiderare non fosse la visita fatta dal Principe di Serbia all'Imperatore di Russia altrimenti interpretata se non come un atto di cortesia, che non potea tralasciarsi dopo l'esempio dato dal Principe Carlo di Rumania. Soggiunse inoltre che la condotta politica della Serbia non sarebbe in nulla mutata: che doveansi porre sopra un migliore terreno le relazioni colla Russia ma che in pari tempo il Governo principesco non darà, non provo

cato, alcun motivo di dissentimento alla monarchia austro-ungarica verso la quale si manterrà una condotta strettamente corretta non pigliando alcuna parte negli affari interiori di quella.

Il signor Cristié fece parola al Gran Vizir del viaggio del Principe, e quello a nome del Sultano gl'inviò i migliori augurii pel suo viaggio: domandò se si desiderasse un firmano e rispostogli che lettere commendatizie ai governatori delle provincie ottomane in riva a.lle quali il Principe Milano transiterebbe sarebbero state sufficienti, ordinò che gli fossero resi gli onori dovutigli; ed in fatto, al suo passaggio, il Principe fu salutato dai cannoni delle fortezze turche.

Alla corte di Russia, il Principe fu cordialmente ricevuto; l'Imperatore si condusse con lui a mò di padre, così qui raccontano, e l'assicurò che la Russia non avea che una simpatia la più disinteressata verso la Serbia. Assistettero al convegno oltre al signor Blasnavatz, il generale Ignatieff ed il signor Cristié. Così riassumonsi le dichiarazioni ch'io volli il signor Reggente riconoscesse non furono da me domandate.

Non volli arrischiarmi a scrivere a V. E. qua;le fosse il mio definitivo giudizio intorno alle cagioni di un fatto che indica con quasi certezza un mutamento nella via politica che il Principato intende seguire, prima di avere avuto agio di vederlo confermato dal linguaggio dei personaggi che stanno a capo del Governo. M'ero, credo, assai approssimato alla realtà dei fatti.

Le relazioni coll'Austria-Ungheria dal principio dell'anno in poi andarono man mano sempre più raffreddandosi: non ne mancarono segni evidenti, come la condotta della Serbia nelle conferenze di Londra, la pubblicazione del Libro azzurro serbo e quella di libelli ingiuriosissimi all'Ungheria, il rifiuto di trattare con compagnie ungheresi per la costruzione di ferrovie ecc. Sopravvenne la sentenza dei tribunali ungheresi che dichiarava non farsi luogo, per mancanza di prove alla condanna del Karagiorgievié; essa fu sentita come un affronto e questo fu reso più grave dalla pubblicazione nella Riforma di Pest, gazzetta che ufficiosamente esprime il pensiero del conte Andrassy, e dalla gazzetta ufficiale di Zagabria, della protesta dello stesso Karagiorgievié. Sopraggiunsero i tentativi di mutare l'assetto dualista dell'Impero Austro-Ungarico in una federazione di Stati: e questa è, secondo la mia opinione, la più grave e la più decisiva fra !le ragioni per la quale la Serbia si risolvette ad un riavvicinamento alla Russia, che, viste le condizioni diverse dei due Stati, suona come una domanda di protezione.

In parecchi fra i miei passati dispacci riferii a V. E. che gli uomini politici della Serbia più che da ogni altro nemico vedeano minacciato il loro paese nella sua indipendenza futura e nell'egemonia alla quale tende presentemente, dai trasmutamenti che darebbero nell'Ungheria una condizione di maggiore indipendenza alla Croazia. Se la Boemia avesse ottenuto infine ciò che fu così presso ad afferrare, le provincie slave del Regno transleitano sarebbero ben presto giunte ad un medesimo risultato ed era noto alla Serbìa, com'è noto al Governo del Re, che negli accordi fra il partito militare e feudale di Vienna da una parte, ed il partito nazionale croato dall'altra, a questo era stato promesso che non si porrebbe ostacoli e si darebbe anzi la mano ad

una azione per la conquista della Croazia turca e della Bosnia: forse V. E. rammenterà ciò che a questo proposito io scrissi un anno fa all'incirca sopra i maneggi del generale Wagner a Zagabria. In questo caso la Serbia avrebbe almeno e necessariamente perduta ogni speranza di far trionfare la dubbia sua egemonia sopra le stesse provincie, e forse nel corso del tempo avrebbe perduto l'individualità sua politica a profitto di un'altra frazione del Jugo-Slavismo.

È mio intimo convincimento che se il ministero Hohenvart fosse caduto tre settimane prima, il Principe Milano non sarebbe stato condotto a ossequiare lo Czar a Livadia. Del rimanente è facile a comprendersi che il Governo serbo dovea finire per stancarsi di udire promesse e parole dall'Agente-Austro-Ungarico a Belgrado e di essere da Costantinopoli istruito che l'azione dell'Ambasciatore dello stesso Stato era impiegata a danno suo. Certamente è anche da ricercarsi nelle difficoltà interne della monarchia vicina, nell'incertezza, nella titubanza e nella duplicazione della sua politica la cagione del fatto del quale sto ragionando.

Altra potente cagione fu il bisogno di raffermare la dinastia col dare soddisfazione alle simpatie che propagaronsi nelle popolazioni a favore della Russia a misura che aumentò il rancore contro l'Austria-Ungheria. Ed in fatto prima che si leggesse alla Scuptcina il discorso di chiusura della Sessione, si rispose con degli Evviva allo Czar, al racconto che il Principe fece dell'accoglimento cortese e cordiale ricevuto a Livadia.

Di più, la monarchia vicina essendosi dimostrata o non volenterosa o non capace di far servire agli interessi del Principato le sue buone relazioni colla Porta, la Serbia vorrà provare se sarà più potente e più disinteressata la protezione della Russia, i consigli della quale paiono oggi pesare a Costantinopoli più che quelli di ogni altro Potentato.

Il colonnello Blasnavatz finalmente non volle che il Principe Milano del quale egli sarà per certo il più autorevole consigliere per un lungo spazio di tempo, al cominciare del suo regno trovasse il governo suo in fredde relazioni con uno stato col quale la storia della Serbia è strettamente legata, dal quale il paese e l'opinione genera.le del popolo aspetta protezione e soccorso: il Blasnavatz indietreggiò innanzi alla grave responsabilità che sopra di lui sarebbe ricaduta se per fatto suo il Principe non si trovasse nel corso del suo regno in grado di volgere a profitto della Serbia l'azione di uno Stato potente ed il quale in casi possibili avrà in mano sua la forza di assestare a suo modo le cose dell'Oriente.

Le relazioni personali del signor Kallay coi Signori Reggenti e specialmente col Signor Ristié sono gravemente turbate. Il Ristié rimprovera all'Agente Austro-Ungarico di avere imprudentemente discorso in modo ingiurioso a lui, a stessi funzionarii serbi: quando il Signor Reggente entrò in questo particolare io mi permisi di rispondergli che non potea crederci, come in fatto non vi credo, e come non può credervi alcuno che conosca la riserva inalterabile e la prudenza non mai smentita di quel mio collega; si tratta evidentemente di delazioni e di intrighi; ai quali lo stesso Signor Ristié non darebbe mente, se non giudicasse che ciò è utile ai suoi propositi.

La gravità della trasmutazione avvenuta non è da giudicarsi attuale: le relazioni estere del Principato continueranno poco su poco giù ad essere le stesse ed il danno che la Serbia può raccogliere dalla politica della quale l'ossequio aJlo Czar è l'iniziamento non potrà essere misurato finché le condizioni della Europa permetteranno che la questione d'Oriente sia oggetto pratico di discussioni, di conferenze o di guerre.

Non mancherò di scrivere a V. E. quanto sembrerammi su questo oggetto, l'importanza del quale pesa nell'insieme della questione orientale, degno di esserle riferito.

(l) Cfr. nn. 172 e 184.

l 8 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

206

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

T. 1775. Roma, 10 novembre 1871, ore 14,30.

Le comte Brassier est encore à Florence et il m'a envoyé Wesdehlen me dire qu'il attend d'etre tout à fait guéri pour venir me faire une visite à Rome. Cela m'a fourni naturellement l'occasion de demander quand la légation de l'empire serait définitivement établie ici. Wesdehlen m'a répondu qu'Hs n'ont pas d'autres instructions que celles données par le prince Bismarck au mois de juin, c'est à dire d'attendre que le roi ait établi sa résidence à Rome. Je crois à propos de vous informer que S. M. viendra à Rome vers le 20 de ce mois pour y rester. Il fera quelquefois des courses ailleurs mais il n'aura pas d'autre résidence en ville que Rome.' Veuillez trouver un moyen convenable de faire savoir cela à Bismarck. Il serait à désirer que cette fois aussi l'Allemagne devançat en Italie l'Autriche et la France.

207

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4018. Parigi, 10 novembre 1871, ore 19,20 (per. ore 21,56).

Rémusat qui vous a écrit avant-hier personnellement à ce sujet me charge d'annoncer à V. E. que M. de Goulard ci-devant plénipotentiaire à Francfort est nommé ministre de France en Italie, et de demander agrément du Gouvernement royal. On me dit le plus grand bien de M. Goulard. M. Picard est nommé à Bruxelles.

208

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4020. Parigi, 10 novembre 1871, ore 19,25 (per. ore 3 dell' 11).

M. de Rémusat craint que installation du nouveau ministre de France à Rome et la réunion du parlement italien ne deviennent signe de départ du pape qu'il regretterait beaucoup dit-il mais qu'il ne pourrait empecher. Le nonce apostolique ou des membres influents du parti clérical paraissent lui avoir .annoncé cette éventualité.

209

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1693. Parigi, 10 novembre 1871 (per. il 14).

S. E. il Signor di Rémusat mi ha annunziato nell'odierna udienza che il Signor Goulard è designato a succedere al Conte di Choiseul nelle funzioni d'Inviato straordinario e Ministro plenipotenziario di Francia, presso il Governo di S. M. il Re. Dopo avermi fatto l'elogio delle qualità personali del :Signor de Goulard, il Ministro degli affari esteri della Repubblica mi pregò d'informare l'E. V. della sua scelta, affinché Ella voglia compiacersi a fargli conoscere se essa incontri il gradimento del R. Governo.

Il Signor de Goulard è da lungo tempo amico personale del Presidente della Repubblica e specialmente del Signor di Rémusat. Esso ha precedenti parlamentari sotto la monarchia di Luigi Filippo ed è anche stato membro, io credo, dell'Assemblea nazionale nel 1848. Sotto l'Impero egli rimase estraneo agli affari pubblici. Recentemente esso prese parte come Plenipotenziario alle negoziazioni pel trattato di pace franco-prussiano a Brusselle ed a Francoforte. Lo si ha generalmente in concetto di uomo molto assennato, moderato e conciliante (1).

210

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 1695. Parigi, 10 novembre 1871 (per. il 14).

Nella conversazione che ho poc'anzi avuta con lui, S. E. il Signor di Rémusat, dopo avermi annunziato il nome del nuovo Ministro di Francia presso il Governo di S. M., mi disse ch'egli temeva che l'arrivo di questi a Roma potesse

divenire il segnale della partenza del Papa. Il Signor di Rémusat insistette molto su questa previsione e mi lasciò capire che qualche avviso gli era stato dato il quale la giustificava. Il Papa avrebbe da principio resistito agl'incalzanti consigli del partito che lo spingeva ad abbandonare Roma, ma da qualche tempo questa resistenza sarebbe minore; gli avvenimenti dai quali il Pontefice ostinavasi a sperare un mutamento delle sue condizioni non essendosi prodotti, la cresciuta sua irritazione potrebbe da un'ora all'altra trascinarlo ad un passo precipitato, disperato; la prossima riunione del Parlamento nazionale in Roma non mancherà d'altronde anch'essa di gettare un peso di più nella bilancia della risoluzione del

S. Padre, un Ministero savio e conciliante potendo evitare molti urti, adoperare molti temperamenti, usare prudenza e misura in tutte quelle minori vertenze e quistioni che stanno a cuore al Pontefice non meno de' personali suoi diritti ed interessi, e che la pubblica discussione deve forzatamente inasprire e rendere più irritanti.

Risposi al Signor di Rémusat che se il Pontefice si lasciasse indurre alla partenza da questa ultima considerazione, egli con ciò provocherebbe piuttosto quei risentimenti e quelle esplosioni dell'opinione pubblica che nulla nello stato presente delle cose può far temere. Col voto della legge sulle guarentigie, il Parlamento nazionale ha compiuto il più grave e difficile suo compito rimpetto al Papato, né si scorgerebbe quale quistione, almeno in un prossimo avvenire, potesse provocare nelle Camere italiane discussioni o misure invise al S. Padre e che dovessero irritarlo od affliggerlo. Il Governo del Re che con buona ragione può già sino da ora invocare le prove di estrema moderazione e condiscendenza ch'esso non cessò di dare da quando si stabilirono i nuovi suoi rapporti col Papato, non trascurerà d'altronde sicuramente nulla onde prevenire per quanto ciò stia in lui ogni occasione di urti, di attacchi o di recriminazioni e la lealtà de' suoi intendimenti si farà ogni di più manifesta. Dopo cui tuttavia domandai al Signor di Rémusat se non fosse il caso di supporre che gli si facessero udire quasi come una minaccia avvisi della imminente partenza del S. Padre da Roma, nello scopo d'indurre il Governo francese a differire ancora l'invio del suo Rappresentante, accreditato presso il Governo del Re, a Roma.

Il Signor di Rémusat replicò che le intenzioni di cui egli era stato informato non gli parevano nascondere una vana minaccia, che da parte sua egli non aveva mai contato con tanta fiducia sulla permanenza del Papa a Roma come si pareva avervi contato in Italia, e che se una disperata risoluzione la vincesse sull'animo del Pontefice non varrebbero a ritenerlo quegli ostacoli materiali d'un trasferimento col suo seguito e con gli archivi che da alcuni consideravansi a torto come troppo difficili a sormontarsi.

• E che, io dissi allora al Ministro degli Affari esteri, che si può da noi onde prevenire che il Papa lasci Roma e che così si avveri un'eventualità che sinceramente rammaricheremmo come dannosa agl'interessi della religione e forse purtroppo anche pericolosa pei nostri futuri rapporti colla Francia?

Giacché il Papa, io suppongo, verrebbe a cercare un asilo sul territorio francese. Chi allora in Italia potrà impedire che l'opinione pubblica non accusi il Governo francese di aver favorita la partenza del Pontefice, o per lo meno di non aver fatto nulla, di non aver nulla tentato onde distoglierlo da una tale risoluzione? L'opinione pubblica in Italia erasi lasciata persuadere che le intenzioni del Capo attuale del Governo di Francia verso il nuovo Regno si erano saviamente modificate, in conformità alle proprie sue dichiarazioni. Chi imporrà silenzio ai più gravi sospetti a tale riguardo dal momento che si annunzi l'arrivo e l'accoglienza del S. Padre sul suolo francese? E fin dove potranno giungere le conseguenze estreme dello spostamento del Papato? Quali saranno le condizioni della sua residenza in Francia? Il partito cattolico in Francia avrà esso da quell'ora un altro programma fuorché quello di spingere il proprio Governo a rimettere il Papa in possesso di tutti i suoi diritti? Che avverrà resistendogli e che cedendo alle sue passioni? Io per me credo che il Governo francese provvederebbe anzitutto assai saviamente ai propri interessi scoraggiando con ogni mezzo in suo potere il S. Padre ad appigliarsi a decisioni avventurose. Nessuno più del Governo francese può avere influenza su lui, per dissuaderlo da un tale passo e per fargli presente la differenza delle condizioni che furono fatte al Papato in Italia e di quelle che potrebbero essergli fatte fuori d'Italia •.

Il Signor di Rémusat protestò assai vivacemente ch'egli non s'illudeva sugli inconvenienti della presenza del Papa in Francia; che prevedeva a quale agitazione, a quali pellegrinaggi, a quali sollecitazioni essa darebbe luogo; ma aggiunse che la Repubblica del Signor Thiers non potrebbe chiudere al Pontefice quelle porte che la Repubblica di Cavaignac gli avrebbe aperte e che sono dischiuse a qualsiasi rifugiato politico. Il Governo francese già avrebbe adoperata ed adoprerebbe ancora la sua influenza per allontanare il pericolo; ma non doversene attendere un risultato sicuro a fronte di mille circostanze che possono subitamente agire sulle determinazioni del Pontefice.

Nel corso della conversazione, siccome io tentai di sapere se già fosse stato questione di assegnare eventualmente al Papa una determinata residenza in Francia, il Signor de Rémusat mi disse che da principio il Papa sembrava avere in vista tre punti di rifugio: cioè la Corsica, Malta, o una città d'Austria. Incidentalmente egli in appresso venne a dirmi che per certo, se il Papa sbarcasse sulle coste di Francia, egli non manderebbe • un Ministro ad incontrarlo a Marsiglia • ma che non potrebbe a meno di farlo accogliere come vuol essere accolto il Capo della Chiesa.

Dal tuono generale del discorso del Signor di Rémusat mi rimase l'impressione che le sue previsioni della partenza del S. Padre da Roma si fondassero in fatto su qualche cosa di più certo che non sieno induzioni o presentimenti.

(l) Il Signor Ernesto Picard, già Ministro dell'Interno, è stato nominato Ministro di Francia a Brusselle. (Nota del documento).

211

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT

D. 16. Roma, 11 novembre 1871.

Fra le quistioni di cui maggiormente si occupa la stampa in Italia, all'avvicinarsi dell'apertura del Parlamento, è quella relativa alla soppressione delle corporazioni religiose nelle provincie romane, quistione che, come ben sa la S. V., ha il privilegio di attrarre in singolar modo l'attenzione di alcuni governi esteri, sia per le cause che toccano agl'interessi generali del cattolicismo, sia pel carattere di straniero attribuito a taluno degli stabilimenti ecclesiastici di Roma. Già il rappresentante francese venne in questi giorni ad interpellarmi, per incarico espresso del suo Governo, sulle proposte che noi avremmo l'intenzione di sostenere nel Parlamento in materia di così grave momento, e non è improbabile che simili interrogazioni vengano fatte a V. S. da codesto Gabinetto, che ha ognora mostrato di prendere vivamente a cuore gli interessi di alcune corporazioni religiose qui stabilite. In previsione di tali domande, credo utile di farle tenere qui unita la copia di un dispaccio che ho diretto 1'8 di questo mese alla R. Legazione a Parigi (1), e nel quale è esposta la conversazione da me tenuta il giorno precedente, sull'argomento in quistione coll'Incaricato d'Affari di Francia; la lettura di questo documento potrà servire di norma al linguaggio che V. S. avesse l'occasione di tenere sullo stesso soggetto a S. E. il Ministro degli Affari Esteri dell'Impero.

212

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN

T. 1776. Roma, 12 novembre 1871, ore 11,30.

Le roi agrée le choix de M. Goulard et il le recevra à Rome. Veuillez remercier M. de Rémusat de sa lettre que j'ai reçue avec plaisir. Je lui suis reconnaissant d'avoir choisi un de ses amis personnels comme ministre près de la cour d'Italie. Quant aux bruits de départ du pape nous avons quelques raisons de supposer qu'on les met en avant pour exercer une pression sur le Gouvernement français et l'empécher de continuer ses rapports amicaux avec I'Italie. Les médecins du pape s'opposent à ce qu'il se mette en voyage en hiver, et

S. S. elle-méme sait que sa demeure à Rome est le meilleur moyen de sauvegarder les intéréts religieux. Nous serons du reste aussi modérés que possible en ce qui ne touche pas à la dignité du roi et à I'honneur du pays.

213

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4026. Parigi, 13 novembre 1871, ore 19,50 (per. ore 22,30).

Rémusat déclare que Gouvernement français était pleinement satisfait des assurances que V. E. a données à M. de Sayve, en ce qui concerne projet de loi sur les corporations religieuses et que je lui ai confirmées conformément à votre dépéche n. 352 (1).

(l) Cfr. n. 199.

214

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 32. Vienna, 13 novembre 1871 (per. il 16).

Il giorno stesso in cui il giornale ufficiale dell'Impero pubblicava la demissione del Conte Beust, il Vaterland organo principale del partito federalistaClericale, conteneva un articolo in cui esponeva il programma di politica estera che vorrebbe vedere attualmente adottato. In esso si riconosce la convenienza di non immischiarsi negli affari della Prussia paese straniero all'Austria dopo lo scioglimento della confederazione germanica, ed al quale pronostica futuro indebolimento in seguito alla lotta che impegnò col partito cattolico, e si dichiarava essere per ora la questione romana la parte più delicata e difficile della politica estera austriaca. Una nota sarebbe stata sufficiente, dice il Vaterland, ad arrestare l'Italia nella sua impresa contro Roma, il non averla inviata essere il più grave torto del Beust; doversi ora impiegare mezzi più energici; non consigliare guerra immediata e senza alleati all'Italia; essere però supremo compito di chi regge la somma degli affari esteri l'attuare una confederazione degli stati cattolici onde restituire al Papa il potere temporale. Non credere troppo ai sentimenti cattolici del Conte Andrassy ma essere convinto non permettere le convenienze politiche ad un uomo di stato che meriti il nome di austriaco il rimanere spettatore indifferente delle continue usurpazioni dell'Italia.

Tutta la stampa liberale, la quale rappresenta l'opinione pubblica della grandissima maggioranza della città di Vienna, addita, dal suo canto al Conte Andrassy la questione romana come quella in cui deve prendere chiaramente e subito posizione contro le esigenze clericali, se non vuole, cedendo poco a poco ad esse, vedersi travolto da una corrente che condurrebbe alla perdita della sua riputazione ed alla rovina dell'Impero. Il programma del Vatertand indicargli precisamente gli scogli da evitare; il partito liberale desiderava i migliori rapporti coll'Italia, la di cui amicizia, sì utile per se stessa, ottiene ancora maggior valore se si considera ch'essa è collegata strettamente con quella della Germania.

Ho creduto mio dovere segnalare a V. E. questo atteggiarsi della stampa di Vienna, dimostrando esso come i differenti partiti abbiano posta la questione romana quale stregua dell'accorgimento politico del Conte Andrassy e attendano i primi suoi atti rispetto ad essa per giudicarlo.

215

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1704. Parigi, 14 novembre 1871 (per. il 17).

La notizia che un avviso del prossimo arrivo del Papa in Francia sia pervenuto al Gabinetto di Versaglia si è diffusa nei giornali che la commentano in vario modo. Ma per la maggior parte le loro osservazioni tradiscono la poco gradita impressione che tale nuova qui produce, e perfino giornali clericali, come l'Univers, lasciano travedere la speranza che il fatto non s'avveri. Giova credere che commenti di tale genere non sieno per avventura senza qualche utilità. Essi da un lato possono servire d'avvertimento al partito che vorrebbe indurre il Pontefice a cercare un ricovero in Francia, e dall'altro essi devono influire eziandio sullo zelo del Gabinetto di Versaglia a prevenire una simile eventualità. Il Governo si è d'altronde già affrettato a fare smentire in via semi ufficiale l'esattezza della notizia che qualche avviso gli fosse stato dato.

E difatti anche nella conversazione che io ieri ebbi col Signor di Rémusat egli mi si mostrò molto più rassicurato a tale riguardo che nel precedente nostro colloquio, per effetto, io suppongo, delle prime notizie che dopo il ritorno del Signor di Harcourt al Vaticano gli furono da questi inviate.

A titolo d'informazione mi pregio d'inviare qui unito all'E. V. l'articolo (l) che nel più ardente giornale bonapartista: Le Pays travasi sull'argomentazione della venuta del Papa in Francia.

216

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4030. Vienna, 16 novembre 1871, ore 15,20 (per. ore 17,55).

J'ai vu hier au soir, pour la première fois le comte Andrassy, à une soirée à l'ambassade russe. Il m'a témoigné de la manière la plus large et la plus chaleureuse son désir de resserrer toujours davantage les liens avec l'Italie, me disant que la sympathie de la Hongrie pour l'Italie est aussi vive que ancienne. Cela doit maintenant s'étendre à toute la monarchie. J'ai toujours soutenu le comte de Beust dans sa politique amicale envers l'Italie. Je me maintiendrai plus que jamais dans cette voie. Je lui ai répondu que j'étais charmé des assurances qu'il me donnait et qui répondaient si bien à mes désirs et elles seront communiquées à mon Gouvernement et produiront une impression tout aussi agréable que celle qu'a produit en Italie la nouvelle de sa nomination. Il a encore renchéré alors sur ses assurances. Entrant ensuite à parler de nos affaires et de Rome en particulier il m'a dit qu'il éprouvait un grand

(l} Non pubblicato.

plaisir à voir camme toutes les difficultés qu'on pouvait craindre, avaient été déjà vaincues par le sens droit du Gouvernement italien qui ne se laissait pas détourner de son chemin par les petites chicanes qu'on cherchait à lui soulever. Il a ajouté avoir su par Launay que S. M. le roi d'Italie s'était exprimé avec beaucoup de bienveillance à son égard. Qu'il en était aussi flatté qu'heureux et qu'il espérait que l'Italie aurait, dans sa nouvelle position une occasion particulière de connaitre ses sentiments. J'ai Iieu de croire, que ce langage est aussi la conséquence de l'entretien que j'ai eu il y a trois jours avec M. Hofmann et que je vous rapporterai. Je pense revoir le comte Andrassy samedi. Je tacherai de l'engager davantage car le moment est décisif. Il serait peut-etre utile que je lui fisse une phrase aimable de la parte de V. E. Veuillez si vous l'approuvez, m'y autoriser par télégramme.

217

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 35. Vienna, 16 novembre 1871 (per. il 20).

Stante il ritiro del Conte Beust ed il ritardo frapposto dal Conte Andrassy ad assumere la direzione del Ministero, credetti opportuno recarmi il 14 corrente dal Capo sezione Barone Hofmann onde a mezzo suo preparare il terreno alle mie future relazioni col nuovo Ministro. Per entrare in materia e scandagliare lo stato delle cose intorno all'argomento che parmi di vitale attualità, il trasferimento cioè della Legazione Imperiale a Roma, cominciai dal chiedergli se, stante il ritiro accordato al Conte Prokesch, era ancora stato provveduto dal Conte Beust al suo rimpiazzo a mezzo del Barone Kiibeck, il Barone Hofmann risposemi tosto ciò non essersi ancor fatto, cosa che d'altronde ben sapeva, ed anzi soggiunsemi, nulla esservi d'impossibile a che, al seguito della venuta del Conte Andrassy al Ministero, il Barone Kiibeck più non andasse a Costantinopoli, e rimanesse invece in Italia. Risposi senza indugio che, ove ciò si verificasse, il Governo italiano, era persuaso, non avrebbe potuto a meno di essere lietissimo, stante i cosi cordiali rapporti che sempre avevano esistito fra esso e quell'egregio personaggio. Soggiunsi però a modo di interrogazione: ma il Barone Kiibeck sarà di ciò contento? poiché sembrami sia stato detto che per suo conto particoLare non avrebbe avuto gran piacere di stare a Roma, circO·· stanza che, se non erro, risuLterebbe anche daL Libro di Favre testé pubbLicato, poiché, soggiunsi ancora, suppongo che La Legazione ImperiaLe, se non è già trasferita a Roma, sta per esserLo in questi giorni. Il Barone Hofmann risposemi immediatamente che il Barone Kiibeck sarebbe enchanté di rimanere a Roma; che se quest'estate aveva potuto dimostrare men vivo desiderio di andarvi, si era perché già il suo imminente trasloco a Costantinopoli gli era stato annunciato, ma che, venendo a cessare tale circostanza, egli era oltre modo soddisfatto di stare a Roma. In ordine al trasferimento della Legazione alla nuova capitale

egli fu meno esplicito, e dopo avermi accampato i soliti pretesti della difficoltà di trovar locali, fini per dirmi che per intanto la cancelleria della Legazione aveva rinnovato a Firenze l'affitto del locale da essa occupato, per due mesi ancora a datare dal 1° novembre. Sentendo ciò mi mostrai vivamente meravigliato e gli dissi tosto che tal cosa sembravami poco d'accordo con quanto il Conte Beust avevami asserito, circa un mese fa, con precisione, che cioè la Legazione Imperiale troverebbesi a Roma per l'epoca dell'apertura del Parlamento, ciò che non aveva mancato, dissigli, di portare a conoscenza del mio Governo, sebbene non fossi stato incaricato di nulla in proposito. • Je ne suis pas davantage chargé de parler de cela aujourd'hui, soggiunsigli, mais puisque la conversation est tombée sur ce sujet, je ne puis pas vous cacher que mon opinion est, que l'absence de Rome de la Légation Impériale, si elle devait se vérifier dans cette circonstance, produirait un effet déplorable sur l'opinion ,publique quelles que fussent les raisons avec les quelles on voudrait colorer la chose, et le Gouvernement italien meme, après les assurances qu'il a reçues de moi à la suite de ce que m'a dit le Comte Beust que rien ne serait changé dans les si cordiales relations existantes entre l'Autriche-Hongrie et l'Italie, ne pourrait à moins de constater dans ce premier fait important une preuve moins favorable à ces assurances • .

Non mancai di ripetergli che ciò che gli diceva era assolutamente la mia impressione personale, ed in conseguenza del mio vivo desiderio, nell'interesse dei due paesi, di vedere mantenute ed anzi sempre rafforzate le nostre cosi buone relazioni, di tanta importanza per ambedue. Il ritiro del Conte Beust, dissigli ancora, richiamò in modo speciale l'attenzione dei partiti in Austria sulle relazioni della Monarchia coll'Italia, ed anzi fece di queste la pietra di paragone della via in cui sarà per entrare il nuovo Ministro, il momento è dunque importantissimo, e questo primo fatto deciderà evidentemente dell'opinione pubblica. Il Barone Hofmann mostrossi impressionato di ciò che gli diceva, e dissemi tosto: non mancherò di sottoporre le vostre considerazioni al Conte Andrassy, ma vogliate anche dal canto vostro parlargli con pari esplicità tosto lo vedrete. No, gli risposi, non ho mandato di sorta al riguardo; ciò che vi ho detto a voi si è unicamente perché voi siete l'anello fra il Conte Beust ed il Conte Andrassy; ma con quest'ultimo, salvo riceva istruzioni speciali, o me ne parli lui, io non toccherò tal delicato argomento, in una prima visita più d'etichetta che altro. Il Barone Hofmann ripetendomi la preghiera di parlarne io pure al Ministro, assicurommi intanto che non avrebbe mancato di sottoporgli lui la questione in antecedenza, ma io stetti fermo nella mia riserva. Il Barone Hofmann mi chiese pure se un invito in proposito sarebbe fatto in tempo alla Legazione Imperiale, poiché, ove ciò si verificasse, evidentemente si sarebbe dato telegraficamente l'ordine al personale di essa di trovarsi a Roma per la seduta Reale; su ciò risposi anche nulla saperne poiché, come Le diceva, non mi si era fatta comunicazione di sorta al riguardo, evidentemente dietro l'assicuranza datami dal Conte di Beust e da me portata a conoscenza del Governo. Questa conversazione parvemi aver prodotto buon effetto sul mio interlocutore, e, se mal non m'appongo, le assicuranze così cordiali ed amichevoli per l'Italia che ebbe a darmi jeri sera il Conte Andrassy e che telegraficamente riferisco oggi

a V. E. (1), devono pure esserne la conseguenza. Il partito a cui si sagrificò il Conte Beust spera pure d'utilizzare il momentaneo interregno per riportare incidentalmente una vittoria in questo fatto speciale, ma mi lusingo che le sue speranze potranno andar deluse.

Valendomi dell'opportunità chiesi al Barone Hofmann cosa ci fosse di vero nella missione a Vienna, annunziata da un giornale, di Monsignor Bellà, notizia che riattaccava alla voce corsa della domanda fatta dal Papa al Signor Thiers di un asilo in Francia. Senza esitazione il Barone Hofmann risposemi non aver contezza di sorta di una missione affidata ora a Monsignor Bellà, di cui ignorava anche l'esistenza; in quanto alla voce corsa sulla partenza del Papa da Roma non credervi assolutamente; esser bensì vero che Sua Santità aveva al mese di giugno, ed anche poi, ripetuto che all'epoca dell'effettivo installamento della capitale a Roma, e del trasferimento ivi del Corpo diplomatico, avrebbe abbandonata quella città, ma che aveva ragione di credere eguale intendimento non esistesse più in oggi. Ho creduto conveniente riferire tutto ciò alla E. V., sebbene in questo momento le parole del Barone Hofmann non si possano considerare come l'espressione dei sentimenti del nuovo Ministero, che ancora non ha preso conoscenza particolareggiata degli affari.

218

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Vienna, 16 novembre 1871.

I miei telegrammi e rapporti di questi ultimi giorni avranno potuto confermarvi le notizie dei giornali sulla vivissima impressione prodotta qui dal ritiro del Conte di Beust; tengo però a farvene ancora in via particolare special menzione. Il conte di Beust fu fatto invitar dall'Imperatore a presentar le sue demissioni, questo è il fatto, le supposizioni sulle cause di esso sono molte ma vi ha però notevole divergenza fra di esse. II partito clericale reazionario che riconosceva nel Cancelliere il suo costante e più temibile avversario lavorava da lungo tempo a scalzarlo, rovesciato il Ministero Hohenwarth quel partito trovò modo d'insinuar all'Imperatore, che il rumore dei federalisti sarebbe minore, e che più facilmente si potrebbe più tardi ritentar la conciliazione, ove l'uomo alle cui esortazioni il Sovrano aveva ceduto, sparisse dalla scena, l'amor proprio dell'Imperatore fu pur messo in giuoco assai astutamente richiamando la sua attenzione sulla qualifica di Vice-Imperatore colla quale la stampa designava da alcun tempo il Beust. Rappresentassi pure a Francesco Giuseppe che la parola Sovrana non mantenuta verso gli Czechi, necessitava pur qual espiazione il sacrificio di chi era colpevole d'un tal fatto. Troppo lungo sarebbe l'enumerar tutti gli altri argomenti di cui il partito in questione

si prevalse; fatto sta, che valendosi del Lonyay che ambiva più elevata posizione, traendo partito del desiderio d'Andrassy di figurar su più elevata scena, i Gesuiti neri, come li chiama il Principe di Bismarck, ebbero ragione dell'animo debole del Sovrano. L'Imperatore che senza prevederne le conseguenze aveva aderito all'accordo coi Boemi, e vi aveva anzi impegnata la sua azione personale, allo stesso modo credette far cosa semplicissima e sommamente proficua alla sua Corona lo sbarazzarsi di Beust pel quale d'altronde non aveva simpatia di sorta. Ma tutt'altre furono le conseguenze. Beust cadde sì ma per risalire nell'opinione pubblica ad un'altezza doppia di quella a cui siedeva prima. La sua caduta produsse una scossa tale che l'Imperatore ne sentì il contracolpo e volle pararvi recandosi a far al suo ex cancelliere quella tal visita che il telegrafo annunziò all'Europa. La caduta di Beust fu considerata qui come un tentato colpo della reazione alla libertà, ed il partito Tedesco che questa rappresenta nella Monarchia vi rispose cogl'indirizzi e dimostrazioni che riempiono le colonne dei giornali. Dopo un si grave fatto tutto è ritornato possibile in Austria, e cosi pure anche il ritorno del conte Beust in un giorno forse non lontano di grave pericolo per la Monarchia. Egli intanto va in Inghilterra come rappresentante del liberalismo Tedesco in Austria. Sembrerebbemi conveniente che Cadorna a Londra mostrasse tenergli conto l'Italia della simpatia sempre dimostrataci, solleticando così il suo amor proprio ed impegnandolo sempre maggiormente in buone relazioni con noi, si avrà per risultato non solo quello all'evenienza abbastanza utile di averlo amico a Londra, ma quello pur anche maggiore di guadagnarlo vie più alla nostra causa pel giorno in cui riprendesse l'alta direzione della politica estera a Vienna.

Il conte Beust dissemi esser intenzionato recarsi quest'inverno in Italia per un pajo di mesi e dissemi sperar avervi degli amici, non mancai rispondergli che vi troverebbe tutta quella cordiale accoglienza a cui le simpatie ch'egli ci dimostrò gli dan diritto. Il barone Aldenburg capo del suo Gabinetto che ha ottenuto un lungo congedo andrà fra poco passarne buona parte in Italia, lui pure è persona che parmi conveniente accarezzare. Vi sottopongo queste mie idee pel caso che crederete farne. Il conte Andrassy è già nominato Ministro degli Affari Esteri ma non ci ha ancora ricevuto nè ci ha dato avviso in proposito al momento in cui vi scrivo.

Ieri sera però l'incontrai all'Ambasciata Russa ed ebbi seco lui il colloquio che sommariamente vi telegrafai stamane (1). Se non facessi la parte del carattere spigliato, del far alquanto teatrale di quell'uomo di Stato Ungherese la mia impressione sarebbe che ci abbiamo guadagnato al cambio, ma avendo presente le precitate circostanze, confesso che non so difendermi dall'accettar col solo beneficio d'inventario le così esplicite dichiarazioni di simpatia e d'amicizia del nuovo Ministro. Lo vedremo ai fatti, e questi non possono tardare a prodursi come rileverete dal mio rapporto ufficiale d'oggi (2) pure relativo alla conversazione da me avuta col barone Hofmann relativamente al trasferimento della Legazione a Roma. Alcune parole generiche dettemi ieri sera da Andrassy mi farebbero ritenere come più probabile ancora ciò che dicevami Hofmann sulla

possibilità che Kiibeck resti in Italia, sebbene da fonte privata mi risulti ch'egli abbia affermato la sua decisione di non far più ritorno a Roma. Tutto ciò d'altronde dovrassi decidere in questi giorni, poichè come ho avuto occasione di farvi notar nei miei rapporti, la questione dell'amicizia coll'Italia, è stata posée dai partiti come la chiave della politica del nuovo Ministro, ed in modo anzi così assoluto da escluder parmi le mezze misure. Credo che faremo sabbato la nostra prima visita al conte Andrassy, dopo questa egli farà ritorno a Pesth per prendervi la famiglia e provveder alle cose sue particolari, parmi dunque alquanto difficile si possa aver seco Lui relazioni regolari prima del Dicembre. Nessuno m'ha fino ad oggi toccato l'argomento delle corporazioni religiose a Roma, all'evenienza mi regolerò nelle mie risposte conformemente alle vostre ultime istruzioni ufficiali (l) che confermano quelle datemi precedentemente in via particolare. Tanto su queste questioni particolari però come su quelle altre che incidentalmente possono nascere a Roma, mantengo la mia credenza che l'Andrassy si farà più facilmente il portavoce dei sentimenti particolari dell'Imperatore che noi facesse il conte Beust, questi già sapeva di non poter contare sulla simpatia del Sovrano nè su quella dell'entourage e quindi non si credeva tenuto ad eccessivi ménagements mentre quello invece vuoi piacere all'imperatore, e non esser osteggiato dalla camarilla colla quale egli travasi in termini tanto migliori in questo momento, ch'egli è il successore dell'inviso Beust. In una parola temo che si prenderà la via di non malcontentar nessuno, la quale evidentemente conduce al risultato contrario. Tengo però a dirvi che quando dico temo ciò non vuoi dire ch'io tema ch'imbarazzi serii ci possano venir

dall'Austria, poichè il giorno in cui un voltafaccia completo si facesse a nostro riguardo, ciò sarebbe il segnale d'una rottura completa col partito liberale cioè col partito tedesco, e quindi n commencement de la fin. Se la Francia fonda su ciò le sue speranze, fa i suoi conti senza l'oste, poichè la rottura del Governo col partito Tedesco non può che far gli affari della Germania, segnando il principio dello sfacelo di questa Monarchia. Per conto mio come avrete già potuto constatar non ho gran fede nell'avvenire di questo paese, credo però che le cose possono anche tirar avanti abbastanza lungamente così, poichè la tradizione ha ancora una gran forza in questo paese, certamente non converrebbe si ripetesse tosto una scossa come quella prodotta dalla recente crisi, e pur troppo bisogna dirsi che qui le cose le più improbabili sono quelle che hanno maggior probabilità di successo.

La mia posizione qui pel momento è ottima, era benissimo col conte Beust, ed ho luogo di credere sarò in eguali relazioni personali col conte Andrassy. Sono nelle migliori relazioni pur anche per antecedenti personali e di parentela coi personaggi più influenti che circondano l'Imperatore dimodochè anche succedesse un cambiamento totale di scena non mi troverei personalmente sbilanciato. I miei rapporti con tutto il Corpo Diplomatico sono dei più cordiali. Vedo con piacere il ritorno di Banneville uomo che parmi molto prudente, e di modi gentilissimi, egli mi fu largo di cortesie mentre era qui prima di andar in congedo. Per oggi non ho altro a dirvi, tanto più che traversiamo un'epoca

di transizione, in cui le impressioni dell'oggi possono essere contradette dai fatti del domani. Se vi ha cosa nella mia azione qui che non armonizzi pienamente colle vedute del Governo, compiaceretevi illuminarmi, e sarà mia cura regolarmi in modo da meritarmi la fiducia colla quale si largheggiò meco affidandomi quest'importante missione.

La presente lettera non chè il rapporto di pari data saranno impostati da persona sicura in territorio Italiano.

(l) Cfr. n. 216.

(l) -Cfr. n. 216. (2) -Cfr. n. 217.

(l) Cfr. n. 211.

219

IL MINISTRO DEGLI ESTERI', VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT

T. 1778. Roma, 17 novembre 1871, ore 17.

Je vous prie de dire au comte Andrassy que le Gouvernement du Roi a accueilli avec une grande satisfaction la nouvelle de sa nomination. Il y a entre la Hongrie et l'Italie des liens anciens de sympathie et d'intérét que rien ne pourrait détruire. Le roi et ses ministres comptent beaucoup sur l'aide amicale du comte Andrassy pour résoudre d'une manière conciliante les petites difficultés que nous crée encore la questione romaine. Nous nous permettrons de faire souvent appel à ses lumières et nous espérons qu'il voudra bien se tenir avec l'Italie dans un échange constant d'idées, soit par votre entremise, soit par celle du ministre de l'Autriche-Hongrie auprès du roi. Tachez de lui dire dans le cours de la conversation que S. M. sera ici le 20 pour y séjourner. A cette époque la légation d'Allemagne viendra s'établir à Rome. Celles de Russie et de Turquie y sont déjà installées, ainsi que celles d'Angleterre et de plusieurs autres puissances. Sans faire des démarches positives, tachez d'insinuer qu'il

serait à regretter que l'Autriche brille par son absence à l'époque de l'ouverture du parlement.

220

IL MINISTRO A L'AJA, BERTINATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4033. L'Aja, 17 novembre 1871, ore 18 (per. ore 23,35).

Par un vote de la chambre des députés, la légation hollandaise près du S. Siège est supprimée.

221

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 907. Berlino, 17 novembre 1871 (per. il 22).

En me référant à mon télégramme d'hier (1), je m'empresse de rendre

compte avec plus de détails d'un incident auquel a donné lieu, le méme jour, la discussion au Reichstag du budget des Affaires Etrangères.

Un député, M. Lowe, a exprimé sa surprise au sujet d'une Légation à Rome.• Le pouvoir temporel du Pape a cessé d'exister, et nous avons un Envoyé près le Gouvernement Italien. J'appelle l'attention sur l'embarras que pourrait causer le départ éventuel du Pape. Le représentant de l'Allemagne devrait-il ou non Le suivre? Maintenant que les choses sont encore en cours, je renonce à présenter une proposition formelle, mais je crois que dans l'avenir il faudra supprimer cette Légation •.

Le Prince de Bismarck a répondu dans les termes suivants, conformément du moins au récit des journaux. Je me réserve de communiquer à V. E. le texte méme du discours quand aura paru le compte rendu officiel. En attendant l'analyse des journaux étant en concordance, on ne peut qu'en admettre l'exactitude.

• M. Lowe a touché une question que lui-méme a déclaré camme étant pendante. Je n'ai pas à m'occuper ici d'une question de l'avenir. Autrement je devrais en préjuger le développement. Or nous n'avons pas à traiter maintenant d'une question politique proprement dite. Nous ne discutons que le bilan des Affaires Etrangères. Mais il y a lieu d'admettre d'avance que l'Envoyé d'Allemagne près S. M. le Roi d'Italie se rendra à Rome, aussitot que le Roi lui-méme renoncera à sa résidence actuelle, et se transfèrera à Rome. Le représentant Impérial est accrédité près le Monarque, et non près ses Ministres, et aussi longtemps que le Roi lui-méme ne résidera pas à Rome, l'Envoyé accrédité près Sa Majesté ne peut quitter le domicile de la Couronne. Aussitòt que S. M. la transfèrera à Rome, il sera de son devoir de L'y suivre.

Je me réserve également de faire parvenir à V. E. une traduction du compte rendu officiel de la partie du discours du Chancelier Impérial, où il a parlé de la nécessité des frais de représentation convenables à allouer aux agents diplomatiques. S'il était besoin de prouver cette thèse, les arguments invoqués par S. A. seraient sans réplique.

(l) Non pubblicato

222

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 146. Therapia, 17 novembre 1871 (per. il 25).

Nel mio giungere a Costantinopoli ho ricevuto l'ossequiato dispaccio di

V. E. de' 31 ottobre scorso (1).

Abbenchè fossi stato dolente di non essere qui arrivato prima della emanazione del firmano con cui S. M. il Sultano ha conceduto, dietro talune condizioni, al Bey di Tunisi l'amministrazione ereditaria di quella Reggenza, ho dovuto non 'pertanto convincermi che tutti gli sforzi che avrei fatto, in esecuzione delle istruzioni impartitemi col precedente dispaccio de' 22 (2) dello stesso

mese, per distorre la Sublime Porta da tale divisamento sarebbero riusciti infruttuosi. Il conte di Vogiié, ambasciatore di Francia ed il R. Incaricato d'Affari cavaliere Cova non han lasciato alcun mezzo intentato per persuadere il Governo ottomano a desistere da qualsiasi misura che accennasse ad alterare lo Statu quo prevalente in Tunisi da lunghissimi anni; ma egli era evidente che la Sublime Porta, credendo ormai giunto il momento opportuno per dar seguito al progetto che non potè mandare ad atto nel 1864, non sarebbesi arrestata dinanzi a semplici rimostranze e proteste.

Essendo già incominciate le feste del Ramadan, non mi fu possibile, allor che mi condussi alla Porta per far le mie visite ufficiali di vedere il Gran Vizir. Ebbi però un lungo colloquio con Server Pacha, ministro degli Affari Esteri, al quale non mancai di fare le dichiarazioni e le riserve prescrittemi dal succennato riverito dispaccio de' 22 ottobre. Egli mi confermò ciò che Photiades Bey ebbe incarico di dichiarare all'E. V., cioè a dire che il novello firmano impartito al Bey di Tunisi non arreca alcuna innovazione allo stato attuale delle cose in quella Reggenza, le cui relazioni coi Governi esteri continueranno a rimanere quali erano per lo passato. Il firmano ha avuto per solo scopo, ei soggiungeva, di dare al Bey maggior forza e prestigio nell'interno verso i sudditi della Reggenza. Il Bey stesso avea nel 1864 significato il suo desiderio di ottenere un simile firmano, e fin da quel tempo la Sublime Porta glielo avrebbe conceduto se egli ne avesse formalmente inviata la domanda a Costantinopoli. Questa domanda fu fatta non ha guarì per mezzo del generale Kerredin, e il Governo del Sultano ha giudicato che non potesse nè dovesse esimersi dal soddisfare ai giusti e ragionevoli desideri del Bey.

Stimai inutile di far rilevare a Server Pacha che forse le cose non erano occorse precisamente nel modo in cui l'E. S. le esponeva, ma gli feci osservare, rientrando ad esaminare le probabili conseguenze che derivar possono dal nuovo firmano, essere assai malagevole il determinare il limite in cui un affare cessando dall'essere puramente commerciale acquista l'importanza di una questione politica, e come il Governo della Sublime Porta potrebbe, suo malgrado, vedersi trascinato ad addossarsi la risponsabilità di fatti compiuti o di impegni assunti a sua insaputa e sui quali essa non fu chiamata ad esercitare il suo sindacato.

Mi rispose Server Pacha che egli non temeva che tali difficoltà si presentassero, ma che in ogni caso esse non sarebbero nè maggiori nè diverse di quelle che possono sperimentarsi in Egitto, la cui posizione è del tutto identica a quella che è stata fatta a Tunisi dal nuovo firmano.

Dissi a Server Pacha che V. E. non aveva ricevuto la comunicazione del testo del firmano, alla data del suo ultimo dispaccio, che si riservava quindi di esaminarlo, e che intanto il Governo del re rimanea fermo nella opinione che per esso non possa in nulla venir alterato il carattere delle sue relazioni con la Tunisia, nè scemata per modo alcuno la diretta risponsabilità del Bey per atti che fossero lesivi agli interessi degli italiani.

S. E. ripetè la precedente dichiarazione che nulla sarebbe mutato ne' rapporti internazionali della Reggenza con le Potenze estere, e conchiuse col dire che egli nutriva fiducia che questa concessione fatta al Bey di Tunisi non alte

19 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

rerebbe in nulla le buone ed amichevoli relazioni esistenti fra la Sublime Porta e l'Italia, che egli sarebbesi studiato di render sempre più intime e cordiali, e alla cui politica (dell'Italia) franca e disinteressata rendeva con piacere il dovuto omaggio.

(1) -Cfr. n. 184. (2) -Cfr. n. 172.
223

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. 4623. Roma, 18 novembre 1871 (per. il 19).

Ringrazio anzitutto l'E. V. del diligente ed assennatissimo rapporto (l) sulle più recenti mene dell'Associazione Internazionale che fa capo a Londra.

Certamente sarebbe esagerato il timore di prossime e rilevanti agitazioni promosse da quella setta, e ciò tanto più in Italia, dove non ha che pochi aderenti sparsi e di poca influenza.

Ma non è a dissimularsi che tale associazione, sia perchè si fa centro delle aspirazioni delle classi indigenti, sia perchè si vale di ogni elemento rivoluzionario, politico o socialista, ha trovato, come i fatti e le numerose pubblicazioni attestano, massime in Inghilterra, libero campo a svolgersi e preparare secondo l'opportunità, continue offese all'ordine pubblico costituito.

Interessa quindi al Governo di tener dietro alle intime vicende della setta in discorso, e come già proponeva il R. Ministro di Londra con rapporto (2) dall'E. V. appoggiato col foglio del 9 maggio u. s. n. 34, questo Ministero, riferendosi alle precedenti comunicazioni, è disposto di tentare l'esperimento di stipendiare un agente speciale. E siccome questo deve godere intera la fiducia del

R. Rappresentante in Londra, non ho che a rinnovare all'E. V. la preghiera di far praticare opportune ricerche per rinvenire la persona adatta e fidata, indicando l'importare della spesa che incomberebbe a questo Ministero, e che nel precitato rapporto, non era significata che genericamente e in via d'ipotesi.

224

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 265. Tunisi, 18 novembre 1871 (per. il 23).

In una col pregiato dispaccio delli 9 andante n. 114 (3) mi sono col presente corriere pervenute le copie dei menzionativi dispacci di V. E. alla R. Legazione in Costantinopoli, e mentre dall'uno e dalli altri prenderò norma per l'ulteriore mio contegno col Bardo, ho intanto rilevato dalla pure annessavi traduzione del firmano come sia cambiata la condizione politica della Tunisia

che diffatto non solo perde la sua autonomia, ma viene ridotta ad un grado inferiore delli altri principati vassalli della Porta, in una parola il Bey dal rango di Sovrano discende a quello modestissimo di un semplice Governatore generale.

Il firmano suddetto è stato portato dal Generale Khereddin che fu qui di ritorno mercoledì scorso, e stamane stesso mi proponevo di recarmi dal Primo Ministro per ricordargli le sue promesse, e per vedere se v'era ancora mezzo di sospenderne la lettura e la pubblicazione sino a che le Grandi Potenze non si fossero pronunziate a riguardo del medesimo; quando invece sono stato prevenuto dal rombo del cannone che annunziava al pubblico la consegna di quell'atto fatta al Bey nelle forme le più solenni insieme colle insegne in diamanti dell'Osmanié di prima classe che in questa circostanza sono stategli conferite. Tutto dunque è compiuto, e per quanto ora dipende da Tunisi non v'ha più luogo di rinvenire.

(l) -Non pubblicato. ma cfr. n. 185. (2) -Cfr. serie II, vol. II, n. 416. (3) -Cfr. n. 203.
225

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 38. Vienna, 19 novembre 1871 (per. il 22).

Come ho avuto l'onore di annunciare all'E. V. col mio telegramma di ieri sera(l), fui ieri dal Conte Andrassy nell'occasione in cui riceveva per la prima volta il corpo diplomatico. Egli mostrassi sensibilissimo ai simpatici sentimenti che l'E. V. incaricavami esprimergli a nome del R. Governo e nel modo il più largo confermommi il suo intendimento, già antecedentemente espressomi, di stringere sempre maggiormente i legami d'amicizia che cosi felicemente uniscono l'Austria-Ungheria all'Italia, quelle due nazioni, com'egli si espresse, fatte geograficamente e politicamente per reciprocamente appoggiarsi e difendersi. Soggiunse quindi avere egli sempre appoggiato con tutte le sue forze il Conte Beust, essenzialmente nella sua politica verso l'Italia, e ciò anche al momento difficilissimo in cui le esigenze della politica italiana condussero all'occupazione di Roma. La legge delle guarantigie avergli tosto dopo dato prova della rettitudine delle intenzioni del Governo del Re, del suo senso eminentemente pratico; il modo poi col quale detta legge viene scrupolosamente, con fermezza e prudente saviezza ad un tempo, applicata, averlo fatto persuaso di essersi rettamente apposto nei suoi giudizi; in tal linea di condotta l'Italia poter far sempre assegno sul suo concorso amichevole per aiutarla a risolvere le piccole difficoltà che eventualmente possono insorgere; ed essere egli uomo i di cui antecedenti provano che quando si mette in una via non indietreggia mai. Egli mostrossi grato al desiderio che l'E. V. m'incaricò esprimergli, di mantenersi seco noi, per mezzo mio e dell'Inviato Imperiale presso S. M. il Re, in costante scambio d'idee sulle quistioni che possono interessare i due Stati. Egli assicurommi che per parte sua non avrebbe mancato di farlo, ciò essendo

d'altronde pienamente conforme al suo particolare modo di vedere sul miglior mezzo di trattare gli affari. Finalmente volle accentuarmi i simpatici sentimenti delle popolazioni della Monarchia tutta per l'Italia, e pel suo Re, sentimenti ch'egli mi disse pienamenti divisi dall'Imperatore e Re. Dissemi rincrescergli che le circostanze abbiano fatto fallire il divisamento, già accolto, di un personale abboccamento fra i due Sovrani; sperare però che occasione favorevole di effettuarlo potrebbe presentarsi in seguito.

In tutto questo discorso non si presentò l'opportunità di far cadere naturalmente la conversazione sull'argomento accennatomi dall'E. V. al fine del suo telegramma del 17 corrente (l); m'astenni dunque, tanto più che ben era persuaso il Barone Hoffmann già gli aveva riferito quanto in proposito avevagli io detto, e quindi sembravami sufficiente, non volendosi fare una entratura positiva al riguardo. Il tempo stringeva, l'ora essendo tarda, e molti miei colleghi attendendo ancora d'esser ricevuti; mi licenziai dunque dal Conte Andrassy, che nel prendere commiato da me si compiacque esprimermi nel modo il più cordiale e lusinghiero la personale sua simpatia per me.

(l) Non pubblicato.

226

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 4726. Roma, 20 novembre 1871 (per. il 21).

In continuazione delle comunicazioni precedenti e per servire a quelle investigazioni che l'E. V. crederà di disporre, mi pregio di comunicarle i ragguagli che seguono intorno all'associazione internazionale.

Questa setta tiene in Londra Comitato Generale, che s'intitola del Risorgimento Sociale, e ha sede in Regent-Street al n. 15. La corrispondenza di questo Comitato con l'Ispettorato Generale in Roma, è firmata dal Presidente E. Woordel.

Dal Comitato Generale sono partiti ordini a tutte le Sezioni di preparare elenchi nominativi dei più notabili proprietarj, capitalisti, stabilimenti industriali e di credito d'ogni maniera, e delle Tesorerie governative.

La tassa di associazione è, con recente disposizione, stata ridotta a 10 centesimi, con la fiducia di accrescere il numero degli aderenti, ed una delle prime imprese che si vogliono preparare, è quella di ottenere dai capi degli stabilimenti industriali una diminuzione dell'orario di lavoro.

Il Signore Giuseppe Luciani, che risulterebbe Ispettore Generale per l'Italia, travasi ora a Londra con Ricciotti Garibaldi. Scopo apparente della gita loro, di promuovere associazioni ad un progetto di magazzini generali nel Porto di Brindisi, ma in realtà, per conferire coi capi dell'internazionale di colà.

Attenderò dall'E. V. a suo tempo un riscontro sull'esito delle indagini che sopra tali dati avrà creduto di far praticare.

(l) Cfr. n. 219.

227

IL CONSOLE GENERALE A LIVERPOOL, CAPELLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. S. N. Liverpool, 20 novembre 1871 (per. il 25).

Mi viene all'orecchio, che in questo momento Mazzini e i Mazziniani sono molto attivi in Londra, e che i Capi del partito lasciano intendere che si prepara un prossimo movimento in Italia.

La notizia mi fu data al Consolato Francese, e proviene da un Agente incaricato qui di sorvegliare le mene dell'Internazionale.

Senza mettervi troppa importanza, sapendo che non si può sempre fidare a simili rivelazioni, e persuaso che V. E. sarà meglio informata da altra parte più competente, pure crederei mancare al mio dovere se mi astenessi dal comunicarle questo avviso qualsiasi. Lo stesso farò se apprenderò ulteriori ragguagli che mi pajano poter interessare il R. Governo.

228

IL MINISTRO ALL'AJA, BERTINATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 44. L'Aja, 21 novembre 1871 (per. il 25).

Per cogliere la vera portata della decisione della seconda Camera degli Stati Generali, che addottò alla maggioranza di sei voti, (39 contro 33) l'emendamento del Signor Dumbar, avente per iscopo di sopprimere la Legazione ollandese presso la S. Sede, è mestieri avvertire che una parte di coloro, che insistevano sul mantenimento della medesima erano animati da puro sentimento di conciliazione e di deferenza verso un vecchio Pontefice, afferentesi spettacolo al mondo qual tribolato e prigioniero.

L'altra parte però di essi, furibonda secondo il solito, ne faceva anzitutto una questione di diritto, di protesta contro i fatti compiuti, e di affermazione permanente in faccia all'Europa del diritto imprescrittibile dei cattolici sulla città eterna, non che del dovere strettissimo di tutte le Potenze di ristabilire quando che sia il potere temporale.

I 39 voti che accolsero l'emendamento coll'arrota della metà di quelli che lo hanno combattuto per puro desiderio di conciliazione, e tuttoché appartengano alla parte protestante, vanno perciò da noi considerati come ugualmente favorevoli all'unità italica, e per nissun conto complici col fanatismo fazioso che continua ad asteggiarla.

Sotto questo punto di vista alcuni cattolici cominciano fin d'ora ad avvedersi, e ad ammettere che il loro smacco è dovuto più che ad altro, alle loro incessanti provocazioni contro l'Italia, ed al linguaggio comminatorio contro il loro stesso paese, laddove se si fossero mostrati più rassegnati e rispettosi sì nelle stampe, sì nelle pubbliche dimostrazioni in favore del Papa Re, essi

avrebbero molto verosimilmente vinto il partito e conservata la Legazione batava presso la S. Sede.

Interrogato in proposito da più settimane, e dacché il bilancio degli affari esteri venne presentato alla Camera, così dal Barone de Gericke come da varii membri della medesima, io risposi, come in passato, che la conservazione o la soppressione del posto presso la S. Sede era affare loro interno, nel quale io non dovevo né potevo intromettermi. Essere però mio dovere, poiché mi si faceva l'onore di toccare meco tale argomento, di far loro avvertire che si poteva benissimo mantenere od accreditare un oratore speciale presso il Papa (il che non poteva esserci discaro per sé) senza però inferirne la necessità da motivi di sfiducia, per non dire altro, verso il governo italiano, e potersi conseguentemente ed in ciò appunto consistere la vera politica, conservare corrette relazioni col Nono Pio, senza per nulla alterare le buone relazioni che si dovevano mantenere con Re Vittorio Emanuele; essere noi concilianti verso di tutti, e sempre pronti ad appagare qualunque legittimo desiderio ci si manifesti riguardo alle migliori condizioni, che si possono praticamente fare al Regnante Pontefice, verso il quale siamo devoti ed ossequenti non meno che gli altri cattolici; ma non poter mai tollerare che il diritto nazionale da noi accampato per la soluzione territoriale della questione romana venga comechessia messo in discussione da qualunque estera potenza, e sotto qualunque pretesto. La legge delle guarentigie da noi sanzionata e comunicata ufficialmente a tutti i gabinetti perché ne prendessero atto provvede a dovizia alle esigenze del mondo cattolico, nello stesso modo con cui l'articolo 11 delle medesime assicura agli agenti esteri presso il Papa tutte le immunità ed i privilegi onde abbisognano.

All'infuori di quanto abbiamo operato e per propria entratura sì per la tranquillità dei cattolici, sì per l'indipendenza spirituale, e pel decoro del Sommo Gerarca non poter noi entrare in ulteriori controversie sui fatti consumati.

Il mio franco linguaggio e la mia riservatezza vennero apprezzati, ed il Ministro degli Affari Esteri pronunciò sul mio conto alcune benevoli parole in seno degli Stati Generali.

Riserbandomi di mandare a V. E. il discorso di questo Ministro degli Affari Esteri, appena ne abbia ricevuto la traduzione, che ho commessa, Le rinnovo...

229

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1718. Parigi, 22 novembre 1871 (per. il 25).

Ho l'onore di segnalare all'attenzione dell'E. V. un articolo dell'odierno Journal des Débats che qui unisco e che mi affrettai ad additarle in via telegrafica.

Quest'articolo riferisce una conversazione che il Signor Thiers avrebbe recentemente avuta con una persona che non si nomina intorno all'eventualità della partenza del Papa da Roma e della sua venuta in Francia.

Il Signor Thiers avrebbe invero espressa l'opinione che questa venuta non sia probabile; ma il tenore generale delle sue dichiarazioni, malgrado ad una frase la quale dice espressamente che la Francia non esibisce la sua ospitalità al Santo Padre, non è per nulla tale da dover scoraggiare in un dato caso il Pontefice a cercare un asilo sul suolo francese. Il Signor Thiers avrebbe, secondo questa relazione, nominato il castello di Pau come la residenza che sarebbe assegnata al Capo della Chiesa cattolica.

Il noto carattere del JournaL des Débats e la forma stessa di questo articolo mi fanno credere ch'esso non sia stato pubblicato né all'insaputa del Signor Thiers, né forse senza una certa sua partecipazione.

230

IL MINISTRO A TOKIO, FE' D'OSTIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 17. Tokio, 22 novembre 1871.

Il Governo Giapponese, allo scopo d'intendersi colle principali potenze estere, sui preliminari dei nuovi trattati, le cui conferenze furono già annunziate da tempo pel 1° Luglio 1872, ha stabilito di mandare in America ed in Europa un'ambasciata composta del Primo Ministro degli Affari Esteri, del Primo Ministro delle Finanze e d'un altro Primo Ministro con seguito d'alti funzionarj ed interpreti.

L'ambasciata partirà da Yokohama il 22 prossimo Dicembre, per la via del Pacifico e sarà accompagnata sino a Washington dal Ministro Plenipotenziario Americano qui accreditato, Signor De Long.

In paese, si attribuisce molta importanza a questa Missione e da quanto qui si vede iniziare nella via del progresso e della nuova legislazione Europea, si crede che l'Ambasciata abbia istruzioni d'informarsi di quelle leggi e regolamenti esteri, che siano applicabili a questo paese.

Di ciò ne venne data ieri comunicazione ufficiosa dal Ministero degli Affari Esteri, il quale si riserva di farmi conoscere più tardi, l'epoca in cui la Missione intende, per la via d'Inghilterra e di Francia, recarsi in Italia.

Il desiderio del Governo Imperiale, espresso al Corpo Diplomatico perché desso abbia ad influire favorevolmente sull'opinione dei principi Giapponesi, per tutte le imminenti riforme, ha in pari tempo spinto loro medesimi a cercare relazioni coi diplomatici ed ora mai che la maggior parte dei principi stessi si trova in Tokio, parecchi mandano i loro biglietti alla Legazione e per mezzo degli interpreti s'informano quando sia possibile e conveniente fare la personale conscenza dei Ministri.

Questo nuovo stato di cose rende ancora più urgente l'allestire in modo convenevole i locali delle Legazioni ed è perciò che nuovamente raccomando all'E. V. quanto ebbi l'onore di esporre nei miei rapporti Serie Contabilità N. 8 e Politica N. 15 (1).

(l) Non pubblicati.

231

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 166 (1). Tunisi, 25 novembre 1871 (per. il 30).

Ho l'onore di compiegare a V. E. la traduzione del noto Firmano (2) che il Bardo fece pervenire in via ufficiosa ai differenti Consolati, la quale traduzione confrontata con quella in arabo che venne pubblicata nel giornale ufficiale il Raid Tunsi, risponde nell'assieme all'altra data dalla Porta alla R. Legazione in Costantinopoli, salvo però le varianti col testo turco notate dal Cavalier Vernoni.

In occasione del Ramadan essendo stato come d'uso a far visita al Primo Ministro ed avendomi egli parlato del Firmano e dei nuovi vincoli che univano la Tunisia alla Sublime Porta, io gli risposi che come Agente del Re dovevo per ora serbare la massima riserva, ma che nel mio particolare non avevo luogo di farne i complimenti al Generale Khereddin. E qui il nostro discorso prendendo un tuono tutt'affatto confidenziale ed amichevole mi studiai di capacitarlo sulla vera portata dell'Hat Imperiale, che maggiormente si rilevava dalle restrizioni contenute nel testo turco, e forse appostatamente omesse nella traduzione in arabo ed in francese. Il Generale Sidi Mustafà mi fece comprendere che ora mai non era più il caso di rinvenirvi; del resto aggiunse in termini abbastanza espliciti che il Ministero italiano vi aveva grandemente contribuito minacciando il Generale Hussein di rivolgersi a Costantinopoli ove si continuasse a trovare resistenza da parte del Bey nella questione della Gedeida. Scusatemi -io replicai con calore -no, ciò non può essere, perchè l'Italia ha tutti i mezzi per rivendicare da sola i diritti de' suoi nazionali; tutt'al più sarà stato detto al Generale Hussein quanto io stesso vi dissi, cioè che la Società agricola italiana avrebbe finito per appellarsene a Costantinopoli, e che sarebbe stato meglio d'intendersi tra di noi per non dar luogo alla Turchia d'immischiarsi nelle cose di Tunisi. Se poi cercate un pretesto per nascondere lo scopo che volevate conseguire, sappiate che questo traluce apertamente dallo stesso Firmano nella parte che parla delle misure le più proprie per garantire la vita, la fortuna, l'onore delli abitanti della Reggenza, cui da lungo tempo miravano i più alti funzionari del Bardo, e tra questi non ultimo il Generale Khereddin. Bando dunque alle recriminazioni di cui per ora non è il caso, e da parte mia conchiuderò col ripetervi ancora una volta, sempre in via p1"ivata, che nell'interesse del Bey e della sua dinastia non posso andare contento dell'ordine di cose che avete instaurato. E qui finì la nostra conversazione, !asciandoci però nei migliori termini, anzi rinnovando l'uno all'altro, come al solito, le più sperticate dichiarazioni di amicizia.

Ravviso nell'istesso tempo mio dovere di unire eziandio in seno al presente

Rapporto la traduzione dall'arabo di un articolo estratto da un giornale che si

pubblica in questo idioma a Costantinopoli, e riprodotto dalla Gazzetta di Tunisi

subito dopo la parte ufficiale (1). Ove si parla della politica di alcuni Governi tendente ad allontanare il Bey dalla subordinazione verso la Turchia è facile vedere come si è voluto fare allusione alla Francia ed all'Italia. Tant'è che il Signor di Botmiliau, la cui suscettibilità in questo momento è grandissima, ne ha chieste per iscritto delle spiegazioni; io però ho stimato più conveniente di non darmene per inteso, e prima di muover passo aspettare le istruzioni di V. E.

(l) -Sic, ma leggi 266. (2) -Non pubblicata.
232

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, Al RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

CIRCOLARE 94. Roma, 27 novembre 1871.

Questa mattina alle ore 11 venne inaugurata solennemente da S. M. il Re la nuova sessione del Parlamento con l'intervento dei capi di missione accreditati presso S. M. e dei membri delle legazioni rispettive.

Nel trasmetterLe qui unito la versione in lingua francese del discorso pronunziato in questa circostanza da S. M .....

ALLEGATO

DlSCORSO DEL RE AL PARLAMENTO

Messieurs les Sénateurs

Messieurs les Députés,

L'oeuvre à laquelle nous avons consacré notre vie est accomplie. Après de

longues épreuves d'espiation, l'Italie est rendue à elle-mème et à Rome.

Ici où notre peuple, après une séparation séculaire, se trouve pour la première

fois solennellement réuni dans la personne de ses Représentants; ici où nous re

connaissons la patrie de nos pensées, tout nous parle de grandeur, mais en mème

temps tout nous rappelle nos devoirs. La joie que nous éprouvons ne nous les fera

pas oublier.

Nous avons reconquis notre piace dans le monde en défendant les droits de la

nation. Aujourd'hui que l'unité nationale est accomplie et qu'une période nouvelle

commence pour l'Italie, nous resterons fidèles à nos principes. Régénérés par la

liberté, c'est dans la liberté et dans l'ordre que nous chercherons le secret de la

force et de la conciliation. Nous avons proclamé la séparation de l'Etat et de

l'Eglise. Ayant reconnu l'indépendance absolue de l'autorité spirituelle, nous pou

vons ètre convaincus que Rome capitale de l'Italie continuera à etre le siège paci

fique et respecté du Pontificat.

Nous parviendrons de cette manière à rassurer les consciences. C'est ainsi que,

par la fermeté de nos résolutions et par la modération de nos actes, nous avons

pu achever l'unité nationale sans altérer nos relations amicales avec les puissances

étrangères.

Les projets de loi qui vous seront présentés pour régler les conditions des

corporations ecclésiastiques seront conformes aux principes de la liberté; ils ne

toucheront qu'à la personnalité juridique et au mode de propriété, en laissant

intactes les institutions religieuses qui ont une part dans le gouvernement de l'Eglise

universelle.

Les affaires économiques et financières réclament en outre tous vos soins. Maintenant que l'Italie s'est constituée, il faut songer à la rendre prospère en rétablissant ses finances; nous n'y parviendrons qu'en persévérant dans les vertus qui ont été la source de notre régénération nationale.

De bonnes finances nous fourniront les moyens de renforcer notre organisation militaire. Mes voeux les plus ardents sont pour la paix, et rien ne nous fait craindre qu'elle puisse etre troublée. Mais l'organisation de l'armée et de la marine, le renouvellement des armes, les travaux pour la défense du territoire national, exigent des études longues et approfondies. L'avenir pourrait nous demander un compte sévère de notre négligence. Vous examinerez les mesures qui vous seront présentées à cet effet par mon gouvernement.

D'autres propositions importantes vous seront faites pour l'autonomie des Communes et des Provinces, pour la décentralisation administrative en tant que les forces de l'Etat n'en seront pas diminuées, pour la formation d'un code pénal unique, pour la réforme de l'institution du jury et pour accroitre l'uniformité et l'efficacité de l'organisation judiciaire. Nous parviendrons de cette manière à raffermir la sureté publique sans laquelle la liberté elle-mème n'est pas sans danger.

Messieurs les Sénateurs, Messieurs les Députés,

Un vaste champ d'activité s'ouvre devant vous: l'unité nationale qui est aujourd'hui accomplie aura pour effet, je l'espère, de rendre moins ardentes les luttes des partis dont la rivalité n'aura désormais d'autre but que le développement des forces productives de la Nation.

Je me réjouis de voir que notre population donne déjà des preuves non équivoques de son amour du travail. Le réveil économique suit de près le réveil politique. Les institutions de crédit se multiplient ainsi que les associations commerciales, les expositions des produits de l'art et de l'industrie et les congrès des savants. Nous devons, vous et moi, favoriser ce mouvement fécond ed donnant à l'enseignement professionnel et scientifique plus d'étendue et d'efficacité et en ouvrant au commerce des voies nouvelles de communication et de nouveaux débouchés.

Le percement du Mont Cenis est achevé; on est sur le point d'entreprendre celui du Saint Gothard. Le courant commerciai qui, parcourant l'Italie, aboutit à Brindisi et rapproche l'Europe des Indes aura ainsi trois passages ouverts à la locomotion à travers les Alpes. La célérité des voyages, la facilité des échanges augmenteront les relations amicales qui nous unissent déjà aux autres nations et rendront plus féconde l'émulation légitime du travail et de la civilisation.

Un brillant avenir s'ouvre devant nous. C'est à nous à répondre aux bienfaits de la Providence en nous montrant dignes de porter parmi les peuples les noms glorieux d'Italie et de Rome.

(l) Non pubblicata.

233

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA

D. s. N. Roma, 27 novembre 1871.

Il R. Console a Liverpool scrive essergli stato riferito da persona che pel suo ufficio è addentro nei progetti del partito radicale che • Mazzini ed i mazziniani sono in questo momento molto attivi a Londra, e che i capi della setta lasciano intendere che si prepara un prossimo movimento in Italia •.

Senza voler attribuire a questa notizia un'importanza speciale il sottoscritto crede utile di comunicarla per sua informazione all'Onorevole Ministro dell'Interno, riserbandosi di fargli conoscere quanto i R. Agenti in Inghilterra riuscissero a scoprire di più positivo sullo stesso argomento.

234

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4044. Pietroburgo, 29 novembre 1871, ore 16,45 (per. ore 1,35 del 30).

Le prince de Gortchakoff m'a reçu en visite avec beaucoup de courtoisie, en me disant que tout allait bien entre la Russie et l'Italie. A propos de l'établissement de la légation russe à Rome, il me laissa avec bienveillance entrevoir qu'on ne devait pas y attribuer la signification d'un empressement particulier de la part de la Russie. Dans un rapport que j'ai lu, le chargé d'affaires autrichien dit, d'après les informations que lui a données le ministre allemand ici, que le prince de Bismarck s'était attaché avec succès à convaincre Gortschakoff, à Berlin, que les entrevues n'avaient nullement atténué les sentiments cordiaux de l'Allemagne pour la Russie. A l'ambassade de France, on constate les sympathies allemandes du Chancelier. Le chargé d'affaires d'Espagne m'a dit que le Prince de Gortschakoff, à l'occasion que le roi a accepté les démissions Male campo, avait exprimé des voeux pour la consolidation de l'état actuel en Espagne, de manière assez marquée pour que je doive en informer V. E. Le chancelier a loué les résolutions prises en Espagne à l'égard de l'Internationale.

235

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 4942. Roma, 29 novembre 1871 (per. il 30).

Il sottoscritto ringrazia l'E. V. della comunicazione fattagli colla nota d'jeri (1), relativamente ai supposti tentativi di un prossimo movimento dei mazziniani.

Quantunque le condizioni interne non presentino al momento nessun grave indizio che possa avverarsi quanto fu riferito al Console di S. M. in Liverpool, nondimeno sarebbe opportuno che nelle ulteriori informazioni s'indicassero le località nelle quali si presume che possano scoppiare delle agitazioni per parte dei Mazziniani.

(l) Si tratta in realtà della nota n. 88 del 27 novembre.

236

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL CONSOLE GENERALE A LIVERPOOL, CAPELLO

D. s. N. Roma, l dicembre 1871.

Ho comunicato a S. E. il R. Ministro dell'Interno le voci che Ella ha raccolte, e consegnate nel pregiato suo rapporto del 20 novembre (l) intorno all'agitarsi che farebbe il partito mazziniano in Londra, al fine di provocare prossimamente in Italia qualche moto sovversivo.

Nel prendere atto di queste indicazioni, il Ministero dell'Interno mi chiede se non sarebbe possibile di completarle, od almeno di renderle meno vaghe, per ciò specialmente che si riferisce al punto del territorio del Regno ove gli accennati tentativi dovrebbero aver luogo. Faccio noto, per suo governo, alla

S. V., questo desiderio dell'Onorevole mio collega.

237

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL CONSOLE A MALTA, SLYTHE

D. s. N. Roma, l dicembre 1871.

Le accuso ricevuta del pregiato rapporto ch'Ella mi indirizzò il 15 novembre p. p. (2) relativamente ad un presunto progetto di sbarco di reazionarii sulle coste del Regno.

Malgrado le assicurazioni tranquillanti emesse da V. S. in quella comunicazione riguardo all'attuale contegno ed alle prevedibili intenzioni degli affigliati di quel partito che si trovano riuniti nell'isola di Malta, il Ministro dell'Interno mi informa essergli stato riferito che il 14 dell'ora spirato novembre sarebbesi tenuta costì un'adunanza dei membri più influenti di detto partito. Siffatta adunanza sarebbe stata promossa da un Comitato borbonico-clericale che si afferma essersi regolarmente costituito, e di cui il Sulivan Cutajar, oggetto del precedente mio dispaccio (2), avrebbe la presidenza, e certi Giovanni Bizzarelli, Gaetano Lagusti ed Eugenio Garein sosterrebbero le parti principali. Il Ministero dell'Interno desidera possedere particolareggiati ragguagli su questo fatto, colla necessaria sollecitudine, e perciò io devo raccomandare alla S. V., di operare a questo intento, nuove e diligenti investigazioni, e di riferirmene poscia il risultato. L'insistenza delle voci che pervengono al R. Governo circa le macchinazioni dei nemici del nostro paese residenti nell'isola di Malta, fa supporre che, ad onta forse di un'apparente quiete, quel partito si agiti e tenti di dar corpo a qualche ostile disegno. Io credo necessario pertanto di chia

mare la speciale attenzione della S. V. sulle conseguenze a cui potrebbe condurre per avventura una vigilanza meno assidua ed oculata su quelle agitazioni e quelle mosse, e sulla responsabilità a cui andrebbe incontro lo stesso Governo del Re laddove, in presenza di ogni possibile eventualità, apparisse sfornito delle necessarie informazioni per parte dei suoi Agenti all'estero.

Sono persuaso che V. S. saprà tener conto di queste considerazioni ed aver presente che talvolta anche talune circostanze di poca entità, in apparenza, possono meritare d'esser riferite perchè collegate a fatti d'importanza maggiore.

(l) -Cfr. n. 227. (2) -Non pubblicato.
238

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 918. Berlino, l dicembre 1871 (per. il 6).

J'ai l'honneur de remercier V. E. de m'avoir communiqué par sa dépeche du 27 Novembre échu -sans numero (l) -le discours royal inaugurant la session législative à Rome. J'avais déjà eu l'occasion avant hier d'en parler avec

M. le Conseiller Abeken qui remplace depuis quelques jours au Ministère le Secrétaire d'Etat absent pour cause d'indisposition. Je m'étais prévalu à cet effet des indications fournies par voie télégraphique. Le Ministère n'avait encore reçu à ce sujet aucun télégramme de la Légation Impériale.

En attendant les journaux font ici une mention très honorable du discours de Notre Auguste Souverain. Il ont vu, entre autres, avec satisfaction, le passage relatif au St. Gothard.

J'ai su par M. Abeken que si le Comte Brassier n'a pas reçu, à cause de l'état de sa santé, l'ordre positif de se rendre à Rome dans cette circonstance qui fait époque dans l'histoire contemporaine, il lui a été cependant écrit qu'on aurait ici vu avec plaisir sa présence à l'ouverture de notre Parlement. Dans le cas où il ne se sentirait pas assez en forces pour faire cette course, il devrait se faire représenter à la solennité par le Comte de Wesdehlen et par les deux attachés à la Mission Impériale.

D'après la manière de voir de M. Abeken, il croyait, comme M. de Thile (rapport N. 915) (1), que l'état maladif du Comte Brassier ne lui permettrait guère de continuer une carrière dans laquelle, chacun devait le reconnaitre, il a acquis tant de titres à la bienveillance Souveraine. Mais l'assurance m'a été donnée que jusqu'à ce jour on ne s'était pas occupé à lui chercher un successeur, lors meme que certaines gazettes citent déjà quelques candidats, nommément le Comte de Perponcher actuellement Ministre à la Haye. Le cas échéant, on aviserait à choisir un diplomate persona grata, et qui aurait, comme M. Brassier, l'instruction d'entretenir les meilleures relations entre les deux cours et les deux pays.

(l) Cfr. n. 232.

239

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 919. Berlino, 1 dicembre 1871 (per. il 6).

Le Baron de Mlinch Chargé d'Affaires d'Autriche a communiqué au Cabinet de Berlin la circulaire adressée par le Comte Andrassy aux Ambassades et Légations Impériales et Royales, à l'occasion de son entrée au pouvoir.

Les termes, en ce qui concerne la politique étrangère, sont tout à fait conformes aux assurances qu'il avait déjà données dans ses entretiens l'automne dernier avec le Prince de Bismarck. On ne doute pas un seui instant ici qu'il s'appliquera soigneusement à conserver les bons rapports existants avec l'Allemagne, surtout depuis les entrevues d'Ischl et de Salzbourg. De son còté, le Cabinet de Berlin s'y prete très volontiers, car tel est son intéret évident pour des motifs que j'ai déjà développés dans ma correspondance. En meme temps, il ne néglige pas non plus de se concilier les sympathies de la Russie et de contrecarrer ainsi dans le présent et pour l'avenir les tentatives éventuelles de la France de chercher un appui auprès du Tsar.

L'envoi à St. Pétersbourg du Prince Fréderic Charles et de quelques officiers généraux pour assister à la solennité annuelle, à l'occasion de la fete de St. Georges, se rattache sans doute à cet ordre d'idées.

240

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1728. Parigi, 2 dicembre 1871 (per. il 6).

Jeri, appena giunto, mi recai da questo Ministro degli Affari Esteri. Trovai il Signor di Rémusat nelle medesime disposizioni, eque e benevole verso l'Italia, nelle quali l'E. V. lo trovò a Torino nello scorso Settembre. Io gli partecipai le impressioni meco portate dal mio recente soggiorno in Roma e dalle conversazioni avute con S. M. il Re, coll'E. V., con alcuni dei Ministri di S. M. e con molti degli uomini politici del nostro paese, impressioni che se sono fondate, come confido, nella verità fanno augurare un periodo di pacificazione negli spiriti delle nostre popolazioni e di calma operosa e feconda. Parlando delle disposizioni d'animo in cui si trova il Sommo Pontefice il Signor di Rémusat mi disse che le notizie da esso lui ricevute gli davano ragione di credere che il pericolo della partenza di Pio IX da Roma fosse per ora, se non scomparso, almeno allontanato. Io osservai a questo proposito che l'opinione generale in Italia era d'accordo con questo apprezzamento e che noi credevamo che il Sommo

Pontefice continuerebbe a rimanere al Vaticano se dalla Francia non giungeranno incoraggiamenti, consigli ed inviti che siano di natura tale da fargli mutare di proposito. Il Signor di Rémusat rispose subito che certo tali consigli non sarebbero dati al Papa dal Governo Francese il quale, se dall'un canto è disposto a dare a Sua Santità, ove lo chiegga, l'ospitalità rispettosa della Francia, dall'altro lato non disconosce gli inconvenienti che trarrebbe seco la presenza del Papa sul suolo Francese e desidera quindi che rimanga in Roma.

• Non ho mai dubitato risposi al Signor di Rémusat di queste sagge disposizioni del Governo francese; gli incoraggiamenti e gli inviti di cui parlo si riferiscono più specialmente al partito clericale che è numeroso e potente nel vostro paese e nel seno stesso dell'Assemblea. Questo partito, se veramente gli stesse a cuore l'interesse della Chiesa, dovrebbe riflettere alle gravi conseguenze che può avere pel Papato e per la Chiesa Cattolica la partenza del Papa da Roma ed il suo soggiorno in Francia. La presenza di Pio IX in Roma dà al Governo del Re la forza necessaria per resistere alle tendenze del partito avanzato che esiste in Italia come altrove ed il quale nella questione delle Corporazioni Religiose, nell'applicazione della legge di garanzia ed in altri simili questioni vorrebbe eccedere quegli equi limiti che il partito moderato è deciso di non oltrepassare. Se il Papato leva la sua sede da Roma niuno può sapere quando ci potrà rientrare e se ci potrà rientrare. Ed anche se un futuro ritorno fosse possibile questo si effettuerebbe in condizioni molto meno favorevoli pel Papato di quelle in cui ora si trova •.

Nel seguito della mia conversazione parlai al Signor di Rémusat della condotta sconveniente del Console di Francia a Civitavecchia. Io dissi al Signor di Rémusat: • Non vi domando ufficialmente per una considerazione di convenienza verso la Francia e di giusta deferenza per la vostra persona il richiamo di questo Ufficiale Consolare. Ho troppa fiducia nella vostra stessa equità e nei sentimenti di alta convenienza del Governo Francese perchè io non dubiti che sarà stato sufficiente che io vi abbia segnalato questa condotta d'un vostro Agente verso l'Autorità del Paese in cui risiede e l'impressione profondamente spiacevole che essa ha prodotto nel Governo del Re il quale vi lascia quindi giudice delle disposizioni a prendere a questo riguardo •.

Il Signor di Rémusat mi rispose che quell'Ufficiale Consolare non tarderebbe a ricevere un'altra destinazione domandata del resto dallo stesso Signor de Tallenay.

Ho domandato al Signor di Rémusat se fosse probabile che la sede del Governo e dell'Assemblea si trasportasse in breve da Versaglia a Parigi. Il Signor di Rémusat mi disse che l'intenzione e il desiderio del Presidente della Repubblica e del suo Governo erano difatti nel senso di una tale risoluzione. • Teoricamente parlando, diss'egli, la sede di un Governo in una città non popolosa e tranquilla può presentare vantaggi che io sono ben lontano dallo sconoscere. Ma ragioni storiche e pratiche, quelle stesse ragioni che portavano la sede del vostro Governo a Roma facendovi abbandonare successivamente Torino e Firenze chiamano necessariamente tosto o tardi il Governo della Francia a Parigi •. Tuttavia il Signor di Rémusat non si mostrò ben sicuro che la maggioranza dell'Assemblea voglia decidersi per ora a questa risoluzione, ed accennò anzi che alcuni fatti recenti, come la dimostrazione degli studenti a Parigi e le agitazioni popolari di Brusselle abbiano contributo a creare ostacoli per un pronto trasferimento.

L'apertura della nuova sessione dell'assemblea Nazionale, avrà luogo lunedì 4 corrente ed essa sarà inaugurata a quanto si assicura, da un Messaggio del Presidente della Repubblica.

241

IL CONSOLE GENERALE A DUBLINO, CATTANEO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. l. Dublino, 2 dicembre 1871 (per. il 9).

La solenne apertura del Parlamento in Roma ha provocato per parte del partito Cattolico Irlandese un nuovo sfogo d'ira e di violenti diatribe contro l'Italia, il suo Governo e l'Augusta persona di S. M. Quasi tutti i periodici di quel partito, quali più, quali meno, contenevano nelle loro colonne dei giorni scorsi articoli talmente provocanti ed ingiuriosi per noi da eccedere ogni limite e non trovare riscontro nella stampa di qualsiasi altro paese.

Il Freeman, giornale del Cardinale Cullen, si distinse fra tutti per la sua violenza e per le sue personalità verso del Re e della Reale Famiglia. Non contento di snaturare fatti ne inventò altri e fra le altre amenità volle considerare un forte temporale che scoppiò in Dublino nella sera di Lunedì scorso come un segno evidente dell'ira celeste per la cerimonia che si era compiuta quel mattino in Roma.

Ogni linea, ogni frase di quell'articolo contiene una menzogna od una ingiuria; qui compiegato ne trasmetto il testo (l) onde V. E. possa essere convinta come, fino a qual punto questo clero abusi della sua sacra m1sswne e di quale intelligenza creda dotato il suo gregge a cui pretende somministrare così poco edificanti letture.

Altro articolo dello stesso foglio, in data 23 Novembre scorso conteneva pure simili violenti espressioni; qui compiegato pregiomi pure trasmetterlo a V. E. (1).

A malgrado dell'animosità che per ogni dove traspira verso le cose nostre non credo però che l'Italia abbia a temere che dall'Irlanda si possa provocare qualche manifestazione da turbare la tranquillità pubblica in Roma o nelle provincie. Nello stato d'agitazione in cui si trova questo paese per le varie questioni di politica interna, agitazione che col tempo andrà aumentando, non è probabile che il partito cattolico possa occuparsi seriamente del Potere temporale. È bensì vero che esiste qui una società che ha tale scopo. Essa s'intitola • The league of St. Sebastian • ed è composta in gran parte da antichi zuavi pontifici e di vari membri del clero. Il 4 dello scorso Novembre tenne un meeting al Gresham Hotel che è considerato uno dei più rispettabili alberghi

di Dublino. Tra le persone che intervennero a quell'adunanza eranvi i Signorl Teeling, O'Clory, Kenyon, Coombs, De La Hoyd, tutti dei zuavi pontifici; il Signor Taaffe, il Professore O'Reilly, I. O'Brien, il Padre Delang ed il Signor

l. Talbot Power, membro del Parlamento. L'adunanza era presieduta da quest'ultimo e nella stessa fu deciso di dare alle stampe un nuovo giornale col titolo di Crusader collo scopo di propugnare gli interessi del Papato, la restaurazione del potere temporale e nell'istesso tempo di tenere informati i suoi lettori di tutto quanto si riferisce alle altre società cattoliche, negli altri paesi, che si propongono lo stesso scopo.

Detto giornale deve venire alla luce in questo mese, ed io mi proporrei, quando V. E. credesse di autorizzarne la spesa, di prenderne due esemplari, l'uno per uso di questo Consolato l'altro per quello del R. Ministero e sul quale, prima di spedirlo annoterei gli articoli che meriterebbero di essere segnalati a V. E.

Nell'interesse del servizio, faccio acquisto giornalmente del Freeman e dell'Irish Times. Pregherei V. E. a volermi segnare se la spesa di uno di detti giornali non potrebbe essere portata a carico del R. Governo.

(l) Non pubblicato.

242

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 130. Belgrado, 4 dicembre 1871 (per. il 12).

Una maggior luce scende ogni dì a rischiarare i motivi ed i disegni del Governo serbo quando con tanto ostentamento e subitezza dimostrò all'Europa che agli occhi suoi la politica seguita fino allora dovea essere radicalmente mutata.

I colleghi miei ed il Signor Kallay stesso, dichiaransi contenti delle spiegazioni avute, e delle assicuranze ripetute che la Serbia vuoi mantenersi stretta ai trattati ed intende vivere in buona armonia coi suoi vicini; dichiarazioni inutili, perchè a nessuno cadrà in mente che la Serbia possa da sè sola agire in altra guisa. Le convenzioni non sono per sicuro violate, ma sto chiedendomi cosa rimane intatto del trattato di Parigi, precipuo intendimento del quale fu il distruggere l'ascendente della Russia nel Levante, quando questo ascendente ripiglia la sua antica forza e se muta in alcuna guisa, accresce il numero dei popoli sui quali vuol farsi sentire e disturba la tranquillità interna non di un solo, ma di due imperi.

Nei loro colloqui meco i Signori Reggenti non nascondono il loro malcontento ed i motivi di esso contro l'Austria-Ungheria; anche il Signor Blasnavatz che non s'era lasciato indurre ad usare la stessa forza di termini del suo collega, diceami l'uno di questi giorni che da un anno non avea la Serbia ricevuto che schiaffi da quello stato; prima che il Conte Beust (mentre l'Agente suo in Belgrado spingeva l'azione sua fino ad offrire l'aiuto del suo Governo a favorire gli intendimenti del Principato nella Bosnia) minacciava in un pubblico docu

20 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

mento di schiacciare la Serbia e le aspirazioni sue nazionali con tutta la forza della monarchia: poscia alle conferenze di Londra l'inviato serbo era dai plenipotenziari austro-ungheresi accolto con freddezza e diffidenza rimarchevolissima, ed a proposito della questione fluviale le giuste domande della Serbia erano da quelli combattute: poco appresso il tribunale di ultima istanza a Pest rivocava con un'assolutoria le condanne di due altri tribunali contro il Karagiorgevic; e mentre il Signor Kallay istruiva i Reggenti, dei sette giudici quattro magiari aveano voluto una nuova condanna mentre tre slavi pronunciavano l'assoluzione, le informazioni avute proverebbero che la cosa sta al rovescio; e qui si vuole che la sentenza sia stata dettata da cagioni politiche e che l'Ungheria voglia usare il Karagiorgevic e le pretese sue dinastiche per incutere timore e mantenere la Serbia stretta a servitù. Fino a quel giorno il Blasnavatz resisteva alla voce di chi consigliava il mutamento succeduto, e solamente vi si risolvette scorgendo vane e menzognere tutte le promesse e le dichiarazioni di benevolenza ricevute.

In Belgrado si porge grande attenzione al linguaggio delle gazzette: e se la • Riforma • di Pest pubblicava alcun articolo dispiacente se ne accusava il Conte Andrassy come inspiratore, nella stessa guisa in cui il Blasnavatz !tesso si vedea insultato in tante pubblicazioni passate del Golos: il Kallay è accusato di una stessa colpa, mentre dal lato suo egli respinge al Ristic lo stesso sospetto. È verissimo che allorquando i Czechi sforzavansi a mutare a loro profitto l'assetto della monarchia Austro-Ungarica, si malediceva da ogni lato alla Serbia serva dell'Austria e nemica ai fratelli, il Blasnavatz fra le altre spiegazioni della sua condotta dicea che i giornali avversi rappresentevano le opinioni di cento milioni di slavi.

La Serbia negli ultimi tempi si pose in comunicazione e contraccambiò spiegazioni e dichiarazioni sia col Montenegro sia col partito nazionale o separatista della Croazia; non è sicuro, anzi crederei che in realtà non v'ha nulla di scritto: ma la migliore armonia regna fra essi: i Croati avrebbero dichiarato di non volere la Bosnia, la Serbia avrebbe dichiarato di non volere la Croazia turca; la Serbia che un anno fa per bocca del Blasnavatz dichiarava che il federalismo nella monarchia vicina sarebbe la rovina della Serbia, dichiara oggi che solamente col federalismo si può provvedere colà alla quiete ed al contentamento delle nazionalità: di più mi si dice che la Serbia non vuole impossessarsi della Bosnia, non vuole spendervi il suo sangue ed i suoi danari; essa crede avere tuttavia il diritto di volere che i Serbi della Bosnia sieno liberati dall'amministrazione che li sgoverna e sieno chiamati ad una condizione di progressiva libertà di autogoverno.

Quando si osserva ai Signori Reggenti che i desiderii dell'Europa occidentale, i voti che fannosi per il benessere della Serbia, includono la speranza ch'essa sappia mantenere la sua individualità e difenderla da un ascendente troppo pericoloso o minaccevole, essi rispondono che nessuno ha in ciò migliore interesse che essi stessi; essi dicono che le proteste loro fatte a Livadia guarentiscono questa loro intera autonomia e che gli interessi della Russia convergono agli scopi istessi verso i quali dirigonsi le aspirazioni del Principato.

Se si analizzano nei discorsi che s'odono queste aspirazioni si può cosi conchiudere: la Serbia pone a capo dei suoi desiderii la ricostituzione storica del Regno serbo riconoscendo in pari tempo i diritti storici del regno trino croato: essa si lusinga che la sua dinastia sia chiamata ad esercitare una egemonia bene accolta, desiderata e provocata dagli altri slavi del sud per la formazione di uno stato federativo o di una confederazione di Stati: e se, scoppiata una guerra, e combattutosi vittoriosamente dalla Russia simultaneamente in Galizia e nel Mar Nero il mondo slavo fosse con forza irresistibile attratto verso quel Potentato, la Serbia vuoi piuttosto perdere o vedere sminuita la indipendenza legata essa stessa ed i popoli della stessa razza ad uno stato, che per essere di altra origine, è considerato come conquistatore.

Persisterà la Serbia nella politica inaugurata? V'ha modo di indurla a mutarla un'altra volta? Se alla Russia mancasse, come all'Austria mancò, il modo di mantenere alcune delle promesse fatte più o meno esplicitamente alla Serbia, o se l'Austria-Ungheria trovasse l'occasione di mettere ad eseguimento parte di ciò ch'essa lasciava promettere, non v'ha dubbio che potremmo assistere ad un nuovo cangiamento: e che l'Austria-Ungheria voglia provarsi di nuovo allo stesso giuoco si può fin d'ora indurre dal linguaggio delle gazzette ufficiose di Pest, ove per la prima volta io vedo concesso, negli ultimi giorni, che i Serbi della Bosnia hanno l'occhio ed il pensiero volto alla Serbia e che la propagazione dell'ascendente di questa vi fa ogni dì un nuovo progresso.

So che mi è ordinata la massima riservatezza ed oso assicurare V. E. che non me ne discosto: ma non posso a meno nella corrispondenza col Ministero di dolermi di dovere assistere all'intera distruzione dell'ascendente delle potenze occidentali presso questi popoli: la colpa non ricade sull'Italia, la quale era costretta a rispettare le diffidenze e le suscettibilità di quegli altri Governi che credeano l'integrità dell'Impero Ottomano minacciata ogni volta si trattava di migliorare le condizioni dei cristiani, ma il fatto deve essere senza ambagi fatto manifesto, affinchè vi si provveda se credesi che lo si debba e lo si possa. Se alle antiche alleanze occidentali sostituissersi nuove e più potenti, e sovratutto più concordi in un'azione comune in Levante, si combatterebbe forse efficacemente quell'ascendente al quale credeasi nel 1856 porre ostacoli più duraturi. Quest'ascendente, com'è notissimo a V. E. minaccia oggi più direttamente che la Turchia la monarchia Austro-Ungarica; se oggi la Serbia non è per sè una potente nemica, e se oggi forse i serbi e jugoslavi della frontiera militare non sarebbero smossi nella loro fedeltà all'Imperatore e Re, tanti sono tuttavia gli elementi dissolventi nell'Ungheria, tante le fazioni e tanti gli intrighi dall'interno e dall'esterno, che il sostegno il quale dalla Serbia sarebbe loro promesso potrebbe essere il segno della loro defezione. Forse non so a sufficienza svestirmi delle idee dalle quali fui nutrito fin dal principio della mia carriera in Oriente nè dell'insegnamento ch'io credetti ritrarre dallo studio delle cose orientali; e non so dimenticare una pagina della meditazione sulle condizioni probabili della civiltà, nella quale l'illustre Cesare Balbo discorse della • nuova minaccia russa del volere riunire tutte le popolazioni slave • e ciò descrive • un pericolo vero, prossimo e grande

che corre la civiltà •; il negarlo, dice stoltezza: e non riconosce contro di esso che un rimedio efficace ma prudente : egli vuole che • si invigilino francamente, continuamente, lungamente, perpetuamente: doversi non lasciarli accrescere d'un passo, non perdere un'occasione di scemarli, ed afferrar quella, se mai, di distruggerli •.

La prego, Signor Ministro, a volere scusare questa digressione e questa citazione.

243

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4051. Parigi, 5 dicembre 1871, ore 14,20 (per. ore 16,05).

J'ai vu M. Thiers. Il m'a assuré que pour sa part il n'a donné et ne donnerait au Pape aucun encouragement pour quitter Rome et qu'il désire qu'il reste. Il m'a prié de Vous recommander tous les menagements envers Sa Sainteté, ainsi que ... (l) son Message, qui sera lu demain ou après-demain, sera un Message d'affaires à l'Américaine. Il présentera le budget en équilibre. Il a ajouté qu'il ne s'occupe nullement et ne veut pas s'occuper de politique étrangère en ce moment.

244

IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 98. Washington, 5 dicembre 1871 (per. il 25).

Nella giornata di jeri seguì l'apertura della sessione del Congresso e, secondo l'uso, il Signor Presidente comunicò ad esso il messaggio che contiene l'esposizione del presente stato della repubblica.

La prima parte del messaggio riguarda le relazioni estere, e nel parlare del Trattato di Washington dice le seguenti parole: • S. M. il Re d'Italia, il Presidente della Confederazione Svizzera e S. M. l'Imperatore del Brasile aderirono alla domanda loro fatta dalle parti contraenti di nominare un arbitro al Tribunale di Ginevra. Ho ordinato che siano rese le dovute grazie per la prontezza con la quale essi si prestarono a nominare persone di elevata posizione e di grande sapienza per siffatta missione •.

E più innanzi: • Sono stato ufficialmente informato dell'annessione degli

Stati della Chiesa al Regno d'Italia e del trasferimento della Capitale di quel

Regno a Roma. In conformità alla costante politica degli Stati Uniti ho rico

nosciuto questo mutamento. Le ratifiche del nuovo trattato di commercio fra

gli Stati Uniti e l'Italia furono scambiate. Le due Potenze convennero per

questo trattato che la proprietà privata sul mare sarebbe inviolabile in caso di guerra fra di esse. Gli Stati Uniti non hanno perduta alcuna occasione per introdurre questo principio negli atti internazionali •.

Ed entrando a discorrere delle relazioni della Russia usò le seguenti parole che formeranno un precedente assai degno di osservazione in simili circostanze:

• Le relazioni d'intima amicizia che da lungo tempo esistono fra gli Stati Uniti e la Russia non furono alterate. La visita del terzo figlio dell'Imperatore prova che quel Governo non ha alcun desiderio di diminuire le cordialità di queste relazioni. L'ospitale accoglienza fatta al Granduca prova che dal canto nostro partecipiamo il desiderio di quel Governo. L'imperdonabile condotta del Ministro di Russia a Washington rese necessario di domandare il suo richiamo, e di declinare di continuare a ricevere quel funzionario come rappresentante diplomatico. Era impossibile pel proprio decoro e per la dignità del paese di permettere al Signor Catacazy di continuare ad avere relazioni con questo Governo dopo le ingiurie da esso lanciate contro i pubblici funzionari, ed in presenza della sua persistente intervenzione di vario genere nelle relazioni fra gli Stati Uniti e le altre Potenze. A seconda dei miei desideri questo Governo è stato liberato da ogni ulteriore relazione col Signor Catacazy e la direzione degli affari della Legazione Imperiale è passata nelle mani d'una persona interamente soddisfacente •.

Sulle questioni concernenti le relazioni con la China e col Giappone, non che quelle col Venezuela il Presidente domanda al Congresso di prendere in considerazione la relativa corrispondenza e d'esprimere il suo avviso in proposito.

E quanto alle relazioni colla Spagna a proposito di Cuba s'esprime in termini assai moderati e concilianti.

Il Presidente entra poscia a trattare delle questioni interne, e di esse mi riservo d'intrattenere largamente l'E. V. quando verranno in discussione innanzi al Congresso.

(l) Gruppi indecifrati.

245

IL CONTE KULCZYCKI AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM

(AVV)

L. P. Roma, 5 dicembre 1871.

Un des membres du Corps Diplomatique m'apprend qu'avant-hier soir, 3 Décembre, il a été reçu par le Pape, qu'il a trouvé en parfaite santé. Le Saint-Père lui a dit qu'il se proposait de tenir un consistoire vers le 20 courant, il s'est extremement plaint des procédés de l'Empereur du Brésil, il a dit qu'il en était vivement peiné surtout parce qu'ils constituaient un déplorable précédent pour tous !es Souverains qui viendront à Rome et qui se croiront autorisés par l'exemple du Souverain Américain à fréquenter simultanément le Vatican et le Quirinal, tandis qu'aucun des monarques européens

n'eut osé prendre l'initiative d'une pareille duplicité. Enfin le Pape a déclaré qu'il voulait demeurer inébranlable dans la question de l'exequatur et a amèrement blàmé le Gouvernement Italien de ce qu'il forçait les nouveaux évèques à faire la demande de l'exequatur sur du papier timbré en les soumettant à une faule de formalités et en les contraignant à attendre la reconnaissance de la validité de leur nomination, validité, a dit le Pape, qui doit etre discutée par le Conseil des Ministres.

Je ne sais pas si Pie IX est exactement renseigné et s'il n'a pas des

idées erronées sur les obligations qui sont imposées aux éveques. Vous saurez

mieux que moi s'il s'agit de rectifier les idées du Pape ou de simplifier

et d'abréger le mode d'application de cet article de la loi des garanties.

On fait grand bruit au Vatican de l'incident raconté par la Voce della Verità, récit dont je joins le texte. Il serait bon de faire sans délai une enquète à ce sujet et de prévenir, par une note de l'Opinione, les commentaires sans nombre de la presse ultramontaine et les dépeches de M. d'Harcourt, qui sont dictées par Monseigneur Nardi, lequel, camme vous le savez, est précisément l'auteur des entrefilets du journal des jésuites.

Les efforts pour décider le Pape à partir ont redoublé ces jours-ci d'énergie. J'ai remarqué que, pour la première fois, des prélats affirmaient d'une manière préremptoire que le Pape partira. Le Corps Diplomatique près le Saint-Siège croit pouvoir garantir le contraire. Je crois davantage aux prélats.

246

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 131. Belgrado, 6 dicembre 1871 (per. il 21).

Non v'ha che un solo oggetto che richieda l'attenzione del Governo del Re verso questo paese, ed ad ogni nuova informazione che raccolgo credo mio debito farla senza indugio giungere a V. E.

Gli statisti serbi accarezzano l'idea di riuscire ad interessare alla sorte dei cristiani sudditi diretti del Sultano la benevolenza di tutti i Potentati Europei. Essi dicono che dalla Russia ebbero l'assicurazione che un buon successo ottenuto dalla Serbia sarebbe tenuto a buona ventura per essa stessa, e che le aspirazioni del Principato godono della simpatia e dei voti suoi. Quindi non è esatto, diceasi a me, che noi ci avanzammo verso la Russia, fu la Russia che si avanzò verso di noi.

Non desideriamo la guerra: non la vogliamo fare: non vogliamo spendere nè sangue nè danari per conquistare la Bosnia: • nous sommes des pères de famille, aussi •; • ma vorremmo ottenere che l'una, o due, o più, o tutte le Potenze si provassero a far valere presso la Porta i motivi che esigono una migliore amministrazione delle provincie cristiane: noi sappiamo in qual modo il loro benessere possa essere procurato; noi diamo prova di una buona, prudente, savia, libera e progressiva amministrazione: e se solamente ci si concedesse di pigliar parte al Governo della Chiesa e della istruzione, vedrebbesi in poco tempo fiorire e progredire una popolazione oggi fra le più rozze e le più ineducate dell'Oriente: non vogliamo mettervi che un dito • e qui soggiunsi' (provocando un sorriso ed un • col tempo, forse •) • e poi la mano ed il braccio • .

• Sappiamo che il Conte Andrassy era sincero quando voleva aiutarci a giungere a questo scopo: sappiamo ch'egli fece parlare ed indagare a Costantinopoli; lo sappiamo di certa sorgente: ma a che valse? Queste erano dichiarazioni ed azioni private, quasi segrete, e noi non poteamo col divulgarle, diminuire presso il nostro popolo il disastroso effetto cagionato dalla nota del Conte Beust. Come poteamo noi lusingarci di mantenere a noi favorevole l'opinione generale dopo l'assoluzione del Karagiorgevic? Perchè fu il Conte Andrassy sì poco cauto e perchè non mise in uso ogni suo ascendente per ottenere una sentenza diversa? N o n chiedevamo una grave condanna, ma una condanna la ci si volea, perchè il popolo serbo non dicesse che la terra ungherese era terra libera a chi vi cospirava la morte di un suo Principe. Dicemmo ripetemmo al Signor Kallay che non saremmo padroni dell'opinione pubblica e che lasciar credere al paese che una politica intima continuerebbe ad essere coltivata coll'Ungheria, sarebbe stato il voler esser cacciati dal Governo •.

Trascrivo le parole dettemi e credo ch'esse interpretino fedelmente il pensiero dei Reggenti i quali nondimeno persistono a dichiarare che nulla è mutato e che desiderio loro è di coltivare buone ed uguali relazioni con ciascuno dei Governi garanti.

247

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 924. Berlino, 8 dicembre 1871 (per. il 12)

Lo Reichstag tedesco inaugurò il 16 ottobre ultimo i lavori della seconda sessione parlamentare, e li ha chiusi il primo del corrente mese. Ciò si fece senza alcuna solennità e con la semplice lettura di un rescritto Imperiale. A questo modo di procedere che in altri tempi sarebbe passato inosservato, si volle dare da alcuni un altro significato, giacché la sessione veniva chiusa il giorno stesso della votazione definitiva della legge militare, nella quale il Governo aveva avuto una debole maggioranza. Il rescritto Imperiale però esprime ai rappresentanti della nazione i ringraziamenti dell'Imperatore e dei Governi confederati per la loro attività e per la loro abnegazione.

Certamente nessuna assemblea meritò meglio dello Reichstag tedesco questa assicurazione della soddisfazione Sovrana: basti il gittare un colpo d'occhio sui lavori da esso compiuti.

Nel breve periodo della cessata sessione la Presidenza del Consiglio federale ha presentato 23 progetti di legge, due trattati, e due altre proposte di minore importanza.

I membri del parlamento hanno presentato cinque proposte e fatte nove interpellanze: furono inoltre deposte 367 petizioni. Le commissioni e le sotto commissioni hanno presentato in tutto 21 relazioni scritte ed 8 orali. Furono convalidate 14 elezioni, 3 vennero dichiarate non valide, e 2 non poterono essere esaminate. Lo Reichstag tenne 36 sedute plenarie, e le commissioni e le sotto commissioni complessivamente 116.

F;ra i progetti di leggi o proposte, stanno in prima linea i bilanci del prossimo anno, inclusivamente quello della guerra, la legge monetaria, e quella per la formazione di un tesoro di riserva per l'eventualità di una guerra.

Coi bilanci dell'Impero venne stabilito un rapporto normale tra l'amministrazione del medesimo, e quella dei singoli stati che lo compongono, mentre coll'impiego di una parte dei fondi disponibili sull'indennità di guerra pagata dalla Francia i singoli stati Federali sono liberati da quelle anticipazioni che essi erano obbligati di versare per l'amministrazione generale: questo sgravio s'effettuerà principalmente mediante l'assegnazione di anticipazioni per l'amministrazione dell'esercito Imperiale.

E giacché mi occorre di parlare di quest'ultimo, rammenterò all'E. V. il mio rapporto di avant'ieri (1), aggiungendo che se nella questione militare, il Governo non ebbe che una meschina maggioranza, tuttavia il paese vidde che nello Reichstag all'infuori degli elementi estremi dell'opposizione, tutti i partiti erano d'accordo col Governo sul principio che nelle circostanze attuali la Germania debba restare sempre pronta alla battaglia e non toccare quindi gli elementi della sua forza.

Fra le leggi finanziarie sono ad annoverarsi quella relativa alle entrate

ed alle spese della cessata Confederazione tedesca del Nord per l'anno 1870,

un progetto di legge per l'impiego del sopravanzo dell'anno 1870: uno per il

pagamento dello imprestito federale contratto il 21 Luglio detto anno: uno

per la sovramenzionata assegnazione di anticipazioni in danaro per l'ammi

nistrazione dell'esercito Imperiale: uno per il controllo dell'amministrazione

dell'Impero per l'anno 1871: un progetto di legge per autorizzare i circondari

ed i comuni a prelevare dalle somme a pagarsi dalla Francia i fondi occorrenti

per sussidi accordati agli uomini della Landwehr, e della riserva, chiamati sotto

le armi, e finalmente un progetto di legge per i bisogni pecuniari delle ferrovie

dell'Alsazia e della Lorena.

A queste leggi di natura finanziaria altre se ne aggiungono di interesse

economico come p. es. quella sulle poste, e sulle tasse postali, la legge relativa

ai terreni compresi nel raggio delle fortezze, la convenzione delli 12 ottobre

in aggiunta al trattato di pace colla Francia, e quella per il valico alpino attra

verso il S. Gottardo.

Fra i trattati internazionali va annoverato quello di estradizione conchiuso

da noi colla Germania.

A questi progetti di legge tien dietro altra lunga serie di leggi e di proposte relative all'amministrazione interna dell'Impero cioé gli atti legislativi mediante i quali vennero estese in forma di leggi dell'Impero agli stati meridionali della Germania le istituzioni vigenti nella cessata Confederazione tedesca del Nord. Con questi atti legislativi non venne distrutta l'autonomia dei singoli stati, ma assimilati fra loro e posti, oltre le leggi destinate all'unificazione, per le questioni e le materie di competenza Imperiale, sotto una sola e suprema direzione, venne d'assai facilitato l'andamento degli affari, e stabiliti fra stato e stato più intimi e migliori rapporti.

Per ciò che ha tratto alla legislazione una sola proposta venne fatta, e questa per iniziativa governativa. Vo' parlare dell'aggiunta al codice penale tedesco diretta contro le agitazioni politiche provocate dagli ecclesiastici.

Probabilmente l'occasione mancherà per applicare la nuova disposizione, ma intanto e con ragione i liberali si rallegrano di un fatto. La Baviera invasa dagli ultramontani, ed il Governo esposto ad una lotta che prende ogni ora proporzioni più gravi, parve non avesse la forza di resistere fino agli estremi. Esso cercò quindi rifugio nelle braccia dell'Impero, e con un voto del parlamento, fece legittimare le armi destinate alla pugna. La Prussia alla quale se non danneggia il partito ultramontano può però darle fastidio, accolse e patrocinò la proposta Bavarese. Questa comunità d'interessi, questa comunità di viste fra i due maggiori stati dell'Impero, che s'accordano fra di loro per combattere ad armi uguali con uguali mezzi un nemico comune, è cosa a considerarsi come un avvenimento di qualche significato politico per l'avvenire della Germania, principalmente là ove trattasi di questione interna.

Il lavoro fatto dallo Reichstag durante quest'ultimo periodo della sessione parlamentare fu colossale. I deputati hanno adempiuto con coscienza il mandato loro conferito dagli elettori, e questi non hanno altro motivo che di esserne soddisfatti. L'esame accurato delle questioni, le discussioni calme e coscienziose delle varie leggi, non impedirono che i lavori procedessero con una celerità veramente esemplare. È bensì vero che il regolamento stesso della camera rende possibile una siffatta celerità. Il sistema delle relazioni orali, e quello delle tre letture è oltre modo utile e pratico: s'accorciano così i lavori preparatori, i quali assorbono in generale un tempo prezioso, e si evitano le discussioni nei comitati, che trapiantate nelle sedute plenarie della camera vi si continuano talvolta con grave perdita di tempo, e poca edificazione del paese. Del resto qui manca la smania delle interpellanze prive di uno scopo pratico, non meno che quella di fare o disfare ad ogni momento e ad ogni occasione. Aggiungasi a ciò che l'assiduità e la moderazione di cui i deputati tedeschi diedero prova durante gli ultimi lavori dello Reichstag, mostrarono come essi fossero animati da un solo desiderio, da un solo pensiero, quello cioé di aiutare il Governo nel lavoro colossale di edificare sulle nuove fondamenta dell'Impero per giungere con passo sicuro allo scopo finale dell'unità nazionale. Le considerazioni politiche hanno quindi più che tutto contribuito alla celerità dei lavori dello Rèichstag: ammutirono i partiti; gli interessi particolari tacquero di fronte a quelli dell'Impero; i rappresentanti tutti della nazione non mirarono che a rendere la patria loro forte all'interno e rispettata all'estero. Queste prove di patriottismo sono di buon augurio per i lavori della futura Dieta.

(l) Non pubblicato.

248

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 42. Vienna, 8 dicembre 1871 (per. il 12).

Una delle scorse sere il Conte Andrassy che incontrai in società, mostrommi desiderare di parlarmi, ciò che non aveva potuto più fare da alcuni giorni, essendosi recato a Pesth. Non mancai quindi di presentarmi ieri al suo ebdomadario ricevimento. L'importanza degli argomenti toccati in tal conferenza è abbastanza rilevante, da far sì ch'io ne riferisca senza ritardo all'E. V. un riassunto almeno, di meglio non potendo,

Il Conte Andrassy dopo avermi chiesto notizie delle cose nostre ed essenzialmente di Roma, dissemi avere particolarmente apprezzato il linguaggio della Corona in occasione dell'apertura del Parlamento. Volle quindi ripetermi le assicuranze già datemi della sua viva simpatia per l'Italia, dicendomi che l'amicizia sincera e duratura tra i due paesi aveva egli posto a base della sua politica, poichè, soggiungeva egli, essere suo convincimento che l'intimo accordo tra la Germania, l'Austria e l'Italia, fosse non solo nell'interesse vero delle tre potenze, ma pur anche in quello generale dell'Europa; che se un tal accordo poteva però esser soggetto ad incidenti fra l'Austria ed il suo vicino del Nord, ciò non aveva ragione di succedere fra l'Austria e l'Italia. • Tal strada io batterò con risoluzione, dissemi, e le piccole difficoltà che potrebbero insorgere per questioni attinenti al cattolicismo, molto più facilmente le potrò sormontare io cattolico che non il mio predecessore tenuto, per diversità di religione, a maggiori riguardi. Mercé la vostra prudente saviezza tutto sino ad oggi procedette senza scosse, e, così proseguendo il Papa finirà per trovarsi un giorno essere naturalmente il Vescovo di Roma con onori sovrani e giurisdizione su tutta la cattolicità •. Qui entrò a parlare della legge sulle corporazioni religiose, al cui riguardo dissemi aver ricevuto dal Conte Zalusky rassicuranti notizie; avergli scritto l'Inviato Austro-Ungarico l'assicurazione datagli dall'E. V. che oltre alle fondazioni così dette estere, le case generalizie pure avrebbero fatto eccezione, cosa ch'egli reputava essenzialissima, non solo per tacitare quelli che più caldamente parteggiano in favore del Sommo Pontefice, ma anche nell'interesse generale della cattolicità. Su questa questione credetti opportuno esprimere delle riserve, poichè avendo presente alla memoria il dispaccio in proposito della E. V. al Cavaliere Nigra, comunicatomi con altro dispaccio dell'll Novembre scorso (1), sembrommi che il Conte Zalusky fosse per avventura andato alquanto al di là di ciò che l'E. V. aveva dovuto dirgli. Parvemi conveniente accentuare che, se credeva le intenzioni del Governo fossero press'a poco quali venivano riferite dall'Inviato Imperiale, doveva però fargli osservare che a tale

riguardo non era certamente possibile assumere impegno di sorta, poichè la definitiva soluzione della questione dipendeva esclusivamente dal Parlamento. Non gli nascosi che l'opinione pubblica in Italia sembravami poco propensa ad estese eccezioni; che però gli Italiani avevano dato abbastanza segni di giusto e prudente criterio, per dar fondata ragione di ritenere che novella prova ne darebbero pure in questa contingenza, e ciò tanto più facilmente se non vi potesse esser dubbio d'estera ingerenza.

V. E. appartiene, dissigli, ad una nazione che giustamente ben altamente sente la dignità nazionale, e quindi ben può persuadersi quanto un'altra nazione che non meno altamente tiene in conto la sua dignità avversi anche l'ombra di un'estera pressione. Gli Italiani sono disposti a far quelle concessioni che crederanno eque e necessarie, il Governo è animato dal sincero e ben vivo desiderio che Roma possa rimanere la sede del Papato, e ne dà ogni giorno chiara prova, ma un'ingerenza straniera nelle cose nostre cambierebbe radicalmente tali sentimenti. D'altronde non conviene disconoscere un fatto che salta agl'occhi, e si è che il Papato si è sempre piegato alle ineluttabili necessità quando ha potuto persuadersi che vano era il contare su estero appoggio. Voi ne vedete una prova nella sua presenza a Roma il giorno dell'apertura del Parlamento, fatto che sommamente dubbio poteva sembrare l'anno scorso; così pure si acconcierà ad altre esigenze della situazione, ma se invece si accorge che i suoi incessanti reclami trovano ascolto presso taluna delle estere potenze, ancorchè non possa sperarne tutto quell'aiuto che vorrebbe, pur sempre farà sentire i suoi lamenti onde ottenere nuove concessioni che d'altronde mai l'appagherebbero, ed in tal modo quella conciliazione che tutti desideriamo, invece di agevolarsi diventerebbe vié maggiormente inattuabile. Nell'interesse stesso della conciliazione quindi, conchiusi, è indispensabile che il Papa si senta venir meno quest'estero appoggio. Il Conte Andrassy mostrommi apprezzare il mio linguaggio, e dividere egli pure le idee da me svoltegli; dissemi esser egli ben deciso a non seguire in questa questione quella linea di politica incerta che a nulla riesce se non ad inimicarsi l'una e l'altra parte; aver presente l'esempio della Francia, ed anzi assicurarmi che ove la Francia intendesse impegnarlo in un'azione comune al riguardo, egli vi si sarebbe recisamente rifiutato.

Su tale linea di politica particolarmente favorevole all'Italia ed estranea ad ingerenze che potessero menomamente ferire il sentimento nazionale, egli s'era chiaramente espresso coll'Imperatore, e vi aveva ottenuto il suo pieno assenso; che in conseguenza egli aveva dato già in tal senso istruzioni ben chiare e ben precise tanto al Conte Zalusky quanto al rappresentante presso il Pontefice. Ammesso un tal stato di cose e tolta colle precedenti dichiarazioni ogni ragione di equivoco, entrammo a parlare in merito della legge sulle corporazioni religiose, annunciata nel discorso della Corona, ed io potei tanto meglio svolgergli le idee del R. Governo in proposito, che l'E. V. ebbe a più riprese a fornirmi ampie istruzioni al riguardo. La conversazione prese allora un carattere meno ufficiale, e quindi potei persuadermi che il Conte Andrassy personalmente divide le idee nostre sulla mano-morta, ma primo Ministro di un Sovrano che personalmente e per tradizioni di famiglia non divide nell'animo suo tali idee, egli è tenuto a molti riguardi, tanto più anche che il partito il quale vede non solo con apprensione ma pure con non celato malcontento l'insediamento della capitale a Roma, non è da disprezzarsi tanto per numero quanto per influenza. Al modo stesso che l'Austria mostrando astenersi dall'immischiarsi nei nostri affari interni, e lasciando nell'isolamento chi diversamente volesse agire ne rende così ben difficile per non dire impossibile l'azione in tal senso, ci rende un vero servizio, parmi sia dovere nostro contracambiarlo non creando difficoltà nè al Conte Andrassy che si dichiara così esplicitamente amico nostro, nè al nuovo Gabinetto Austriaco che pure ha molta simpatia per noi.

Abbiamo d'altronde ogni interesse a rendere la vita facile al partito liberale che, per il meglio dei due stati vicini, travasi ora qui al potere. Tutto ciò quindi che nel campo dell'applicazione si potrà fare senza ledere i principi, parmi vada fatto per mantenere e consolidare le buone relazioni colla Monarchia Austro-Ungarica che ritengo attualmente di molta importanza per noi; ben so d'altronde che tali miei apprezzamenti sono pienamente divisi dall'E. V. Di ciò ben persuaso, credetti poter dare al Conte Andrassy assicurazioni ben sincere che un tal punto di vista sarebbe tenuto altamente presente dal Governo italiano. L'argomento essendo di natura a dover formare frequentemente oggetto in questi giorni di conversazione coll'Imperiale Ministro degli Esteri, sarei grato all'E. V. se ben volesse tenermi a giorno delle fasi della questione, onde io possa, presentandosene l'occasione, parlarne col Conte Andrassy con quella chiarezza e franchezza anche, che parmi vedere sia sovra ogni altra cosa a lui grata.

(l) Cfr. n. 211.

249

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 159. Lisbona, 9 dicembre 1871 (per. il 19).

Il Conte Thomar, Ministro di Portogallo presso la Santa Sede, ritorna tra breve a Roma dopo alcuni mesi di congedo.

Già ebbi l'onore di segnalare a V. E. le istruzioni favorevoli all'Italia, date dai passati Ministeri a questo personaggio, la di cui posizione politica in Patria e diplomatica all'Estero, nonchè le sue qualità individuali, lo rendono persona grata al Vaticano.

Memore dell'interesse speciale che il Governo Italiano pone all'adesione del Governo Portoghese relativamente alla sua politica in Roma, era mio dovere preoccuparmi nella circostanza del prossimo ritorno in codesta capitale del Conte Thomar, di far non solo rinnovare a questo personaggio le istruzioni generali dategli dai precedenti Ministeri a nostro favore, ma di ottenere puranche che l'attuale Gabinetto desse, come norma della sua azione diplomatica un apprezzamento favorevole circa le garanzie che per legge il Governo del Re ha spontaneamente offerte al Santo Padre ed alla Santa Sede, legge che fui incaricato di comunicare qui officialmente a quello di Sua Maestà Fedelissima e che motivò la risposta del Marchese d'Avila, allora Ministro degli Affari Esteri di Portogallo e che era annessa in copia al mio dispaccio in data delli 24 Agosto ultimo

N. 148 Serie Politica (1).

Chiesi dunque a S. E. il Signor de Andrade Corvo di volere dare analoghe ed esplicite istruzioni al Conte Thomar, pregandolo in pari tempo a prendere conoscenza degli antecedenti relativi alla mia comunicazione della legge sulle garanzie e poscia pormi in grado, se compiacevasi aderire alla mia richiesta, di partecipare al mio Governo il modo con cui Egli, Signor Corvo, apprezzava la nostra politica Romana.

In una recente conferenza S. E., annunziandomi l'imminente ritorno del Conte Thomar a Roma, si compiacque dirmi ed autorizzarmi ad informarne V. E. quanto segue: mi permetto di trascrivere testualmente le sue parole in francese, onde non alterarne il significato.

c Vous m'avez prié, M. le Marquis, de vous exprimer mon opinion sur l'importante question des garanties données par le Gouvernement Italien au S. Siège. Après avoir pris connaissance des documens qui se rapportent à ce sujet, il m'est resté dans l'esprit la conviction que les intéréts religieux de ·l'Europe Catholique sont sauvegardés par les garanties consignées dans la loi du 13 Mai 1871, vu que l'indépendance du St. Siège et sa liberté d'action de meme que la représentation diplomatique pourront étre maintenues sans entraves. Je fais des voeux sincères pour que le St. Siège et le Gouvernement Italien puissent s'accorder pour le bien de la chrétienneté. J'espère que les faits viendront donner raison pleinement à ma confiance dans la solidité des garanties offertes par l'Italie au S. Siège, .garanties dont votre Pays, M. le Marquis, a pris la responsabilité morale devant les Nations civilisées et devant l'histoire. Il est, à mon avis, dans l'intéret du S. Siège ainsi que du Monde Catholique que l'accord entre le St. Père et le Gouvernement Italien s'établisse de manière à assurer la paix des consciences et l'harmonie entre l'Eglise et l'Etat. Il faut espérer que cela sera et que la loyauté du Gouvernement Italien et la modération dont il a donnés des preuves marquantes, sauront mettre un terme aux grosses difficultés que soulève l'état de choses actuel •.

c Voilà, termina S. E. Corvo, quelles sont mes idées de Ministre et mes idées personnelles sur la politique italienne à Rome. Les instructions qu'emporte le Comte Thomar sont dans ce sens, ainsi que dans un but constant d'une conciliation assurée et désirable entre le St. Siège et l'Italie •.

Innanzi di spedire il presente dispaccio volli leggerne il contenuto al Ministro degli Affari Esteri. S. E. si compiacque trovarlo pienamente conforme

allo spirito ed alla lettera della sua comunicazione, la quale concreta in modo più esplicito i voti già officialmente espressi in proposito dal Gabinetto precedente.

(l) Non pubblicato.

250

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

CIRCOLARE 95. Roma, 10 dicembre 1871.

A complemento degli studi che si stanno facendo per cura del R. Governo sulla quistione delle corporazioni religiose e della proprietà ecclesiastica, occorrerebbe di possedere qualche dato circa le condizioni delle associazioni religiose che esistono all'estero conservando un carattere qualsiasi di nazionalità italiana.

A questo effetto, io prego la S. V. di volermi procurare, per quanto ciò Le sarà possibile, un riscontro ai seguenti quesiti:

1° -se esistano nel territorio della giurisdizione di V. S. enti religiosi considerati come italiani; se i medesimi sieno di fondazione pubblica o privata; se sovra di essi esista un diritto di patronato, e da chi sia questo esercitato;

2° -quale norma legale regoli l'esistenza di codesti enti religiosi. Intorno al quale punto, mi sarà grato di conoscere ogni circostanza o precedente degno di nota che venisse fatto alla S. V. di raccogliere.

Tenendo conto dell'indole riservata della quistione cui si connettono le

informazioni che domando alla S. V., desidererei che Ella se le procurasse coi

mezzi di cui potrà disporre in via privata, ed astenendosi dal farne l'oggetto di

una formale richiesta presso codeste autorità ufficiali.

251

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4053. Berlino, 10 dicembre 1871, ore 17,20 (per. ore 20,50).

Il résulte des depèches échangées entre le Prince de Bismarck et le Comte Brassier de St. Simon que si ce dernier n'a pas assisté à l'ouverture de la Chambre, c'était uniquement pour cause de maladie, car il avait été averti de l'importance qu'on attribuait ici à sa présence à cette solemnité. La mission Impériale a reçu l'ordre de transférer sa résidence à Rome. La correspondance dont il s'agit m'a été lue aujourd'hui d'après le ... (l) du Prince de Bismark.

(l) Gruppo indecifrato, probabilmente c ordre •·

252

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 925. Berlino, 10 dicembre 1871 (per. il 19).

M. Abeken, faisant fonctions de Secrétaire d'Etat, m'a prié aujourd'hui de passer au Ministère. Il avait reçu l'ordre du Prince de Bismarck de me donner lecture de la correspondance échangée dans ces derniers temps entre le Chancelier Impérial et le Comte Brassier de St. Simon.

Il résulte de ces documents que M. ae Brassier en informant le 21 novembre S. A. de la prochaine ouverture de notre Parlement, disait que d'après ses instructions il n'hésiterait pas à se rendre à Rome dans cette circonstance. Mais son état de santé était tel qu'il craignait, malgré sa bonne volonté, de ne pouvoir entreprendre cette course. Cependant, s'il recevait un ordre forme! par le télégraphe, il braverait les prescriptions de la Faculté.

Il lui a été répondu le 25 du méme mois qu'il savait tout le prix qu'on attachait ici à sa présence à cette solennité. Son absence ne pourrait étre justifiée que par une impossibilité absolue. Le télégramme ne lui est arrivé qu'après le départ du train du matin de Florence pour Rome. Il a répliqué qu'il ne se sentait pas en force pour partir par le train de nuit, et que son médecin I'avait très serieusement mis en garde. La Légation serait représentée par le Comte de Wesdehlen et trois attachés. M. de Wesdehlen était chargé de remettre à V. E. une lettre confidentielle exprimant les regrets les mieux sentis de l'absence du chef.

Elle était trop bien motivée pour qu'on eut le courage d'envoyer un blame au Comte Brassier, mais on eut certes préféré qu'il eut pu, camme l'été dernier, en pareille occurrence, payer de sa personne. Pour mieux démontrer que le Cabinet de Berlin tenait à ce que son représentant ne fut pas rangé dans le nombre des retardataires, il lui fut transmis le 29 novembre l'instruction télégraphique d'aUer à Rome aussitòt que sa santé le lui permettrait. On lui mandait en méme temps que l'Empereur et Roi avait décidé, du moment où Notre Auguste Souverain avait élu domicile à Rome, que la Mission Impériale devait y transférer sa résidence.

Le Comte Brassier dans sa réponse a fait valoir la considération suivante dont on a reconnu ici le bien fondé. Le Roi d'Italie devait partir pour Florence et Turin et n'ètre de retour que dans la seconde quinzaine de décembre. Si dans l'intervalle l'Envoyé d'Allemagne arrivait à Rome, cela donnerait lieu à des commentaires, camme s'il avait choisi le moment de l'absence de Sa Majesté pour faire une simple apparition, car il devrait dans tous le cas revenir à Florence pour s'occuper du transfert définitif de la Mission. Mieux vaudrait il donc différer la course jusqu'au retour du Roi dans la capitale. Et quant au transfert lui-méme, il conviendrait de laisser une certaine latitude, vu l'embarras de trouver un logement (le palais Caffarelli étant encore occupé par les gens et les meubles du Comte Arnim) et d'opérer le transport des archives et de son état de maison à Florence.

Le Prince de Bismarck avait tenu à ce que cette correspondance me fùt soumise. Il espérait que j'y verrais une nouvelle preuve des sentiments de bon vouloir dont on est animé ici à notre égard.

J'ai prié M. Abeken d'etre l'interprète de mes remerciments auprès de

S. A.

Le point essentiel, ainsi que je l'ai télégraphié à V. E., c'est que la Mission Impériale ait reçu l'ordre de se fixer à Rome. Les retards ne tiennent plus qu'à des questions de détails.

253

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI

D. 26. Roma, 11 dicembre 1871.

Accuso ricevuta alla S. V. della pregiata sua corrispondenza di questa Serie che mi è regolarmente pervenuta sino al n. 129 incluso e La ringrazio di avermi informato dei vari incidenti degni di nota verificatisi nella politica della Serbia.

Con l'ultimo dei sovraindicati rapporti, Ella ha chiamato la mia attenzione su di una nuova legge approvata dalla Scupcina, la quale impone altre e più gravose tasse di esportazione e di importazione sopra vari articoli di commercio internazionale, richiedendomi di istruzioni circa il contegno da tenersi in presenza di tali misure arbitrarie e non autorizzate dai trattati che regolano le condizioni politiche della Serbia.

Quantunque, come lo accenna la S. V., le nuove tasse stabilite in Serbia, abbiano un interesse diretto pel solo commercio dell'Austria e dell'Ungheria, io credo sia nostro dovere di non lasciar pregiudicare il principio della incolumità dei vigenti patti internazionali; epperò sarà necessario che Ella faccia sentire al Governo della Reggenza che queste infrazioni dei trattati non passano inosservate per parte del Governo del Re. V. S. pertanto rinnoverà presso i Reggenti le riserve che, in circostanza consimile Ella già ebbe, nello scorso anno, l'incarico di esprimere nel senso sopra indicato.

254

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 926. Berlino, 11 dicembre 1871 (per. il 15).

Un de mes collègues a vu récemment M. Thiers grace à d'anciens rapports d'amitié, et a bien voulu me rapporter confidentiellement quelques détails sur ses entretiens avec le Président de la République Française.

La politique étrangère de son Gouvernement est essentiellement pacifique. Si, contre toute probabilité, il devait surgir quelque complication, elle ne serait pas de son fait. Il professait une vive admiration pour le Prince de

Bismarck • Ce grand homme d'Etat, comme le Comte de Cavour, l'un et l'autre

mis en évidence et presque créés par l'Empereur Napoléon »,

A l'intérieur, il s'applique à réorganiser les différentes branches du ser

vice, à gouverner avec modération et impartialité en cherchant à tenir l'équi

libre entre les différents partis. A certaìns égards, c'est en quelque sorte un

Gouvernement négatif puisqu'il soutient les partis l'un par l'autre, sans donner

à aucun gain définitif de cause. Il laisse la situation se développer en s'abste

nant de toute initiative prématurée. On ne réussira pas à l'entraìner dans une

politique excessive.

Les catholiques zélés en Europe s'étaient un instant bercés de l'illusion d'une croisade en faveur du rétablissement du pouvoir temporel du St. Siége. Ils avaient entre autres compté sur l'appui du nouvel Empereur d'Allemagne, comme si un Hohenzollern pouvait oublier l'histoire de ses ancètres, comme s'il n'était pas le chef d'un Etat moderne qui n'a aucun point de contact avec les traditions du moyen age. Pour ce qui concerne la France, elle ne doit pas plus songer à défaire l'Italie qu'à défaire l'Allemagne. L'Italie a conquis l'unité, elle a pris piace parmi Ies puissances considérables de l'Europe. C'est là un fait accompli dont il faut savoir prendre son parti. Le devoir de la France est d'entretenir de bons rapports avec cette Puissance et d'éviter par conséquent tout ce qui pourrait les altérer. Il y a sans doute de grands intérèts religieux à sauvegarder, et certes le Cabinet Français ne sera pas le dernier à élever la voix pour le maintien de l'indépendance du St. Siège. Du reste, tòt ou tard Pie IX ou son successeur, ramenés à un plus juste sentiment des réalités, finiront peut-ètre par se rendre et par s'adapter à la marche des choses.

Ce langage tenu, dans l'intimité, avant l'ouverture de l'Assemblée Nationaie a, ce me semble, plus de valeur encore que le message présidentiel du 7 décembre. On serait tenté de croire à sa sincérité, sans s'en rendre toutefois garant. Relata refero.

M. Th;iers s'est aussi plu à esquisser à son interlocuteur un portrait de Notre Auguste Souverain. Ce Roi doit ètre pris au sérieux. Il a des qualités vraiment gouvernementales. Il a agi d'après un pian nettement tracé qui l'a conduit à Rome. L'Italie et devenue une. C'était sa destinée; Victor Emmanuel a bien fait de la poursuivre. Durant la dernière guerre, S. M. n'a jamais eu l'intention d'intervenir les armes à la main en faveur de la France, mais comme il Lui répugnait d'encourir un jour le reproche d'ingratitude, Elle a su manoeuvrer avec habilité de manière à se retrancher derrière son ròle de Souverain constitutionnel.

Il y a quelque amertume, une critique peut-ètre dans ce dernier jugement. On dirait que l'esprit de M. Thiers est encore hanté par ces loups de Savoie sortant de Ieurs tanières ou y rentrant selon leurs propres convenances. C'est la comparaison dont il s'était servi dans un de ses discours sous l'Empire. Il faut espérer que la race de ces loups ne se perdra pas. La critique de M. Thiers

fait l'éloge de notre Dynastie.

21 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

Le diplomate étranger qui m'a donné ces indications sur ses entrevues avec M. Thiers, a profité de son passage en France pour se rendre compte aussi du mouvement des partis, de celui surtout des Orléanistes. Il lui résulte que ces derniers sont organisés et parfaitement résolus, le jour où le Président de la République fléchirait dans sa résistance vis-à-vis des Bonapartistes, à démasquer leurs batteries. Les Princes de la famille d'Orléans ont de nombreux partisans dans l'armée de terre et de mer, et, le cas échéant, ils sont décidés à ne plus se renfermer, comme en 1848, dans leur ròle passif qui leur a valu 22 ans d'exil.

V. E. aura remarqué le toast porté, le 8 de ce mois, par le Tsar -lors de la fete anniversaire de l'ordre militaire de St. Georges -à l'Empereur d'Allemagne. L'espoir y est exprimé que l'amitié intime qui unit les deux Souverains continuera dans les générations futures, comme la meilleure garantie de la paix et de l'ordre légal en Europe.

Ce toast qui est plus accentué encore que les télégrammes échangés entre ces memes Souverains le 27 février 1871 à l'occasion de la signature des préliminaires de paix (rapport n. 789) (1), enlève de sa portée à la phrase du message précité de M. Thiers relativement à la Russie. Les journaux de Paris qui se plaisaient à insinuer que la France pourrait compter sur un appui éventuel de la Russie pour une revanche contre l'Allemagne, devront mettre une sourdine à leur langage.

Quant au message lui-meme, on n'entend point faire ici des critiques du genre de celles qu'on lit dans la presse anglaise. C'est qu'en effet ce document ne ,traite qu'avec beaucoup de ménagement des relations avec l'Allemagne. Mais on attend que les faits répondent aux assurances pacifiques, assurances avec les quelles les projets d'armements excessifs de la France ne sont pas en complet accord. Jusqu'à preuve contraire, il est permis d'y voir une arrière-pensée et des préparatifs de vengeance.

255

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Vienna, 11 dicembre 1871.

Nel mio rapporto ufficiale in data 8 corrente (l) dovetti ammettere di riferirvi un fatto abbastanza importante, il Conte Andrassy avendomi con insistenza pregato di tener assolutamente per me ciò che egli mi raccontava, poichè sarebbe stato spiacentissimo che a Vienna od al Vaticano si fosse saputo che egli m'aveva di ciò parlato. Lo assicurai che il segreto sarebbe serbato, lacchè non impedisce ritenga dover mio informarvene, mi permetto però pregarvi di non farne motto con chichessia, poichè ove la cosa venisse

a divulgarsi da parte nostra, ciò potrebbe nuocere a quella fiducia che il Conte Andrassy mi dimostra assai larga. Ecco di che si tratta. Qualche tempo fa, forse alcuni mesi sono, ai tempi ben inteso del Conte Beust, il Cancelliere cedendo pare alle insistenze dell'Imperatore, scrisse all'Inviato Imperiale a Roma, che ove potesse credere giunto il momento in cui il Papa si decidesse a lasciar Roma, egli doveva offerirgli a nome dell'Imperatore un asilo a sua scelta negli Stati della Monarchia Austriaca, e pare anche che un tal invito dovesse farsi con una certa insistenza.

Il Conte Beust venne a ritirarsi, ed al Conte Andrassy che gli successe non fu detto parola di quest'affare tutt'ora pendente. Intanto apertosi il Parlamento a Roma, pervenne voce alla Corte Imperiale, che Pio IX volesse abbandonar l'Italia, ed in tal ipotesi sembra che il Conte Calnoki sia stato invitato all'insaputa del Ministro degli Esteri ad adempiere senz'altro all'incarico già antecedentemente affidatogli. Fatto sta che l'offerta fu fatta, ma non venne accettata. Il Conte Andrassy che non aveva avuto conoscenza della proposta, venne a giorno del rifiuto. Egli allora si recò dall'Imperatore, ed ebbe seco Lui una ben chiara e precisa spiegazione, nella quale pose sott'occhio al Sovrano le conseguenze tutte d'una tal offerta ove fosse stata o venisse ancora ad esser accettata, e prima fra queste l'inevitabile rottura dei buoni rapporti coll'Italia, non ammettendo di porre in rilievo gli inevitabili pericoli per la dinastia di un tal fatto che con sommo sfavore sarebbe stato accolto dall'opinione pubblica. Insomma parlò tanto e sì bene che persuase l'Imperatore, e fu autorizzato a scrivere che per nessuna ragione, nè per circostanza qualsiasi più si dovesse rinnovar un'offerta che dovevasi considerar come lettera morta non essendo stata accettata. A questo proposito il Conte Andrassy m'assicurò che durante il suo Ministero, più non si verificherebbe il caso spesso antecedentemente ripetutosi che gli Inviati Imperiali a Roma ricevessero istruzioni par dessus la téte del Ministro, essendosi egli chiaramente spiegato al riguardo col Sovrano ed avendone ricevuta formale assicuranza. L'importanza del fatto che ho creduto mio dovere riferirvi, è a mio avviso notevole poichè chiarisce i sinceri ed amichevoli sentimenti del Conte Andrassy per l'Italia in modo ben più positivo che le frasi cordialissime si, ma pur sempre generali che egli ebbe a farmi al riguardo.

I giornali di Vienna e forse alcuni d'Italia avran pur riferito che io mi sii congratulato col Conte Andrassy a nome del R. Governo sulla sua circolare. Non credo aver bisogno di dirvi che non ho neppur aperto bocca sulla circolare, non avendo avuto incarico di sorta in proposito. Mi consta anche che non una parola neppur ebbe a dirne il Ministro Russo, sebbene i giornali asseriscano la cosa con insistenza. Il solo che ebbe ad adempiere ad un tal ~ncarico si fu il Generale Schweinitz. La questione di Klibeck non è ancora sciolta, a Costantinopoli però non v'andrà certamente, ma d'altra parte !asciarlo a Roma mentre un'Ambasciata gli era stata ufficialmente promessa par difficile. Non credo neppur molto probabile lo si mandi a Parigi, sebbene persona bene informata m'assicuri ancora che quella sarà la soluzione. Pel momento però credo che si Iascierà un interim a Parigi, e Io credo tanto più che il messaggio di Thiers ha fatto qui un pessimo effetto.

Come l'ho fatto ufficialmente, vi prego anche particolarmente, a volermi

tener a giorno delle fasi relative alla questione delle corporazioni religiose, affine di non restar a boccia asciutta allorchè mi se ne parla, d'altronde un modo di dimostrar che apprezzo l'interessamento che qui si prende alla cosa, e sarà già un calmante. In generale più notizie potete darmi meglio sarà, poichè il mostrarmi non digiuno degli intendimenti del Governo, rafforzerà il mio credito presso il nuovo Ministro che devo dire è per me squisitamente cordiale. Altro non ho per oggi di particolarmente interessante a riferirvi.

(l) Cfr. n. 248.

256

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4025. Parigi, 13 dicembre 1871, ore 19,50 (per. ore 22,30).

Gouvernement français a vu avec un gran déplaisir fìrman sur Tunis, mais comme on lui donne assurance que ce fìrman ne doit rien changer au statuquo en ce qui concerne prérogatives des Gouvernements européens à Tunis,

M. de Rémusat croit qu'il faudra se borner à prendre vis-à-vis de la Porte et du bey une attitude conforme à cette assurance parlant et agissant à toute occasion comme si rien n'était changé. Sur son désir je lui ai donné copie de la traduction littérale du paragraphe du fìrman qui dans la traduction officielle diffère du texte.

257

L'INCARICATO D'AFFARI A CARACAS, VIVIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 59. Caracas, 15 dicemb1·e 1871 (per. il 13 gennaio 1872).

Ho l'onore di confermare il rapporto del 23 novembre, N. 58 (1), dal quale V. E. avrà veduto come fra gli agenti de' quattro governi che aderirono alla proposta del gabinetto di Berlino ed il di lui rappresentante a Caracas siasi stabilita un'intesa che prese forma di Nota collettiva diretta, 1'11 dello stesso mese, al governo della Repubblica.

Il Ministro degli Affari Esteri non ha eseguito ancora la promessa, fatta con la Nota del 16 del mese suddetto, di dare la " dovuta risposta » alle domande da noi formulate a nome de' nostri governi.

Affinchè l'azione diplomatica iniziata ottenga, almeno in parte, il suo intento, occorre che il Governo della Repubblica si persuada che i nostri governi

sono fermamente decisi a far valere i loro diritti. Senza tale persuasione,

l'esito inconcludente, che ne sarebbe probabilmente la conseguenza, darebbe qui l'ultimo tracollo al prestigio delle potenze accordatesi ad esercitarla; tanto più se gli Stati Uniti conseguissero da soli ciò che non avessero potuto esse insieme.

Si afferma che se gli Stati Uniti non ottengono, per via diplomatica, la recognizione de' reclami nuovi ed il saldo de' reclami liquidati, procederanno, senza più, alla parziale occupazione delle dogane del Venezuela, senza pregiudizio de' diritti acquisiti dalle altre potenze. Così, a parità di diritti, esse sarebbero collocate in una condizione d'inferiorità e poco meno che di dipendenza. Ma l'uguaglianza potrebbe essere facilmente preparata per mezzo di un accordo di aprire la via ad una occupazione collettiva. Il concorso delle cinque potenze europee non implicherebbe la necessità di una spedizione militare, poiché basterebbe all'uopo ch'esso venisse rappresentato da due fra i bastimenti da guerra che la Germania e la Spagna hanno già in questi mari. Né la occupazione delle dogane di La Guaira e Puerto Cabella, che sarebbero appunto quelle da prendersi, riuscirebbero difficili.

Non è dubbio che, dedotto quanto è necessario a sopperire a' servizi pubblici, i proventi delle due dogane suddette, poste sotto la vigilanza dì una commissione internazionale, lascerebbero un reliquato sufficiente alla graduale estinzione de' reclami.

Non mi risulta che il Ministro degli Stati Uniti abbia ricevuto dal proprio governo le istruzioni di che è menzione nel Dispaccio di V. E. dell'8 ottobre,

N. 12 (1). Il di lui contegno manifesta che all'ordine di non coordinare la propria azione con la nostra non è fatta per ora eccezione alcuna.

L'appartarsi degli Stati Uniti dalle Potenze europee può incoraggiare il governo del Venezuela ad una pericolosa resistenza, come l'accordo di queste con quelli sgombrerebbe la via da qualunque ostacolo. Or la proposta di occupazione eventuale collettiva delle dogane in discorso somministrerebbe un ottimo punto di partenza a negoziati intesi a produrlo. Il mio Collega di Germania ne è tanto convinto che ha suggerito al proprio governo di profittare del recente invio a Washington di un nuovo Ministro imperiale per aprire nuove pratiche con quel gabinetto.

Nello stato presente delle cose sarebbe necessario che le potenze unitesi per esercitare sul governo del Venezuela una pressione diplomatica, trasmettessero a' loro agenti istruzioni applicabili al caso di esito negativo.

Colgo quest'occasione per procurarmi l'onore di accusare ricevimento del Dispaccio del 21 Ottobre, N. 13 (2), pervenutomi il 20 Novembre, e ringraziare V. E. de' suggerimenti contenuti nell'annessovì Memoriale, relativo al Progetto di Protocollo non potuto prendere in considerazione.

(l) Non pubblicato.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 170.
258

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Parigi, 16 dicembre 1871.

Ho una buona occasione per scrivervi particolarmente e ne profitto. I cambiamenti nella situazione in Francia avvenuti in questi ultimi mesi se non sono considerevoli, sono però apprezzabili. I tre partiti in cui si divide l'Assemblea, repubblicano, legittimista, orleanista, si mantengono in proporzioni di numero e di forza quasi eguali, con una leggiera tendenza in favore di quest'ultimo, e specialmente in favore del Duca d'Aumale che va guadagnando un po' di terreno. I principi di Orleans, contro le intenzioni di Thiers, hanno mantenuto il loro diritto d'entrare nell'Assemblea e fanno dire che vi entreranno quando lo giudicheranno a proposito. A Parigi il malcontento della classe industriale e commerciale aumenta in proporzione della perdita che essa subisce per la diminuzione della popolazione ricca. La situazione del Governo e quella specialmente di Thiers non è ancora compromessa, ma è indebolita. Il paese dall'un lato non è contento, e si capisce che non lo sia. Il presente non è roseo e l'avvenire è pieno di tristi previsioni per la Francia politicamente e finanziariamente. Dall'altro lato v'è un dissidio sostanziale, benchè talora latente, fra Thiers e la maggioranza dell'Assemblea. In molte questioni, come la nomina amministrativa, le basi dell'organizzazione dell'esercito, la traslazione dell'Assemblea, etc. le opinioni di Thiers e quelle della maggioranza sono in perfetto disaccordo. Ieri fu discussa nella Commissione la questione del trasporto dell'Assemblea a Parigi. Thiers e Remusat v'intervennero e si pronunciarono pel ritorno a Parigi. Ma la Commissione si mostrò poco disposta a proporre questa soluzione. La questione si presenterà dinnanzi all'Assemblea fra una quindicina di giorni. Il Signor de Remusat spera che l'Assemblea sia più arrendevole della commissione; ma questo non è ben sicuro. Per quanto spetta alla politica estera il Signor Thiers, mi disse che la Francia in questo momento non deve e non vuole farne di nessuna specie. La Francia, mi disse egli, ha bisogno d'organizzarsi, essa non deve sollevare questioni all'estero, e deve limitarsi a tenersi in amichevoli relazioni coi suoi vicini. Il Signor de Remusat però, a cui ho riferito questo discorso di Thiers, non volle accettare senza riserva l'espressione • che la Francia non ha e non fa politica estera ». Egli disse che la politica che si propone per oggetto di mantenere relazioni amichevoli colle Potenze estere, è già di per sè stessa una politica, e una buona politica.

Nel discorso fattomi da Thiers due cose sono da notare. Egli mi disse che avrebbe presentato il bilancio in equilibrio. Mi disse in secondo luogo che

• fra un anno egli avrebbe il più bell'esercito dell'Europa •. Vi cito le sue parole testuali. Credo che egli scambia il suo desiderio col risultato che si propone di ottenere e che mi par difficile che egli ottenga. In guisa però di ultimazione del suo concetto, egli s'affrettò d'aggiungere che però la sua intenzione non era certo antipacifica; ben al contrario. Egli vuole sinceramente mantenere la pace; ma vuole egualmente che la Francia in ogni questione che possa sorgere mantenga la posizione che ebbe sempre e che le è dovuta.

Thiers mi parlò anche, com'era naturale, del Papa. Mi confermò la versione del discorso che gli era stata attribuita da una corrispondenza di Versaglia al giornale dei Débats or sono circa 25 giorni. Mi raccomandò di ménager il Papa affine di evitare alla Francia ed al suo Governo ed a noi gli inconvenienti che egli non disconosce della presenza del Papa in Francia. Io gli dissi che per parte nostra facciamo e faremo tutto il possibile a questo scopo. Ma non gli celai che noi credevamo che il Papa non verrebbe in Francia se il Governo Francese non l'incoraggierà a ciò.

M. de Goulard è arrivato a Versaglia col trattato di cui fu uno dei negoziatori. Si prepara ad andare in Italia al suo posto. Ma Remusat mi ha detto che gli sarà impossibile d'esserci pel Io giorno dell'anno. In fondo, son convinto che questo ritardo è stato provocato dalla corrispondenza di d'Harcourt, il quale teme che l'arrivo di Goulard a Roma sia il segnale della partenza del Papa. Remusat me lo disse del resto, ma aggiunse che malgrado ciò Goulard andrà, ed andrà a Roma, e D'Harcourt ebbe istruzione di preparare l'animo del Cardinale Antonelli e di Sua Santità a questo fatto inevitabile.

Ora lasciate che vi parli di nuovo d'un'altra questione della quale devo pure intrattenervi malgrado la ripugnanza che ho a parlarvi di me. Ho visto che nella vostra Camera sono stato discusso di nuovo, e che avete dovuto prendere le mie difese. Ve ne ringrazio di vivo cuore e ve ne esprimo sincera riconoscenza. Non ho ancora sotto gli occhi il rendiconto della Camera. Ma il fatto stesso di queste regolari aggressioni ha un'importanza di cui voi ed io dobbiamo tener conto. D'altro lato, l'agitazione che il partito bonapartista ha tentato nello scorso novembre, ha avuto per effetto di far nascere qui una recrudescenza di irritazioni, contro le cose e le persone che ebbero attinenza all'Impero, e rende perciò la mia situazione più ancora difficile e delicata che non fosse prima. Ho ragione di credere che lo stesso Thiers desidera che gli si mandi qui un altro Ministro, possibilmente Minghetti. Egli fu con me amabile molto. Non vi parlo di Remusat, che mi mostra più che amabilità. Ma, malgrado queste dimostrazioni, sento che il mio luogo non è più qui, e son convinto che nell'interesse del nostro Paese è necessario un cambiamento nella nostra rappresentanza qui. Thiers ne sarà soddisfatto, e il partito clericale che mi fa l'onore di temermi avrà una ragione di meno di gridare contro l'Italia. Comunque io tenga qui una condotta estremamente riservata e correttissima, non si mancherà di accusarmi di ciò che fo e di ciò che non fo. Eccovi adunque la situazione mia. Sono venuto di malavoglia, ma son venuto perchè lo avevate stimato utile. Ma quest'utilità va via via dileguandosi e diventa invece un inconveniente. Bisognerà quindi uscirne e vorrei uscirne bene nell'interesse del nostro Paese prima, e un po' anche nel mio interesse. Vi prego adunque di pensare al modo. Se per esempio fra un mese, o due mesi aveste qualcuno da mandare qui, credo sarebbe veramente utile. Se Minghetti non vuole o non può venir subito, perchè non mandereste Artom p. e. a tenere la Legazione per qualche tempo? Credete, se si trattasse soltanto d'un sacrifizio personale, non vi parlerei di cw. Ma ho proprio la coscienza che qui si tratta d'un interesse dello Stato, al quale ogni nostro particolare interesse deve essere subordinato. Nè deve fare ostacolo la circostanza che non v'è altro posto per me. Aspetterò che ci sia anche uno o due anni.

Insomma metto questa delicata faccenda nelle vostre mani.

259

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. s. N. Roma, 17 dicembre 1871.

Venni sollecitato a fornire esatte informazioni intorno ai seguenti quesiti. Quali siano le pratiche a compiere per ottenere l'autorizzazione a fondare una Società anonima in Turchia, e specificatamente a Costantinopoli?

Se una Società anonima, autorizzata a funzionare in Turchia, possa per ciò solo ritenersi abilitata ad esercitare la sua azione anche in Egitto, o se richiedasi invece, a tal'uopo, un'autorizzazione speciale?

Quali pratiche debba fare una Società anonima per l'esercizio di una banca, legalmente creata nel Regno, allo scopo di poter impiantare le sue sedi anche in Turchia?

Sebbene io debba credere che nella condizione fatta agli stranieri nei paesi di Levante non possa cader dubbio sul diritto che agli Italiani compete di aprire banche ed ogni altro stabilimento di credito quando si tratti di stabilimenti debitamente autorizzati in Italia, ciò nondimeno, per maggior sicurezza, desidero che V. S. Illustrissima mi procuri, colla maggior possibile sollecitudine, i dati che mi sono necessari per poter porgere una precisa risposta alle dette domande.

260

IL DIRETTORE DELLA BANCA GENERALE, ALLIEVI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Roma, 17 dicembre 1871.

Ho scritto ad Artom, chiedendogli alcune notizie intorno alla legislazione turca ed egiziana nella parte che si riferisce alle Società anonime. Spero che possa rispondermi, senza richiamare le informazioni dal lontano Oriente. La Banca generale, disponendo di relazioni bancarie cospicue in tutte le capitali d'Europa, ed ora se si realizza il progetto per il Levante, anche nelle piazze di Turchia e di Egitto, potrebbe adibirsi a fare il servizio degli stipendi a tutto il personale diplomatico. e consolare a condizioni relativamente assai moderate e a tutto vantaggio dei vostri funzionari. È possibile dare un qualche

seguito a questa idea? Finalmente embrassons-nous et que cela finisse!

La pace tra il Ministero e la così detta maggioranza è suggellata! Se vero è il fatto mi pare importante e di buon augurio. Una crisi, al primo essere in Roma, e una crisi, la quale non potrebbe non essere difficilissima, ci avrebbe gravemente compromessi in faccia all'Europa, la quale nè ci approva nè ci avversa, ma ci guarda! Ci guarda per vedere se noi abbiamo niente di quella stabilità e calma e sicurezza, che si convengono a chi ebbe la non modesta pretensione di assidersi nell'eterna città!

Tu sai come io senta dentro di me, fors'anche troppo, tutte le difficoltà morali della nostra situazione in Roma, e ciò solo, di cui mi allarmo è che il governo venga alle mani di uomini che non ne comprendano nulla. Un ministero Rattazzi! Io non ho prevenzioni eccessive, contro il Rattazzi, ma a dargli alle mani la quistione di Roma sarebbe come maritare con un bottegajo una signora fine fleur di aristocrazia! Quante sgarberie quante inciviltà quante :.:ose impossibili tutte commesse senza neppure avvedersene!

Però bisogna che il ministero si metta davvero sulla buona via -che il Sella e il Lanza non facciano più distinzione da piemontese e italiano e che certe ruggini sieno buttate da parte e certe velleità radicalesche lasciate per ora a dormire. Ora bisogna essere moderati. Abbiamo fatto un po' come la Germania -mangiato molto -! Ora ci bisogna digerire. Conosco poco i rapporti del governo coi romani -mi pajono non buoni -Il governo non se ne occupa abbastanza. I romani sono romani ancor più che italiani -e a Roma sono una forza -Mi pare che il Lanza e il Sella li trattino troppo sans façon; e loro sono invece molto diplomatici, molto sensibili alle belle e alle brutte maniere, molto orgogliosi, e per giunta anche molto mutabili. Andiamoci: i romani, tante volte hanno cacciato i Papi e tante li hanno richiamati, bestemmiano e chinano sempre le ginocchia al Santo Padre. Il Papa ha visibilmente ricuperato molto imperio morale in Roma, dacchè non n'ha più imperio politico...

Perdonami la divagazione inconcludente! Invecchiando è impossibile dal poco al molto di non redonder. Spero venirti presto a vedere, e di trovarti a casa una di queste sere.

La politica mi tien per le orecchie più che io stesso non vorrei... ma... ma quando si ha cominciato a bazzicare per certe vie, è difficile che si perda il cattivo costume.

261

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL CONTE SCLOPIS

D. s. N. Roma, 20 dicembre 1871.

Ho ricevuto la lettera che V. E. si compiacque indirizzarmi da Ginevra il 15 di questo mese (l) e la ringrazio per la relazione che Ella volle farmi circa i procedimenti preliminari della Commissione arbitrale, di cui mi è grato salutare oggi nella S. V. il degno Presidente.

La prova di fiducia data a lei da distintissimi colleghi e le accoglienze onde Ella fu l'oggetto per parte delle autorità di Ginevra, mentre riescono graditissime al R. Governo, desteranno il più alto compiacimento nell'animo di S. M. cui non ho tardato a rassegnare una copia della lettera di V. E. Se queste dimostrazioni di onore possono da noi considerarsi come l'espressione non dubbia del rispetto e della simpatia che l'Italia inspira oltre ai propri confini, ci forniscono pure nuovo argomento per felicitarci della scelta fatta dall'A.N.S. della E. V. le cui qualità personali avrebbero dignità dall'alto carattere di cui Ella è rivestita.

(l) Non pubblicata.

262

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4059. Madrid, 20 dicembre 1871, ore 19,35 (per. ore 1,30 del 21).

Le ministère ne se sentant pas assez fort pour se présenter devant les Cortès, dont S. M. par suite des graves circonstances actuelles désire la convocation, a donné sa démission. M. Sagasta a été chargé de former nouveau Cabinet.

263

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 5415. Roma, 20 dicembre 1871 (per. il 21).

Risulta a questo Ministero che il notissimo agitatore socialista Bakunine da qualche tempo si trova a Locarno, d'onde corrisponde sotto il pseudonimo di Silvio cogli aderenti all'Internazionale sparsi in varie provincie italiane.

Comunico questa notizia all'E. V. per quegli uffici che reputasse convenienti di fare al governo della Confederazione elvetica, ed ai rappresentanti il R. Governo in quel territorio.

264

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4061. Vienna, 21 dicembre 1871, ore 21,20 (per. ore 8 del 22).

V. E. aura à cette heure la confirmation de la destination du Comte Wimpffen à Rome.

Au Comte Andrassy qui m'en a parlé, j'ai cru pouvoir dire que ce choix serait agréé. Le baron de KUbeck ira présenter ses Iettres de ra,ppel, les premiers jours de janvier.

M. Zalusky est rappelé à Vienne au Cabinet du ministre. La nomination de M. de KUbeck près du Saint Siège est positive mais pas imminente. Le Comte Andrassy ne m'en a pas souffié mot, et j'ai cru ne pas devoir l'interroger sur une chose à laquelle nous devons nous montrer étrangers.

265

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 45. Vienna, 22 dicembre 1871 (per il 27).

Come ebbi l'onore di ragguagliare l'E. V. telegraficamente ieri, (l) il Conte Andrassy mi annunziò la scelta definitivamente fatta del Conte Wimpfen a Rappresentante Imperiale e Reale presso Sua Maestà l'Augusto Nostro Sovrano, soggiungendomi che ieri stesso davasi incarico al Conte Zaluski di presentire secondo l'usanza l'E. V. su tale nomina. Già essendo piaciuto all'E. V. darmi alcuni mesi or sono, allorchè già parlavasi di tale eventualità, istruzioni in proposito, me ne valsi e risposi al Conte Andrassy che una tale scelta già essendo stata presentita da alcun tempo, ero in grado di sapere che essa sarebbe stata con particolar favore accolta dal R. Governo. Il Ministro si compiacque allora soggiungermi, che il ritardo a tal nomina per parte sua era provenuto dacchè egli non conosceva particolarmente il Conte Wimpfen, ed aveva quindi voluto constatare, prima di addivenire ad una formale proposta all'Imperatore, i sentimenti particolari di quel diplomatico. Che avendo egli seco lui lungamente conferito erasi accertato che per nulla peccava di ultramontanismo, e che anzi pienamente divideva le sue idee sul potere temporale del Santo Padre: che quindi, ben persuaso che egli era l'uomo atto a sempre maggiormente stringere le cordiali relazioni coll'Italia, da lui tanto desiderate, non aveva più creduto esitare ad avanzare all'Imperatore la conseguente proposta. Egli dissemi ancora che il Barone Ki.ibeck sarebbesi recato a Roma a presentare le sue lettere di richiamo tostochè il Re vi avrebbe fatto ritorno, cioè nei primi giorni di gennajo. Come dissi poi, del pari nel mio telegramma di ieri, egli mi :confermò quanto già avevami accennato altra volta, il suo intendimento cioè di chiamare presso di se a coprire l'importante posto già tenuto dal Barone Aldenburg, il Conte Zaluski.

Della nomina del Barone Ki.ibeck ad Ambasciatore presso la Santa Sede non mi fu fatto motto, e come telegrafai all'E. V. credetti dovermi astenere dal farne parola, sembrandomi non doversi per parte nostra dimostrare intenzione di ingerirsi in simile affare. Antecedentemente avevo però avuto particolarmente la conferma di tale destinazione da un alto funzionario del Ministero, il quale dissemi al tempo stesso che per riguardi varj, il Barone Ki.ibeck non sarebbe transitato direttamente da Inviato presso il Re d'Italia ad Ambasciatore presso la Santa Sede, ma che tale nuova nomina effettuerebbesi dopo che il Barone Ki.ibeck sarebbe stato per breve tempo in disponibilità, misura .che salverebbe varie convenienze.

(l) Cfr. n. 264.

266

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 46. Vienna, 22 dicembre 1871 (per. il 27 ).

Nell'ebdomadaria conferenza di ieri col Ministro degli Affari Esteri, parlando della prossima apertura del Reichsrath e del discorso della Corona nel quale, a quanto dicono i giornali, farebbesi cenno della politica estera della Monarchia, trovai opportuna occasione di far cadere il discorso sulle insistenti voci che da alcuni giorni corrono nei circoli politici di questa Capitale a riguardo di un'alleanza già stretta o da stringersi dall'Austria-Ungheria colla Germania e la Russia. Voci in verità da me ritenute senza fondamento, ma però generalmente ripetute ed avvalorate da un importante, sebbene alquanto sibillino, articolo dell'ufficioso giornale russo il Regierungsbote. Il Conte Andrassy non esitò a dichiarare l'assoluta insussistenza di tali voci; dissemi che alla sua venuta al Ministero egli si era preoccupato dello stato delle relazioni della Monarchia colla Russia, relazioni che in verità, continuava egli, non solo erano difficili, ma s'aggravavano di giorno in giorno: che quindi nulla aveva creduto poter trascurare per ristabilirle su di un piede di reciproca sicura fiducia, corrispondente al programma di pace svolto nella sua Circolare. Che ciò era tutto; che il cercar di più era un'utopia; che le alleanze dovevano avere uno scopo, e che questo avrebbe mancato ad un'alleanza colla Russia; che in fatto di alleanze egli intendeva esclusivamente coltivare quelle che già avevami indicato, cioè colla Germania e coll'Italia, con questa essenzialmente, ravvisando in esse un vero scopo, cioè l'assoluto reciproco interesse delle due nazioni, ed anzi colse nuovamente quest'occasione per riconfermarmi tutta la sua simpatia per l'Italia ed il suo convincimento che non solo 111 perdita del potere temporale non era un male per il Papa, ma anzi un vantaggio grandissimo per la sua indipendenza spirituale, non nascondendosi al tempo stesso la convenienza assoluta per l'Italia, al punto di vista della sua grandezza e forza, ch'essa riesca a vincere la lotta acerba e talvolta poco leale e sgarbata anche che le si muove dal Vaticano, ed a conservare a Roma a fianco del Re il supremo gerarca della Chiesa cattolica. Ritornando poi a parlare della Russia mi analizzò il precitato articolo del Regierungsbote dicendomi che se altamente apprezzava le pacifiche ed anzi cordiali assicurazioni per l'Austria-Ungheria in esso svolte, trovava non doversi però ugualmente perdere di vista la conclusione dell'articolo, nella quale non solo l'idea panslavista non veniva abbandonata, ma anzi accentuavasi per quel tempo avvenire in cui avrebbe potuto dare frutti maturi. Voi vedete dunque, disse che non può essere questione di alleanza. Avendo ogni ragione di credere alla pienissima sincerità e lealtà del Conte Andrassy, questa conversazione ch'io ebbi seco Lui su di cosa che trovò pur non lieve eco nei giornali, parvemi meritevole d'essere riferita all'E. V.

267

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 61. Madrid, 22 dicembre 1871 (per. il 28).

Le nouveau Ministère, qui a preté hier serment entre les mains du Roi, se compose, ainsi que j'ai eu l'honneur de le télégraphier à V. E., de M. Sagasta: Président du Conseil et Ministre de l'Intérieur;

M. Colmenares: Ministre de Grace et Iustice;

M. De Blas: Ministre des Affaires Etrangères; Général Gaminde: Ministre de la Guerre;

M. Angulo: Ministre des Finances; Amiral Malcampo: Ministre de la Marine;

M. Groizard: Ministre du Fomento;

M. Topete : Ministre des Colonies.

Le Cabinet présidé par l'Amiral Malcampo ayant insisté dans sa démission malgré les refus réitérés de S. M. de l'accepter, le Roi, qui avait déclaré que les Ministres continuaient à jouir de Sa confiance, a cru devoir s'adresser au Chef du parti Progressiste -Conservateur, auquel ce Cabinet appartenait, pour la formation du nouveau Gouvernement. M. Sagasta, en effet, comprenant le mobile qui a dirigé la conduite de S. M. et qui prouve toujours davantage la haute impartialité de la Couronne, n'a fait que modifier le Ministère précédent en gardant au sein de la nouvelle situation quatre des anciens Ministres. Le nouveau Président du Conseil n'a cependant pas voulu négliger cette occasion pour faire une dernière tentative auprès de M. Zorrilla afin de réunir les deux fractions divisées de leur meme parti. Mais M. Zorrilla a refusé toute espèce de transaction affirmant que le parti radica!, dont il est le chef, était désormais séparé des partisans de M. Sagasta par des différences trop grandes de principes et de système politique. M. Sagasta a voulu aussi prouver par .cette démarche, dont il ne pouvait espérer aucun résultat, qu'il était toujours fidèle à sa conviction, qu'en présence des difficultés et des obstacles qui dérivent des oppositions parlementaires antidynastiques et jusqu'à ce que la dynastie n'eut pris de plus fortes racines en Espagne, il fallait à tout prix maintenir la conciliation des partis qui ont fait triompher la Révolution de Septembre et qui ont élevé au tròne un Prince de la maison de Savoie. C'est toujours comme une conséquence de cette conviction que M. Sagasta s'est adressé à M. Topete pour s'assurer, par l'importance politique qui se rattache à ce nom, la bienveillance et l'appui que l'Union Libérale avait promis a l'Amiral Malcampo. M. Topete appartient par ses votes et par sa conduite parlementaire au parti conservateur, quoiqu'il se soit constamment refusé d'abdiquer sa liberté d'action en s'affiliant officiellement à un parti quelconque, et son entrée ou sa sortie des Ministères, qui se sont succédés depuis la chute des Bourbons, a toujours constaté les différentes phases de rupture et de réconciliation entre les progressistes et les unionistes. M. Sagasta, par conséquent, loin de pouvoir étre accusé d'avoir passé au camp des conservateurs, -ainsi que les journaux radicaux s'efforcent de le prouver, -n'a fait, en décidant M. Topete à accepter le

portefeuille si important des Colonies, que poursuivre avec fermeté la politique qu'il a sans cesse défendu et représenté de conciliation entre tous les amis de l'ordre de choses actuel.

On ne peut guère prévoir si le Cabinet pourra réussir à s'assurer une existence plus longue que les situations qui l'ont précédé. Le parti radica! a commencé déjà à lui faire une guerre acharnée dans la presse et il se prépare à le renverser dès que Ies Cortès se rouvriront dans le courant du mois prochain. Toute la question consiste a présent à savoir si l'opposition réunira contre le Ministère une majorité dynastique; puisque S. M., à ce qu'il semble, est décidée à ne pas compter ces votes antidynastiques qui, par Ieurs monstrueuses coalitions, ne servant qu'à démolir, ne peuvent etre pris en considération par la Couronne lorsqu'il s'agit de reconstruire un nouveau Gouvernement. Si M. Sagasta venait à tomber par l'effort combiné des Républicains, des Carlistes et des Radicaux, tout en étant soutenu par un nombre de Députés Dynastiques supérieur aux seuls Radicaux, il est probable que le Roi, reconnaissant l'impossibilité de gouverner avec !es Chambres actuelles, lui confierait le Décret de dissolution.

La situation du moment peut se définir de la manière suivante: c'est une lutte à mort entre les deux fractions du meme parti Progressiste dont l'une croit que le salut de la Dynastie consiste à s'appuyer, dans ses commencements, sur les forces et l'esprit populaires, et l'autre qui croit que ce salut dépend d'une politique de conciliation et d'attraction des différentes forces conservatrices qui demandent à etre rassurées après le trouble et les secousses que la Révolution leur a fait subir.

268

IL CONSOLE GENERALE A SERAJEVO, DURIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 129. Serajevo, 19-22 dicembre 1871 (per. l' 1 gennaio 1872).

Reputandole generazioni spontanee ed effimere del tal qual fermento cau

sato negli animi dalla gita del Principe Milano a Livadia, ho procrastinato nello

accennare a più frequenti voci locali di attivi maneggi, imputati alla vicina

Serbia, a scopi di non lontane novità in Bosnia. Oggi però mi reco a dovere

di riferire che ragguagli confidenziali, testè avuti da persona degna di tutta

fede, mi sembrano avvalorare le succennate vod in modo non immeritevole

di attenzione.

Vuolsi diffatti sapere che qua e là in Bosnia stiasi procedendo a formali

segreti arruolamenti, che immissioni di armi e materie da polverificio, pro

venienti dalla Serbia, stiano operandovisi da qualche tempo, e che sarebbe

anzi non ha guarì riuscito alle Autorità turche di scoprire un deposito di tali

importazioni, cose tutte difficilissime a verificare perchè al costume del far

niente, del saper niente, queste Autorità sogliano accoppiare anche quello di

dir mai niente. Avvi però un fatto che induce a non credere le voci destituite

affatto di fondamento, un telegramma cioè che la Comunità ortodossa di Knezopolie (distretto di Costainiza nel Sangiaccato di Bihacc) ebbe l'ardimento di indirizzare il 6 corrente a questo Console di Russia perchè facesse lui cessare le oppressioni d'ogni natura che proclama indurare dalla propria Autorità ottomana. Il malgoverno è insufficiente a spiegare l'ardimento di una communità ottomana a reclamare pubblicamente la protezione di un Console estero che per giunta si trovi esser quello di Russia: quei di Knezopolie, località esclusivamente abitata da ortodossi e nota nei fasti rivoluzionarj del paese per ispirito di iniziativa, devono esser stati spinti da una pressione esterna, più sollecita in verità a curare l'onta dell'Autorità locale che non a chiamarla a resipiscenza. Mi parrebbe quindi logico l'ammettere che esiste il bucinato lavorio esterno avente per oggettivo la Bosnia, abbenchè ed origine motrice e proporzioni sue mi sieno ignote.

Al Console di Russia che previa le possibili precauzioni oratorie leggeva il telegramma al Valì, questi rispondeva non poter tener conto della comunicazione finchè non gli venisse innoltrata nelle vie legali.

P. S. -22 dicembre. Unisco copia di mio rapporto d'oggi alla R. Legazione.

269

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERNA, MARTUSCELLI

D. 79. Roma, 23 dicembre 1871.

Il Ministero dell'Interno mi ha confidenzialmente informato essere giunto a sua notizia che nel Canton Ticino travasi in questo momento il noto agitatore russo Bakunine, il quale da Lugano tiene corrispondenza coi principali affiliati italiani della Società internazionale, valendosi del pseudonimo di Silvio.

Mi affretto di render consapevole la S. V. Illustrissima di questo fatto perchè stimo opportuno che anche il Governo federale ne sia edotto per propria norma.

270

IL MINISTRO A BRUXELLES, BLANC, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 24. Bruxelles, 25 dicembre 1871 (per. il 28).

Mi pregio di inviare all'E. V. il resoconto ufficiale della seduta della Camera dei Rappresentanti del 21 corrente nella quale il Signor Thonissen, membro della destra e professore dell'Università di Louvain, fece adottare dalla Camera una sua proposta perché la lingua Italiana fosse compresa coll'Inglese e la Tedesca

tra quelle la cui cognizione conferirà un titolo di preferenza ai dottori in legge,

filosofia, lettere, scienze e medicina che aspirino ad ottenere le bourses di 2000

all'anno per compiere i loro studi all'estero.

Il Signor Thonissen motivò tale proposta affermando che l'Italia si trova

a capo delle nazioni Europee per le scienze giuridiche e che essa è rimasta ani

mata da un notevolissimo spirito scientifico.

271

L'INCARICATO D'AFFARI DI FRANCIA A FIRENZE, DE SAYVE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Firenze, 26 dicembre 1871 (per. il 27 ).

Conformément aux instructions que j'ai reçues de mon Gouvernement, j'ai l'honneur de vous informer que la Légation de France auprès de Sa Majesté le Roi d'Italie sera définitivement transférée à Rome le 1er Janvier prochain.

272

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI

D. 27. Roma, 27 dicembre 1871.

Mi pregio accusar ricevuta alla S. V. dei di lei pregiati rapporti politici fino al 132 di questa serie incluso. Attirò particolarmente la mia attenzione il di lei rapporto n. 118 del J,o ottobre (l) concernente le ferrovie serbe come quelle che sono destinate ad esercitare una influenza grandissima sui futuri destini politici ed economici di questo Principato. M'interessò del pari grandemente quanto ella mi scrisse nei di lei ultimi rapporti circa allo stato delle relazioni esistenti fra la Serbia e quelle fra le nazioni europee che per comunanza di frontiere e per i loro interessi politici

nelle questioni orientali hanno maggiore interesse a far valere la loro influenza nell'andamento della politica serba.

273

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 1783. Roma, 28 dicembre 1871, ore 15.

Le Ministre de Turquie insiste pour que nous prenions une décision sur la question de Tripoli. Il nous serait agréable de procéder d'accord avec le Gouvernement français dans cette affaire au sujet de la quelle il me semble toutefois qu'on ne saurait se dispenser plus longtemps de donner une réponse définitive. Veuillez en parler à M. de Rémusat et vous informer de ses intentions.

(l) Cfr. n. 134.

274

IL MINISTRO ALL'AJA, BERTINATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

'I'. 4066. L'Aja, 28 dicembre 1871, ore ... (per. are l del 29).

La première Chambre a adopté le vote de la seconde chambre relativement à la suppression du poste auprès du St. Siège.

275

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA

D. 92. Roma, 29 dicembre 1871.

Le Chargé d'affaires du Roi à S. Pétersbourg a eu l'occasion de me signaler, dans sa correspondance politique, l'intéret avec lequel le Gouvernement du Czar suivait les phases de la question pendante depuis quelques mois entre l'Italie, la France et la Grèce, au sujet de la concession des mines du Laurium accordée par le Gouvernement hellénique à une société Franco-Italienne. M. le Baron d'Uxkull m'a entretenu dernièrement de cette affaire, et quoique le représentant russe ait eu soin de me déclarer qu'il n'était chargé par son Gouvernement d'aucune communication spéciale s'y référant, j'ai cru devoir lui donner à ce sujet quelques explications, dont il est utile que vous avez, vous meme, connaissance.

En manifestant au Représentant de la Russie les intentions du Gouvernement de S. M. relativement à l'affaire du Laurium, je ne lui ai pas laissé ignorer les sentiments de conciliation que l'Italie a toujours taché de faire prévaloir dans les négociations avec la Grèce. Nous avons pu regretter en effet que le Cabinet d'Athènes ait cherché à engager dans cette affaire la dignité nationale de la Grèce, sans nous laisser toutefois entrainer par lui sur un terrain où la question aurait été complètement déplacée.

Bien au contraire, dans une pensée de conciliation et pour éviter au Cabinet d'Athènes jusqu'à l'apparence d'une concession dont l'opinion publique en Grèce eut à se plaindre, nous avions prop-osé à la Grèce de soumettre le différend de la compagnie Franco-Italienne avec l'administration hellénique à un arbitrage dans lequel la parité de conditions et de garanties était soigneusement assurée aux deux parties en litige. Nous avions proposé d'accord avec la France, que les arbitres fussent en nombre de cinq, deux pour la compagnie et deux pour l'administration grecque. Le cinquième arbitre, chargé de présider la commission, devait etre un étranger, et nous avions suggéré pour remplir ces fonctions délicates, le choix de M. Stuart, le représentant actuel de la Grande Bretagne

en Grèce.

2 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

Sans repousser formellement notre proposition le Gouvernement hellénique vient de l'écarter dans ses communications récentes à Paris et à Rome. Il s'efforce de démontrer que la question des mines du Laurium est une question d'ordre intérieur; qu'il n'appartient par conséquent qu'aux tribunaux ordinaires de la Grèce de statuer sur les contestations pouvant surgir entre les concessionnaires italiens et français et l'administration grecque. Le nouveau Ministre des Affaires Etrangères de la Grèce invoque à l'appui de la question préalable posée par lui, le droit d'indépendance de son pays, et semble vouloir ainsi passionner de plus en plus le débat.

Je désire M. le Ministre, de vous mettre à méme de faire apprécier l'état de cette question au Gouvernement auprès du quel vous étes accrédité, à un point de vue plus exact. A cet effet, je vous envoie un mémoire explicatif (1), dans lequel les points les plus essentiels de la question se trouvent résumés. Par cette communication nous voulons répondre à l'intérét amicai que le Gouvernement du Czar nous a paru témoigner pour la solution de l'affaire du Laurium. Nous avons trop hautement appréciés les sentiments qui ont inspiré son attitude, pour hésiter à faire appel à ces mémes sentiments afin qu'il s'intéresse également à ce que la Grèce se montre animée de l'esprit de conciliation dont l'Italie et la France ne se sont jamais écartées. C'est dans l'espoir que le Cabinet de St. Pétersbourg voudra accueillir favorablement la communication dont je vous charge, que je vous autorise M. le Ministre, à remettre à S. A. le Prince de Gorchakoff une copie du mémoire ci-joint si Elle exprime le désir de le consulter.

276

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4067. Parigi, 29 dicembre 1871, ore 14 (per. ore 18).

M. de Rémusat convient qu'il est temps de définir la question de Tripoli. II m'a assuré qu'il vous soumettra, ainsi qu'à l'Angleterre, un projet de protectorat.

277

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

D. 114. Roma, 31 dicembre 1871.

Ella avrà forse già cognizione di un affare nato in Grecia fra quell'amministrazione fiscale ed una società itala-francese relativamente alla concessione di certe miniere di piombo argentifero situate nella regione denominata il Laurium. Qual sia la quistione giuridica ed in quali termini ora essa si trovi, V. E. potrà

vedere prendendo notizia del promemoria qui unito (1). E del pari Ella avrà sufficiente informazione della quistione medesima sotto il suo aspetto diplomatico, quando Ella avrà letto la lettera direttami dall'Incaricato d'Affari di Francia il 16 di questo mese per invitarmi a fare di concerto con il suo Governo delle pratiche presso le potenze che hanno autorità per farsi ascoltare ad Atene.

Fra queste potenze primeggia di sicuro la Gran Bretagna ma la circostanza dell'avere Lord Granville cortesemente aderito alla scelta del Signor Stuart, rappresentante inglese ad Atene, per le funzioni di arbitro e presidente del Collegio arbitrale al quale noi proponiamo di sottoporre la vertenza, potrebbe forse consigliare tanto alla Francia che a noi di astenerci dal chiedere che l'Inghilterra porga consigli al Gabinetto ellenico in questa occasione. Questo riflesso io sottopongo a lei Signor Ministro, persuaso che Ella saprà in ogni caso apprezzare meglio di ogni altro in quale misura il Governo della Regina potrebbe essere da noi interessato a far accogliere dalla Grecia un temperamento equo e conciliativo, trattandosi di una quistione in cui il rappresentante britannico dovrebbe sedere arbitro. Epperò, a lei sembrerà probabilmente conveniente sentire, prima di parlare a Lord Granville di questo affare, quali istruzioni abbia ricevuto in proposito l'Ambasciatore francese, sia per regolare il poprio linguaggio sopra quello del rappresentante di Francia, sia per intendersi con lui circa i passi da farsi presso il Governo inglese.

(l) Non pubblicato.

278

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE AD ALESSANDRIA D'EGITTO, G. DE MARTINO

D. 66. Roma, 31 dicembre 1871.

Le accuso ricevuta del di lei carteggio politico sino al n. 174 incluso. Rispondendo a quest'ultimo suo rapporto (2), stimo opportuno farle conoscere le istruzioni che sino dal mese d'ottobre di quest'anno io ho dato al Ministro del Re a Costantinopoli nel senso di patrocinarvi la riforma giudiziaria in quei termini nei quali è stata riconosciuta non solamente utile ma opportuna e necessaria dalla Commissione appositamente presso di noi istituita.

In quelle istruzioni, io ho particolarmente insistito, ed ora insisto anche presso la S. V., perchè la riforma non abbia ad essere introdotta parzialmente, giacchè l'esito della medesima ne verrebbe compromesso. Appena è mestieri ch'io le dica, signor commendatore aver io approvato ciò che ella disse in proposito a Nubar pascià e che mi ha riferito nel precitato rapporto del 20 corrente. Qualora la giurisdizione dei nuovi tribunali non dovesse estendersi alle cause del Governo

e delle pubbliche Amministrazioni egiziane, noi lascieremmo sussistere per tali vertenze l'incertezza presente, e così renderemmo inutile, o quasi, la riforma giudiziaria, scopo precipuo della quale è appunto di far cessare tali incertezze e gl'inconvenienti di ogni specie che ne sono la conseguenza. Mi propongo pertanto di scrivere col prossimo corriere al R. Rappresentante a Costantinopoli per ricordargli le istruzioni già impartitegli, e per fargli conoscere l'opportunità di agire nelle circostanze presenti conformemente alle istruzioni medesime.

(l) -Non pubblicato. (2) -Non pubblicato, ma cfr. n. 129.
279

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4070. Bema, l gennaio 1872, ore... (per. ore 18,15).

Président de la Confédération répondant aux souhaits que je lui ai adressés au nom du Gouvernement du roi m'a dit entre autres que les rapports diplomatiques qui ont existé entre la confédération et le S. Siège allaient cesser et que le conseil fédéral auquel sur ce sujet assemblée fédérale se réfère pleinement était d'accord sur la convenance d'interrompre toute relation avec la nonciature. C'est là le cadeau du nouvel an que dans ces jours la Suisse envoye à l'Italie.

280

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 175. Berna, l gennaio 1872 (per. il 16).

In conferma ed a compimento del mio telegramma di quest'oggi (l) debbo aggiungere: Mi sono recato stamane col personale diplomatico di questa Legazione al palazzo federale per fare i complimenti d'uso al Presidente della Confederazione.

Il Signor Welti, che assumeva in questo giorno stesso l'alto uffizio, accolse con segni di evidente gradimento i voti che io gli porgeva in nome del Governo Reale, tanto per la persona di lui, quanto per la Confederazione, e con sentite parole espresse gli stessi sentimenti pel Re e per l'Italia.

In quest'occasione si venne a discorrere delle cause molteplici che cementavano e rendevano oramai indissolubili i rapporti amichevoli esistenti già fra i due paesi; si congratulò con noi dell'instauramento del Parlamento a Roma, ed accennò come la Svizzera si fosse posta, cogli ultimi voti dell'Assemblea federale, nelle stesse vie in cui s'è posta l'Italia per ciò che concerne le relazioni della

Chiesa collo Stato, e manifestò l'avviso che i Cantoni seguirebbero quest'esempio per ciò che concerne queste relazioni. L'eminente magistrato mi disse che l'Assemblea federale aveva affidato al Consiglio esecutivo della Confederazione la facoltà di decidere sull'opportunità di abolire la Nunziatura, sorgente ben spesso di gravi difficoltà per la Svizzera, ed aggiunse che il Consiglio federale era d'accordo sulla convenienza d'interrompere al più presto le sue relazioni col Nunzio.

Non è necessario che io faccia osservare qui che il Signor Welti m'informava di ciò nell'intenzione di fare cosa che sarebbe riuscita grata al Governo Italiano. Non ho stimato dover lasciare ignorare all'E. V. l'ultima parte della conver

sazione col Presidente della Svizzera.

(l) Cfr. n. 279.

281

IL VICE CONSOLE A BUCAREST, GLORIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 330. Bucarest, 3 gennaio 1872 (per il 12).

Con 75 voti favorevoli contro 48, la Camera dei deputati ha approvato ieri in totale il progetto di legge proposto dai delegati delle sezioni allo scopo di dare una soluzione alla vertenza coi detentori delle obbligazioni ferroviarie rumene.

Questa votazione prova quanto il presente Gabinetto sia forte nella Camera, avendo potuto ottenere, in una questione tanto importante e che destava tante passioni, una sì sensibile maggioranza. Sicchè, se la logica presiedesse agli affari di questo Paese, vi sarebbe tutto a sperare che, senza fortissimi intrighi esteri, il Ministero Catargi potrebbe avere una vita molto meno effimera di quanto l'abbiano generalmente i Gabinetti in Rumenia.

Ma questo voto ha egli allontanato i pericoli dalla Rumenia? Ha egli calmato il malvolere del Governo della Germania? Una conversazione che ebbi ieri seri! stessa col Reggente del Consolato Generale Germanico, mi fa credere di no.

• Io non credo, mi diceva il signor Tielau, che i detentori Germanici possano accettare veruna delle due soluzioni votate ieri dalla Camera Rumena, la prima delle quali rende quasi impossibile ad essi il continuare i lavori, la seconda lor fa perdere troppo. Il Ministero non fu punto di buona fede o per lo meno non mise verun impegno per far introdurre nel progetto dei delegati quelle modificazioni che il signor From dichiarava indispensabili per far riuscire un accomodamento. La legge votata è una transazione in cui la Rumenia si fece la parte del leone. Vedremo cosa farà il Senato e poi cosa deciderà la riunione generale dei detentori, stata convocata, (se ben ricordo) pel 26 del corrente mese. Se le proposte rumene non saranno accettate, alors ce sera de nouveau notre tour, du reste, egli aggiunse, les Roumains se trompent fort s'ils croient que si les détenteurs accepteront, le Gouvernement de l'AlZemagne aura de nouveau avec la Roumanie les memes bonnes relations d'une fois. Io gli chiesi allora quali erano gli articoli che facevangli parere come inaccettabile da parte dei detentori la legge votata, e quali le ragioni per cui, terminato questo affare, la Germania non avrebbe ripreso il suo antico modo benevolo di agire verso la Rumenia. Alla prima delle interrogazioni, egli mi rispose non poterm! ciò spiegare se non avendo avanti gli occhi la legge votata dalla Camera, ed esser questo piuttosto affare del signor From che suo proprio. Alla seconda domanda poi ei mi rispose: nos griefs envers la Roumanie sont très-nombreux, et il faudra qu'un jour ou l'autre elle les paie et cher, mais pour le moment je ne puis rien vous ajouter.

Non avendo ancor potuto avere io stesso il testo della legge votata ieri, nè avendo ancor avuto una seria conversazione in proposito con il Signor From, non potrei pronunciarmi per ora se veramente siavi luogo di far tanta opposizione, ma riandando nella mia mente gli avvenimenti dell'inverno scorso, e rammentando tutti gli sforzi fatti dalla Prussia per far partire il Principe Carlo, sempre più si conferma in me l'idea che interessi ben più gravi che non i 200 milioni di capitali tedeschi impiegati nelle ferrovie rumene, furono quelli che decisero il Principe Bismark a prendere con tanto ardore in mano questo affare, ed a trattarlo con tanta asprezza.

La condotta del Governo germanico da circa due anni a questa parte, mi fa credere che la caduta della Rumenia sia un fatto deciso nella mente del Principe di Bismark. In forza di quali combinazioni, nè in favore di chi ciò debba avvenire, io nol so; ma l'E. V., coi mezzi di cui possiede, potrà facilmente venirne in chiaro. Io non posso far altro che riportare all'E. V. gli avvenimenti che si svolgono in questo paese, ed esporle le supposizioni che il loro concatenamento fa nascere nell'animo mio.

282

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Londra, 3 gennaio 1872.

Ho ricevuto a suo tempo la sua pregiata lettera del 19 Dicembre (l) p. p. con unitavi lettera del Signor Borth Frère pel Signor F. Monat. Non mi è stato possibile rispondere prima d'ora perchè il Signor Conte Granville, e tutti i Ministri sono sempre lontani da Londra, e ad ogni settimana cambiava la loro dimora. Mi riuscì di vedere Lord Granville il 30 Dicembre in occasione di un suo momentaneo ritorno a Londra, e l'ho lungamente trattenuto sull'affare dell'isola di Borneo, e sulla nostra quistione per la deportazione. Ho creduto meglio di farle un rapporto confidenziale di codesto abboccamento, in forma tale però che, all'occorrenza, Ella possa servirsene ed Ella troverà questo rapporto qui unito (2). Le dirò ora ciò che in codesto rapporto non poteva trovar sede opportuna.

Mi pare, dopo le molte prove, troppo chiaro che il Governo Inglese, qualunque ne sia il motivo, non vede molto volontieri il nostro progetto di occupare una terra nei grandi lontani mari per farvi uno stabilimento di deportazione. Ma l'opposizione non fu finora per sua parte aperta, sibbene indiretta, fatta caso per caso, senza ragionamenti, e motivi; sopratutto non fu mai ostensivamente basata sopra considerazioni politiche. In seguito all'incarico che Ella mi ha dato non solo di domandare la risposta per Borneo, ma di chiedergli se, in occasione, erano disposti ad appoggiarci, io volli nella mia conversazione procurare di vederci un po' più addentro, epperciò ho replicato, ho insistito, e diretto ogni sforzo ad obbligare Lord Granville a pronunziarsi. Ora dal rendiconto di questa assai lunga conversazione Ella vedrà, che da essa traspare una non celata riluttanza al nostro progetto, appoggiata a ragioni insussistenti, e non applicabili al caso, le quali, (dette da Lord Granville uomo molto fino, e di molta intelligenza) danno il diritto di credere, che i veri motivi di questa riluttanza non si vogliono dire, e che non si vuole perchè ragionevolmente non si può. Ora tutto ciò mi conferma nella presunzione che le difficoltà non sono nel caso particolare di Borneo, e che noi furono negli altri consimili che l'hanno preceduto; ma che hanno base in una ragione politica di carattere generale. Ella rileverà che alla nota da me fatta cortesemente nella forma, ma incisivamente nel fondo, intorno alla comunicazione del nostro progetto fatta all'Olanda Lord Granville si accontentò di dire che non ne aveva presa l'iniziativa, ma che era stato interpellato, e che nulla rispose intorno ana causa poco benevola a noi, che io aveva attribuita a questa comunicazione. Debbo anzi aggiungere che anche solo per avere questa risposta dovetti tornare tre volte alla carica ripetendogli la stessa cosa, e l'ultima volta un po' marcatamente dicendogli che Io avevamo saputo dallo stesso Ministro Olandese a Roma. Anche la mia domanda se potevamo contare sulle buone disposizioni del Sovrano non ebbe risposta che sul fine della nostra conversazione,

quando io gli rinnovai l'interrogazione in modo, che mi dovesse rispondere. Ella noterà poi il tenore di questa risposta cortese nella forma, favorevole in modo generico, ma temperata subito dalla espressione dell'opinione che il nostro progetto non sarebbe riuscito.

Se questo contegno di Lord Granville non fosse già stato preceduto da molti fatti che indicano la ripugnanza dell'intero Governo ai nostri progetti si potrebbe dubitare se il ·contegno di Lord Granville in questa circostanza possa considerarsi proveniente da un partito preso. Di fatto l'aspettare la risposta del Governatore della Gujana, il volerne parlare coi suoi Colleghi, la somma cura che pone sempre Lord Granville di dire troppo poco pel timore di dir troppo, potrebbero dare una spiegazione a noi meno contraria del suo contegno. Lo stesso potrebbe essere suggerito dalla circostanza, che è la prima volta che Lord Granville è tratto a considerare la questione nettamente dal punto di vista di un vero stabilimento penitenziario che non presenta gli inconvenienti di una colonia. E di fatto è questo l'elemento che gli ha dato più imbarazzo nella nostra conversazione, nella quale ragionava ed objettava sempre come se questo elemento non ci fosse.

Ma i fatti precedenti del Governo mi fanno temere che si aspetti la risposta

del Governatore per avere un nuovo appoggio od un rifiuto; che Granville voglia

parlare ai Colleghi perchè deliberino anche in vista del nostro progetto di fare

un penitenziario, e trovino nuovi motivi ad un rifiuto. Certo è che se non vogliono !asciarci piantare in que' mari la nostra bandiera, non vi consentiranno solo perchè faremo un penitenziario invece di una colonia.

Le espongo i miei motivi di dubbio, ma sarebbe certo troppo temerario lo spingere fin d'ora le cose al di là del dubbio. Parmi però che quando ci daranno la risposta per Borneo la cosa debbe essere chiarita, dappoichè ora abbiamo anche domandato in genere un appoggio morale. Ciò vuol dire che se ci dessero una negativa per Borneo, e se avessero realmente voglia di ajutarci, ci dovrebbero contemporaneamente o fare qualche proposta, o darci qualche suggerimento, od indicazione di località, e mostrarsi disposti ad ajutarci per conseguirla o per cessione, od altrimenti. Se non lo faranno sarà a mio avviso evidente che non ci vogliono ajutare, e che ci contrarieranno in questa faccenda. Sapremo almeno come la pensano, saremo dispensati dall'interpellarli, e dal perdere anni aspettando risposte sempre negative, e potremo avvisare al da farsi.

Io mi permetterò di esprimerle l'opinione che sarebbe conveniente di piantare a Lord Granville la questione in modo che, se ha buona volontà debba farci una proposta, darci un consiglio, offrire un appoggio contemporaneamente alla risposta negativa che ci facesse per Borneo. Dopo tanti rifiuti, e tanti nostri tentativi falliti per volontà dell'Inghilterra, si ha ragione di domandarglielo, perchè provi col fatto se ha buona o cattiva volontà in questo affare. A me pare, che io potrei a questo fine dire-Lord Granville-• Ho comunicato la vostra conversazione del 20 Dicembre 1871 al mio Ministro; egli vi ringrazia delle buone disposizioni che mi avete manifestate di ajutarci; confido che le dichiarazioni che vi ho fatte sul modo col quale noi vorremo fare la deportazione possano giovare ad allontanare le difficoltà che avessero potuto esistere per l'Isola di Borneo; e confido altrettanto, che in vista della cura, che abbiamo sempre posto di non far nulla, se non d'accordo con Voi, in vista di che non abbiamo dopo molti anni e tentativi potuto raggiungere il nostro intento; in vista infine della ineluttabile necessità di conseguirlo in qualche modo, Voi dovrete nel caso che anche la risposta pe1· Borneo fosse per essere contraria al nostro desiderio, darci ne~ tempo stesso quei suggerimenti, farci quelle proposte, fornirci quel morale appoggio mediante cui noi possiamo realmente trovare un luogo opportuno a soddisfare al nostro scopo che ci è imposto dal dovere, dall'onore, dalla civiltà, soddisfacendo in tal modo anche all'opinione pubblica risultante da' suoi organi principali nel Vostro Paese. Non solo il mio Governo, ma l'Italia che reclama unanime questo mezzo di repressione dei delitti, ne sarebbe molto grata al Governo Britannico •.

Ho compendiato il mio pensiero, a solo modo di cenno in questo lungo periodo. Se l'Inghilterra dicendoci di no per Borneo, non ci giovasse altrimenti,

o se fin d'ora Granville mi dicesse, che non crede, o non sa che cosa potrebbe suggerirei, noi sapremmo chiaramente che cosa ne dobbiamo pensare dopo di aver posta la questione in questo modo. Ella vedrà se in questa mia idea ci sia qualche cosa di buono.

Ho mandato subito la lettera al Signor F. Monat, e fui io stesso a trovarlo. Fu meco gentilissimo, e si mostrò dispostissimo a trovarmi in seguito, ed a trattare degli affari relativi alla deportazione. Era ora, e per una quindicina di giorni occupato assai per una commissione, poscia sarebbe venuto a trovarmi.

Ora potrebbe essere certamente utile, che io potessi vedere il signor Gladstone, ma come trovarlo, dappoichè non è mai a Londra? Per altra parte bisognerebbe che lo potessi incontrare in modo da non avere l'aria di premunirmi contro Granville. Farò tutto il possibile per riuscire nell'intento, ma è difficile che possa attenerlo presto.

Voglia, ne la prego, assicurare anche il Presidente del Consiglio, che pongo il più grande interesse su questo affare, che, anche per le mie convinzioni sarei felice di poterlo condurre in porto, e che certamente non starà per me che ciò non avvenga.

(l) -Non pubblicata. (2) -Non pubblicato.
283

HIRLING AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Venezia, 3 gennaio 1872.

Ricevo in questo momento una lettera da Vienna colle seguenti notizie autorevolissime le quali mi onoro di trasmetterle.

Il Barone di Kubek è partito ierlaltro di sera da Vienna e sarà a Roma sabato o domenica. Il suo successore Conte Felice de Wimpfen partirà da Vienna la settimana ventura. Tutto lascia sperare che il Conte Wimpfen coltiverà cordialissime relazioni coll'E. V. e si acquisterà le simpatie in Italia. Egli stesso sollecitò il posto presso il Governo di S. M. il Re d'Italia, perchè questo gli conveniva più che altre legazioni offertigli, avendo egli tutte le simpatie per l'Italia.

Le istruzioni che egli riceverà dal nostro Governo saranno favorevolissime e si crede a Vienna di avere trovato nel conte di Wimpfen l'uomo il quale già per le sue anticedenze politiche meglio d'ogni altro saprà coltivare l'entente cordiale con stretta amicizia fra Austria, Germania ed Italia.

La politica inaugurata dal Conte Andrassy, d'accordo coi Ministri Cisleitani e trasleitani di mettere un certo freno alle prepotenze clericali non tarderà

sicuro di mostrare i suoi effetti anche nelle relazioni fra l'Austria e l'Italia riguardo la Curia romana, e certo le pretese di questa troveranno poca accoglienza a Vienna. Il conte di Trauttmansdorf non torna più al suo posto a Roma, verrà mantenuto l'interim finchè le delegazioni avranno deciso sopra la futura rappresentanza presso il Papa. Ecco le principali notizie avute che mi onoro di tra

smettervi.

Fra il 15 e il 20 corrente conto di fare il mio progettato viaggio a Vienna e Germania, non prima, e probabilmente la settimana ventura verrò a Roma a prendere gli ordini di V. E. Prego caldissimamente l'Eccellenza di provvedere fin d'ora ai chiesti favori pel Signore di Dreifuss e il signor Wiener per essere in grado di consegnare ai suddetti nella mia prossima andata in Germania gli aspettati e promessi favori.

284

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL CONSOLE A S. MARTA, DE ANDREIS

D. s. N. Roma, 6 gennaio 1872.

Ho ricevuto regolarmente il di lei rapporto del 22 luglio (l) dell'anno passato nel quale ella mi ha esposto quale impressione producesse nella Colombia il contegno del Governo dell'Equatore verso l'Italia. La ringrazio di quelle informazioni, ed a mia volta debbo farle sapere che il console generale di Colombia in Firenze ebbe cura di comunicarmi il testo della nota con la quale il suo Governo ha ricusato di far adesione alla protesta della Repubblica Equatoriana contro l'occupazione di Roma. Mi lusingo che i miei ringraziamenti per quella cortese comunicazione saranno pervenuti al Governo di Colombia. In caso diverso la pregherei di volerne essere ella l'interessata.

È poi bene che V. S. sappia che la protesta del Governo di Quito fu da me lasciata senza alcuna risposta e che gli agenti italiani nei paesi dell'America Centrale ebbero per istruzione di astenersi dall'avere con quel Governo altre relazioni fuorchè quelle assolutamente indispensabili alla protezione delle persone e degli averi degli italiani dimoranti sul territorio dell'Equatore. Di queste istruzioni ella può prendere nota sin d'ora per qualunque caso avvenire.

285

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1754. Parigi, 6 gennaio 1872 (per. il 9).

Col dispaccio circolare s. n. in data 10 Dicembre 1871 (2) l'E. V. esprimeva il desiderio di ricevere qualche dato in ordine alle condizioni delle associazioni religiose esistenti in Francia le quali abbiano un carattere qualsiasi di nazionalità Italiana.

Tre sole sono a mia saputa sul territorio della Repubblica le associazioni religiose cui possa attribuirsi un tale carattere. Le loro sedi sono Parigi, Gien e Aubigny. Mi pregio d'inviare qui unito all'E. V. un elenco (l) dei Padri Italiani che appartengono a questi tre Stabilimenti religiosi e che tutti seguono la regola dei Barnabiti.

Nella Casa di Parigi i Padri Italiani sono in maggioranza. Essa ha la forma conventuale e non è collegio. L'associazione religiosa di Gien, nella quale la maggioranza è pure Italiana forma collegio. Essa è quindi rappresentata dal Padre Luigi Fumagalli di

Milano, il quale si fece naturalizzare francese attesoché la nazionalità francese è richiesta dalla legge per rappresentare il Collegio.

La Casa di Aubigny è un noviziato nel quale i novizi sono in maggioranza francesi.

Non esiste sopra questi enti religiosi nessun speciale diritto di patronato e la loro esistenza è regolata unicamente dalla legge comune che vale per tutte le associazioni.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 250.
286

IL MINISTRO A BRUXELLES, BLANC, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 28. Bruxelles, 6 gennaio 1872.

Mi pregio di segnare ricevuta all'E. V. della circolare del 10 Dicembre

u. s. (1). Il solo ordine religioso avente nel Belgio esistenza riconosciuta dalla legge è quello delle suore di carità.

Nessuna autorità straniera e neppure il nunzio ha diritto alcuno sugli ordini religiosi, al punto di vista del diritto civile e costituzionale i membri del clero regolare, italiani o d'altre nazioni, residenti nel Belgio, sono sottoposti al diritto comune di tutti i belgi. Sono liberi al par di essi ed esercitano i loro diritti nei limiti della Costituzione.

Non esiste nessun convento beneficio etc. che abbia diritti speciali. Tutti siffatti privilegi furono aboliti dalla prima rivoluzione francese.

287

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 1784. Roma, 7 gennaio 1872, ore 22,45.

M. Sella me charge de vous transmettre ce qui suit: • Le projet du Ministre des Finances français pour imposer une taxe sur la rente étrangère n'est pas acceptable. Malvano qui part pour Paris vous apporte les explications nécessaires. Je me borne pour le moment à vous dire que le Gouvernement italien et son mandataire Rotschild pourraient bien faciliter l'exaction de l'impéìt pour le compte du Gouvernement français, mais, il est impossible qu'ils prennent à leur charge l'exaction de l'impéìt d'après le projet de loi, et cela pour plusieurs motifs entr'autres par suite de l'extrème variabilité de la somme payée à Paris.

(l) Cfr. n. 250.

288

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4073. Parigi, 8 gennaio 1872, o1·e 15,10 (per. ore 17).

Projet d'impòt sur Ies valeurs étrangères doit etre discuté aujourd'hui à l'Assemblée. M. Thiers et la majorité de la commission sont contraires, mais la minorité et le Ministre de Finances sont en faveur. On espère que la discussion sera renvoyée à plus tard. J'attends !es instructions de M. Sella à cet égard. Election de Vautrain à Paris est considérée comme relativement bonne. Il y a eu beaucoup d'abstentions.

289

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 63. Madrid, 8 gennaio 1872 (per. l' 11).

Le Ministère a cédé enfin à la pression de l'opinion publique de toutes les nuances politiques, et la Gazette Officielle d'avant hier a publié le Décret Royal déclarant que la législature de 1871 était terminée et convoquant Ies Cortès pour le 22 du mois courant.

L'hésitation de M. Sagasta de reouvrir les Cortès trouvait sa raison dans l'espérance qu'H a toujours gardée de pouvoir ramener à lui une partie des Progressistes qui ont suivi M. Zorrilla et dans la persuasion que s'il ne renforçait auparavant la majorité qui est disposée à le soutenir, le jour de l'ouverture des Cortès pourrait bien etre celui de sa chute. Les tentatives qu'il a faites auprès de ses amis n'ayant pas été couronnées de succès, le délai à obéir aux volontés de la Couronne et l'inaction inévitable de son gouvernement, tandis que tout le mond réclamait l'adotion de mesures promptes et efficaces en présence des inquiétudes qu'inspire la question de Cuba et l'état du Trésor, ont tellement augmenté le danger de la position qu'on peut aujourd'hui prévoir, avec toutes probabilités, que le Cabinet recevra, dès les premiers jours, un échec au Parlement. On ne saurait, en effet, concevoir commcnt il pourrait se soutenir. L'esprit intransigeant des partis faisant échouer la tentative de M. Sagasta qui consiste à suivre une politique qui ne soit ni radicale ni conservatrice, cet homme d'état ne peut aujourd'hui retourner en arrière qu'en abdiquant devant son riva! M. Zorrilla, ni se fondre avec les conservateurs qu'en étant abandonné par le plus grand nombre de ses partisans qui s'obstinent à vouloir demeurer Progressistes. Les Unionistes eux-memes, qui espéraient, grace à l'entrée de M. Topete au pouvoir, forcer la main à M. Sagasta, ne cachent plus Ieur mécontentement et proclament hautement qu'il est temps que

M. Sagasta oublie son origine politique s'il veut compter sur Ieurs suffrages et leur appui.

La ligne de condulte du Président du Conseil, qui, avec un état de choses plus calme, aurait eu des chances nombreuses de réussite, n'a donc fait que lui oter beaucoup de force morale et mécontenter tout le monde. La réouverture des Cortès, il faut bien le dire, sera donc, d'après toute évidence, le signal d'une nouvelle crise ministérielle.

290

IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 101. Washington, 9 gennaio 1872 (per. il 26).

Mi giunse regolarmente la Circolare che l'E V. mi fece l'onore di rivolgermi lì 10 dell'ora scorso dicembre (l) onde domandarmi se esistano in questi Stati enti religiosi considerati come Italiani, non che altri ragguagli sullo stesso argomento.

Sebbene fossi convinto non trovarsi in alcuno di questi Stati enti religiosi Italiani nondimeno prima di rispondere all'E. V. volli meglio assicurarmene presso autorità competenti. E ne trassi non esistere infatti nel territorio della Unione alcun ente religioso che sia considerato come italiano.

Nè altro mi occorre per oggi.

P. S. -Per regolarità di corrispondenza accuso ricevuta del dispaccio ministeriale 9 novembre, divisione politica, S. N., a cui diedi corso trasmettendone copia al Professore Botta, e della Circolare in data 12 dicembre u. s. (2).

291

IL CONSOLE GENERALE A CHAMBÉRY, BASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 65. Chambéry, 9 gennaio 1872 (per. il 12).

Il risultato delle elezioni che ebbero luogo avant'ieri nella Savoia per la deputazione all'Assemblea Nazionale riuscì, com'ebbi l'onore di farle conoscere con apposito telegramma, favorevole al candidato proposto dal partito clericale.

È il Grange un ricco industriale della Moriana, che aveva interesse di riuscire per ottenere disposizioni favorevoli per le sue miniere. Egli ebbe 21.175 voti contro 20.070 riportati dal suo competitore Dottor Jacquemond portato dal Comitato repubblicano.

I fogli clericali cantano vittoria, quantunque nelle città di Chambéry e di Aix, e nei principali capoluoghi di Cantone abbia il Jacquemond riportato una considerevole maggiorità.

Due circostanze hanno particolarmente favorito l'elezione del Grange. Una lettera del Cardinale Arcivescovo di Chambéry a tutti i Parroci, contro la quale

si prepara una protesta, e che fu letta pubblicamente nella stessa mattina delle elezioni e commentata da parecchi di loro che obbligarono i loro parrocchiani a votare pel candidato cattolico sotto pena di peccato mortale, ed il Circondario della Moriana che oltre ad essere più degli altri sotto il dominio clericale volle mandare uno dei suoi alla Camera, e gli diede una maggiorità di 3366 voti.

Se quindi malgrado quest'ultima cifra, ed il disaccordo che regna nello stesso partito repubblicano, la cui parte moderata non accettò in generale né i componenti del Comitato né il candidato proposto il che provocò numerose astensioni, il candidato clericale non ebbe in totale che una maggiorità di soli 1100 voti riesce evidente che nella Savoia, dopo l'annessione, il partito aristocratico clericale ha perduto la sua influenza, ed il sentimento monarchico va scemando ogni giorno. Il partito che vorrebbe dominare lo capisce benissimo, perché patronò un candidato scelto fuori dalle sue liste ordinarie e non intieramente gradito, certo che qualunque altro non sarebbe riuscito, e terminerà per suicidarsi completamente, perché con una stupida e tenace intolleranza non ha mai voluto prestarsi ad alcuna concessione, e coll'intemperanza del linguaggio dei suoi giornali che si sono abbassati al livello della stampa comunista ha prodotto, e produce un effetto diametralmente opposto allo scopo che si propone. Aveva qui una bella parte a sostenere e non ha saputo né voluto profittarne preferendo di concorrere, di conserva col partito estremo radicale alla totale ruina del paese.

Non debbo parimenti tacere d'una circostanza che può dar luogo a serie considerazioni. Su 48 militari della guarnigione di Chambéry che dovevano votare neppure un voto solo fu dato al Signor Grange e nel resto del Dipartimento egli non ebbe che dodici voti. Quindi su 277 militari votanti il Jacquemond riportò 265 voti, e dodici il Grange.

Rimane ancora a conoscere il risultato di qualche piccolo Comune della Tarantasia, e di alcuni militari, ma ciò non può modificare né il risultato generale, né le considerazioni che mi sono permesso di sottoporle.

(l) -Cfr. n. 250. (2) -Non pubblicati.
292

IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Washington, 10 gennaio 1872.

Nella mia particolare delli 24 dicembre u. s. (l) toccai di certi elementi che, irritati dell'impenetrabilità di questa Commissione mista, stavano per suscitarci una tempesta e questo tenevo dalla bocca stessa di quelli che poi misero ad esecuzione la minaccia. È ora mio dovere di spiegarmi più chiaro. Durante i pochi giorni che passai a Nuova York m'incontrai con vari degli Avvocati

che hanno fra le mani le più ingenti di queste reclamazioni, che, come sai, montano nella loro totalità ad oltre a trecento milioni di franchi. Alcune di esse erano state rigettate poco innanzi perchè prive d'ogni fondamento di giustizia. Non entrerò in dettagli sulla pressione che questi Avvocati cercarono di fare sopra di me, e sui rimbrotti indirizzatimi per le passate decisioni. Mi basti il citare che l'un d'essi cui io rispondeva lui facesse il suo offizio, a noi lasciasse fare il nostro, secondo la nostra coscienza, soggiunse • però per la loro ultima decisione io perdetti cinquecento milla dollari •. Il fatto è che questi Avvocati non prendono per queste cause che diritti eventuali che variano dal sesto fino alla metà del montante totale per le più dubbie. Ora essi formarono una combinazione (ring) potentissima affine d'influenzare la Commissione mista, e quèsta combinazione sta facendo ogni sforzo per distruggere la Commissione, e naturalmente fa cadere le principali ire sopra di me.

Trattandosi di richiami inglesi io credetti che la tempesta scoppierebbe a Londra, ma la stampa inglese è troppo lontana per pesare sopra di noi, e troppo rispettabile per prestarsi a siffatti intrighi. La crociata fu dunque iniziata in questi giornali, e sopratutto nell'Herald il quale pubblicò già tre articoli pieni di vili insulti. Nè mi stupirebbe se le parti interessate riuscissero a far giungere qualche cosa anche a Roma, il tutto allo scopo di farmi uscire dalla Commissione, ed avervi poi qualcuno più maneggiabile.

E questo è il dilemma spietato che sta innanzi a me. O continuare nell'adempimento onesto di queste funzioni di terzo Commissario ed essere esposto agli insulti quotidiani di una stampa lurida e sfrenata, oppure ritirarmi e darla vinta a siffatti osceni intrighi. Altra linea non segue un Ministro d'Italia.

Naturalmente la prima cosa che feci si fu di parlarne al Segretario di Stato, il quale mi confessò senza ambagi che essendo andato alla sorgente della trama ebbe a convincersi essere essa stata ordita dagli Avvocati di Nuova York, e mi confortò a non badarci. Il Ministro d'Inghilterra cui pure m'appellai adoperò gli stessi argomenti per animarmi a rimanere.

Però nella giornata di ieri l'Herald pubblicò un nuovo articolo che per la scurrilità dei termini passa ogni misura. Naturalmente non cita alcun fatto, poichè fatti non esistono nè osa inventarli, ma s'allarga in vaghi insulti.

Mi trasferii senza indugio dal Segretario di Stato per dichiarargli che se il Governo non trovava modo di proteggere la mia dignità, io non potevo continuare ad esercitare funzioni che m'attiravano tante ire. Nol trovai in casa, ma lo vedrò in giornata e gli farò la dichiarazione predetta. Se tali assalti mi venissero nell'esercizio ordinario delle mie funzioni, non avrei il diritto di rivolgermi al Segretario di Stato. Ma quando essi mi cadono addosso per effetto del coscienzioso disimpegno d'un arduo incarico conferitomi, non dal mio Governo, ma da questi due per loro beneficio, non posso sottomettermi a

tante ingiurie.

Se le cose continuano per tal modo io darò dunque la dimissione di terzo Commissario allegando motivi di salute, e fors'anca domandando un congedo. Ed in tale eventualità sappi la ragione essere che in questo paese l'uomo onesto non può lottare contro la combinazione d'interessi privati. Ti scongiuro mandarmi una parola di consiglio.

(l) Non pubblicata.

293

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AI MINISTRI A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, A MADRID, DE BARRAL, A VIENNA, DI ROBILANT, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI

T. 1785. Roma, 11 gennaio 1872, ore 15,30.

Le Gouvernement français à soumis à l'Assemblée un projet de loi sur les rentes et valeurs mobilières qui frappe aussi les titres de rente étrangère. Les Gouvernements étrangèrs seraient obligés de prendre à forfait la perception de cet impot, sous peine de voir refuser aux valeurs étrangères la cote à la bourse. Ministre des Finances désire savoir si Autriche, Russie, Turquie, Espagne a fait ou se propose de faire des observations à ce projet d'impòt et au mode de perception obligatoire qui serait établi par le Ministre des Finances. Il désire aussi savoir si les valeurs autrichiennes russes turques espagnoles payables à Paris portent sur le titre ou sur les coupons l'indication que le payement semestriel doit avoir lieu à Paris. Veuillez télégraphier réponse.

294

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. 104. Roma, 11 gennaio 1872.

Ringrazio V. S. per il rapporto fattomi in data 29 dicembre (l) sulla quistione dell'elezione del patriarca armeno-cattolico. Ella mi scrive di essersi astenuto dallo adoperarsi in pro dell'una come dell'altra parte di quelle comunità nonostante le sollecHazioni fattele da entrambe.

Approvo tale suo contegno nel quale Ella farà bene a perseverare. L'elezione del Patriarca in quanto si riferisce alle attribuzioni puramente civili di quella carica è cosa che unicamente concerne il Governo del Sultano, e se l'elezione stessa si considera invece sotto l'aspetto religioso è un atto nel quale non crediamo che l'Italia abbia veste per intervenire.

Nel sovra citato rapporto di V. S. trovo accennata l'occupazione per parte degli Anti-Hassounisti del principale seminario armeno del Libano; di questo fatto mi aveva precedentemente informato il R. Console in Beiruth, ed in risposta il Ministero gli ha dato istruzioni di adoperarsi in modo ufficioso a tutela delle persone appartenenti ai due partiti e per prevenire complicazioni religiose nel Libano. Nel caso poi la tranquillità pubblica venisse turbata

in quelle regioni per simili fatti, io ho prescritto a quel R. Console di informarne prontamente la R. Legazione di Costantinopoli acciocché da V. S. possano farsi i passi opportuni presso la S. Porta ed ottenere il ristabilimento dell'ordine e l'osservanza dei privilegi e diritti consacrati dagli atti diplomatici e dalla consuetudine.

Nel comunicarle queste istruzioni da me date al Signor Cavaliere Macciò, è mio intendimento di far conoscere anche alla S. V. da quali norme dovrebbe in certe eventualità essere determinata la condotta del rappresentante di S. M. in Costantinopoli.

(l) Non pubblicato.

295

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4080. Parigi, 12 gennaio 1872, ore 16,25 (per. ore 18,30).

M. de Rémusat me confirme que selon toute probabilité le projet d'impòt sur les valeurs étrangères sera ou écarté ou modifié. Il a ajouté qu'il avait apprécié et qu'il tiendrait compte de vos observations. Il m'a dit en outre qu'on ne lui signalait aucun incident au Vatican. Il a été déposée à l'Assemblee nationale une pétition demandant que le Ministre de France auprès du Roi ne réside pas à Rome. La commission, tout en s'exprimant d'une manière désagréable pour vous conclut à l'ordre du jour.

296

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4082. Pietroburgo, 12 gennaio 1872, ore 22 (per. ore 8,55 del 13).

Gortchakow vient de me dire que son opinion sur la question des mines du Laurium est qu'elle doit ètre déférée aux tribunaux du pays, mais de manière à sauvegarder le principe d'indépendance après l'act législatif du 20 mars '71. Lui ayant indiqué la difficulté d'atteindre ce but, il m'a dit qu'en tout cas il n'est pas favorable au projet d'arbitrage sous la présidence de M. Stuart, dont il regrette l'ingérence dans cette affaire. Il m'a demandé copie du mémoire italien. J'ai fait allusion relativement à l'impòt sur les rentes en France. Gortchakow regarde toute démarche comme prématurée, le fait n'étant pas accompli. Il espère meme que le projet ne sera pas réalisé. Il m'a promis d'en parler au Ministre des Finances pour me faire connaitre dans quelques jours opinion exacte. J'ai répondu par la poste.

23 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

297

IL CONSOLE GENERALE A NIZZA, GALATERI DI GENOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 162. Nizza, 13 gennaio 1872 (per. il 17).

Ho lasciato fermarsi la mia corrispondenza di questa serie perché da qual

che tempo in argomento politico nulla mi si è presentato di speciale pel Dipar

timento delle Alpi Marittime meritevole di essere riferito a V. E.

Oggi stesso non ho a dire se non generalità, che Le avranno già esposto

altri miei colleghi in centri politici di maggiore importanza che questa mia

residenza.

Come in tutta la Francia, cosi in Nizza vivesi politicamente alla giornata

e non si sa cosa sarà del domani.

I vari singoli partiti sitibondi di potere paralizzansi l'un l'altro in guisa

che, fra il caos che ne risulta, è impossibile lo scernere cosa veramente vogliasi

da questa irrequieta popolazione francese. Se l'opera degli intrighi è fervente,

è inerte quella per le riforme di tutta necessità per il rialzamento morale e

materiale della Francia.

Mentre spavaldamente si grida riscossa si mantengono quasi intatti i di

fettosi ordinamenti dell'Esercito, né si rafforza la disciplina e l'istruzione dei

soldati.

Insomma il Governo molticolore che personifica la Francia si tiene sovrap

posto alla Nazione, come una macina pel proprio peso al suolo e non è ancor

rotolato perché le spinte che gli si danno per rovesciarlo si elidono, giungen

dogli ad un tempo da parti opposte.

L'inquietudine dunque e l'incertezza del domani sono nell'animo di tutti, per cui inaspettata non giungerebbe la notizia di un'insurrezione a Parigi o nei Dipartimenti meridionali della Francia, Nizza eccettuata, nella quale lo influente partito Italiano mantenendosi grave spettatore di agitazioni di un popolo del quale non ama partecipare ai destini, raffrena quei francesi che amassero intorbidare la quiete.

Il Signor Gambetta, intanto, scorre per la Francia Meridionale promotore di petizioni per lo scioglimento dell'Assemblea Nazionale. Non dimenticò Nizza, ove vive il padre suo da piccolo borghese senza considerazione politica, benché all'avvenimento di ,suo figlio al Ministero, uomini dell'infimo popolo lo abbiano portato in trionfo sulle spalle.

Un tale di mia conoscenza, il quale è stato a visitare Gambetta, figlio, in uno dei due giorni che egli passò in Nizza la scorsa settimana, lo trovò gonfio d'alterigia, di vanità e di presunzione, maledicente di Thiers che egli disse di sorvegliare, sprezzatore dell'Italia, del R. Governo e di Garibaldi, idolo di questo popolo.

Egli è evidente che il Gambetta di fresca origine italiana, nulla avendo a sperare in Italia, ma bensì pella preponderante influenza che con tanta rapidità egli si vide acquistare sopra i democratici Francesi, avendo concepito lo ardimento di aspirare alla Dittatura nella sua patria d'elezione, per raggiun

gere il suo scopo ambizioso deve mostrarsi penetrato fino al midollo dell'invidia e del malvolere che la maggioranza pur troppo dei francesi non dissimula di nutrire contro la risorgente e fortunata Italia nostra.

Quindi coll'affettata dimostrazione che il Signor Gambetta fa di simili sentimenti, non può egli cattivarsi le simpatie dei Nizzardi, i quali se non sono tutti concordi nella preferenza delle forme governative, quasi tutti più o meno avversano la politica unione del loro paese alla Francia.

Questa popolazione però è ora pienamente tranquilla, giusta il naturale suo temperamento non più stuzzicato e provocato dalla conciliante e cortese condotta dell'attuale Prefetto Signor Marchese Villeneuve Bargemon.

Il Signor Vice Ammiraglio Boogs, del quale ho avuto già occasione di scrivere a V. E., è stato recentemente surrogato al comando della squadra Nord Americana nel Mediterraneo dal Vice Ammiraglio Signor Alden, che trovasi nella rada di Villafranca con 6 bastimenti di Guerra di sua Nazione.

Offrendole, Signor Ministro, i miei ringraziamenti pel benevolo apprezzamento che ha voluto esternarmi col Dispaccio S. N. di questa serie del 31 u. s. (1), mi onoro...

298

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A BERNA, MELEGARI

D. 80. Roma, 14 gennaio 1872.

Già dal settembre dell'or decorso anno il Ministro dell'Interno mi segnalava l'esistenza in Souvillier d'un comitato dell'Internazionale denominato federazione del Giura bernese. Il Gazzettino Rosa, noto giornale sovversivo di Milano, nel suo numero del 30 ottobre u. s., pubblicava un manifesto di quest'associazione, datato da Souvillier 12 settembre, col quale si tende a convocare un congresso generale di rappresentanti di sezione per gettare le basi d'una libera federazione di gruppi autonomi, anzichè d'un comitato accentratore, o d'una dittatura universale. Pare che già otto sezioni dell' • Internazionale • esistenti in Italia abbiano dato la loro adesione a questo progettato congresso. In tale stato di cose il Ministro dell'Interno desidererebbe avere dalla S. V. le maggiori possibili notizie su questa nuova federazione del Giura e sui suoi conati per minacciare e distruggere l'ordine sociale in Italia.

299

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 935. Berlino, 14 gennaio 1872 (per. il 20).

Il m'a paru utile de me ménager un entretien avec le Prince de Bismarck et de me prévaloir auprès de lui, dans une certaine mesure, des appréciations contenues dans votre lettre particulière du 5 courant (2), appréciations qui cadraient entièrement avec le langage que je lui avais tenu au retour de mon congé.

J'ai été reçu hier dans la so1ree. J'ai répété les memes assurances que le 21 Octobre dernier (dépeche N. 892) (1), en lisant à l'appui un passage de votre lettre précitée. C'était le meilleur moyen de le convaincre et de dissiper dans son esprit l'impression des jugemens erronés qui ont eu cours sur notre compte durant la guerre de 1870-1871; jugemens émis par ceux qui croyaient retirer quelque profit en semant la défiance.

• C'est n'est pas moi du moins, disait Son Altesse, qui me serais preté à ce ròle. S'il a été joué par quelques journaux, il n'y a pas lieu de s'en préoccuper. Ils lutteraient en vain contre la force des choses, contre la Providence. Nous sommes les amis naturels de l'Italie, tant que de son còté elle voudra aussi rester l'arnie de l'Allemagne. Or j'apprends avec satisfaction que vous etes une fois de plus autorisé à vous appliquer d'une manière constante à rendre toujours meilleurs les rapports des deux pays. Les autres Puissances sont pour vous des alliées de rencontre, selon leurs convenances du moment; tandis que nous seuls nous vous sommes attachés sans égoi:sme, sans arrière pensée, parce que des intérets mutuels et permanents nous poussent dans les bras l'un de l'autre •.

Il m'importait de connaitre comment le Chancelier Impérial envisageait la situation en France. Pour le mettre en verve, j'ai indiqué quelle était notre attitude vis-à-vis du Gouvernement de ce pays, où l'opinion publique laissait beaucoup à désirer.

Il n'hésita pas à convenir que l'avenir y était très incertain. Si Henri V arrive au pouvoir, nous aurons devant nous la coalition des cléricaux du monde entier. Si les Orléanistes ont gain de cause, l'attitude de leurs chefs de file durant la guerre, ne saurait inspirer la confiance. Il suffit de se rappeler leurs encouragemens aux franc-tireurs. Le mariage d'une Princesse de Nemours avec un Czartoriski, est aussi un avertissement dont il a été pris note ici. • Quant à la république de M. Thiers, peu nous importe qu'elle se consolide ou qu'elle soit remplacée par celle de M. Gambetta. Cette dernière aurait peut etre pour résultat une guerre civile, nouvelle cause d'affaiblissement pour cette nation. Si je dois preter foi aux avis qui me parviennent, il paraitrait que maintenant la France évolue plutòt vers une restauration Bonapartiste. Ce parti aurait beaucoup plus de chances, et il ne serait nullement impossible que dans peu de jours le télégraphe nous annonçàt un premier proncmciamento dans l'armée. Le mouvement pourrait se propager comme par une trainée de poudre, tellement officiers et soldats sont irrités des allures puritaines qu'on leur impose et qui contrastent si fort avec le laisser aller sous l'Empire. On leur preche les vertus Spartiates, on les oblige à passer le jour aux manoeuvres, et, le soir, à l'étude. Le prononciamento serait commencé par dix mille hommes.

Quelles que soient les crises intérieures, nous nous tiendrons à l'écart. Nous n'avons pas à nous préoccuper outre mesure de ces détails du ménage français. Les parties de son territoire que nous occupons nous donnent une position qui nous offre quelque sécurité. On peut s'en convaincre en examinant sur la carte l'étendue d'une ligne militaire qui va depuis la forteresse de Mé

zières, jusqu'à Belfort, pendant que Metz, Toul et Verdun, restent entre nos mains. Mais s'il s'écoulait une semaine de retard dans le payement des indemnités, nous réoccuperions aussitòt les six départemens évacués depuis la convention du 12 Octobre 1871.

Il y a six mois, je ne pensais pas ainsi sur les différens partis qui se préparent à escalader le Gouvernement en France. Nous avions alors plus de sympathie pour M. Thiers, mais sa conduite ne Iious satisfait plus au meme degré. Quand nous avons exigé une rançon de cinq milliards, ce n'était point par avidité d'argent; mais parce qu'avant tout, nous voulions enlever pour longtems à la France la tentation d'une revanche. Nous espérions qu'elle consacrerait de préférence ses revenus amoindris et ses soins à préparer sa reconstitution intérieure, à reparer les maux inséparables de la guerre, à apaiser les discordes. Que signifient maintenant ces armemens considérables, un budget militaire, plus élevé que sous l'Empire? S'il ne s'agissait que d'une question d'argent, et non d'un nombre supérieur d'hommes appelés sous les armes, nous pourrions supposer qu'on se ménage les moyens de renouveler le matériel, de le mettre au niveau des inventions modernes, et de mieux organiser, de mieux payer la police à Paris et dans les départemens. Mais comme l'on a surtout en vue une augmentation du chiffre des soldats sous les drapeaux, il faut en conclure que l'objectif est bien une revanche. Il me parait qu'on peut appliquer à M. Thiers le proverbe: qui trop embrasse mal étreint. Il voudrait faire marcher de front la consolidation de son pouvoir personnel, l'organisation de toute chose à pas de course, et surtout de l'armé au delà de la mesure indiquée par la prudence et par l'économie. En meme tems on serait presque enclin à croire qu'il aspire à l'occasion de donner des preuves meme de génie militaire, de stratégiste. Bref, la situation est assez tendue il lui faudra beaucoup de tact, d'habilité et une force herculéenne pour suffire à la besogne, et pour ne pas se briser contre des résistances qui commencent à se faire jour de une manière sérieuse •.

Pour ce qui nous concerne, j'ai fait la remarque que les libéraux aussi bien que les cléricaux et les masses .ignorantes en France, ne cachaient pas leur rancune contre l'Italie. Si nous n'avions pas à nous plaindre de l'attitude du Gouvernement à Versailles, nous ne nous faisions aucune illusion sur les dispositions de l'opinion publique. Nous prévoyions que du jour où les circonstances actuelles viendraient à se modifier, la France pourrait prendre vis-à-vis de nous une attitude diplomatique pour le moins équivoque. C'était là une circonstance prévue de notre neutralité pendant la guerre franco-allemande, que d'etre englobés dans la haine du vaincu contre le vainqueur.

Le Prince de Bismarck a répondu à cette observation que cette haine serait impuissante. • Pour ce qui vous regarde, nous ne permettrions pas à la France de vous courir sus; nous veillons non seulement l'arme au bras, mais le fusil en joue. Nous doutons fort d'ailleurs que de sitòt elle tombe dans la récidive. Elle trouverait une fois encore à qui parler. Notre armée est en état d'entrer en campagne au premier signa!. Nos conditions intérieures sont satisfaisantes, de meme que nos rapports actuels avec la Russie et l'Autriche. Je suis trop vieux troupier pour y compter indéfiniment. J'affirme seulement que tant

que l'Empereur Alexandre vivra, nous n'avons rien à redouter de ce coté, nl de la part de l'Autriche qui, au besoin, serait contenue par le seui fait de notre intimité avec la Russie.

Quant à l'Autriche, il me revient de la manière la plus positive que le Comte Andrassy s'exprime envers vous, comme envers nous, avec une grande sympathie. La loyauté de son caractère ajoute plus de prix encore à ses déclarations empreintes de tant de bon vouloir •.

J'ai dit que mon Gouvernement recevait les memes assurances du Ministre des Affaires Etrangères Austro-Hongrois. J'ajoutais, qu'entr'autres il nous avait spontanément déclaré que, tout en témoignant de sa solHcitude pour les intérets et les sentimens des Catholiques de l'Empire, il aurait décliné toute proposition d'ingérence diplomatique qui pourrait alarmer l'esprit public en Italie et nous créer des embarras en rendant plus difficile l'oeuvre conciliante à la quelle nous nous vouons. Il était seulement à regretter que le Comte Andrassy ne fiìt pas aussi solidement assis au pouvoir que le Prince Bismarck. Le Ministre Austro-Hongrois avait affaire à forte partie en présence des menées ultramontaines, rétrogrades et fédéralistes, et peut-etre meme de certaines influences à la Cour.

Le Chancelier, tout en tenant compte de ces cir·constances, estimait que le Comte Andrassy était du moins couché sur un meilleur lit que le Comte de Beust. Celui-ci n'avait point d'attaches dans sa nouvelle patrie, tandis que son successeur avait derrière lui la queue Hongroise. Le premier pouvait parfois modifier sa politique par une simple entente avec le Souverain, le second, le vouliìt-il, se trouverait en présence des tendanct>s bien marquées de la Hongrie avec la quelle il doit nécessairement compter. Or nous savons que ce pays est dans un courant très favorable à l'Italie, aussi bien qu'à l'Allemagne. C'était là un fort antidote contre des menées hostiles, y compris l'influence du confessionnal à la Cour, influence appelée en Allemagne • la politique des confesseurs •.

A propos de Rome, le Prince de Bismarck m'a demandé si vraiment le Comte Brassier de Saint Sìmon avait été malade au point de n'avoir pu se trouver dans cette capitale dès l'ouverture de notre parlement. Je n'ai pas hésité à déclarer qu'ayant pris connaissance, d'après le desir de Son Altesse, des dépeches échangées entre ce diplomate et son Gouvernement (rapport N. 925) (1), j'en avais reçu l'impression que c'était bien en effet une grave indisposition qui l'avait alors retenu à Florence. Je le connaissais assez pour etre certain qu'il n'aurait pas négligé de remplir ses instructions, dès le mois de Novembre, s'il avait été en état de supporter le voyage. Ce n'était donc pas la bonne volonté qui avait manqué. Il ne se serait pas laissé arreter par la difficulté de se loger ailleurs qu'au Palais Cafiarelli, comme il l'a au reste prouvé en allant complimenter mon Auguste Souverain au l.er Janvier, et en nous annonçant que sous peu de jours la Légation Impériale serait définitivement transférée à Rome.

Le Prince de Bismarck pensait que ce diplomate trouverait un logement

provisoire jusqu'à ce que le Comte d'Arnim eiìt fait maison nette. M. d'Arnim

a reçu l'avis que ses lettres de rappel pretes, il avait à énoncer s'il jugeait né

cessaire de se rendre à Rome pour opérer son démenagement. Il a répondu affirmativement; mais qu'il ne croit pas pouvoir se mettre en route durant le statu quo en France. Il lui a été demandé alors vers quelle époque il supposait entreprendre ce voyage, car si cette époque était prochaine, il faudrait par decorum qu'il remit en personne au Pape ses lettres de rappel, si non le soin en serait confié an Comte Taufkirchen, lequel continuera à gérer la Légation Impériale. On avisera plus tard s'il convient ou non de maintenir une double représentation diplomatique à Rome. C'est là une question pour laquelle il faudra tenir compte des circonstances. En attendant nous devons avoir pleine confiance dans les dispositions les plus amicales du Cabinet de Berlin.

J'ai remercié le Chancelier de son langage dont je m'empresserais de rendre compte à V. E. J'avais été heureux de constater une fois de plus que nos rapports étaient sur un bon pied. Il ne dépendrait pas de nous de montrer par des faits tout le prix que nous attachions à établir un courant d'intimité entre les deux Cours et les deux Gouvernements.

Saisissant la balle au bond, il me dit: qu'il avait écrit au Comte Brassier au sujet de l'affaire du Laurium en lui transmettant en meme tems copie d'un memoire élaboré par un Allemand établi en Grèce c Vous avez, vous aussi, un intéret au maintien de nos bons rapports avec la Russie. Nous avons promis à l'Empereur Alexandre de nous intéresser, dans la mesure du possible et du raisonnable, à faciliter la solution de cette affaire. Je vous serais obligé d'en toucher un mot dans votre correspondance. Les petits services entretiennent l'amitié. Vu les liens étroits de parenté entre les Cours de S.t Pétersbourg et d'Athènes, le Czar serait on ne peut plus reconnaissant si l'on en venait à un arrangement acceptable par les parties intéressées. Des condidérations secondaires devraient céder le pas à des convenances politiques •.

Je me suis engagé à vous recommander, M. le Mirustre, ces ouvertures, tout en faisant observer qu'il s'agissait d'une question assez compliquée. Ainsi qu'il résultait d'un discours que V. E. à prononcé à la Chambre, nous avions toujours fait preuve de modération et de sympathie vis-à-vis de la Grèce. Nous lui avions meme proposé, dans un but de conciliation, de recourir à un arbitrage qui a été décliné par le Gouvernement Hellénique.

Il serait indiqué que V. E. vouliìt bien m'adresser à ce sujet une dépeche ostensible dont j'enverrais une copie au Prince de Bismarek. Si nous pouvons faire acte de déférence sans manquer en rien à notre dignité, ne laissons pas échapper cette première occasion de gagner du meme coup une bonne note à Berlin et à S.t Pétersbourg.

Je recommande également à V. E. la question d'un attaché militaire, que j'ai tractée dans mon rapport politique N. 934 (1), je serais meme bien aise de connaitre par le télégraphe la décision de S. E. le Ministre de la guerre. Les fetes de Cour vont commencer et il importe que je sois à meme de présenter à l'Empereur, aux Princes et aux Généraux et au Chancelier Impérial M. Macenni avec un titre qui établisse nettement sa position.

En me réservant de répondre à votre dernière lettre particulière lorsque le Courrier Anielli sera en état de repartir, j'ai l'honneur...

(l) -Non pubblicato. (2) -Non pubblicata.

(l) Cfr. n. 175.

(l) Cfr. n. 252.

(l) Non pubblicato.

300

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

(AVV)

L. P. Roma, 16 gennaio 1872.

Ella si rammenta che, tempo fa, un distinto ufficiale della nostra marina, il Capitano di vascello Racchia ebbe l'incarico di fare come Comandante della c Principessa Clotilde •, una navigazione collo scopo di mostrare la bandiera italiana nei porti dell'estremo oriente e specialmente della China e del Giappone, di concludere dei trattati di commercio col Siam e coll'Impero Birmano, paesi coi quali non avevamo alcuna convenzione e di fare tutte le ricerche opportune e gli studi necessari per indicare se negli arcipelaghi dei mari indiani e del Pacifico ci fosse qualche territorio di cui si potesse fare uno stabilimento italiano sia per crearvi un punto d'appoggio per la nostra marina, sia per potere occorrendo farne un luogo di deportazione pei malfattori.

II Comandante Rac·chia compì, con piena soddisfazione del Governo, la sua missione. Riportò i trattati conclusi e da ratificarsi col Siam e coll'Impero Birmano e riferì che il luogo assai più adatto e conveniente d'ogni altro per farne uno stabilimento italiano, tenuto conto di tutte le condizioni richieste e quindi anche delle condizioni politiche, era un territorio situato sulla costa Nord-Ovest di Borneo. Questo territorio appartiene ad un Sultano indipendente che è disposto a farne la cessione.

A proposito del trattato col Siam sorse un incidente di cui io le tenni parola quand'ebbi il piacere di vederla a Roma. Il Ministro d'Inghilterra ebbe la istruzione di chiamare tutta la nostra attenzione su un articolo di quel trattato le cui conseguenze, a giudizio del suo Governo, potevano creare qualche pericolo o per lo meno qualche difficoltà alla politica inglese nella Birmania. Il Governo inglese ci pregava dunque amichevolmente di sospendere la ratifica del trattato. In verità non poteva essere più lontano dalle nostre intenzioni che di andare a far cosa spiacevole e dannosa all'Inghilterra nella sfera de' suoi grandi interessi indiani. Lo stesso Comandante Ra-cchia, mentre stava negoziando il trattato, aveva creduto essere cosa affatto naturale dalla parte di un agente italiano in quelle contrade il tenere con tutta lealtà gli agenti inglesi coi quali si trovava in contatto al corrente di tutto quanto egli faceva. Ho anche dato lettura a Sir A. Paget del rapporto del Comandante Racchia da cui risultava com'egli avesse cercato di evitare l'inclusione dell'articolo nel trattato, e come, dopo avere a•cquistato la piena convinzione che senza l'articolo il governo birmano non avrebbe concluso il trattato, aveva fatto passare una redazione che, secondo lui, toglieva all'Articolo stesso quella portata pratica di cui le autorità inglesi avevano sembrato allarmarsi.

Qualche mese dopo questa conversazione, il Ministro inglese venne a leggermi un dispaccio del suo governo da cui risultava che il Governo Generale dell'India persisteva ne' suoi apprezzamenti. Io dissi allora a Sir A. Paget che veramente, dopo quanto era stato fatto ci era difficile il non ratificare un trattato la •cui conclusione era richiesta dagli interessi del nostro commercio, ma che ero pronto però ad esaminare una combinazione che, per via di dichiarazioni fatte anche nel protocollo dello scambio delle ratifiche, e in altro modo, potesse pienamente rassicurare il Governo inglese da ogni conseguenza spiacevole e temibile per esso. Da quell'epoca in poi non ricevetti più alcuna comunicazione su questo argomento.

Ora però il termine per lo scambio delle ratifiche sta per scadere e il Governo deve dare allo stesso Comandante Racchia l'incarico di portare l'istrumento ratificato per procedere allo scambio. A me non parve però conforme ai rapporti così amichevoli che abbiamo col governo inglese di compiere definitivamente quest'atto senza prevenirlo, fornendogli di nuovo le più ampie spiegazioni e offrendogli di studiare qualche guarentigia di cui esso possa ritenersi pago, benchè, a dir vero, i pericoli di cui si parla non mi sembrano temib~li, poichè il Governo italiano non può ritenersi obbligato a fornire all'Impero Birmano delle armi, non facendo esso il commercio delle armi, e quanto al commercio privato, il trattato non modifica lo stato attuale delle cose, questo commercio in Italia essendo libero in tempo di pace e facendosi a rischio e pericolo degli interessati.

A questa questione del trattato si aggiunge quella del territorio nell'isola di Borneo. Il Governo sarebbe disposto a dar seguito al progetto del Com. Racchia e lo desidera vivamente. Ma non vogliamo farlo senza pure prevenirne il Governo inglese poichè sappiamo ,che il Sultano che farebbe la cessione ha coll'Inghilterra dei patti pei quali s'è obbligato a non cedere il suo territorio senza il consenso inglese. In questo stato di cose ho pensato che potesse essere utile di mandare il Comandante Racchia a Londra, rimanendo bene inteso, il suo incarico subordinato alla missione ch'Ella adempie permanentemente presso il Governo inglese. Il Comandante Racchia potrà darle tutte quelle informazioni che sarebbe difficile rendere complete coi soli dispacci. Ella potrà porlo in comunicazione, nei modi che giudicherà opportuni, colle persone del Governo. Quanto al trattato, essendo egli stato il negoziatore, potrà dare quelle spiegazioni che gioveranno a mostrare la cosa sotto il suo vero aspetto. Quando poi il Governo inglese desiderasse qualche guarentigia nel senso di quelle da me indicate a Sir A. Paget, egli potrà giudicare fin dove si può andare senza compromettere il risultato della ratifica da parte del Governo Birmano. Quanto al territorio di Borneo, Ella sa tutte le ragioni che ci fanno desiderare di avere, nei limiti di stabilimenti marittimi, qualche possessione sulle grandi vie commerciali. Il Governo dunque pone grande interesse a poter dar seguito al progetto del Comandante Racchia. Le disposizioni mostrateci dal Governo inglese in passato anche su questo argomento, mi fanno sperare ch'esso non vorrà sollevarci delle difficoltà. Il Comandante Racchia è stato a Borneo, ha visitato tutti quegli stabilimenti, fu in rapporti coi Governatori delle varie possessioni inglesi. Egli dunque è l'uomo che ha le maggiori conoscenze pratiche per coadiuvarla nell'intento che il Governo inglese veda senza diffkoltà la presa di possesso di quel territorio.

Prima che il Comandante Racchia giunga a Londra, ho creduto prevenirla dell'incarico ch'egli ebbe e il cui carattere è quello dell'invio di una persona tecnica e speciale la cui presenza può agevolare il di Lei compito nelle comunicazioni che Ella farà al Governo inglese sugli argomenti di cui le ho tenuto parola. Ho considerato che il viaggio del Comandante Racchia a Londra avrebbe portato seco un risparmio di tempo e di comunicazioni scritte.

301

IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 162. Washington, 16 gennaio 1872 (per. il 4 febbraio).

Ieri questo Ministro del Giappone venne a visitarmi per ragguagliarmi il suo Governo avere intenzione d'incaricare l'Ambasciata Giapponese che sta per giungere in questa Capitale di recarsi indi a Roma allo scopo di stabilire col Governo di S. M. il Re più strette ed amichevoli relazioni e mi domandava in pari tempo come sarebbe ricevuta da questo.

Risposi al Signor Mori poterlo assicurare che il Reale Governo sarebbe oltremodo lieto di accogliere l'Ambasciata Giapponese coi maggiori riguardi ed onori, imperocchè egli pure nutriva vivo desiderio di stringere legami di cordiale amicizia con uno Stato cui per varie ragioni portava il più sincero interesse. E di siffatte disposizioni quel Rappresentante soggiunse darebbe contezza al suo Governo.

L'Ambasciata in discorso che si trova composta di vari dei più importanti personaggi di quello Stato è già giunta a San Francisco e non tarderà a giungere a Washington.

Ho creduto opportuno di ragguagliare senza l'indugio l'E. V. di questa conversazione anche pel caso che avesse qualche comunicazione a far fare all'Ambasciata mentre troverassi in questa residenza.

302

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 229. Roma, 17 gennaio 1872.

Con il mio dispaccio del 20 giugno dell'anno decorso, ebbi ad informare

V. S. così di una comunicazione fattami dal Conte Brassier de S. Simon come

di una conversazione che io avevo avuto con il rappresentante degli Stati Uniti circa la vertenza dei nostri crediti verso il Venezuela. Mi riferisco a quel mio dispaccio perchè doveva servirle di norma tanto per vegliare sui rapporti dell'Allemagna con la grande Confederazione americana, quanto per precisare limiti dell'azione comune alla quale sulle istanze del Gabinetto di Berlino avevamo aderito.

Posteriormente il R. Incaricato d'Affari a Caracas mi fa,ceva pervenire una sua proposizione tendente a stabilire un preventivo formale accordo fra gli Stati europei impegnati nella quistione allo scopo di presentare al Governo di Caracas alcune domande concertate fra gli Stati medesimi. Questa proposizione giungevami quando già erano state spedite a Caracas le istruzioni dei diversi Gabinetti che avevano aderito alle istanze di quello di Berlino, in guisa che non riusciva più effettuabile il progetto di formare un preventivo accordo sulle domande da presentare al Venezuela. Oltre a ciò, per parte nostra non avremmo potuto ac,consentire a che in nome nostro venissero fatte alcune delle domande contenute nella proposizione pervenutaci dal R. Agente in Caracas. Parve anzi al Ministero di non poter conservare il silenzio a questo riguardo; e benchè non si potesse realizzare il progetto di un preventivo concerto delle potenze sulla linea di condotta da tenersi verso il Venezuela, sembrò cosa prudente lo esprimere al R. Incaricato d'Affari presso quel Governo l'impressione che avevano prodotto le domande ch'egli avrebbe voluto fossero collettivamente presentate al Governo venezuelano. Il Gabinetto di Berlino dev'essere a quest'ora informato di tutto ciò che le venni finora esponendo. Nell'ottobre scorso, fui infatti sollecitato dalla Legazione d'Allemagna a darle notizia di quanto avevamo scritto in proposito al signor Viviani; ed io aderii ben volentieri a tale desiderio, aggiungendo però anche copia della risposta da me fatta a quel funzionario. A Berlino, si deve dunque conoscere a quest'ora il nostro modo di vedere sulle varie quistioni d'interesse comune pendenti fra i Governi d'Europa e quello di Caracas.

Ora stando agli ultimi rapporti che ricevo da quel lontano paese, le vertenze con il Venezuela sarebbero entrate in una nuova fase di cui ella potrà formarsi un esatto concetto prendendo cognizione della comunicazione in data del 15 dicembre, indirizzatami dal signor Viviani (1). L'azione che gli Stati Uniti sembrano disposti ad esereitare efficacemente a Caracas modifica infatti sensibilmente la situazione coll'introdurvi un elemento sul quale prima d'ora non sembrava si potesse fare assegnamento. In tale stato di cose è probabile che il Governo di Berlino pensi al pari di noi che sarebbe vantaggioso l'intendersi con il Governo di Washington sul miglior modo di tutelare le ragioni dei creditori stranieri del Venezuela; e le informazioni che abbiamo ci permettono di credere che tale iniziativa non sembra sfavorevolmente accolta dagli Stati Uniti. Mantenendo invece una separazione fra l'azione collettiva di alcuni Governi europei e quella che si propone di esercitare il Gabinetto di Washington si corre il perkolo, a parer nostro, di far nascere difficoltà ed ostacoli che le osservazioni fatteci altra volta dal Gabinetto stesso ci permettono di prevedere.

Bramerei pertanto che la S. V. intrattenesse di questo affare il Governo presso il quale ella è accreditata e ci facesse conoscere le intenzioni del medesimo sulle istruzioni da darsi agli agenti presso il Venezuela, e sovra quelle che potrebbe parere utile ed opportuno di indirizzare senza ritardo ai rappresentanti a Washington.

(l) Cfr. n. 257.

303

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 407. Roma, 19 gennaio 1872 (per. il 20).

Ebbi notizia che il Comandante della fregata inglese Defence che trovasi nelle acque di Napoli, .si recò testè al Vaticano, dove, supponesi, abbia messo a disposizione di Sua Santità la nave stessa, pel caso che il Pontefice volesse abbandonare l'Italia.

Le notizie assunte a tale riguardo, farebbero ritenere probabile tale offerta, tanto più che la medesima sarebbe già stata fatta altre volte, e precisamente dallo stesso ammiraglio inglese nel Marzo scorso.

304

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 55. Vienna, 19 gennaio 1872 (per. il 22).

Il Vaterland, come V. E. ben sa, organo del partito cattolico Austriaco che si pubblica a Vienna, contiene, nel suo numero di ieri, un articolo che per la sua importanza credo bene trasmettere qui compiegato e tradotto all'E. V. (1). I giornali tutti di questa città lo riproducono oggi con quei 'commenti che di ragione. Il Conte Andrassy parlommi esso stesso ieri di quell'articolo e si compiacque ripetermi, in sunto almeno, la risposta da lui fatta alla Deputazione del Circolo Cattolico recatasi da lui per conoscere le intenzioni del Governo Imperiale e Reale a riguardo della posizione fatta al Santo Padre dallo stato di cose attualmente esistente in Roma, risposta che per l'appunto forma oggetto della precitata pubblicazione. Il Conte Andrassy confermommi presso a poco, non solo nel senso, ma anche nelle parole, quanto vien riferito dal Vaterland. Solo dissemi la riproduzione della sua risposta non essere stata 'completa, ed essere egli disposto a renderla integralmente di pubblica ragione, ove il sud

detto giornale ritorni sull'argomento. L'omissione a cui il Conte Andrassy alludeva, riferivasi alla conclusione del suo discorso, nella quale egli aveva esplicitamente mis en demeure i mandatarj del partito cattolico di dichiarare se scopo del passo a .cui si erano indotti si era di chiedere si dichiarasse la guerra all'Italia, poichè tutto il loro ragionare concretavasi nella esplicita dichiarazione: che il Papa non poteva essere libero sintantochè l'Italia era padrona di Roma, cosa che l'Austria Stato cattolico non doveva tollerare.

Questa esplicita domanda rimase senza risposta, ed il Conte Andrassy mostravasi lieto di averli posti in circostanza di dover col loro silenzio constatare che la politica da essi consigliata era sans issue.

L'importanza delle dichiarazioni fatte dal Conte Andrassy non isfuggirà certamente all'E. V. tanto più poi che in esse travasi per la prima volta dacchè egli regge il Ministero degli Affari Esteri, la pubblica affermazione della polit~ca amichevolissima per l'Italia che egli intende seguire. Come di ragione mi mostrai non poco soddisfatto di questo nuovo pegno che egli veniva di darci dei suoi così amichevoli intendimenti intorno alle relazioni che legano i due Stati; e non ebbi neppure la possibilità di rilevare che fra le reclamazioni sporte dalla Deputazione, ve ne era una che era esclusivamente questione interna nostra, quella cioè relativa all'entrata nel godimento delle mense per parte dei Vescovi Italiani di nuova nomina poichè al mio primo aprir bocca al riguardo, dissemi tosto non aver mancato di ciò dichiarare immediatamente ai suoi interlocutori. Ad ogni modo, però, siccome questa questione del godimento

o no delle mense è già venuta qualche altra volta sul tappeto, ed ha formato oggetto di private interpellanze statemi mosse al riguardo da persone che meco conversavano di questi affari, sarebbemi grato essere a giorno del vero stato delle cose, onde poterle porre con nostro vantaggio sotto il vero loro aspetto.

(l) Non pubblicato.

305

IL MINISTRO A L'AJA, BERTINATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 49. L'Aja, 19 gennaio 1872 (per. il 23).

La prima Camera, ad esempio della 2•, ha finalmente approvato il nuovo Trattato conchiuso coll'Inghilterra rispetto a Sumatra, e posto termine ad una discussione altrettanto lunga quanto animata che cominciò fin dall'anno scorso, e che si è dovuta sospendere per dar opera a nuovi negoziati. Per ben cogliere l'importanza del voto di ieri è d'uopo notare che 3 trattati riguardo agli affari coloniali vennero stipulati nel passato anno tra la Gran Bretagna ed i Paesi Bassi. Col 1° l'Inghilterra accorda all'Olanda, pel tratto di cinque anni, ·la facoltà

di arruolare emigranti destinati alla colonia di Surinam nelle possessioni inglesi della Guinea.

Col 2o l'Inghilterra riconosce l'estensione della sovranità acquistata dal Re dei Paesi Bassi nel reame di Siak (Sumatra) in virtù del Trattato conchiuso nel 1858 nel quale vengono stabiliti i diritti onde godranno i sudditi inglesi.

Col ao, l'Olanda cede alla Gran Bretagna tutti i possedimenti neerlandesi sulla costa di Guinea. Allorché vennero presentati per la prima volta alla Camera questi trattati non furono accolti nello stesso modo.

A malgrado le opposizioni fondate sull'amor proprio nazionale, e sul vecchio patriottismo che si cercò di rinfocolare richiamando alla memoria i tempi passati, e le gesta gloriose della marineria batava, non fu diffidle al Ministero, sull'appoggio di documenti statistici incontestabili, di far adottare il trattato di cessione della costa di Guinea così in vista delle ingenti spese cui conviene annualmente sobbarcarsi onde mantenere questa possessione, e ciò senza un corrispondente vantaggio economico, come avuto riguardo all'insalubrità del clima, all'indole selvaggia dei suoi abitanti, non meno che alla sempre rinascente difficoltà che si incontra nel trovare, fra gli impiegati governativi, quelli che consentano di buon grado a recarsi su questa costiera per conservarla nella soggezione della Corona neerlandese.

Diverso fu il voto relativo all'altro trattato avente per iscopo di assimilar gli inglesi agli olandesi nel Reame di Siak.

Conviene avvertire innanzi tutto che siccome il Sultano di questo reame già aveva riconosciuto nel 1858, l'alta sovranità dei Paesi Bassi, l'Inghilterra aderendosi a questo fatto, non ha fatto altro, in sostanza, che accennar al Trattato del 1824, che aveva appunto avuto per mira di regolar le pretese ollandesi nelle Indie Orientali.

L'opposizione vide quindi un pericolo nell'assimilazione onde si tratta accordata qual corrispettivo della ricognizione d'un diritto non altrimenti controvertibile. Temette l'intromissione britannica in Sumatra nelle relazioni tra il Re vassallo e l'alta signoria batava. Badasse il Ministero a non aprir l'adito alle pretese facili a venire accampate da una potenza proclive sempre com'è ad assumere la protezione dei Principi sottomessi all'Olanda nell'Estremo Oriente. Ciò poter far nascere eguali pretese per parte di altre potenze: Non essere, ad ogni modo, prudente cosa il legarsi le mani alla vigilia della revisione della tariffa coloniale che deve precisamente verificarsi in quest'anno. Ma poiché si faceva una cessione di territorio non era egli il caso opportuno di chiedere in compenso alla Gran Bretagna la ricognizione formale dei diritti dell'Olanda sull'isola di Borneo, che essa ha sempre cercato di escludere?

Queste considerazioni ispirate dalla diffidenza, e dalla gelosia verso gli inglesi a cagion della ben nota loro politica coloniale fecero senz'altro rigettare il trattato. E poiché il Ministero aveva presentati i tre trattati come connessi fra loro, e fatta considerare la loro approvazione collettiva come inscindibile ne nacque per lui la necessità, onde estrkarsi da questa difficoltà, di ritirar dall'ordine del giorno il trattato sugli emigranti, e di appiccare, senza por tempo in mezzo, le nuove trattative da me accennate.

Egli è appunto il risultato delle medesime che venne presentato recentemente alle due Camere, e da esse approvato con una notevole maggioranza.

Il Governo inglese non si peritò nella seconda fase delle trattative, sia conducendole, sia mercé una redazione più spiccata e precisa del nuovo strumento, di dare all'Olanda quelle spiegazioni, e soddisfazioni che essa ,richiese. Nel trattato primitivo erasi dichiarato che le stipulazioni relative al Reame di Siak sarebbero applicabili a qualunque Stato di Sumatra, che potesse cader quandochessia sotto la dipendenza olandese. Nel nuovo trattato, all'incontro, è riconosciuto il diritto dell'Olanda di estendere il suo dominio sull'isola intiera: e siccome nel trattato del 1824 i plenipotenziarii avevano fatte talune riserve rispetto alla conservazione dell'indipendenza del Sultano di Alsjin la cui autorità vien riconosciuta nel Nord di Sumatra, il governo inglese rinunzia in conseguenza a qualunque argomento si possa ulteriormente dedurre da tali riserve a pregiudizio dell'ingrandimento della potenza neerlandese.

Nel trattato anteriore erano enumerati i diritti dei sudditi inglesi nel Reame di Siak, laddove nel secondo viene stipulato in modo generale che, per quanto si attiene al commercio ed alla navigazione, i sudditi della Gran Bretagna godranno degli stessi e medesimi diritti onde godono i sudditi olandesi con l'obbligo però per parte di essi di uniformarsi alle leggi ed ai regolamenti in vigore.

In realtà questo nuovo stromento non è che la conservazione in diritto di quanto già esisteva in fatto attesoché l'Inghilterra non siasi sinora opposta alle pretese dell'Olanda rispetto alla Sovranità di Sumatra, e, d'altronde, la politica liberale ammessa dai due paesi negli ordini economici abbia praticamente avuto per effetto che, in fatto di commercio e di navigazione, i sudditi inglesi trovino nelle Indie neerlandesi lo stesso trattamento che incontrano i nazionali.

Ad ogni modo, egli è da considerarsi come un vero successo per parte del Governo dei Paesi Bassi l'aver ottenuto, antivenendo in questo modo complicazioni avvenire, di far riconoscere dall'Inghilterra esplicitamente lo stato attuale delle cose quale esiste nelle Indie orientali mercé un trattato internazionale ed il merito di questo successo è dovuto in gran parte al tatto, ed alla prudenza del Barone de Gericke per l'indirizzo da lui dato ai nuovi negoziati appena venne chiamato dal Re alla direzione delle relazioni esterne.

Quanto al trattato sugli emigranti si è giudicato più conveniente di aggiungere al trattato di cessione della costa di Guinea una convenzione speciale in cui si dichiara che, ove il Governo inglese consenta in avvenire che i lavoratori liberi della costa siano esportati nelle altre colonie britanniche, tale esportazione si intenderà egualmente permessa in favore delle colonie neerlandesi.

Unisco i due trattati presentati alla Camera nell'andato anno affinché l'E.V. dal raffronto di essi col nuovo trattato, che pure spedirò come tosto sarà officialmente pubblicato, possa formarsi un concetto più particolareggiato dell'insieme delle trattative, onde ho l'onore di ragguagliarla in questo mio rapporto sommario, che ho motivo di credere esatto, perché redatto sopra appunti sorruninistratimi cortesemente da un mio collega, che conosce l'olandese, ed assistette personalmente alle discussioni parlamentari.

306

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL

D. 10. Roma, 20 gennaio 1872.

Troverà qui unito copia di un rapporto del R. Ministro all'Aja e d'una Nota del Ministero dell'Interno (1). Contiene il primo alcune informazioni sui preparativi 'che si fanno per una insurrezione in !spagna, e l'altro dei due sovr'accennati documenti si riferisce alle mene della Società Internazionale.

V. S. potrà comunicare confidenzialmente al Governo Sf>'lgnuolo tanto il rapporto che la nota di cui Le mando copia.

Ed accusandole la ricevuta del carteggio politico sino al n. 64 inclusivamente...

307

IL MINISTRO AD ATENE, MIGLIORATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 31. Atene, 20 gennaio 1872 (per. il 27 ).

Il mio telegramma dell'8 corrente ha confermato a V. E. le informazioni che io aveva l'onore di trasmetterLe col mio rapporto N. 30 di questa serie (1), intorno alla composizione del Gabinetto Bulgaris, il cui primo atto è stato di sciogliere il Parlamento, di convocare gli elettori pel 7 febbraio onde procedere alle nuove elezioni, e riunire la Camera pel 5 Aprile.

L'attuale Ministero è pertanto composto degli elementi dei due partiti che sin qui disputavano il potere. Il tempo ci dirà se questi due partiti (Bulgaris e Coumoundouros) sono realmente disposti a lavorare d'accordo nello scopo di dare al paese un'amministrazione stabile. Il passato non c'inspira grande fiducia in questo senso. La lotta che si va ad aprire per le elezioni ci offrirà l'occasione di apprezzare i veri intendimenti di questi Capi-partito, i cui sforzi furono fin qui diretti a conservare più o meno l'autorità della loro personalità. Il Governo si occupa intanto di fare alcuni mutamenti negli impiegati dell'Amministrazione superiore, affine di assicurarsi un maggiore successo nelle ctezioni.

Ho veduto ieri il Sig. Bulgaris e sebbene sia privo d'istruzioni precise di

V. E. intorno alla vertenza del Laurium, profittai dell'occasione Jnde chiamare confidenzialmente la sua attenzione sulla longanimità di cui da prova il mio Governo in questa vertenza, accordando al Gabinetto Ellenico il tempo più che necessario per uscire da questa posizione per fatto di sua spontanea iniziativa. Mi occupai anzitutto a fargli apprezzare i vantaggi che ne derivano per lui dal ritardo che poniamo a fargli persino conoscere la nostra impressione sul rifiuto fattoci dal Gabinetto Zaimis di deferire la vertenza ad una f'Ommissione arbitrale. Terminai col dire al Signor Bulgaris che io gli augurava il trifmfo di

uscire da questo affare senza dare a noi ed alla Francia il rincrescevole dovere di rinnovare ufficii diplomatici nell'interesse di una soluzione che preferiamo attendere dall'equità del Governo Ellenico.

L'attuale Presidente del Consiglio non è sinora compromesso in questo negozio. Egli non intervenne alla Camera allorché essa adottò la famosa legge del 27 maggio; e si tenne poscia sempre all'infuori della passione colla quale il pubblico ebbe ad occuparsene.

Confesso che io nutro a questo riguardo una qualche speranza; ma potrebbe pur troppo non essere che una vana illusione. Di questo avviso sarebbe anzi il mio Collega di Francia, Duca Tascher, il quale è convinto che senza usare verso la Grecia un po' di pressione, non si otterrà alcuna soluzione all'affare che ci occupa. Egli è qui da più tempo di me, e per conseguenza in grado di conoscere meglio l'animo di questi Governanti.

(l) Non pubblicati.

308

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL CONSOLE A GERUSALEMME, DE REGE

D. s. N. Roma, 21 gennaio 1872.

Nello scegliere la S. V. per coprire il posto recentemente instituito di Console d'Italia in Gerusalemme, il Governo del Re ha fatto principale assegnamento nella prudenza e nelle altre doti personali di V. S. Ella non deve infatti ignorare le difficoltà di vario genere che suggerirono per lo passato al Governo di S. M. di non avere un agente proprio in quella importante città dell'Oriente, nè quelle difficoltà sono oggi scomparse totalmente, sebbene le circostanze presenti ci permettano di considerarle sotto un altro aspetto e ad un diverso punto di vista.

La posizione dell'Italia è oramai stabilita in faccia al mondo come quella di un Governo che rispetta le credenze religiose, ma che la religione non confonde nè associa colla politica. L'instituzione di un Consolato italiano in Gerusalemme non può dunque significare intromissione italiana negli affari religiosi che hanno il loro centro in Palestina. L'Italia vuol astenersi d'intervenire nelle vertenze relative al possesso dei Luoghi Santi ed altresi in quelle che sorgono fra le dissidenti sette della comunione Armena. Non vogliamo seguire le pedate di altri Govei'ni europei che per anUca tradizione o per interessi speciali si trovano impegnati a considerare le quistioni che sorgono fra la chiesa latina e la greca come quistioni proprie dalla soluzione delle quali può dipendere la loro influenza nei paesi di Levante. L'Italia non avrebbe ragione di arrogarsi un patronato esclusivo sovra le istituzioni cattoliche che mettono capo a Roma; e l'interesse nostro di non far nascere dubbi o sospetti a questo riguardo è talmente evidente che io appena trovo necessario farne cenno a V. S.

Ma nel seguire la linea di condotta che ho or ora indicato il Governo italiano non vuol abdkare ai suoi diritti in quanto concernono la tutela delle persone e degli averi degli Italiani senza alcuna distinzione, siano essi laici od ecclesiastici, appartengano essi ad un ordine monastico od al clero secolare.

24 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

A determinare la misura di questa protezione che siamo in diritto ed in dovere di esercitare con efficacia, V. S. dovrà applicare il suo ingegno ed il suo tatto, e certamente a Lei non mancherà l'approvazione del R. Governo, quando col suo contegno e colla fiducia che saprà inspirare, farà in guisa che la protezione del R. Consolato sarà piuttosto ricercata che offerta.

Nè il di Lei mandato deve limitarsi alla tutela degli interessi italiani nella Palestina. Un altro ufficio non meno importante Le è affidato. La mancanza di un Agehte consolare proprio ha creato negli archivi del Ministero una sensibile lacuna per tutto ciò che riguarda le quistioni di cui le potenze europee, la Francia e la Russia in particolar modo, si occupano a Gerusalemme.

A V. S. non è mestieri segnalare l'importanza della vertenza dei Luoghi Santi, vertenza che anche quando sia composta rivive sempre nella rivalità del clero greco col clero latino e nelle influenze rivali che a mezzo loro si eser · citano in tutto l'Oriente. Il frammetterci in quelle questioni è cosa che V. S. deve assolutamente evitare; ma l'osservarne le fasi e lo sviluppo sarà invece suo stretto dovere. A Lei non isfugge infatti che la rivalità dei Governi eur0pe. sovra un vasto campo qual'è l'Oriente è un elemento di politica generale di cui il Governo italiano deve saper tenere conto e che a lui importa di essere in grado di giustamente apprezzare.

Queste poche avvertenze, serviranno di guida a V. S. per la condotta ch'Ella dovrà tenere. Non sembrano prevedibili casi urgenti pei quali abbia a mancarle il tempo di chiedere ed avere istruzioni. Scriva ed informi. Il Ministero dal canto suo non Le lascierà mancare, ove occorrano, le necessarie direzioni.

309

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 829/266. Londra, 22 gennaio 1872 (per. il 26).

Finalmente le indagini fatte per trovar modo d'informare il R. Governo intorno ai procedimenti dell'Internazionale a Londra, secondo il desiderio del Signor Ministro dell'Interno, espressomi col mezzo dell'E. V., è stato coronato di buon successo avendo trovato mezzi nei quali ,credo che si possa ragionevolmente aver fiducia.

Trasmetto a V. E. la copia di un primo rapporto e penso che fra poco sarò in grado di poterne spedire altro di maggiore interesse. Ora ho richiesto un Rapporto sull'organizzazione dell'Internazionale a Londra, sul suo modo interno di funzionare, sui suoi Capi ed Agenti principali, sulla parte che vi prendono Italiani e sulle loro corrispondenze coll'Italia il quale servirà di base e di schiarimento ai rapporti che potrò spedire in seguito.

Ho pure chiesta una relazione biografica sui Capi ed Agenti principali dell'Internazionale, compresivi gli Italiani, la quale servirà allo stesso scopo, e potrà anche, fino ad un certo punto, controllare le relazioni degli informanti mediante la cognizione che certamente il Governo ha già della biografia dei membri Italiani dell'Internazionale.

Quanto alla spesa che potrà occorrere non sono in grado di poter dare a V. E. delle indicazioni precise.

Non sarebbe, a mio avviso, conveniente il dare un assegnamento fisso a lungo termine agli informanti essendo utile che essi sappiano che la loro retribuzione può cessare da un momento all'altro, e che l'ammontare della medesima è in relazione all'importanza delle notizie 'che essi forniscono. Per altra parte, a seconda dei casi, vi possono essere delle spese da rimborsare, il cui importare può essere diverso. Tutto ciò pertanto che io posso dire a questo riguardo è che, a mio avviso, la spesa non potrà eccedere L. Italiane 2,.500 o

3.000 in un anno e che io procurando la maggiore possibile economia non eccederò questa somma senza domandarne l'autorizzazione.

Trattandosi di una spesa di natura affatto particolare e confidenziale, e che, facendosi sui fondi segreti posti a disposizione del Ministero dell'Interno, non può soggiacere alle regole genemli della Contabilità, e che non potrebbe per ciò far parte dei miei conti trimestrali, né darsi convenientemente in riscossione al mio Procuratore col mezzo di mandato sulla Tesoreria, io proporrei che per la relativa contabilità si tenesse il seguente sistema, se ciò piacerà al Signor Ministro dell'Interno ed all'E. V.

Il Ministero dell'Interno potrebbe farmi un fondo parziale di 50 o 60 L. Sterline mediante cambiale a spedirmisi col mezzo dell'E. V. e di cui accuserei ricevuta. Avendo bisogno di nuovo fondo manderei un conto provvisorio della spesa fatta nel modo con cui un conto può esser fatto in tali materie; ed in ogni caso alla fine dell'anno manderei il conto del ricevuto e delle spese nell'anno e tutto ciò verrebbe da me fatto con rapporti all'E. V. da comunicarsi al Ministero dell'Interno.

Se pertanto la mia proposta sarà gradita starò in attenzione della relativa cambiale.

ALLEGATO

RAPPORTO N. l

Séance secrète chez Engels le 15 Janvier dans laquelle il a été donné lecture d'une lettre de Garibaldi communiquée à Marx et transmise à Engels pour en faire part à qui de droit par ordre de Marx.

On y lit entre autres que bien que les principes de l'Internationale ne soient pas acceptés par Mazzini, Garibaldi sait que Mazzini cherche par tous les moyens possibles, à s'assurer le concours des membres Italiens de cette Société pour arriver ainsi à l'établissement de la République en Italie.

Il dit aussi dans cette lettre que pour arriver à un résultat décisif, il faut, avant tout, chasser de cette société les Jésuites qui s'y sont introduits, refonder sur des nouvelles bases l'Internationale et faire un nouveau choix de chefs en éliminant tous les suspects, détruire les Pretres et le clergé en général plus tout véstige de Royauté et achever l'oeuvre si glorieusement commencée par la commune de Paris.

C. L.

Samedi 20 Janvier. Ouverture du Cercle des C'ommunistes N. 31 Francis Street.

Tottenham Court Road.

La Cecilia est parti, dit-on, pour New York envoyé par Marx pour l'Inter

nationale.

Garibaldi (Richardi [sic]) n'est pas venu à Londres depuis le mois d'Aoftt.

Lafargue gendre de Marx est à Saint Sébastian (Espagne) pour faire de la

propagande. Serralier le courrier confidentiel se prépare par ordre de Marx à voyager pour la Suisse et l'Italie (1).

310

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1766. Parigi, 22 gennaio 1872 (per. il 26).

Ho fatto conoscere a S. E. il Signor di Rémusat la comunicazione fatta all'E. V. da Photiades Bey, dalla quale pareva risultare, che la Francia e l'Inghilterra avevano consentito alla firma di un nuovo protocollo sulla giurisdizione Consolare in Tripoli per parte della Turchia, dell'Italia, della Francia e dell'Inghilterra, il quale sarebbe stato conforme nella parte dispositiva a quello già firmato dall'Inghilterra, ma non avrebbe nessun preambolo. Il Signor di Rémusat mi disse che una tale comunicazione era stata probabilmente provocata da un'interpretazione esagerata di ciò che egli aveva detto a questo riguardo all'Ambasciatore di Turchia e soggiunse che era ben inteso, che ogni risoluzione in proposito doveva esser presa d'accordo fra tutte quattro le Potenze interessate, e specialmente fra l'Italia e la Francia; che a questo fine egli aveva incaricato la Legazione di Francia a Roma di sottomettere a V. E. il progetto di protocollo; che una comunicazione identica doveva esser fatta dalla Ambasciata di Francia a Londra al Governo Inglese e che nessuna risoluzione definitiva sarebbe presa dalla Francia prima che da Roma e da Londra fossero giunte a Versaglia risposte analoghe ed approbative alla proposizione che la Francia aveva sottomesso all'esame dei due Gabinetti.

311

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Londra, 22 gennaio 1872.

Mi affretto ad accusarle ricevuta della di Lei lettera particolare del 16 corrente (2) colla quale ha avuto la cortesia di prevenirmi del prossimo arrivo a Londra del Signor Comandante Racchia per l'oggetto del Trattato colla Birmania, e per l'acquisto di un territorio a Borneo. Il concorso del Signor Coman

dante Racchia nel trattare qui questi due affari sarà certamente della più grande utilità, e nel mentre sarà un piacere per me il conoscere questo distintissimo Ufficiale, che onora la nostra marina militare, sarò pure lietissimo di prestargli tutto quel cordiale, ed efficace concorso, ed appoggio che mi sarà possibile.

Io mi asterrò per ora di far parola a Lord Granville che è ritornato ora in Città, della nostra idea sulla costa del Borneo, finchè ricevo a questo riguardo una comunicazione ufficiale, ed in qualunque cosa mi intenderò col Signor Comandante Racchia. Le soggiungerò che dopo il mio rapporto del... (l) non ho più ricevuto da Lord Granville alcuna comunicazione relativa alle Isole di Socotra al cui riguardo aveva trattenuto il Signor Conte per di Lei incarico. Quanto al trattato coll'Impero Birmano, non ho parimente più ricevuto alcuna comunicazione da Lord Granville in seguito a ciò che risulta dal mio rapporto.

Terrò poi presenti tutte le indicazioni che Ella mi ha favorite a riguardo di ambedue gli affari in occasione delle mie relazioni con Lord Granville intorno ai medesimi.

Rendendole molte e sincere grazie per la sua gentile comunicazione particolare, la prego...

(l) -Annotazione marginale: c Comunicato all'Interno 4 febbraio •. (2) -Cfr. n. 300.
312

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4098. Madrid, 23 gennaio 1872, ore 20,40 (per. ore 2,40 del 24).

Le Roi vient de charger M. Sagasta de la dissolution des Cortès. Cette décision qui ne sera connue que demain, constitue un grand événement politique, en démontrant clairement l'intention arrétée de la Couronne de s'appuyer sur le parti libéral conservateur. Il est à craindre seulement que les radicaux, qui vont immédiatement s'unir aux républicains, n'essayent de susciter des troubles et des désordres.

313

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. Berlino, 24 gennaio 1872.

En vous remerciant de votre lettre particulière du 5 de ce mois (2), je ne puis que me référer à ma dépéche confidentielle du 14, N. 935 (3), que je vous ai transmise directement par la poste. Votre lettre m'a admirablement servi

(:l) Non pubblicata.

pour provoquer de nouvelles explications du Prince de Bismarck. Je pense que vous en aurez été satisfait, car elles me semblent plus explicites encore, que 1eelles qu'il m'avait données lors de mon premier entretien avec lui, au retour de mon congé.

Mes travaux d'approche ont été portés plus en avant. L'alliance git dans la situation meme, dans le fond des choses, dans la communauté d'intérets permanents à sauvegarder. Ces convictions intimes valent mieux qu'un traité, qu'aujourd'hui nous ne pourrions conclure sans inconvénient. Nous aurions l'air de douter de nous-memes, en stipulant avec une Puissance qui est dans la plénitude de sa force, tandisque la nòtre est loin encore de son apogée. Quoique le Chancelier Impérial se soit défendu, cette fois avec quelque vivacité, d'avoir conservé une certaine impression de défiance relativement à notre attitude en 1870-71, il n'est pas moins vrai, j'en recueille par ci par là des indices, que cette impression n'est pas encore complètement effacée dans les régions de la Cour et du Gouvernement. Dans ces conditions, s'il fallait mettre des engagements par écrit, on nous demanderait peut-etre des garanties qui ne reposeraient pas sur une entière réciprocité. Notre liberté d'action serait trop entravée et, qui plus est, notre dignité en souffrirait. Comme le danger d'une autre guerre avec la France n'est pas imminent, on serait enclin à attribuer nos ouvertures à un sentiment exagéré de crainte. Il ne m'est d'ailleurs nullement prouvé qu'elles seraient accueillies favorablement hic et nunc, car il n'est pas dans les habitudes d'une diplomatie habile de se lier pour des événements auxquels, si prévus qu'ils soient, on ne saurait encore fixer une prochaine échéance. Mieux vaut donc continuer à nous ménager une bonne position id, préparer le terrain au mieux de nos convenances, et réserver nos gros atouts quand les circonstances deviendraient plus propices. Il est évident que nous ne devons pas négliger en attendant de chercher à convaincre le Cabinet de Berlin de notre pensée constante de rendre toujours meilleures les relations entre les deux Pays. Nous ouvrirons ainsi une voie facile à une entente ultérieure et plus intime. Mais en meme temps il faut tàcher de faire désirer notre alliance, d'en montrer le prix en redoublant de soins pour organiser la défense de notre territoire et pour fortifier en Italie le parti dévoué aux principes d'ordre et de sage liberté. Si nous tenons, et nous avons raison d'y tenir, à donner une embrassade à la Prusse, nous nous respectons assez pour ne pas faire, à nous-seuls, toutes les avances. Nous devons progressivement nous rapprocher des deux còtés, en nous prévalant des occasions au fur et à mesure qu'elles se présenteront. Ce sont bien là au reste les idées que nous avons échangées à Rome et à Turin, et je vois avec plaisir par votre lettre qu'elles n'ont rien perdu de leur valeur.

Il est d'autant plus important de rester en bons termes avec ce Cabinet, que, comme vous le dites fort bien, nous ne pouvons nous livrer à aucune illusion sur ,}es dispositions de l'opinion publique française, aussitòt que les circonstances actuelles se modifieraient. Ici également on prévoit, non seulement une attitude équivoque du Gouvernement quel qu'il soit en France, mais une tentative de revanche, dès qu'il en trouverait le joint. Ce ne serait qu'une question de temps, de quelques années. Si nous aurons alors, comme il faut l'espérer, une meilleure assiette qu'en 1870, et nous devons nous y appliquer sans relàche, nous serons à meme, avec l'appui de l'Allemagne, de jouer un tout autre role. L'Italie ne sera vraiment amalgamée, le prestige de l'Autorité ne sera vraiment constitué sur des bases à solide épreuve, que par une grande guerre contre la France. Cette crise sera fatalement amenée par ce peuple qui nous confond dans sa haine contre les vainqueurs. Mais, du moment où il serait prouvé qu'il veut courir à nouveau l'aventure, meme seulement contre l'Allemagne, nous ne devrions pas hésiter à démasquer nos batteries. Nice nous tendrait les bras, et, quant à la Savoie, il nous conviendrait de la détacher de la France, si non pour en rentrer en possession, du moins, ce qui vaudrait peut-etre mieux, pour la constituer en état neutre en union personnelle avec la Suisse. Ce ne serait certes pas l'Empire d'Allemagne, qui s'opposerait à ces combinaisons.

Mais j'empiète trop sur l'avenir. Je me borne à insister sur ce point, que le danger viendra de la France, et qu'ainsi notre programme est tout tracé. Je comprends que, en prévision de complications, V. E. tienne par ses procédés à mettre de notre coté la raison et à éviter meme l'apparence d'une provocation. Mais l'esprit de bienveillance et de conciliation a des limites, qu'il ne conviendrait pas de trop élargir. Nous risquerions que, à Paris ou à Versailles, on attribuàt à ces procédés un caractère moins élevé et qu'on y fut encouragé à formuler des prétentions inadmissibles. Sans le vouloir, nous aurions alors provoqué des embarras, auxquels il vaudrait mieux couper court d'avance, en laissant comprendre que nous ne supporterions aucune ingérence étrangère.

On nous saurait gré id d'une pareille attitude, et ce serait la meilleure préface pour des accords futurs.

Les journaux prétendent que M. Thiers aurait sollicité le rappel de M. le Chevalier Nigra. J'ai vu avec plaisir dans quelques numéros de l'Opinione que ce journal qui, ici du moins, passe pour avoir des attaches officieuses, romp des lances en faveur de ce diplomate. C'est en effet faire acte d'indépendance vis-à-vis de nos voisins. Il me semble seulement que pour défendre M. Nigra d'injustes attaques, l'Opinione a dépassé le but. Les comparaisons sont odieuses, et vouloir le grandir aux dépens de tout notre corps diplomatique, n'est ni généreux, ni surtout habile. Il serait au contraire dans nos convenances de proner très haut que nos représentants jouissent de toute la confiance du Gouvernement, afìn d'ajouter plus de crédit à leur langage, et de ne pas leur donner en masse, et en quelque sorte, un brévet d'incapacité pour le poste de Paris. Serait-ce peut-etre pour préparer la voie à quelque dilettante? Mais alors, quelque regrettable que cela fut, vaudrait-il mieux le nommer quand le moment sera venu, sans jouer ainsi de la grosse caisse.

V. E. m'excusera si cette observation est hors de propos, car, autant que je me souviens, il m'a été assuré à Rome que l'Opinione ne refl.était pas votre pensée. Il est fàcheux seulement, pour le 'cas que je viens de signaler, qu'elle en ait la réputation. II serait humiliant pour nous, qu'on put croire à l'étranger que notre corps diplomatique méritàt un semblable testimonium paupertatis. Le reproche frapperait d'ailleurs plus haut.

(l) -Manca. (3) -Cfr. n. 296.
314

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Vienna, 24/26 gennaio 1872.

Ho ricevuto a suo tempo a mezzo del corriere Anielli la Vostra lettera particolare del 4 corrente (1), interessantissima per me sotto ogni rigu::.rdo; infatti essa contiene, non solo importanti considerazioni ed intenzioni relativamente alla grave questione delle corporazioni Religiose in Roma, ma pur anche l'approvazione che mi viene gratissima, del linguaggio al riguardo da me tenuto col Conte Andrassy. Ho infatti luogo di ritenere che una delle conseguenze pur di tal linguaggio sia stata la risposta data dal Ministro degli Esteri alla Deputazione del Casino Cattolico. Tal risposta riferita in sunto nel giornale il Vaterland, venne poscia in extenso pubblicata nell'ufficiosissima Correspondance générale Autrichienne, non poco però temperata nella forma se non nella sostanza, e ciò probabilmente per condiscendenza ad altissime influenze o meglio esigenze. Ciò non di meno l'effetto prodotto sull'opinione pubblica dalla sostanza della risposta fu immenso! Io non mi dissimulo però, che onde far trangugiar alle succitate altissime influenze un fatto così contrario ai sentimenti che Le ispira, le insistenze a favore degl'Ordini Religiosi aumenteranno d'intensità, ed in generale le raccomandazioni a riguardo della così detta libertà spirituale del Pontefice cresceranno più che mai. Come ben prevedeva il Conte Andrassy è tenuto per molte ragioni a ben maggiori riguardi verso i sentimenti personali del Suo Sovrano nonchè dell'entourage di quanto lo fosse il Conte di Beust, il quale da lungo tempo aveva brulé ses vaisseaux, imponendosi a malgrado tutto. Ma con un pachino di condiscendenza, e con bei modi avremo ragione di queste piccole noje, e ciò tanto più se ci risolveremo ad andar avanti senza esitazione e presto. Il momento non potrebbe esser più opportuno. Il Governo Imperiale tiene anzi tutto oggi alle buone relazioni coll'Italia, poichè esse sono volute dal partito liberale Tedesco che esclusivamente lo appoggia in questo momento; conseguentemente se ci metteremo le necessarie forme, potremo far quanto meglio crederemo nell'interesse nostro interno, senza timore che il malvolere della Francia verso di noi trovi a Vienna l'appoggio ch'essa vi cerca. Le cose però muterebbero affatto d'aspetto, ove all'attuai governo liberale e composto d'uomini che hanno in fondo simpatia per noi, ne succedesse uno che dasse la preponderanza ai federalisti, le cui tendenze clericali ed antigermaniehe, conseguentemente francesi, non fanno dubbio. Allorchè il Conte Beust lasciava, costrettovi dalla volontà Imperiale, il posto di Cancelliere, io vi scrivevo esser opinione generale che il tramonto della stella di quell'Uomo di Stato sarebbe stato di breve durata; tale era infatti l'opinione universale. Le cose però hanno alquanto mutato aspetto da quel giorno e per colpa del Conte Beust; il bisogno di occupar l'opinione pubblica, di far parlar di sè i giornali quasi quotidianamente gli ha

fatto un male essenziale. La sua visita a Versailles poi gli ha intieramente alienato le simpatie di circostanza del Principe di Bismarck. Intanto l'avversione per lui dell'Imperatore Francesco Giuseppe non fece che crescere; il partito Tedesco si è pur raffreddato nelle sue simpatie al seguito di quella mal consigliata visita, ed in questo momento egli non può forse contare che nell'appoggio dei finanzieri che certamente sono una forza non da disprezzarsi in Vienna, ma che però non esercitano un ascendente preponderante. Il Conte Andrassy poi ha acquistato tutto il terreno che il suo predecessore e temibile successore perdeva, ed egli mi par oggi saldissimo al suo posto. Con tutto ciò non voglio far profezie, poichè se difficili a farsi ovunque sono impossibili in Austria dove le cose le più improbabili sono sempre possibili.

Vi ho telegrafato il passaggio per l'Alta Italia dell'Arciduca Alberto: il Generale Piret che lo accompagna dicevami che probabilmente farebbe una punta alla Spezia, ve ne prevengo pel caso il Ministro di Marina creda mandarvi ordini, non converrebbe però in modo alcuno rompere l'incognito che l'Arciduca intende serbar strettamente. La nostra andata a Roma ha reso più che mai difficile un atto di cortesia personale dell'Imperatore e degli Arciduchi verso il nostro Sovrano, e parmi sia della nostra dignità, non mostrar di tenerci, e tanto meno poi cercar di ottenerlo forzatamente. Confesso però che allo stato delle cose non vedrei la possibilità di una visita a Vienna di un nostro Principe; dico ciò per il caso quest'idea potesse in qualunque modo nascere, la mia attenzione essendovi stata richiamata sopra allorchè nel mio primo colloquio col Conte Andrassy egli mi espresse il suo rincrescimento, che l'incontro fra i due Sovrani altra volta progettato fosse andato fallito a causa della malattia del Re, e la sua speranza che ciò potesse altra volta verificarsi. Non mi fo illusione alcuna; l'Imperatore o la famiglia Imperiale non solo non hanno simpatia di sorta per la nostra Real Casa e per l'Italia, ma sono anzi sotto l'influenza della più pronunciata antipatia tenuta viva dal partito ,clericale potentissimo sull'Arciduchessa Sofia, non che dagli spodestati tutti che qui risiedono o convengono di quando in quando. Non converrà dunque mai che da parte nostra si faccia un vero atto di cortesia personale prima che uno fatto da qui, ci possa dar guarentigia dell'accoglienza dovuta ad uno nostro. Non mi dò d'altronde pensiero di un tal stato di cose; i veri interessi delle Nazioni s'impongono in oggi alle passioni personali dei Principi, e queste quindi in uno Stato qual è oggidì l'Austria-Ungheria, non possono più avere in ordine alle estere relazioni se non conseguenze molto limitate. Devo però constatare che l'Imperatore è sempre gentilissimo per me ogni qualvolta ho l'onore di trovarmi dinanzi a Lui, e sempre mi chiede nel modo più corretto notizie del Re e del ,come si trovi a Roma! Gli Arciduchi pure tutti sono meco convenientissimi, e giustizia vuole anzi io faccia particolar menzione dell'Arciduca Alberto che proprio è per me d'una marcata gentilezza. Egli non riceve mai diplomatici in casa Sua; Lunedì però m'invitò a pranzo col Generale Schweinitz dicendoci che era lieto di poter far un'eccezione per noi due considerandoci come Generali e non come diplomatici. Dacchè sono sull'argomento non credo però potervi tacer che l'Arciduchessa Sofia non mi ricevette, facendomi rispondere che più non dava udienze ufficiali, locchè non l'impedì di ricever pochi giorni dopo gli Ambasciatori di Germania e d'Inghilterra.

Credetti bene parlarne col Principe d'Hohenlohe Gran Mastro dell'Imperatore, mostrando però non attaccarvi importanza di sorta, riconoscendo ad una Donna della sua età il diritto di far capricci! Il Principe Hohenlohe accolse molto favorevolmente questo mio modo d'envisager la question, e volle avvalorarlo, dicendomi che l'Imperatore non intendeva in modo alcuno assumere la responsabilità dei ,capricci di sua madre, tanto più dopo lo sgarbo da essa fatta all'Imperatore Guglielmo lasciando Ischl il giorno precedente al suo arrivo, e ritornandovi il giorno dopo la sua partenza. L'incidente dunque non ha avuto altro seguito e sarà bene non se ne parli ulteriormente, i miei successori a Vienna per altro faranno egregiamente ad estenersi senz'altro dal chiedere di essere ricevuti dall'Arciduchessa Sofia.

Somme toute mi trovo perfettamente a Vienna, e parmi la mia posizione vi sia sufficientemente buona.

Vi ho riferito l'accoglienza freddina anzi che nò stata fatta alla mia entratura relativamente alla nostra questione colla Grecia, la cosa non mi stupì però, tanto perchè ho già potuto constatar che il Conte Andrassy non ama ingerirsi senza che vi sia un evidente interesse pel suo paese negli affari altrui, adducendo sempre l'esempio della Francia e del poco vantaggio per non dir altro ch'essa ha ricevuto da tali ingerenze; quanto poi anche perchè egli ama assai, allorchè il può far senza inconvenienti, spiegar la sua azione in modo diverso dal suo predecessore. Vi confesserò poi che non so capire il contegno della Francia in questa faccenda; evidentemente se m'avete scritto che il Marchese di Banneville riceverebbe istruzioni analoghe alle mie si è perchè ve ne sarà stata data l'assicuranza; or bene fino ad oggi l'Ambasciator Francese non ha ricevuto ch'io mi sappia comunicazione di sorta al riguardo, sebbene mi abbia detto aver richiesto istruzioni tosto dopo ch'io per la prima volta gli tenni parola di questa faccenda.

Mi scordavo dirvi che l'Imperatore mostrossi meco grato all'accoglienza stata fatta dal Re al Barone Kiibeck allorchè gli presentò le sue ricredenziali, ed assicurommi sperar che egual fiducia e stima saprebbe meritarsi dal Re il Conte Wimpfen, le istruzioni da esso dategli non potendo a meno di condur a quel risultato. In questa circostanza pure l'Imperatore volle esprimersi in modo molto onorevole e lusinghiero a riguardo del Governo nostro e del Parlamento pure dei di cui lavori mostrossi a giorno. Come vedete, e come vi dicevo la posizione è correcte, il pretender di più sarebbe fuori di tempo ed inutile: studiamoci di mantener le buone relazioni internazionali, in quanto a quelle personali da Sovrano a Sovrano, contentiamoci dell'indispensabile, e lasciamo il di più al tempo ed alle ,circostanze. L'esposizione mondiale dell'anno venturo potrà forse esser occasione ad un invito per parte dell'Imperatore, e quindi ad una visita del Principe Umberto, ma più d'un anno ancora ci divide da quell'epoca, c'è dunque ancora tempo soverchio da ragionarci sopra. Pel momento null'altro ho da dirvi che non troviate nella mia corrispondenza ufficiale: se vedrò ancora il Conte Andrassy prima della partenza del corriere che vi porterà questa lettera, e se avrò a comunicarvi qualche cosa d'interessante ve lo aggiungerò in post scriptum, per ora non resta dunque che a porgervi la riconferma del mio rispettoso ossequio.

26 gennaio 1872.

Ecco il post scriptum che arriva. Comincio col dirvi cosa già a voi nota che l'Arciduca Alberto dopo d'avermi detto che partirebbe per l'Italia la settimana prossima, lasciava Vienna sin da ieri mattina, in modo che quando riceverete questa lettera, Egli sarà già in Francia. Permettetemi ora che in questa lettera particolare vi dia la continuazione del mio rapporto ufficiale d'oggi stesso sul colloquio avuto ieri col Conte Andrassy e che vi riferisca la nostra ulteriore conversazione dal punto in cui la lasciai in detto mio rapporto. Come ben prevedevo e vi ac·cennavo in principio di questa lettera, il Conte Andrassy dopo la dichiarazione fatta alla Deputazione cattolica si trova costretto da molte esigenze a spiegar una maggior insistenza verso di noi in riguardo alle cose di Roma, e quindi, come me l'aspettava, colse l'occasione per ritornar sull'argomento della convenienza ed anzi necessità a tutela degli interessi cattolici di serbar alle case Generalizie stabilite a Roma, intatto il godimento delle attuali loro proprietà. Non mancai di ribattere i suoi argomenti servendomi di quelli fornitimi dalle vostre lettere sulla questione, ed altri ancora ne aggiunsi senza però ch'egli accennasse a voler menomamente ceder ai miei ragionamenti. Dissigli che evidentemente non potevo preveder l'esito della legge che sarebbe stata presentata al Parlamento; il progetto di essa non essendo ancora neppur concretato definitivamente, che però il mio convincimento dietro la conoscenza che avevo dell'opinione .pubblica in Italia nonchè dei partiti, s'era che indubbiamente il Parlamento non avrebbe mai ammesso che le case Generalizie conservassero le loro proprietà stabili nella forma sotto cui esse le godono attualmente, l'Italia non volendone più sapere di quella mano morta, nociva ovunque alla prosperità degli Stati, nocivissima in modo del tutto speciale alla prosperità di Roma, alla salute dei suoi abitanti. Croyez-moi M. le Comte, iL faut jeter cela à la mer pour sauver le reste, perchè ove si volesse salvar tutto si finirebbe per salvar nulla. Sul modo di conversione potrà forse anche trovarsi un ripiego di conciliazione, soggiunsigli, ma sul fondo della questione, credete alla mia impressione personale, non c'è scampo, la mano morta non si salverà. Il Conte Andrassy cercò di ribattere tutti i miei argomenti, non come un uomo evidentemente che esprimesse il proprio convincimento, ma come un uomo che non poteva parlar diversamente dovendo almeno trovarsi sempre in grado di poter dir nulla aver tralasciato per sostener una causa a cui sì vivo interessamento prende il suo Sovrano. Nel corso della conversazione il Conte Andrassy trovò

modo di ritornar sulle dichiarazioni antecedentemente fatte dal Governo Italiano in ordine alla sua intenzione di concertarsi colle potenze cattoliche, riferendosi però, ad una nostra conversazione al riguardo che già vi ho riferito, accennommi al malvolere della Francia verso di noi, alle simpatie che in Baviera mostravano volersi risvegliar a favor del Papa, in prova del che diceva il Governo di Monaco non avrebbe probabilmente più rimpiazzato il defunto suo Ministro in Italia, e sebbene mi lasciasse indirettamente vedere che l'Austria non si sarebbe associata al riguardo all'azione della Francia, nè della Baviera, pur volevami persuadere che se non trovavamo modo di soddisfar le giuste esigenze, saressimo andati incontro a molte noje; a pericoli no dicevami, ma noje si. Insomma vedesi un uomo che teme di essersi troppo avanzato e che per tema dell'avvenire vuoi aver le spalle coperte. Ciò però non cambia affatto il modo di vedere ch'io vi esprimevo in principio di questa lettera; conviene sortir da questa questione, e senza troppo ritardo; l'Austria non ci darà noje serie, tanto più se avrà la convinzione che abbiamo con noi la Prussia; la Francia lasciata così sola non potrà recarci molestie, ed anche questa passerà come molte altre comme une lettre à la poste! Ma ritardandone di molto una soluzione, gl'intrighi del Vaticano che hanno qui un forte centro d'azione, possono acquistar un'influenza tale da produrre conseguenze non del tutto impossibili in un paese come questo, come accennavami lo stesso Conte Andrassy, ad un punto di vista diverso ben inteso da quello ch'io vi sottopongo. E qui pongo fine a questo mio lunghissimo post scriptum di una già troppo lunga lettera.

(l) Non pubblicata.

315

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1772. Parigi, 26 gennaio 1872 (per. il 30).

Ebbi l'onore d'informare per telegrafo l'E. V. che fu presentata all'Assemblea nazionale una petizione tendente ad ottenere che il Ministro di Francia accreditato presso S. M. il Re non vada a risiedere in Roma. Questa petizione, rinviata alla competente commissione, deve essere riferita fra breve. Il Signor di Rémusat al quale feci notare gli inconvenienti e la cattiva impressione che produceva in Italia il prolungato ritardo della partenza del Signor di Goulard per Roma, mi disse che era sinceramente dispiacente di questo ritardo e che desiderava vivamente ch'esso non fosse interpretato come un atto di meno buona volontà per parte del Governo francese, il ·Che non era in veruna guisa. Questo ritardo, mi disse il Signor di Rémusat, era stato occasionato prima dalla votazione del trattato colla Prussia di cui il Signor di Goulard era stato l'uno dei negoziatori; e poi dalla crisi recente che fu ora risolta. Ora poi, in presenza della petizione sopra accennata la quale doveva discutersi in questi stessi giorni, il Governo francese aveva creduto che la partenza del Ministro di Francia alla vigilia di questa discussione potesse presentare nella Assemblea un inconveniente reale nell'interesse stesso del buon esito della votazione sulla petizione. Il Governo francese ha quindi fatto ritardare di alcuni giorni la partenza del Signor di Goulard. Ma il Signor di Rémusat mi assicurò che se la discussione della petizione fosse ritardata ancora avrebbe proposto al suo Governo di far partire ciò non ostante il Ministro di Francia per Roma. Il Signor di Rémusat m'incaricò di esprimere all'E. V. la di lui speranza che il Governo del Re vorrà tener conto di questa situazione e non attribuirà ad altre ragioni questo ritardo.

Ho domandato al Signor di Rémusat quale attitudine prenderebbe il Governo francese nella discussione della petizione, ed a questa occasione non mancai d'osservare come si provvederebbe assai meglio alle buone relazioni dei due Governi d'Italia e di Francia se si evitassero in seno dell'Assemblea francese discussioni che non possono avere altro pratico risultato all'infuori di destare nei due paesi irritazioni che abbiamo uguale interesse a comprimere ed a sedare. Il Signor di Rémusat mi disse ch'egli non accetterebbe che l'ordine del giorno puro e semplice; ch'era impossibile il mettere da parte una petizione regolarmente presentata e quindi evitare la discussione. Del resto egli aggiunse che quantunque la commissione si mostri disposta ad inserire nel suo rapporto considerazioni che possono spiacere all'Italia, tuttavia sembrava decisa a proporre essa stessa l'ordine del giorno.

Io impegnai vivamente il Signor di Rémusat, giacchè la discussione era inevitabile a mantenere fermo il suo proposito di non accettare che l'ordine del giorno puro e semplice; ed a questa condizione, gli dissi, noi non leggeremo le considerazioni teoriche della Commissione, per tenere conto soltanto delle conclusioni pratiche della votazione e della dichiarazione del Governo.

316

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 553. Roma, .27 gennaio 1872 (per. il 28).

Non sono certamente ignoti alla E. V. i tentativi di questi ultimi tempi per un accordo tra gli aderenti all'Associazione Internazionale ed i Mazziniani.

L'attività di queste fazioni nello stringere intelligenze per tradurre in atto i disegni sovversivi, sembra ora cresciuta oltre il ·consueto, e, stando ad alcune indicazioni, sembra che l'esecuzione dei progetti rivoluzionari, debba essere concomitante ad un movimento in Francia che si annunzia poco lontano.

Nel porgere questo primo cenno alla E. V., per conveniente notizia, mi riservo di significarle sollecitamente quelle ulteriori e specifiche informazioni che mi verrà fatto di raccogliere (1).

317

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 18. Madrid, 27 gennaio 1872 (per. il 3 febbraio).

Appena ricevuta la Circolare Ministeriale delli 10 Dicembre scorso (2), non posi indugio nel fare quelle pratiche officiose e in via privata che credetti opportune per appurare se esistessero in !spagna Associazioni Religiose conservando un carattere qualsiasi di nazionalità italiana.

Mi sono convinto adesso che non avvi altra istituzione religiosa che possa essere considerata come Italiana, o sulla quale noi potremmo rivendicare un diritto di patronato, se non la Chiesa e l'Ospedale detti degli Italiani in Ma

drid. Di questa fondazione, sua ongme, storia, ed attuali condizioni trattano i Rapporti della Legazione: Affari in Genere, N. 22 e 28 delli 9 e 28 Dicembre 1869; N. 29 delli 10 Gennaio 1870. E col dispaccio N. 9 delli 27 Settembre 1871 (l) questa Legazione manifestava le ragioni per le quali non sarebbe adesso il momento di suscitare una tanto intricata quistione per rivendicare i nostri diritti, con poca o nissuna speranza di riuscita.

(l) -Annotazione marginale del documento: c 28 gennaio '72, comunicata a Parigi al Commendator Nigra • (fr. n. 318). (2) -Cfr. n. 250.
318

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 364. Roma, 28 gennaio 1872.

Il Signor Ministro dell'Interno mi scrive che l'atttività dell' • Internazionale • e del partito mazziniano fra loro associati per tradurre in atto i loro disegni sovversivi sembra essersi negli ultimi tempi notevolmente accresciuta, e che alcuni indizi farebbero credere essere l'esecuzione di tali progetti collegata ad un movimento in Francia che si annuncia poco lontano.

Se il Ministro dell'Interno, come esso lo accenna, si troverà più tardi in grado di fornirmi più esatte informazioni, non mancherò di comunicarle alla S. v.

319

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A BUENOS A YRES, DELLA CROCE DI DOJOLA

D. 38. Roma, 29 gennaio 1872.

Con il pregiato rapporto del 14 settembre dell'anno passato n. 143 (l)

V. S. mi ha chiesto istruzioni circa le pratiche da farsi in favore degli italiani i quali vantano crediti verso il Paraguay per danni sofferti nei disordini accaduti all'Assunzione verso la fine del 1870. Ella mi ha espresso l'opinione che tali pratiche sarebbero più opportunamente introdotte quando il R. Governo fosse rappresentato presso quella repubblica da un console di Ia categoria, ed inoltre V. S. manifesta un dubbio sulla utilità dei passi che si potrebbero fare sin d'ora, mentre il paese, non ancora permanentemente costituito, versa nelle più gravi difficoltà economiche e finanziarie.

Nel dispaccio sovracitato e nella successiva di lei corrispondenza, non ho trovato alcuna indicazione sull'entità dei crediti in questione, ancor meno sulla validità delle prove che gl'italiani potrebbero fornire dei danni realmente sofferti. Bensì il rapporto di V. S. ricorda opportunamente avere il Governo paraguayano riconosciuto in massima l'obbligo suo di risarcire i danni imputabili agli agenti governativi.

A questo riguardo sono adunque da considerarsi due cose affatto distinte, cioè: il principio di diritto che ci deve guidare nelle nostre domande al Pa

raguay; l'opportunità di fare immediatamente, oppure di sospendere i passi

che crediamo nostro dovere di smuovere in favore di creditori italiani.

Sul primo punto, sul principio di diritto cioè che ci deve guidare nell'accordare l'appoggio del R. Governo alle domande dei danneggiati dell'Assunzione, io debbo riferirmi alle anteriori istruzioni impartite dal Ministero ai suoi agenti diplomatici nell'America meridionale, e mantenere ferma l'ap' plicazione della massima che siano da risarcirsi soltanto i danni che il Governo locale, le sue truppe ed i suoi agenti hanno cagionati agl'italiani facendo requisizioni nelle loro proprietà, a meno che sia dimostrato che in casi simili il Governo stesso indennizzerebbe i propri cittadini, oppure si tratti di danni toccati agl'italiani perchè loro venne a mancare, per imperizia o malvolere dell'autorità, la difesa alla quale hanno diritto secondo i trattati ed

il diritto delle genti.

Circa alla questione d'opportunità sebbene io apprezzi altamente i motivi

che farebbero preferire che i passi presso il Governo dell'Assunzione si fa

cessero da un console di Ia categoria, mi preoccupo cionondimeno degli incon

venienti che potrebbero derivare da un soverchio ritardo nel porgere a quel

Governo i richiami presentati dagl'italiani. Non è infatti nel corso naturale

delle cose che, dopo aver noi ottenuto dal Paraguay una dichiarazione favo

revole al principio del risarcimento dei danni sofferti dagl'italiani si sopras

sieda, per tanto tempo a far conoscere a quel Governo quali siano i singoli

danni da risarcire. Il ritardo quando non avesse altri inconvenienti, avrebbe

pur sempre quello di rendere più difficili le prove che si debbono addurre

e le necessarie verificazioni dei fatti. Propenderei dunque per un partito che

conciliasse le convenienze della procedura diplomatica con le esigenze degli

interessi impegnati nella questione, e mi pare che tale partito si trovi nell'in

dirizzarsi ella stessa per iscritto al Governo del Paraguay trasmettendogli le

domande degl'italiani. In tale trasmissione ella comprenderebbe tutte le do

mande che le risulterebbero sufficientemente fondate e la di lei lettera po

trebbe essere presentata per mezzo dell'agente consolare italiano all'Assun

zione.

Questo primo passo provocherà probabilmente una risposta ed allora noi

saremo a tempo di decidere sulle pratiche ulteriori da eseguirsi. Intanto però

si sarà sempre interrotta quella specie di prescrizione che non tarda a com

piersi quando in simile materia si lascia decorrere il tempo durante il quale

sono possibili od almeno meno difficili le prove dei fatti che si vogliono alle

gare a fondamento delle proprie domande.

(l) Non pubblicato.

320

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4105. Pietroburgo, l febbraio 1872, ore 16,40 (per. ore 0,37 del 2).

Les candidats proposés pour les Evechés polonais par le Gouvernent Russe sont acceptés par le Pape. Question de l'introduction de la langue russe dans la ritualité religieuse n'est pas encore décidée. M. de Capnitz qui serait pro

bablement nammé agent officiel pousse à la réconciliation. Négociation n'a aucune partie politique, France y étant étrangère. Thiers a pourtant déclaré vouloir renoncer à toute sympathie active en faveur de la Pologne. Détails par poste.

321

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 653. Roma, l febbraio 1872 (per. il 2).

Nel ringraziare l'E. V. delle comunicazioni favoritemi colla Nota a margine indicata (l) circa il noto agitatore russo Bakounine e l'associazione del Giura bernese, non posso dispensarmi dal pregarla di voler inculcare al R. Ministro in Berna di insistere nelle investigazioni e nella sorveglianza raccomandatagli, per quanto concerne specialmente il detto Bakounine il quale, sta di fatto che tiene corrispondenza con alcune Sezioni dell'Internazionale dell'Alta Italia.

322

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 72. Madrid, l febbraio 1872 (per. il 7).

Le parti Carliste vient, par l'organe de la Junte Centrale s'intitulant Catholique Monarchique, de publier un manifeste, dans lequel, oubliant que le Gouvernement, avant la rupture de la Conciliation, avait été autorisé à percevoir les impots, il invite les Espagnols à ne pas les payer sous prétexte qu'ils n'ont pas été votés par les Cortès. Ce manifeste est un véritable appel à l'insurrection, et la phrase suivante suffit à le démontrer: • C'est un devoir, un devoir sacré et impérieux de combattre, sur le terrain légal les pouvoirs qui ont surgi de la Révolution, les Gouvernements [sic] d'Amédée de Savoie, en leur suscitant toutes espèces d'obstacles, en les privant de toutes espèces de ressources •.

L'attitude de plus en plus factieuse du parti Carliste fait prévoir que le Gouvernement ne pourra pas tarder à employer des mesures énergiques et décisives contre cette minorité audacieuse et turbulente, que, toujours pvète à la violence, s'efforce à présent de pousser les habitants des campagnes, sur lesquels elle exerce une certaine influence, à ne point payer les impots. Quoique, par l'abolition du système préventif, il a été possible que ce manifeste se soit publié impunément, on doit cependant espérer et croire que le Gouvernement, -s'il faut en juger par ,les organes les plus autorisés -, saura faire en sorte que les Carlistes ne pourront plus se servir désormais des mèmes libertés établies par l'ordre de choses actuel pour s'efforcer à paralyser la marche régulière des institutions libérales.

(l) Si tratta della nota n. 2 del 31 gennaio.

323

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 159. Costantinopoli, 2 febbraio 1872 (per. il 9).

Il R. Console in Beyrouth, nel darmi contezza degli incidenti che hanno accompagnato la ·consegna del Seminario e Convento Armeno del Libano agli antihassounisti e dei timori colà sorti di vedere per tale fatto turbata la pubblica quiete, mostravasi meco dolente di essere privo di istruzioni sulla linea di condotta da seguire e sul modo di contenersi con Franco-Pacha che soventi intrattenevalo della sua difficile posizione in si delicata controversia. Il R. Console aggiungeva che il Governo del Re guadagnerebbe in quelle contrade d'influenza se il R. consolato potesse appoggiare le pratiche che faceva la Francia in appoggio allo Statu quo, cioè a dire dei seguaci di Monsignor Hassoun.

Ispirandomi alle verbali istruzioni ricevute in Roma dall'E. V. nello scorso Agosto, credetti utile di far conoscere in risposta al Cavalier Macciò i motivi pei quali in questo momento il Governo del Re si è imposto di usare la massima riserva in tutto ciò che riferiscesi a controversie di natura religiosa tanto in Levante come altrove.

Ho l'onore di trasmetterle copia della lettera riservata che gli diressi a tal uopo.

Ma siccome il Cavalier Macciò nel mostrarsi grato per le direzioni da me dategli, torna di bel nuovo a sostenere che sebbene, in tesi generale, non convenga al Governo del Re di secondare e favorire la guerra che si vuoi fare dalla Corte Pontificia ai privilegi goduti dalle diverse Chiese Orientali, purtuttavia nelle condizioni eccezionali in cui trovasi il Libano ed in vista specialmente della opinione prevalente nella maggioranza de' Cattolici colà residenti che è favorevole agli hassounisti, sarebbe opportuno che per quanto riferiscesi [alla questione] sorta per l'occupazione del Convento Armeno, il R. Consolato unisse la sua azione a quella della Francia, io non credendo di poterlo autorizzare ad entrare in siffatta via, stimo mio debito riferire il caso al superiore ed illuminato giudizio dell'E. V.

ALLEGATO.

ULISSE BARBOLANI A MACCIO'

Costantinopoli, 4 gennaio 1872.

Ho letto con particolare interesse il rapporto de' 26 Dicembre, col quale V. S. Illustrissima mi ha dato ragguagli su tutti gl'incidenti sorti costà relativamente alla consegna già seguita, del Convento di Bzummar alla Comunità degli dissidenti. In tale riscontro la S. V. illustrissima mostravasi dolente di non avere istruzioni che segnino a Codesto R. Consolato la via da seguire fra le due parti contendenti.

Sebbene io non sia in grado di darLe formali istruzioni al riguardo, pure le

dirò, che le relazioni attualmente esistenti fra l'Italia e la S. Sede, specialmente

dopo l'avvenuta annessione della Città e C<>marca di Roma al Regno, impongono

al Governo del Re la più assoluta riserva e temperanza in tutte le questioni rela

25 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

tive a materie di natura puramente religiosa. Dappoichè, se da un lato noi non vogliamo, in aspettativa della tanto desiderata conciliazione, far nulla che tenda ad inasprire gli attuali nostri rapporti con la Curia Romana, non possiamo da un altro canto concedere ad essa leggermente e senza averne ben ponderate le conseguenze un patrocinio di cui forse non ci sarebbe neppure grata.

Ciò non vuol dire che noi rimanghiamo indifferenti al movimento religioso che si sv·olge in Oriente e in ispezialità in Siria, che mettiamo del tutto in non cale le gloriose tradizioni che legano l'Italia a queste contrade. Ma in questo momento di transizione è savio consiglio, per non compromettere l'avvenire, il seguire in questioni d'indole sì delicata una condotta del tutto riservata e prudente.

A mantenerci in siffatto temperamento ci spingono puranco i riguardi che dobbiamo alla Francia. Dopo aver posto fine al potere temporale de' Papi e stabilito la sede del Governo in Roma, noi vogliamo provare che per questo gran fatto nè l'indipendenza spirituale del Pontefice è in nulla scemata, nè la gran posizione che la Francia aveva assunto all'estero come protettrice del Cattolicismo sia punto immutata. È lungi quindi da noi il pensiero di voler entrare in rivalità con essa in oriente o altrove su questo terreno.

Quello di cui attualmente si preoccupa l'Italia in Oriente si è il promuovere con esso lo sviluppo delle sue relazioni commerciali. Egli è su questo terreno pacifico e produttivo che essa intende gareggiare con le altre nazioni e riconquistare in Oriente l'antica influenza.

Io son sicuro che la S. V. Illustrissima informando a queste norme con l'abilità che tanto la distingue la sua condotta interpreterà rettamente le intenzioni del

R. Governo.

324

IL CONTE KULCZYCKI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Roma, 4 febbraio 1872.

Ne sachant pas si M. Artom est déjà parti, je prends la liberté d'adresser directement à V. E. quelques détails que Monseigneur B. (l) qui sort de chez moi, me charge de vous communiquer.

L'indisposition du Saint-Père, bien qu'elle ne l'empeche pas jusqu'ici de donner des audiences, prend une tournure peu rassurante. Le jour de la Chandeleur le Pape devait célébrer la messe à la chapelle Sixtine et y distribuer les cierges. Toutes les dispositions avaient été prises en conséquence et des étrangers, notamment des Prussiens recommandés par M. de Tauffkirchen, avaient obtenu des billets pour la cérémonie. Or non seulement que Pie IX n'a pas pu descendre à la chapelle Sixtine, mais il lui a été meme impossible, de dire la messe dans sa chapelle privée. Ce n'est que fort tard qu'il a pu se rendre dans la salle du tròne et y recevoir les oblations de eire des généraux d'ordre et des camerlingues des chapitres.

Autour du Pape on est plus résolu que jamais à le faire partir au mois d'Avril. Le Cardinal Antonelli a interrogé deux puissances pour savoir si elles offriraient un refuge éventuel à Sa Sainteté. La réponse a été favorable. Notre ami se réserve de donner de vive voix à V. E. des détails sur cette négociation

dans une entrevue qu'il doit, je crois, avoir plus tard avec vous. Les courtisans répètent au Pape qu'il doit hater son départ meme en vue de la prQchaine création des Cardinaux que les puissances réclament et qui, suivant ~ux, ne peuvent etre librement créés qu'à l'étranger, à cause du cérémonial qu'on ne peut célébrer dans la captivité.

Le Cardinal Di Pietro a très énergiquement parlé au Pape, l'autre jour, de la nécessité de modifier la défense faite aux éveques au sujet de l'exequatur; les Cardinaux sont de plus en plus disposés à transiger et les éveques eux~ memes réclament une solution à l'amiable.

Le Pape souffre une sorte d'asthme qui le suffoque fort souvent. C'était pour lui et non pour le Cardinal Antonelli, comme l'avait assuré chez moi Monseigneur Strossmayer le soir où M. Artom voulut bien aussi passer chez nous, que le chirurgien Mazzoni avait été mandé en toute hate. On l'avait appelé, il est vrai, au nom du Cardinal, mais c'était pour le Pape.

On écrit de France au Vatican que la pétition à propos de M. de Goulard est déjà couverte de 100 mille signatures et qu'elle en portera bientot le double. Les membres de l'Assemblée qui écrivent à Sa Sainteté lui font espérer qu'elle sera couronnée d'un plein succès.

P. S. Dans un entretien que j'ai eu hier avec Monseigneur Nardi, j'ai trouvé, dans les demi-mots qu'il m'a dit, la confirmation anticipée de ce que vient de me dire Monseigneur B.

(l) Si tratta di Monsignor Bellà.

325

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

D. 117. Roma, 6 febbraio 1872.

Ringrazio V. E. delle informazioni datemi col rapporto del I corrente (l) sulla missione affidata al Comandante Racchia. Da quanto Ella mi scrive posso vedere che questo uffiziale dovrà rimanere a Londra ancora per parecchi giorni; io spero dunque che egli si troverà ancora in codesta città quando giungerà questo dispaccio. Su questa supposizione desidererei che V. E. lo incaricasse di informarsi esattamente e minutamente delle trattative che ebbero luogo di recente fra l'Inghilterra e l'Olanda circa il riconoscimento dei diritti degli Olandesi sovra Sumatra e fors'anche sopra tutta l'isola di Borneo. A V. E. non riuscirà nuovo il sapere che un primo trattato combinato fra i Gabinetti di Londra e dell'Aja non ottenne l'approvazione del parlamento neerlandese e che conseguentemente si dovettero riaprire le trattative fra i due Governi; trattative che condussero alla stipulazione di una nuova convenzione nella quale l'Inghilterra esplicitamente riconosce i diritti di sovranità dell'Olan. da sopra l'intera Sumatra. Questo riconoscimento fu considerato all'Aja come il corrispettivo della cessione fatta all'Inghilterra dei possedimenti neerlan~

desi della Guinea, ed i trattati relativi a queste materie furono finalmente approvati.

Ma nelle discussioni sulla convenzione che prima fu respinta dal parlamento neerlandese, gli oppositori reclamavano che il Governo ottenesse dalla Gran Bretagna, non solamente il riconoscimento dei diritti dell'Olanda sovra Sumatra, ma anche di quelli che i Paesi Bassi vantano sopra l'intero Borneo. Ora importerebbe assai che si sapesse se una domanda in questo senso sia stata messa innanzi nelle trattative fra Londra e l'Aja, oppure se il Gabinetto dei Paesi Bassi si sia limitato a chiedere per Sumatra ciò che nel Parlamento Olandese si voleva che fosse domandato anche per Borneo.

I trattati conchiusi con l'Olanda, dovranno, secondo ogni probabilità essere presentati anche al parlamento britannico. Forse già lo saranno stati, od almeno saranno in pronto i documenti coi quali il potere esecutivo in Inghilterra suole accompagnare simili presentazioni. In questo caso riuscirà facile al Comandante Racchia di studiare la quistione sopra quei documenti e di vedere quali punti meritino di essere meglio chiariti.

Io prego dunque V. E. di volersi valere della presenza in Londra del Comandante Racchia per far esaminare le cose sovra esposte ottenendosi così il doppio scopo di istruire quell'uffiziale di un negoziato che importa sia da lui attentamente studiato e di riunire interessanti e precisi elementi di informazione di cui difetta tutt'ora il Governo del Re in questa materia.

(l) Non pubblicato.

326

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI

D. 18. Roma, 6 febbraio 1872.

A pronto riscontro del di lei rapporto (l) relativo alla missione Giapponese che è in viaggio per l'Europa, m'è grato approvare il linguaggio da lei tenuto al diplomatico che ebbe pel primo ad annunziarle l'itinerario e lo scopo di quella missione che è anche accreditato presso il Governo italiano. Ella potrà, se l'occasione se ne offre, rinnovare anche agli Ambasciatori del Giappone l'assicurazione che eglino troveranno in Italia quelle accoglienze che loro sono dovute per l'alto grado di cui sono investiti, e che sono nel tempo stesso conformi ai buonissimi rapporti esistenti fra l'Italia ed il loro paese. Desidero anzi che V. S. trovi il modo di far intendere agli Ambasciatori Giapponesi quanto noi desidereremmo che il loro soggiorno in Roma si effettuasse in una stagione favorevole e li informasse che tale stagione finisce qui con il Maggio e non principia che con l'Ottobre. Nei mesi estivi S. M. è sovente assente dalla capitale e gli stessi personaggi politici sogliono abbandonar Roma durante quei mesi dell'anno. Se, come è probabile, la venuta della missione giapponese in Italia deve essere ritardata dopo il Maggio prossimo venturo sarebbe bene intendersi con gli Ambasciatori perchè non abbia luogo prima dell'Ottobre di quest'anno.

Intanto noi daremo opera a riunire gli elementi necessari alle trattative che quei diplomatici hanno in animo di aprire con noi. II Ministro del Re a Tokio mi ha informato in proposito trasmettendomi una nota che egli avrà rilcevuto da quel Governo. V. S. ne troverà qui unita una copia.

È desiderio del R. Governo che, con la nota delle indicazioni contenute in quel documento, V. S. si tenga informato dei negoziati che la missione giapponese aprirà anche con il Gabinetto di Washington nonchè del modo con il quale alla missione stessa sarà facilitato il compito del suo mandato da codesto Governo. Tutte le informazioni riflettenti il ricevimento e le agevolezze fatte agli Ambasciatori Giapponesi dovranno formare oggetto di rapporti politici, mentre Ella vorrà riferire con rapporti della Serie Commerciale intorno a ciò che riguarda la revisione dei trattati di commercio e navigazione e la prolungazione del termine per la riunione stessa stabilito.

(l) Cfr. n. 301.

327

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 943. Berlino, 6 febbraio 1872 (per. il 12).

J'aurais voulu répondre plus tòt à la dépeche de V. E. en date du 17 Janvier

N. 229 (1), mais le Secrétaire d'Etat auquel je m'étais adressé à cet effet sans retard, m'a d'abord ajourné à une huftaine, et, ce terme écoulé, il m'a encore demandé un autre délai afin d'etre mieux à meme de recueillir les données nécessaires.

Bref, ce n'est qu'aujourd'hui qu'il est entré dans les explications suivantes.

Le Ministre de l'Empire à Washington, dans un de ses derniers rapports, a rendu compte d'un entretien qu'il avait eu, en voie particulière, avec le Secrétaire d'Etat, M. Fish, au sujet du Venezuela. Au dire de ce Ministre des Affaires Etrangères, la politique des Etats Unis vis-à-vis des Etats secondaires de l'Amérique centrale et méridionale était dictée par un sentiment de générosité du fort envers le faible. Il lui répugnerait dès lors, à moins d'une nécessité absolue, de recourir à des mesures violentes. M. Fish, à mots couverts, a rappelé la doctrine Monroe. Rien n'empecherait pourtant les Etats intéressés à se concerter pour réclamer le redressement de leurs griefs, mais cette solidarité devrait avoir des bornes et etre précisée dans le sens susindiqué.

M. Fish a néanmoins fait une légère allusion à l'éventualité où les Etats Unis auraient à exercer eux-mémes une action plus directe par une occupation des douanes principales du Venezuela, sans préjudice des droits invoqués par d'autres Puissances. Il espérait que celles-ci ne contrarieraient en rien cette action éventuelle!

Le langage du Secrétaire d'Etat Américain prouve combien les Etats Unis sont ombrageux contre toute intervention Européenne qui dépasserait les limites d'une simple pression diplomatique. Dans ces circonstances, M. de Thile

m'a dit qu'il convenait d'attendre l'effet qu'aura produit à Caracas la note collective des représentants des cinq Puissances.

Un instant il s'était agi de la part du Cabinet de Berlin d'envoyer quelques batiments de guerre montrer le pavillon Allemand dans ces parages, à titre de simple démonstration pour disposer les esprits à une certaine condescendance. Mais l'itinéraire de ces navires a été changé. Ils naviguent maintenant vers S. Hélène, et il est fort douteux qu'ils se dirigent nouvellement vers l'Océan Atlantique. Les ports du Venezuela sont d'ailleurs fort peu accessibles aux vaissaux de guerre.

M. de Thile se résumait par ces mots: • quelque soit notre intérèt légitime à faire valoir nos plaintes, il n'y a rien à faire pour le moment que d'attendre le résultat de nos démarches collectives •.

Il ajoutait qu'il me priait de considérer comme tout-à-fait confidentielles les explications ci-dessus.

Il me semble qu'elles suffisent pour démontrer que *le Cabinet de Berlin, lors meme qu'il ait pris l'initiative d'une entente entre les Puissances, se trouve maintenant for embarrassé à en accepter toutes les conséquences. Un instant il n'aurait pas reculé devant une expédition armée. Outre le désir bien naturel de rappeler le Gouvernement de Caracas à l'accomplissement de ses devoirs, le Prince de Bismarck visait à fournir à la jeune marine allemande l'occasion de se distinguer par quelque action d'éclat. Mon collègue d'Espagne m'a mème confié qu'il avait reçu d'ici une très vive impulsion pour engager le Cabinet de Madrid à se joindre à cette expédition navale. Les bàtiments espagnols stationnés à Cuba n'attendaient qu'un dernier signe pour coopérer avec une escadre allemande qui devait faire voile vers l'Atlantique.

Les prétendus préparatifs qui se faisaient à Kiel contre le Brésil en suite d'une rixe entre des matelots d'une corvette Impériale et l'autorité de police ~ Rio-Janeiro, étaient en réalité dirigés contre la République du Venezuela.

Sur ces entrefaits, M. Bancroft, Ministre des Etats Unis à Berlin, s'est interposé avec beaucoup d'activité et contre ordre a été donné à Kiel. De son còté M. Rascon a télégraphié à son Gouvernement qu'il ne fallait pas songer, pour le moment du moins, à agir de concert avec l'Allemagne autrement que sur le terrain diplomatique. M. Rascon semblait attribuer l'attitude du Cabinet de Washington en première ligne à la défiance avec la quelle il envisage tout ce qui pourrait contribuer à donner du prestige à l'Espagne dans ses anciennes possessions de l'Amérique. Et quant au Cabinet de Berlin, il est évident qu'il cherche à se ménager l'amitié des Etats Unis comme contre poids éventuel aux forces maritimes de la France et mème de l'Angleterre *.

Quoiqu'il en soit, il est de fait qu'il y a au moins un temps d'arret dans les dispositions beaucoup plus aocentuées qui avaient été antérieurement manifestées par la Chancellerie Impériale. Il découle aussi du langage de M. de Thile, auquel j'avais communiqué la dépèche susmentionnée de V. E., que dans ces conjonctures, il ne reste en effet, tout en attendant comme je l'ai dit plus haut le résultat de la démarche collective, qu'à chercher à se mettre d'accord

avec le Gouvernement de Washington sur le meilleur moyen de sauvegarder dans le Venezuela les intérets des créanciers étrangers. Mais nous savons déjà par les idées émises privatim par M. Fish dans quelle mesure on peut compter sur le concours des Etats Unis. Ce n'est pas là peut-etre, comme je le faisais observer à M. de Thile, le mode de relever le prestige des Puissances Européennes, mais, à son avis, on se trouvait en présence d'un ensemble très complexe de circonstances qui prescrivait une grande circonspection.

L'Angleterre elle-meme ne serait pas sur une ligne identique avec les autres Puissances sur la manière d'apprécier les ·choses. Le Secrétaire d'Etat m'a promis de porter à ma connaissance tout fait nouveau qu'il pourrait apprendre sur cette question.

(l) Cfr. n. 302.

(l) Ll brano fra asterischi reca la seguente nota marginale: « Extrait à chiffrer pourMadrid •.

328

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1792. Parigi, 7 febbraio 1872 (per. l' 11).

La partenza per Roma del Signor de Goulard era fissata per lunedì prossimo 12 corrente quando la demissione del Signor Casimir Périer Ministro dell'Interno e le difficoltà incontrate dal Presidente della Repubblica nella scelta di un nuovo membro del Gabinetto che fosse accetto all'Assemblea ed accolto favorevolmente dall'opinione pubblica determinarono la nomina dello stesso Signor de Goulard a Ministro del Commercio in surrogazione del Signor Vittorio Lefranc chiamato al portafogli dell'Interno. Queste risoluzioni furono conchiuse definitivamente ieri e sono pubblicate nel giornale ufficiale d'oggi, come ebbi l'onore d'informarne l'E. V. col telegrafo e colla corrispondenza ordinaria.

Il Signor di Rémusat nell'informarmi oggi della nomina del Signor di Goulard a Ministro del Commercio mi disse che era sinceramente spiacente che questa straordinaria ed imprevista circostanza recasse un nuovo ritardo nell'invio di un Ministro della Repubblica accreditato presso Sua Maestà a Roma. Egli mi pregò di assicurare in suo nome l'E. V. che realmente la partenza del Signor de Goulard per Roma era stata definitivamente fissata per lunedì 12 corrente e ch'egli ora si occuperebbe con diligenza perchè un nuovo titolare fosse proposto all'approvazione del Presidente della Repubblica ed al gradimento di Sua Maestà.

Risposi al Signor di Rémusat, dicendogli che avrei comunicato a V. E. quanto egli mi aveva detto; che pensavo che, da parte sua il Signor di Rémusat avrebbe fatto pervenire a V. E. queste spiegazioni col mezzo della Legazione di Francia in Roma; che certamente noi non dubitavamo menomamente della sincerità assoluta delle sue spiegazioni; ma che non poteva a meno di fargli conoscere la cattiva impressione che il soverchio ritardo dell'invio di un Ministro di Francia presso il Re a Roma, prodUJceva nella opinione pubblica del nostro paese, e la sfavorevole interpretazione che era e sarebbe data a questo fatto da tutti quelli che osteggiano il buon accordo fra i nostri due Governi.

Il Signor di Rémusat si mostrò convinto della necessità di porre prontamente fine a questo stato irregolare della Rappresentanza Francese presso il Governo del Re, e mi disse che la scelta di un nuovo Ministro Plenipotenziario presso Sua Maestà era la più urgente sua preoccupazione in questo momento. Aggiunse poi che la relazione sulla petizione contro l'invio a Roma di un Ministro di Francia era stata prorogata senza fissazione di data per la discussione.

329

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. Pietroburgo, 7 febbraio 1872 (per. il 18).

In conferma di quanto ebbi l'onore di segnalare all'E. V. con mio telegramma del 1° {1), mi fo a significarle quanto ai negoziati fra la Russia e il Governo Pontificio per la nomina dei Vescovi nel Regno di Polonia, negoziati di cui la stampa Clericale d'Italia mena tanto scalpore, che non se ne vuole senza alcun dubbio sconoscere la gravità dal punto di vista religioso, ma certo è d'altra parte che quei negoziati non hanno nel riguardo politico l'importanza che la stampa suddetta si sforza di attribuire loro. Le cose stanno nei termini qui appresso, secondo che si afferma dai più intendenti della Cancelleria Imperiale: il Gabinetto di Pietroburgo consente cioè a porsi d'accordo innanzi tratto con la Corte Pontificia per la nomina dei Vescovi: sembra anzi che su questo punto, e segnatamente sulla scelta dei titolari alle sedi vacanti, la conciliazione sia già stabilita. Resta l'altra vertenza, che è intorno all'uso della lingua nazionale nella Liturgia: sul quale argomento i diplomatici della Cancelleria Russa dicono di non richiedere più di quello che dalla Curia Romana fu concesso ai fedeli di altre nazioni: cioè l'uso dell'idioma moscovita solo in alcune parti del servizio divino, non certamente per la celebrazione della Messa e meno di quello che si pratica nelle Chiese unite di Rito Orientale. E rispetto a questa seconda controversia, il trattato finora non ebbe risoluzione finale. Nella penuria di notizie politiche in cui, dopo tanto succedersi di avvenimenti versa in oggi la stampa periodica Europea, di questa fa,ccenda dei negoziati di Polonia hanno ciarlato un po' troppo anche i giornàli non devoti alle ubbie clericali, amplificandone l'importanza e la conseguenza. Qui nelle sezioni ufficiali si nega, verbigrazia risolutamente che la Russia abbia mandato a Roma un Legato Straordinario a trattare con l'Antonelli, Legato di cui alcune gazzette pretendeano sapere il vero e il finto nome: di cosifatto personaggio qui si nega senza più l'esistenza non meno sotto il primo che sotto il secondo di quei nomi. Incaricato della trattativa per la Russia è il noto Capnist molto in grazia costà del Cardinalume e dei Monsignori, il quale fa forza di remi perchè la desiderata riconciliazione si avveri, forse non senza qualche speranza che la sua propria qualità, col divenire ufficiale, avesse poi a vantaggiarsene. Se non che di due cose io fui accertato dalla

persona autorevole che si compiacque gentilmente di attingere per mia informazione queste notizie dalla Cancelleria Imperiale : le quali entrambe due cose scemerebbero considerevolmente gli effetti sperati da tutto questo assunto: la prima cioè che, posto ancora il pieno buon successo del concordato qui di ricevere un Nunzio Apostolico non se ne vuole sentir discorrere per ora nè punto nè poco: la seconda cosa è, che la Corte Imperiale ha recisamente dichiarato a quella del Pontefice che l'accordo religioso non dovea in alcun modo trar seco, secondo il suo concetto, mutamento veruno in ragion politica segnatamente rispetto alle faccende di Polonia, nelle quali il Governo dello Zar tiene fermo più che mai, che il Clero Cattolico non avesse a prendere nessunissimo ingerimento.

Nei cenni infrascritti è l'indicazione dei fatti che reputo veri, e di cui la relazione è ad ogni modo ufficiale. Rimarrebbe l'indagare le origini di questi fatti: ma in tali indagini non si potrebbero per ora da me addurre che più o meno probabili 'congetture. La Francia in questo movimento diplomatico non entra per nulla: ben fece il signor Thiers alla Russia le più larghe assicurazioni di non avere altrimenti a favoreggiare i moti e le macchinazioni polacche, ma l'orecchio dello Zar e dei suoi consiglieri non è assai inchinevole ad udirlo, perchè questa tentata riconciliazione con Roma possa essere l'effetto delle sue raccomandazioni e possa collegarsi in qualche maniera coi temperamenti e le combinazioni da lui proposte. Non sarebbe piuttosto l'effetto di qualche intelligenza presa a Berlino? E la risoLuzione presentata al Reich· rath per l'ordinamento amministrativo della Galizia non avrebb'ella potuto promuovere un'azione comune nella Polonia Russa e nel Posen, a cui si atterrebbero queste pratiche con Roma, intese a calmare alquanto gli spiriti del Clero Cattolico, e a moderarne l'ostilità in quelle province? Di questa supposizione di un accordo con la Prussia in tale indirizzo, messo innanzi da qualche pubblico carteggio d'ordinario bene informato, sarebbe del tutto inverosimile, atteso il credito che ha nella corte di Berlino quel gruppo di famiglie polacche, il quale si agita intorno alla Reggia, e favorisce la causa aristocratica ed oltramontana. Ma qual fondamento essa abbia poi in sostanza, codesta supp::sizione, solo dal processo degli avvenimenti si potrà porre in chiaro.

Certa cosa è che le concessioni del Governo austro-ungari·co alla Galizia turbano i sonni degli uomini di stato di questo paese che non ne dissimulano pure la loro preoccupazione; taluno di essi dicevami anzi apertamente, non ha guari, che tutto parea proceder bene nel mondo politico, e che l'orizzonte avrebbe potuto dirsi nunzio di calma, se non fosse un punto nero e che questo punto nero era la Galizia. Se si pone dunque a riscontro questa preoccupazione degli uomini di Pietroburgo con le condizioni quasi disperate della Sedia Romana, bisognosa di ogni ajuto e abbandonata di ogni amicizia si comprenderà di leggeri come questa fosse l'ora più accettabile a ricomporre una lite che pende da oltre undici anni, come quell'ora in cui dalle due parti si dovea essere, più che mai per il passato, arrendevoli alle concessioni; massimecchè dovea poi quel conflitto prodottosi in uno stato di cose così diverso, venire un giorno o l'altro, e nella prima occasione favorevole, ad una ricomposizione.

(l) Cfr. n. 320.

330

IL CONTE KULCZYCKI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Roma, 7 febbraio 1872.

M. Léon Glukman, que je n'avais pu revoir avant son départ après avoir causé la dernière fois avec M. Artom, et auquel j'avais écrit, m'envoie de Venise une incluse pour V. E., en l'accompagnant d'une courte lettre. En vous faisant passer ces deux pièces (1), M. le Ministre, je vous prie de ne me considérer que comme le simple intermédiaire matériel des demandes d'un homme extremement respectable, de l'ami intime de mon cher Theiner, et auquel je n'ai pu refuser de servir d'interprète. Je souhaite de tout mon coeur que le bon et honorable M. Glukman obtienne tout ce qu'il sollicite; mais pour rien au monde je ne veux assurer ses insistances à propos des deux faveurs qu'il demande avec ·cette naiveté qui distingue quelquefois le caractère britannique et les natures droites, simples, loyales, comme la sienne. Vous m'avez déjà infiniment obligé, M. le Ministre, en voulant bien accorder, sur ma prière, une distinction au plus illustre écrivain parmi mes compatriotes. Cela suffit, et j'en garderai toujours la plus vive reconnaissance à V. E. pour jouer auprès de vous le ròle importun de solliciteur, role qui m'est franchement antipathique. Si j'ai été assez heureux pour rendre quelques imperceptibles services au Ministère au temps de M. Blanc, si, plus tard, j'ai pu servir de trait-d'union entre les deux parties qu'un abime séparait, ce n'est certes pas dans le but intéressé d'obtenir des faveurs pour mes amis. Mon seui but et mon seui désir dans le peu que je fais, c'est d'etre utile, ne fut-ce qu'un petit peu, à cette belle et chère Italie que j'aime avec le seui enthousiasme qui me soit encore resté après l'affection que je port à mon infortunée patrie. Ainsi, dans cette affaire, je laisse entièrement la parole à M. Glukman, qui a désormais l'honneur d'etre connu personnellement de V. E.

Monseigneur B. (l) me charge de vous dire, M. le Ministre, que la congrégation ad hoc va se réunir de nouveau pour la question de l'exequatur. On a fait parvenir du Vatican à Vienne des plaintes contre le discours du Comte Andrassy; le Cardinal Antonelli a été chargé d'en exprimer son mécontentement au Comte Kalnoky et Monseigneur Falcinelli à l'Empereur d'Autriche lui-meme. L'Empereur, dans la réponse qu'il a donné au Nonce, a cherché à atténuer la portée des expressions de son premier Ministre. Ces explications n'ont pas satisfait le Vatican, où les Cardinaux réactionnaires tiennent le langage le plus violent contre François-Joseph. Le Cardinal Patrizi s'écriait l'autre jour: • Quel birbante d'Imperatore d'Austria •; puis la fougueuse Eminence ajoutait à propos des Ministres italiens: • Non si può vivere con questa gente! •. Ces paroles étaient adressées par Monseigneur Patrizi au Cardinal ami de Monseigneur B.

Au Vatican on est convaincu de la chute prochaine du Roi Amédée et on l'attend avec impatience, s'imaginant que la proclamation de la République en Espagne hàtera celle de la Monarchie BÒurbonienne en France.

La Russie a demandé au Vatican une nouvelle répartition des diocèses de Pologne, et c'est là ce qui peut faire échouer complètement les négociations pendantes.

Le Cardinal Antonelli continue à etre assez gravement malade, et la santé du Pape est •toujours chancelante. Il ne peut plus dire la messe que fort rarement.

Tous ces détails sont envoyés à V. E. par Monseigneur B., qui vous prie en mème temps de vouloir bien continuer à vous intéresser à son affaire.

(l) -Non pubblicata. (2) -Monsignor Bellà.
331

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1793. Parigi, 8 febbraio 1872.

Ho l'onore di segnarle rice\'uta del dispaccio di questa Serie N. 364 indirizzatomi da V. E. in data del 28 Gennaio ultimo (1), e La ringrazio delle informazioni che Ella mi trasmette intorno alle mene della Internazionale e del partito Mazziniano.

Per ogni buon fine ho comunicato verbalmente queste informazioni al Signor di Rémusat che mi ha ringraziato e mi ha pregato di comunicargli quelle altre notizie che avrei ricevuto a questo riguardo.

Il Signor di Rémusat mi disse che il Governo Francese dal suo lato era stato informato che pel 24 febbraio si sarebbe tentata una dimostrazione in qualche città della Francia, ma che le Autorità ne erano avvertite e che le misure occorrenti erano state concertate per prevenire ed impedire ogni disordine.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 1800. Roma, 9 febbraio 1872.

Le ministre de Turquie m'avait laissé entendre que son Gouvernement n'aurait pas consenti à des réserves exprìmées dans le protocole. Je suis aussi d'avis que le protocole sans préambule pourrait ·ètre signé à Londres entre les quatre puissances, sauf à échanger des notes contenant les réserves.

(ll Cfr. n. 318.

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IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, A VITTORIO EMANUELE II

L. P. Madrid, 11 febbraio 1872.

Lorsque l'année dernière, à Turin, V. M. voulut bien m'accorder la faveur d'une audience, j'eus l'honneur de Lui exposer avec toute franchise la situation politique de l'Espagne, en me plaçant surtout au point de vue dynastique. Les impressions que j'avais rapportées de mon premier séjour à Madrid étaient loin d'etre favorables, mais je devais à la haute confiance dont V. M. a daigné m'honorer de lui dire la vérité quelque peu satisfaisante qu'elle put etre. A mon retour ici, je me suis de nouveau appliqué à bien me rendre compte de la situation politique du Pays, de l'Etat des différents partis qui l'agitent et le divisent si profondément, et surtout des éléments de vitalité et de cohésion dont peut disposer le Gouvernement pour dominer les factions hostiles et consolider ainsi un trone que tant de titres devraient, dans un intéret supreme d'ordre et de conservation, recommander à l'affection du peuple espagnol.

Un instant, au mois de septembre dernier, l'on a pu croire que l'amnistie générale accordée avec tant de générosité par S. M., la réussite inespérée de l'emprunt et surtout le succès du voyage du Roi dans le Nord de l'Espagne, un instant, dis-je, l'on a pu croire qu'une réunion de circonstances aussi favorables aurait du exercer une heureuse influence sur l'opinion publique du Pays, en contribuant en meme temps à raffermer la nouvelle dynastie. Il n'en a rien été; l'impression n'a été que passagère, et sitot que les Cortés se sont réunies, les memes difficultés, les memes haines de parti les memes violences de langage auxquelles l'on a vu s'adjoindre des démonstrations tumultueuses dans la rue, sont venues en provoquant une nouvelle crise ministérielle, démontrer d'une façon toujours plus évidente que la question dynastique aussi bien que la question gouvernementale étaient restées ce qu'elles étaient auparavant, c'est-à-dire, remplies d'incertitudes et de périls.

Et d'abord, pour commencer par des considérations générales sur l'état des choses avant d'en arriver à la situation particulière du moment, je dois faire observer que le premier grande obstacle permanent qui se rencontre non pas seulement pour la dynastie actuelle, mais pour une monarchie quelconque consiste avant tout dans la constitution elle meme du Pays, la plus démocratique qu'il soit possible d'imaginer, et qui, avec la consécration des droits individuels illimités, le suffrage universel, et l'absence de tout serment de fidélité au Souverain de la part des représentants de la nation, on est arrivé à faire une part tellement minime à la Royauté qu'elle pourrait tout aussi bien et meme avec bien plus de raisons s'appliquer à une république qu'à une monarchie. En effet, et ce sera là un sujet éternel de luttes acharnées, grace à la proclamation solennelle de ces funestes principes la forme elle-meme du Gouvernement peut à chaque instant, sous une apparence de légalité, étre remise en question; et c'est ainsi que sous le règne d'un Souverain acclamé par la grande majorité d'une assemblée constituante l'on assiste périodiquement à ce spectacle scandaleux de députés d'hommes politiques et de journalistes pouvant impunément s'attaquer à l'existence mème de la Dynastie et proclamer effrontément leurs aspirations républicaines Carlistes ou Alphonsistes.

Par une conséquence obligée de ce premier vice radica!, la mème confusion qui règne dans les opinions politiques, s'est rapidement introduite dans les différentes branches de l'Administration dont le personnel subissant les fluctuations d'une politique sans limites ni mesure, se trouve aujourd'hui dans une désorganisation complète. Bien plus, toute cette phalange d'imployés qui entre avec le nouveau ministère et s'en va avec lui, non seulement ne s'occupe pas des affaires du Pays, mais sachant bien qu'elle n'a qu'une existence éphémère, cherche encore par tous les moyens possibles à se procurer aux dépenses de l'Etat des ressources pour le jour où elle devra céder la piace à cette autre phalange qu'apporte invariablement à sa suite le nouveau Cabinet. Ce que je viens de dire des administrations s'applique d'une façon bien autrement inquiétante à celle des finances qui est dans un état effroyable et pèse lourdement sur la situation politique. Sans entrer dans des détails minutieux, il suffira de dire ici que sur un budget d'environ 700 millions de francs, la moitié des ressources du Pays passe à payer les intérèts de la dette publique, et que, chaque mois, apporte un déficit de quinze millions en augmentation des charges ordinaires.

Mais ce qui en dehors de ces éléments dissolvants paralyse l'action gouvernementale et s'oppose à la consolidation de la dynastie, c'est la profonde division et le fractionnement à l'infini des partis dont la violence et l'acharnement ne connait pas de bornes et, par son caractère tout particulier de férocité, semblent bien positivement s'inspirer de ces sanglantes courses de tauraux qui passionnent à un aussi haut degré le peuple Espagnol et font pour ainsi dke partie de la race.

Au premier rang de ces partis hostiles, non pas précisément par son importance mais par son ancienneté il faut piacer le parti Carliste s'appuyant essentiellement sur le clergé qui est dévoué à la cause de D. Carlos, et qui, tiré presque en entier des masses populaires, exerce dans les campagnes une très grande influence. Dans la dernière législature, ce groupe politique conmptait 47 membres qui, apportant leur appoint tantot à un parti tantot à l'autre, avaient fini par etre les maitres de la situation. Toutefois, l'action de ces ennemis systématiques de la Dynastie représentant en Espagne ce que le faubourg St. Germain représente à Paris, n'est pas très sérieusement à craindre, et il suffirait que le Gouvernement se montràt un peu plus favorable aux intérèts pécuniaires du Clergé pour en amoindrir considérablement l'influence.

L'on ne peut pas en dire autant du parti républicain dont l'audace supplée

au nombre et qui a dans Barcelone, Séville, Cadice, Valence, des centres tumul

tueux où les chefs, ayant év1demment l'appui de l'Internationale sont toujours

prèts à profiter de la moindre occasion pour susciter le trouble et les désordres.

Cependant la république n'a pas de profondes racines dans le Pays et ne se

hasarderait guère dans une action générale sans le concours armé de la déma

gogie française. Au reste, et c'est là un point essentiel à noter, l'immense majo

rité ·de l'armée déteste la république, et cette circonstance enlève 'la plus

grande partie de leurs chances aux républicains.

J'en arrive maintenant au seui parti qui, par les moyens d'action et les fonds considérables dont il peut disposer, est vraiment redoutable, je veux dire celui des Alphonsistes, ce n'est plus un secret pour personne que le Due de Montpensier, après de très longues et très labourieuses nègociations a fait alliance avec la ex-reine Isabelle qu'il avait cependant précipitée du tròne, et que sous la condition d'etre régent jusqu'à la majorité du Prince Alphonse il s'est engagé à unir ses efforts à ceux des partisans d'Isabelle pour arriver à renverser la dynastie actuelle. Le véritable conspirateur qui connait parfaitement son terrain, le due qui possède une fortune considérable, s'est immédiatement tourné du còté de l'armée et il n'est pas douteux qu'en ce moment il met tout en oeuvre pour acheter certains généraux et gagner les officiers par la promesse d'avancements rapides, ainsi que malheureusement cela se pratique dans tout pronunciamento 'réussi. Ces promesses de grade s'adressent également aux sergents qui ne resistent guère à la séduisante perspective de devenir officiers. Quant au simple soldat, l'on sait qu'il obéit aveuglement à ses chefs, et quelques réaux accompagnés de distribution de vin et de tabac, suffisent pour l'enthousiasmer en faveur de la première cause venue. Pour bien comprendre l'importance décisive qu'aura toujours l'armée dans la politique espagnole il suffit de dire que jamais le peuple n'a pris l'in1tiative d'une révoltition et que c'est toujours l'armée qui, dirigée par ses chefs, a constamment par ses pronunciamento, imposé sa volonté à la nation comme au Souverain. C'est donc l'armée, qu'avant tout il faut à tout prix avoir dans la main, et dont il est indispensable de s'assurer de maintenir constamment les sympathies. Malheureusement, il est arrivé que le Maréchal Prim, obligé d'opérer révolutionnairement pour renverser le tròne d'Isabelle, à diì faire appel à une foule d'individus déclassés, et il faut bien le dire, d'aventuriers, qu'il s'est vu forcé ensuite, à titre de récompense, de piacer dans l'armée. Aujourd'hui, ces éléments douteux se trouvent éparpillés un peu partout dans les régiments, et si l'on y ajoute les anciennes sympathies Isabellistes que d'habiles influences ont soin d'entretenir, l'on est bien forcé de reconnaitre que cette situation offre un danger permanent, et qu'il est absolument impossible de se fier à une armée dont l'épuration, dans les circonstances actuelles, est devenue aussi urgente que délicate.

Après avoir ainsi esquissé à grands traits l'état général des choses, j'en viens immédiatement à la situation politique du moment, dont la gravité inspire à tout le monde les plus vives inquiétudes, et a été surtout déterminée par le grand déchirement qui s'est si fatalement produit entre les deux grandes factions du parti progressiste.

En présence des nombréux ennemis de la dynastie et dans l'état de surexcitation fiévreuse où sont Ies partis, il n'y avait absolunient qu'un ministère de conciliation qui piìt résister aux attaques incessantes des factions hostiles coalisées. Mais comme cela arrive toujours dans le Pays, des intérets personnels, des rivalités insensées, sont venus se heurter avec cette violence haineuse, cette inflexibilité farouche des hommes politiques d'ici et malgré tous les efforts, meme ceux venant directement de la Couronne, la grande et irréparable faute de la rupture a été consommée. Depuis cette fatale époque, les choses ont pris chaque jour une tournure plus alarmante et après avoir sagement pris la réso

lution de dissoudre les Cortés dont l'attitude vis-à-vis de la dynastie était devenue un scandale Européen, le Roi, placé dans la pénible nécessité d'opter entre M. Sagasta et M. Zorilla s'est, avec une parfaite appréciation de la situation décidé pour le premier. En effet, cet homme d'état appartenant au parti progressiste modéré était mieux que tout autre à meme de rallier l'importante fraction libérale conservatrice, et devant en tout cas etre préféré à M. Zorilla, qui bien que se disant encore dynastique, s'est placé sur une pente qui doit insensiblement l'entrainer du còté des républicains. Les assemblées radicales qu'il a présidées tout récemment, et où les déclamations les plus antidynastiques ont été proférées sans qu'il ait meme essayé de s'y opposer, prouvent suffisamment que cet homme politique, soit par suite de vanité blessé, soit par ce que sans s'en douter, il est devenu l'.instrument des partis hostiles, n'est plus aujourd'hui ce qu'il était l'année dernière, dynastiquement parlant. Bien plus, et c'est là une considération supreme, l'arrivée de M. Zorilla au pouvoir, après les soupçons que l'on a de ses secrètes connivences avec les républicains, eùt été particulièrement mal vue de l'armée et comme je eu l'occasion de le dire plus haut, le mécontentement de l'armée; en préparant admirablement bien le terrain aux manoeuvres alphonsistes, aggraverait singulièrement le danger qui n'est déjà que trop grand actuellement.

Aujourd'hui donc, toute la question d'avenir pour la Dynastie se résume en deux points capitaux: il faut d'abord que les élections du mois d'avril prochain apportent aux Cortés une majorité compacte, franchement dynastique et qui par son nombre écrasant (280 au moins sur 360) domine les factions hostiles coalisées et impose carrément ses décisions. En second lieu, il faut qu'à la suite d'épurations opérées sans plus tarder avec autant de prudence que d'énergie, le Roi puisse compter sur une armée fidèle, disciplinée, dévouée, qui par la confiance illimitée qu'elle aura dans le Souverain et son Gouvernement, devienne inaccessible à ces incessantes tentatives de corruption qui, sans cette épuration, auront toujours la chance de réussir.

Ce double but une fois atteint, tout le reste marchera de soi-meme. L'administration en se régularisant se moralisera; la calme et la confiance renaitront dans les esprits; et ce qu'il y a encore de bien plus important, c'est qu'une masse d'opinions flottantes qui aujourd'hui se tiennent à l'écart parce qu'elles voient le gouvernement faible et la dynastie menacée, se rallieront immédiatement et franchement aussitòt qu'elles pourront croire que l'un et l'autre sont devenus forts et se consolident. De ce nombre je n'en excepte pas meme la plus grande partie de la haute aristocratie de Madrid qui aujourd'hui est des plus hostiles, et meme a pris vis-à-vis de la Couronne une attitude provocante en affectant de porter ostensiblement la fleur de lys et en parlant ouvertement du très prochain retour de ce qu'elle appelle • Son Roi légitime •. A propos de cette hostilité, l'on dit bien il est vrai, qu'elle n'est pas à craindre, et que c'est plutòt une affaire de sentiment. Mais l'immense prestige qu'ont encore aux yeux du peuple les grands d'Espagne qu'il regarde comme un entourage obligé de la Couronne, est une chose avec laquelle il faut compter. D'un autre còté, il ne faut pas oublier que ces grandes familles ont des très réelles infiuences sociales et territoriales qui sont aujourd'hui au service de l'ancienne dynastie avec laquelle elles ne cessent de conspirer et d'entretenir des relations continuelles.

Mais pour en revenir aux deux conditions indispensables dont j'ai parlé plus haut et qui, dans ma conviction, doivent décider de l'avenir de la dynastie, quel parti devrait prendre la couronne, si les élections d'Avril amenaient aux Cortès les memes éléments hostiies dont la coalition certaine, en rendant tout gouvernement impossible, s'attaquerait par cela meme à l'existence de la Dynastie? Les uns pensent qu'il faudrait recourir à une nouvelle dissolution. D'autres croyent que l'on n'aurait plus d'autre ressource que de tenter les hazards du suffrage universel. Enfin quelques personnes appartenant au parti militaire donnent clairement à entendre, qu'après avoir essayé de tous les moyens constitutionnels pour gouverner le Pays, le Roi ne devrait plus que s'inspirer des intérets supremes de la nation et recourir à la force.

Un rapide examen de ces trois opinions prouvera jusqu'à l'évidem.e que aucune n'est acceptable: une dissolution venant immédiatement à la suite de la précédente indisposerait certainement le Pays, et les partis hostiles, exaltés par le premier succès, rencontreraient infailliblement dans l'excitation générale que ne manquerait pas de susciter une pareille mesure, les éléments assurés d'un nouveau triomphe sur les candidats du Gouvernement.

L'appel au suffrage universel dont il est impossible de prévoir le résultat dans un pays aussi divisé et aussi impressionnable, deviendrait immédiatement chez des populations extremement irritables et nerveuses le signa! de luttes armées qui ensanglanteraient toute l'Espagne et dont on ne manquerait pas de faire retomber la responsabilité sur le Souverain qui l'aurait provoquée.

Enfin le recours à la force n'est pas meme discutable; car outre que la loyauté proverbiale du Roi n'en admettrait meme pas la pensée, il faut bien remarquer que si l'héritier du tròne peut bien, dans de certaines périodes révolutionnaires, défendre les armes à la main la Couronne qu'il a reçue de ses Ai:eux, la question n'est plus la meme pour l'élu de la nation qui ne tient ses droits que de la volonté de cette dernière.

Ces trois expédients qui ne pourraient, du reste, jamais devenir des solutions définitives, étant écartés, la question de savoir ce que devrait faire la couronne dans la situation indiquée, se dressera de nouveau camme un redoutable point d'interrogation. Mais, bien que le Roi avec sa loyauté habituelle, ait déjà laissé deviner sa pensée en déclarant qu'il ne voudrait jamais s'imposer, il convient ~vant tout cependant d'attendre le résultat des élections, et ce ne sera que si une majorité écrasante fait défaut au gouvernement, et que d'un autre còté, l'oeuvre d'épuration de l'armée ne vienne pas donner l'assurance absolue de sa fidélité, tu'il sera alors le cas de prendre une résolution décisive.

En terminant ce long rapport pour lequel j'ose demander respectueusement l'indulgence de V. M., i: n'est que juste d'ajouter qu'au milieu des violents orages qui n'ont cessé depuil' une année d'agiter la politique tspagnole, l'attitude de Leurs M<~jestées a été ,~onstamment et de tout point admirable. Il n'est personne, meme parmi les ennemis les plus acharnés de la Dynastie, qui ne rende pleinement hommage à la loy.-mté ~·hevaleresque du Roi, à son courage, comme aussi aux vertus incomparables, à la bonte et à la charité inépuisable de la Reine. Mais, malheuresement, au dessus de ces précieuses qualités, qui devraient rattacher la nation au tròne comme à sa dernière ancre de salut, il y a, je tiens à le repéter, ces terribles et farouches partis que rien ne désarme, et qui dans leur aveuglement, sont prèts à tout sacrifier, mème la patrie, pourvu que leurs haines politiques soient assouvies, et il faut bien l'ajouter, leurs intérèts personnels satisfaits.

Telle est dans sa plus simple expression le triste tableau que présente la politique espagnole. C'est dans mon profond dévouement à L'Auguste Personne de V. M. et à celle du Roi, son Bien-Aimé fils, que j'ai puisé le courage de dire toute la verité, et j'ose espérer que dans sa bonté V. M. voudra bien excuser ma franchise.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 118. Roma, 12 febbraio 1872.

Sino dalla metà di gennaio, ebbi ad informarla che la società anonima commerciale ed agricola per la Tunisia aveva accettato il compromesso con le modificazioni desiderate dal Governo tunisino e precisamente nei termini stessi del progetto che andava annesso al rapporto di V. S. in data del 30 ottobre (1).

Ella mi informava allora che imminente era la partenza per Firenze della persona incaricata dal Governo del Bey di firmare il compromesso necessario per la costituzione del Tribunale arbitrale. Più tardi si verificarono circostanze affatto estranee a noi ed alla Società italiana interessata, per cui quella persona ritardò indefinitamente la sua venuta in Italia. A questa difficoltà ora, per ultimo, si aggiungono quelle che fanno gli arbitri designati dal Bey per recarsi in Firenze, accettare ed eseguire il loro mandato.

Questo stato di cose è ben conosciuto alla Società interessata. Ed il Presidente di essa mi ha consegnato ieri una formale protesta di cui qui unisco copia autentica acciocchè ella la comunichi in via ufficiale al Governo del Bey.

V. E. sa che dal canto nostro non abbiamo trascurato alcun mezzo per condurre questo affare ad un'equa soluzione.

Anche recentemente, con il mio telegramma del 4 corrente (l) ho offerto a codesto Governo il mezzo di troncare gli indugi e di dar corpo finalmente al progetto di arbitrato facendo firmare in Tunisi il compromesso dal Primo Ministro del Bey e dai due arbitri tunisini. Io assumevo l'impegno di far firmare in Firenze lo stesso atto da S. E. il comm. Vigliani, dagli arbitri della Società, nonchè dal Presidente della Società medesima. Ma neppure questa proposizione che avrebbe messo fine alle difficoltà fu accettata dal Bardo. V. S. mi ha informato per telegrafo che il Bey aveva autorizzato il signor Bargellini a firmare il compromesso; ed a questo telegramma ho dovuto replicare in data d'oggi insistendo sulla proposta da me trasmessa a V. S. sino dal 4 corrente.

Il motivo di questa nostra insistenza appena ha bisogno di essere spiegato. Il signor Bargellini non può firmare validamente se non è munito di uno speciale

26 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

mandato; nè potrebbesi, trattandosi dell'atto costitutivo del giudizio arbitrale, correre il pericolo che ora o poi possa contestarsi la validità dell'atto medesimo.

Il Governo di S. M. si lusinga che al giungere di questo dispaccio a Tunisi il Bey si sarà già persuaso della necessità di provvedere con sollecitudine alla costituzione del tribunale arbitrale. Egli che ha accettato il progetto di compromesso, non può ricusarsi a farlo firmare dal suo Primo Ministro e dagli arbitri suoi. Qualunque nuovo ritardo nell'adempimento di questa formalità sostanziale ci darebbe il diritto di esaminare di nuovo sino a qual punto la condotta del Governo di Tunisi può ritenersi conforme ai sentimenti di amicizia di cui ci fa continuamente giungere l'espressione.

Ella potrà valersi, ove sia necessario, delle cose dette in questo mio dispaccio per consigliare al Bey di non indugiare ulteriormente a compiere gli atti necessari per la costituzione del tribunale arbitrale.

(l) Non pubblicato.

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IL CAPO GABINETTO DI VITTORIO EMANUELE II, AGHEMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. CONFIDENZIALE. Napoli, 13 febbraio 1872.

L'incidente nuovo a cui andò incontro la effettiva destinazione del Rappresentante Francese a Roma presso la nostra Corte, avendo dato argomento a molte voci ed a svariate apprezziazioni, pose S. M. il Re nel desiderio di essere informato da V. E. se qualche nuovo fatto sia recentemente avvenuto e se sia corso qualche atto diplomatico sullo argomen.to.

Se l'E. V. l'avesse pertanto a ravvisare utile ed opportuno, La prego a voler dirigere a S. M. qualche informazione su ciò e sull'attuale situazione della Spagna che pur tiene in ansietà S. M. il Re.

Seppure amasse rivolgere a me queste informazioni, io mi farei dovere di rassegnarLe tosto all'alta destinazione che per tal guisa il Re sarebbe soddisfatto ne' suoi desideri.

336

IL CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4120. Tunisi, 14 febbraio 1872, ore 13,45 (per. ore 18).

Bardo a accepté proposition V. E. et par prochain courrier je Vous enverrai acte compromis avec signatures voulues.

337

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 1802. Roma, 15 febbraio 1872, ore 17,30.

Le Chargé d'Affaires de France m'a donné les explications que vous m'avez mandées au sujet du titulaire de la Légation de France auprès du Roi. Il avait l'instruction de me dire que nous ne devions voir dans ces retards rien de contraire au désir constant de son Gouvernement d'entretenir les meilleurs relations avec l'Italie. M. de Rémusat s'occupe du choix du nouveau titulaire et ensuite il pressera son départ pour Rome. Veuillez remercier M. de Rémusat de cette communication et exprimez-lui, ainsi que je l'ai fait avec M. de Sayve, l'espoir de voir bientòt cesser une situation qui est maintenant exploitée de part et d'autre par les partis et qui devient pénible. Je n'insisterais pas si je n'étais animé avant tout par le désir de voir éliminée toute cause de malentendu~ et de préoccupations fàcheuses entre les deux pays. Je vous ajouterai qu'ici la mauvaise impression produite par l'absence prolongée du Ministre de France est générale. La réouverture de la Chambre est fixée pour le 26. Si d'ici là la nomination d'un nouveau Ministre n'est pas connue officiellement il sera difficile d'éviter une discussion qu'il y a intéret à prévenir. L'annonce de la nomination et du prochain départ fera tomber toute agitation et justifiera l'attitude calme et conciliante gardée jusqu'à présent par le Gouvernement italien.

338

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(AVV)

L. P. Roma, 15 febbraio 1872.

Vi scrivo coll'animo profondamente turbatÒ per la morte del Generale Cugia, che morì ieri l'altro alle otto di sera, improvvisamente, rientrando a casa dopo aver assistito coi Principi alle feste sul Corso e ai moccoletti dell'ultimo giorno di carnevale. Ho perduto in lui un amico al quale mi legava una consuetudine antica e fidata. La sua morte è una disgrazia pel paese, poichè voi che conoscete il complesso delle circostanze, comprendete di leggieri come, presso il Principe egli lascia una lacuna che non potrà essere da altri colmata.

Ieri l'altro è venuto da me l'Incaricato d'Affari di Francia e mi disse che aveva ricevuto una lettera dal Signor de Rémusat il quale lo incaricava di darmi intorno alla nomina di M. de Goulard e alla prolungata assenza del titolare della Legazione francese presso il Re le stesse spiegazioni che egli vi aveva già date verbalmente. Il Marchese di Sayve mi ·ripetè le ragioni, che il Signor de Rémusat mi aveva già fatte pervenire a più riprese, del ritardo frapposto dal Signor di Goulard alla sua partenza e della sua nomina ad un altro ufficio. Mi disse che, per incarico del Signor di Rémusat, poteva assicurarmi che in tutto ciò non c'era nulla che potesse !asciarmi supporre che le disposizioni della politica francese fossero mutate a nostro riguardo e che fosse minore da parte sua il desiderio d'avere dei buoni rapporti coll'Italia, anzi di renderli sempre più amichevoli e cordiali. Il Signor de Rémusat si occupava ora di nominare un successore al Signor de Goulard. Nelle circostanze attuali, una nomina, sotto ogni rapporto, soddisfacente non era delle più agevoli. Per questo appunto, il Signor di Rémusat vi porrà ogni cura e appena fatta la scelta, avrebbe affrettata la partenza per Roma del nuovo Ministro.

Risposi al Signor di Sayve in modo affatto conforme al linguaggio che voi avete tenuto col Ministro francese. Gli dissi che certo i rapporti dei due governi erano sempre stati assai buoni, ma che accanto ai rapporti da Governo a Governo, vi sono anche quelle disposizioni reciproche da Governo a Governo che sono create dalle condizioni dello spirito pubblico e della opinione. Io poteva bene tener conto di ogni difficoltà e di ogni riguardo ed ero anzi tutto persuaso delle disposizioni amichevoli che animarono il Signor di Rémusat, ma non potevo impedire che l'assenza così prolungata del Ministro di Francia presso il Re producesse una impressione cattiva nella pubblica opinione in Italia e destasse delle preoccupazioni sfruttate da tutti coloro che, per uno scopo o per l'altro, vorrebbero turbare le relazioni presenti fra i due paesi e gettare un germe di perturbamenti futuri. Io disapprovavo certo la forma che queste preoccupazioni potevano aver presa nella polemica di taluni giornali. Ma l'Incaricato di Affari francese poteva constatare egli stesso che questa impressione esisteva e che era, sotto ogni riguardo, utile e urgente di rimuoverne la causa. A voi poi dirò che si può benissimo trovare che questa impressione sia esagerata, ma essa ha però preso quelle proporzioni in presenza delle quali è d'uopo, almeno in certi limiti, tenerne conto. Quando tutti gli altri Capi di Missione sono a Roma, quando la Francia ha già il suo Ministro a Berlino, l'assenza del Ministro di Francia irrita qui perfino gli uomini i più calmi e i più amici della Francia. Molti mi rimproverano e mi accusano di debolezza perchè io non vi ho dato l'istruzione di prendere, con un pretesto o coll'altro, un congedo. Io m'applaudo di non averlo fatto e credo che sarebbe stato un errore. Sarebbe stato un dare al Governo francese il ragionevole motivo per protrarre indefinitamente la nomina del suo Ministro, un perdere il vantaggio della nostra posizione e il complicare uno incidente in cui tutti gli uomini di buon senso sono per noi, con delle questioni di suscettibilità nazionale.

Lo stato delle cose però essendo tale ed io non potendo mutarlo, desidero vivamente che quest'affare sia finito per l'apertura delle Camere fissata al 26 corrente. Già prima della proroga ottenni con pena che il Deputato Guerzoni ritirasse una sua interpellanza. Ora, se le cose rimangono nello statu quo, non mi riuscirebbe più d'ottenerlo. Poi, la discussione finanziaria conducendo seco la discussione politica, la questione verrebbe se non direttamente, indirettamente sul tappeto. Ora tutto consiglia di evitarla. Se invece per quell'epoca la nomina del successore di M. de Goulard fosse annunciata ufficialmente e fosse almeno annunciata la sua prossima partenza per Roma, tutto sarà finito e quelli che ora ci accusano di debolezza, troveranno che abbiamo avuto ragione ad avere più calma e più sangue freddo di loro. Vi assicuro che pongo un grande interesse a ottenere questo scopo, quanto all'azione che potreste esercitare a tale intento, me ne rimetto però al vostro tatto e al sentimento vostro di quanto richiede la dignità del Governo italiano. Sono anche mosso, ve lo confesso, da una specie di egoismo, per due, per voi e per me. La questione finanziaria sarà ardua pel Ministero. Io credo che ne uscirà sano, ma sarà, ad ogni modo, una prova. Se anche ci dovesse lasciare la pelle, credo che il suo successore sarà un Ministro preso ancora nel partito moderato. Pure non vorrei, per ogni evento, lasciare dietro di me una questione e una situazione incompleta. Vorrei che si potesse dire di Voi e di me che quel ciclo che ci spettava di chiudere, l'abbiamo chiuso. Et nunc dimitte servum tuum, Domine.

339

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4123. Parigi, 17 febbraio 1872, ore 14,10 (per. ore 15,55).

M. de Rémusat m'a dit que conseil des ministres à l'unanimité a décidé la nomination et l'envoi sans retard d'un ministre de France à Rome. Il a ajouté qu'il s'occupe activement de cette nomination et qu'il espère qu'elle aura lieu avant le 26 courant.

340

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 856/270. Londra, 17 febbraio 1872 (per. il 21).

Mi sono recato a debito di comunicare al Signor Capitano Commendatore Racchia il contenuto nel dispaccio di V. E. del 6 corrente N. 117 Serie Politica (1), nel quale Ella mi commetteva di incaricare lo stesso Signor Capitano di informarsi esattamente e minutamente delle trattative, che ebbero luogo di recente fra l'Inghilterra e l'Olanda circa il riconoscimento dei diritti degli Olandesi sopra Sumatra e fors'anco sopra tutta l'isola di Borneo.

Mancando il Signor Capitano Racchia dei mezzi necessari a questo intento ed avendomelo egli stesso dichiarato e potendo invece farlo io stesso per le mie relazioni personali col Corpo diplomatico, ho creduto nell'interesse del servizio del Gabinetto di mandare io medesimo ad effetto un tale incarico. A completare le notizie, che già aveva a questo riguardo, ho assunto tutte le informazioni possibili ad aversi allo stato attuale delle cose a riguardo delle recenti stipulazioni intervenute fra l'Inghilterra e l'Olanda. Dalle informazioni che ho attinto a fonte sicura mi risulta, che queste stipulazioni diplomatiche furono firmate dai plenipotenziari, ma che non ebbero ancora la ratifica. Nessuna

comunicazione venne finora fatta al Parlamento Inglese su questo soggetto ed il Trattato ed i documenti al medesimo relativi non vennero fin qui neppure presentati al Parlamento, sebbene siavi qui stata il 13 corrente una conversazione su questo soggetto nella Camera dei Comuni (Veggasi il Times del 14 corrente).

Sebbene però non abbia veduto codesta stipulazione posso però darle parecchie informazioni a riguardo della medesima.

Quanto alla cessione della Costa d'oro nella Guinea l'Olanda vi si determinò perchè essa era divenuta per questo Stato un carico, che cagionava al medesimo una spesa annua di più di 600/m. franchi, senza alcuna speranza di migliorare lo stato delle cose.

L'Inghilterra, a parte gli altri interessi politici, navali e commerciali che vi può avere, era interessata ad avere il possesso anche di questa parte di quel Paese, perchè i forti Olandesi e le popolazioni ad essa soggette, che ascendono a circa 125/m. anime, sono, per così dire, mischiati ed alternati coi forti e coi possedimenti Inglesi. Il dualismo che vi esisteva era causa, che si moltiplicassero le guerre fra le Tribù di quel Paese, le quali si appoggiavano le une all'Olanda, le altre all'Inghilterra per guerreggiarsi. Ciò, impediva di poter fare in que' luoghi nulla di buono e paralizzava anche la sorveglianza per la repressione della tratta dei negri. La necessità di ridurre tutto quel Paese in una sola mano fu egualmente sentita dalla Olanda e dalla Inghilterra, e ciò preparò la via agli accordi.

Il primo trattato rigettato l'anno scorso in Olanda non fu colà accettato, non già (come ne fui assicurato) perchè non contenesse stipulazioni relative all'Isola di Borneo, ma essenzialmente perchè lo si era fatto in modo, che pareva unicamente dettato dagli interessi Inglesi.

Nel trattato attuale niun compenso diretto è stipulato a favore dell'Olanda tranne il rimborso del valore del materiale da guerra esistente nei forti Olandesi, il quale sarà di Lire Sterline 24/M.

L'Olanda avrebbe ceduto le fortezze e le ragioni, che le spettano sui detti

territori, ma avrebbe per la sua parte evitato nel trattato ogni espressione,

che autorizzasse, per quanto possa da Lei dipendere, l'uso della forza per far

riconoscere dalle popolazioni della Costa d'Oro (circa 125/m. anime) il nuovo

dominatore.

L'approvazione qua:<i generale delle Camere Olandesi di questo trattato

non trova però conveniente riscontro nell'opinione di quel Paese, al quale

duole la rinunzia ad una Colonia il cui possesso rimonta a più di 300 anni.

Per l'isola di Sumatra si è fatta una separata convenzione, che parimenti

non è ancora ratificata. Quando nel 1810 il Primo Impero Francese occupò la

Olanda, l'Inghilterra aveva posto tosto la mano tanto sopra Sumatra che su tutte

le colonie Olandesi del mare di Giava e della China. Dopo la ristorazione del

1815 la casa d'Grange essendo rientrata in possesso del Trono di Olanda, la

Inghilte~ra restituì la massima parte delle dette Colonie all'Olanda, la quale

così rientrò in possesso della maggior parte dell'isola di Sumatra. A riguardo

però di quest'isola si fecero delle stipulazioni contenute in un trattato del

1824, che dall'Inghilterra fu sempre interpretato in modo che stabilisse che

l'Olanda non potesse estendere i suoi possedimenti nell'Isola senza il consenso dell'Inghilterra; ma questa interpretazione non venne mai accettata in massima dall'Olanda. Pare che lo·· scopo precipuo di una tale stipulazione fosse per parte dell'Inghilterra di impedire l'estensione dei possedimenti Olandesi alle Coste Nord dell'Isola di Sumatra poste nello stretto di Malacca a fronte dei possedimenti importanti Inglesi di Malacca e di SingapÒur; la quale estensione di dominazione Olandese avrebbe .pur d~to .all'Olanda, una maggiore influenza ed ingerenza nello stre~to di Malacca. Se non· che, l:l:llo stato attuale delle cose gli interessi del commercio Inglese in que' luoghi avevano promosso lagnanze e domande, che parevano richiedere dei provvedimenti e dei nuovi accordi nell'interesse del commercio medesimo. Per altra parte l'Olanda desiderava di mettere fuori di dubbio la sua libertà di estendere i suoi possessi in Sumatra, ove spera di poter acquistare il vassallaggio dei Principi indipendenti che ancora vi si trovano senza l'uso della forza. A ciò l'Olanda pone molto interesse come a cosa che completa e fortifìca il suo sistema coloniale, che le dà non meno che un prodotto annuo di 60 milioni di franchi netti.

Da questi fatti ebbe principalmente origine il nuovo Trattato, col quale da una parte si sarebbe riconosciuta la libertà dell'Olanda. di estendere i suoi possessi in Sumatra e dall'altra si sarebbero fatte parecchie stipulazioni a beneficio del commercio Inglese. L'Isola di Borneo fu affatto estranea a siffatte stipulazioni ed io penso, che quando pure questo soggetto fosse in avvenire contemplato (del che non ho alcun indizio) ciò avverrebbe nel senso medesimo delle stipulazioni per Sumatra, cioi:: per togliere alla estensione dei possedimenti Olandesi anche in quest'isola l'ostacolo che viene dalle convenzioni che l'Inghilterra ha coi Sovrani indipendenti dell'isola stessa per le quali essi non possono fare cessioni del loro territorio senza mettersi prima d'accordo coll'Inghilterra.

Stando a queste informazioni sulle quali credo, che si possa riposare, ne seguirebbe che i recenti trattati tra l'Inghilterra e l'Olanda non potrebbero esercitare veruna influenza sulle vedute e sui passi, che il Governo del Re sta facendo per l'occupazione di una parte delle coste dell'isola di Borneo.

Per quanto riguarda quest'ultimo soggetto debbo signifiçarle, che finora non ricevetti da Lord Granville alcuna c9municazione. Considerando l'assenza del Signor Hammond dal Foreign Office per continui attacchi di gotta, i lavori parlamentari e le gravi questioni, che ora preoccupano questo Governo, io temo che anche questa risposta si farà notevolmente aspettare. Ed in questo timore mi conferma il ritardo di Lord Granville a rispondere nell'altro affare relativo al nostro Trattato coll'Impero di Birmania, il quale ha luogo sebbene, come già le scrissi, Lord Granville fosse già in grado di rispondere in modo favorevole e sebbene io abbia già ben tre volte dopo d'allora sollecitato da Sua Signoria verbalmente l'attesa risposta al mio memorandum del 14 Dicembre p. p. (1).

Conchiudo significandole che ho pur comunicato il contenuto in questo mio rapporto al Signor Capitano Commendatore Racchia.

(l) Non pubblicato, ma cfr. n. 300.

(l) Non pubblicato.

341

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1800. Parigi, 17 febbraio 1872 (per. il 21).

In udienza di jeri ho fatto conoscere a S. E. il Signor di Rémusat che l'E. V. m'aveva informato per telegrafo (l) non essere aliena dall'accettare in ordine alla questione della giurisdizione consolare a Tripoli il progetto secondo il quale le quattro Potenze firmerebbero gli articoli del protocollo di Londra, senza preambolo, salvo a constatare con uno scambio di note le riserve concernenti l'Egitto e Tunisi.

Il Signor di Rémusat, nel ringraziarmi di questa comunicazione, mi disse che dopo riflessione egli si era confermato nell'idea che fosse più conveniente e più prudente di mantenere l'inserzione delle riserve nel preambolo, come egli aveva proposto nel progetto che ha dovuto essere comunicato all'E. V. dalla Legazione di Francia a Roma. Mi pregio d'informare l'E. V. di queste disposizioni del Governo francese, osservando che dal linguaggio tenutomi in proposito da Djemil-Pascià, Ambasciatore di Turchia in Francia, conforme a quello che l'E. V. m'informò esserle stato tenuto da Photiades-Bey, risulta che il Governo ottomano non sembra disposto ad ammettere le dette riserve nel preambolo del protocollo, appoggiandosi a tal fine sul trattato di Parigi del 1856, e sui relativi protocolli.

342

IL VICE PRESIDENTE DEL SENATO, VIGLIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM

(AVV)

L. P. Firenze, 17 febbraio 1872.

Finalmente sono in grado di presentare a codesto Ministero un progetto della nuova Convenzione da stipularsi colla mia Repubblichetta di S. Marino in conformità dei concerti da me tenuti col Ministero delle Finanze e delle istruzioni datemi dai Capitani Reggenti. Nella parte finanziaria, come Ella rileverà dal mio dispaccio e dal progetto che oggi stesso rassegno a codesto Ministero, non rimane che una piccola differenza sulla quantità di sale domandata dal Governo di S. Marino come necessaria agli usi di quella buona popolazione. Molto tenace e taccagno si dimostrò su questo punto il Ministero delle Finanze, malgrado la molta cortesia a me dimostrata. Mi è stata concessa una piccola parte dell'aumento domandato: mi si ricusò il resto per motivi che non mi sembrano in vero degni di un Governo grande e generoso. Si esagerano in modo che a me pare strano, i pericoli che si temono o si mostra di temere per la concessione di pochi quintali di sale. Nelle trattative io credo di es

sermi mostrato non meno sollecito degli interessi del piccolo S. Marino, che di quelli del Regno d'Italia nelle cose che mi parvero avere qualche importanza:ma debbo con dispiacere confessare, che in codesta miseria del sale io non so vedere una buona ragione del rifiuto del nostro Governo e veggo invece ogni ragione di compiere la generosa concessione. Se di ciò si persuadesse pure l'ottimo Ministro Visconti-Venosta e riuscisse a vincere la ritrosia troppo gretta delle finanze, io lo plaudirei con quattro mani: ma se o non volesse tentare la prova nel Consiglio dei Ministri, o alla buona intenzione non rispondesse il successo, la Repubblica si rassegnerà al poco che le si vuole accordare. Sella personalmente ha simpatia pel piccolo S. Marino e lo vorrebbe contentare: ma la sua burocrazia gli stringe le mani e gli impicciolisce il cuore.

In tutte le altre parti non parmi che la proposta della Repubblica possa incontrare alcuna difficoltà da parte nostra. Per l'estradizione si è preso per tipo il recente Trattato dell'Italia col microscopico Principato di Monaco. Chiedendo un trattamento uniforme la Repubblica si mostra ben discreta. Mi raccomando a Lei ed al caro Peiroleri perchè questo affare che già soffrì lungo indugio per cause estranee a codesto Ministero, arrivi a pronta condusione. Io penso di recarmi al Senato nei primi di Marzo e sarei ben lieto di trovare le cose disposte per la definitiva stipulazione della Convenzione. Si dovrà aggiungere un protocollo segreto di cui ho unito il tenore al progetto. Si tratta di un impegno che il Governo di S. Marino è disposto ad assumere per guarentigia delle nostre finanze, ma che non vorrebbe e non gli converrebbe che si pubblicasse.

Ho ricevuto stamani una lettera del Nisco che mi significa avere al fine il Bey di Tunisi firmato il compromesso e che presto arriverà l'atto ed un rappresentante di S. A. Se così è, come giova sperarlo, io mi darò cura di accelerare la esecuzione del compromesso. Precederanno gli atti d'istruzione ai quali sono stati prefissi i termini: verrà poi il giudizio: ma questo non potrà aver luogo che fra alcuni mesi, quando non si abbia a spendere ancora molto tempo in atti di procedura da compiersi a Tunisi. A ogni modo non abbiamo a temere le grosse difficoltà dell'arbitrato per l'• Alabama •.

Le piaccia di ricordarmi al caro Ministro e di salutare il Peiroleri...

(l) Cfr. n. 332.

343

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, A LMINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. CONFIDENZIALE. Berlino, 18 febbraio 1872.

La Princesse Impériale doit accoucher le mois prochain. Je crois qu'il serait fort à propos que S. A. R. le Prince Humbert, en son nom et en celui

de S. A. R. la Princesse Marguerite, adressàt par une lettre particulière à

S. A. L ses meilleurs voeux, à l'occasion de ce prochain événement.

Vous vous souvenez sans doute du désir qui nous avait été témoigné, en 1870, que LL. AA. RR. voulussent accepter d'etre Parrain et Marraine de la Fille du Prince et de la Princesse Héréditaire de Prusse, dont le bapteme devait avoir lieu le Ier Aaut. La grande crise politique qui ne tarda pas à éclater, empecha qu'il fllt donné suite à ce projet, avant meme que notre Cour fut instruite des intentions manifestées ici à cet égard. Je ne puis que me référer à mes lettres particulières et confìdentielles des 7,13 et 28 Juillet de la meme année (1).

Il importe, comme je l'ai dit maintes fois, que les deux Princes Héritiers conservent et maintiennent leurs excellentes relations. Or, la démarche dont j'ai parlé au commencement de cette lettre, aurait précisément pour effet de raviver ces sentiments d'amitié. Cette démarche ferait peut etre meme renaìtre l'idée qui n'a pas été réalisée en 1870, et qui eut créé entre eux un des liens les plus durables, puisqu'il se rattache aux affections intimes de la famille. Dans tous les cas, le beau ròle appartiendrait à S. A. R. le Prince de Piémont, en montrant que ce qui s'est passé en 1870 n'a laissé aucune trace fàcheuse dans Ses sentiments de sympathie pour la Cour de Prusse.

En agissant ainsi, ce serait d'ailleurs apporter de l'eau à notre moulin, dans des circonstances où il nous convient plus que jamais de nous assurer les bonnes dispositions du Cabinet de Berlin. Ce serait en meme temps préparer admirablement le terrain, dans le cas où. comme il faut l'espérer, Monseigneur le Prince Humbert et la Princesse Marguerite viendraient dans cette capitale, dans le courant de cette année. Je me permets de vous rappeler à ce sujet les idées que nous avons échangées à Rome, au mois de Septembre dernier. Les Noces d'o1· du Roi et de la Reine de Saxe seront célébrées à Dresde, le 21 Novembre prochain.

Si ce que je viens de suggérer est accueilli favorablement par Notre Auguste Prince Royal, il ne faudrait pas tarder à y donner suite.

344

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4127. Londra, 19 febbraio 1872, ore 19,27 (per. ore 22,15).

Je vous envoie un télégramme du capitaine Racchia qu'il vous prie de communiquer au ministre de la Marine.

• Les difficultées relatives au traité avec Birman sont définitivement surmontées. Quant à Borneo on n'aura de réponse que dans un temps indéterminé. Veuillez bien me donner instruction car les fonds me manquent pour prolonger mon séjour ici •.

(l) Cfr. D.D.I., serie I, vol. XIII, nn. 24 e 129.

345

IL CONTE KULCZYCKI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Roma, 19 febbraio 1872.

Monseigneur B[ellà] me charge d'informer V. E. que le Pape a reçu une nouvelle lettre autographe de M. Thiers. Les projets de départ sont toujours à l'ordre du jour. Un membre du corps Diplomatique vient de me confirmer de la manière la plus positive que trente caisses appartenant au SaintPère sont déjà parties pour Malte.

346

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI MINISTRI A LONDRA, CADORNA, E A VIENNA, DI ROBILANT

T. 1807. Roma, 20 febbraio 1872.

On dit que le Pape aurait interpellé le Gouvernement autrichien (anglais) en vue d'ouvrir le Concile en Autriche (Angleterre). Je ne sais si ce bruit a un fondement sérieux. Tachez avec prudence de vous informer à ce sujet.

347

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4130. Madrid, 20 febbraio 1872, ore 18 (per. ore 13,10 del 21).

Après laborieuse négociation le ministère vient enfin de se reconstituer sous la présidence de M. Sagasta, mais avec adjonction importante de quatre membres appartenants à l'Union libérale. La véritable couleur du cabinet est libéral

conservateur.

348

L'INCARICATO D'AFFARI DI FRANCIA A ROMA, DE SAYVE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Roma, 20 febbraio 1872 (per. il 21).

Je viens d'avoir l'honneur d'entretenir V. E. de l'intention qu'a le Gouvernement français d'entrer en arrangement avec le Bey de Tunis pour l'établissement d'un tribuna! mixte dans la Régence, et je vous demande la permission de rappeler ici le point de vue auquel se piace M. de Rémusat dans cette affaire.

La question présente un double intérèt qu'il nous parait essentiel de sauvegarder. En dehors de la question juridique qu'il s'agit de réglementer par la création d'un tribuna! mixte, il y a Iieu de tenir compte de la modification que le dernier firman rendu à Constantinople tend à établir dans !es rapports de la Régence Tunisienne avec la Turquie. Aussi, tout en se montrant disposé à entrer en arrangement avec le Gouvernement du Bey sur !es modifications que pourrait subir le régime judiciaire actuellement en vigueur, M. le Ministre des Affaires Etrangères de France a déclaré à notre Consul général à Tunis que son adhésion demeurait subordonnée à cette réserve expresse que la Porte serait tenue absolument en dehors de cette négociation. Il résulte de la réponse de M. de Botmiliau qu'il n'y aurait pas Iieu de se préoccuper des intentions du Gouvernement Tunisien à cet égard et que l'intérèt du Bey, directement engagé dans le projet d'établissement d'un tribuna! mixte, serait un sur garant de la rectitude de ses procédés à ce sujet. On pourrait d'ailleurs lui faire connaitre dès le début que les pourparlers seraient immédiatement rompus dans le cas où son attitude ne serait pas absolument correcte à ce point de vue.

Dans cet état de choses, M. de Rémusat a pensé que le moment était venu de provoquer de la part du Cabinet de Rome un assentiment forme! à cette négociation et, en meme temps que notre Ambassadeur à Londres était chargé d'appeler sur cette affaire I'intéret du Gouvernement Britannique, j'ai reçu l'ordre de prier V. E. de vouloir bien mettre l'agent italien à Tunis en mesure de s'associer aux démarches de notre consul général. V. E. m'ayant donné ce matin l'assurance qu'Elle envisageait la question de la mème façon que le Gouvernement de la République, j'ose espérer, Monsieur le Ministre, que vous voudrez bien donner aux voeux du Cabinet de Versailles la suite qu'ils comportent et je saisis cette occasion pour vous renouveler...

349

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A L'AJA, BERTINATTI

D. 17. Roma, 21 febbraio 1872.

Le accuso ricevuta del suo rapporto politico s.n. del 15 p. p. mese~ non che di quello segnato al n. 49 politica (1).

Mi sono affrettato di comunicare il contenuto del primo di essi a Madrid, trattandosi di argomento sommamente delicato.

Devo poscia ringraziarla in particolar modo delle interessanti informazioni contenute nel rapporto n. 49 relativamente ai negoziati che hanno avuto luogo fra i Paesi Bassi e l'Inghilterra relativamente a Sumatra. Le sarei riconoscente se volesse tenermi al corrente di tale questione, come pure di qualunque altra notizia relativamente ai possessi olandesi nell'Arcipelago indiano, o nella Guinea, tali nozioni potendo tornare di particolare utilità pel Governo del Re, mentre da noi si sta studiando il progetto della creazione d'una Colonia penitenziaria in qualche paese d'oltremare.

(l) Non pubblicati.

350

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 370. Roma, 21 febbraio 1872.

Il rappresentante del Re a Yedo e poscia il R. Ministro a Washington mi hanno annunziato la partita dal Giappone di una missione straordinaria composta di alti funzionari di quello impero, la quale si propone, dopo avere visitato gli Stati Uniti d'America, di recarsi a soggiornare per alcun tempo in Europa percorrendo gli Stati principali del nostro Continente. Il Conte Fe' d'Ostiani mi ha anzi trasmesso una Nota comunicatagli dal Governo del Tenno, e di cui mi pregio di inviarle qui unito un esemplare, in cui è detto che la summentovata missione ha, fra gli altri, l'incarico di raccogliere gli elementi necessari in vista di preparare una eventuale revisione dei trattati vigenti fra il Giappone e le potenze d'Europa.

È desiderio del R. Governo che, con la scorta di questo documento, Ella si tenga informato delle comunicazioni che il Governo presso il quale Ella è accreditata ha ricevuto o sarà per ricevere in ordine alla missione Giapponese di cui si tratta nonchè del modo col quale alla missione stessa sarà facilitato il compito del suo mandato in codesto paese. Tutte le informazioni riflettenti il ricevimento degli Ambasciatori, le agevolezze loro accordate e simili dovranno formare oggetto di rapporti di Serie Politica. Ella vorrà invece riferire con rapporti della Serie Commerciale intorno a ciò che riguarda la revisione dei trattati di Commercio e navigazione e il prolungamento del termine per la revisione stabilito.

351

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4132. Parigi, 21 febbraio 1872, ore 14,25 (per. ore 16,35).

Des dépeches pnvees de Rome parlent de nouveau du prochain départ du

S. Père pour Trente ou Malte, où il reconvoquerait le Concile. D'autre part ici le parti clérical fait ses derniers efforts pour pousser l'Assemblée à s'opposer à l'envoi d'un ministre de France à Rome. Monseigneur Dupanloup et M. Keller proposeront un ordre du jour motivé, mais M. de Rémusat m'a assuré qu'il n'accepterait que l'ordre du jour pur et simple et qu'il espérait pouvoir m'annoncer pour vendredi prochain un choix agréable au Gouvernement du Roi.

352

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4129. Parigi, 21 febbraio 1872, ore 20,55 (per. ore 22,10).

M. de Rémusat m'a dit qu'il espérait pouvoir m'annoncer vendredi prochain nomination du nouveau ministre de France à Rome. La pétition des cléricaux sera discutée samedi. Commission propose ordre du jour.

353

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4134. Londra, 22 febbraio 1872, ore 18,16 (per. ore 20,40).

Granville n'a reçu aucune communication du Pape au sujet d'un Concile en Angleterre, les récents et longs rapports de son agent à Rome n'indiquent pas meme que des pourparlers au Vatican à ce sujet aient eu lieu.

354

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4133. Vienna, 22 febbraio 1872, ore 18.

J'ai eu l'occasion naturelle de parler aujourd'hui à Andrassy sur le sujet de votre télégramme d'hier (1). Une dépèche d'hier de Paris donnant mème nouvelle et la plupart des journaux de ce matin la commentant, Andrassy m'a

(ll Cfr. n. 346.

assuré formellement n'avoir reçu aucune communication en ce sens de Rome; avoir parlé du bruit qui court à l'Empererur et etre certain que lui non plus n'a pas eu de communications. Ceci pourtant m'a été dit avec moins d'assurance. Comme il serait très embarrassé si effectivement une ouverture pour réunion du Concile en Autriche venait faite, il est très-ennuyé du bruit qu'il croit que l'on fait courir pour le mettre dans une fausse position. Aussi a-t-il fait supprimer aujourd'hui un télégramme de Rome aux journaux qui répétaient la nouvelle. Il m'a dit croire que tout cela est résultat foyer des intrigues établi à Geneve. Il m'a cependant ajouté que Wimpffen a écrit bruit départ du Pape au printemps reprend consistance et semble ait probabilité.

355

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 1055. Roma, 22 febbraio 1872 (per. il 23).

Di seguito alle precedenti informazioni, mi fo debito di significare alla E.V. per quelle comunicazioni ai R.R. Rappresentanti all'Estero che crederà opportuno, come in questi ultimi tempi la fazione mazziniana e l'Internazionale siensi sensibilmente ravvicinate.

Le speranze degli aderenti alla Internazionale, sopra un movimento rivoluzionario in Francia ed in !spagna, sembrano testé cresciute; e la data pare riconfermata pel 24 del corrente mese.

Più particolari notizie non si sono finora potute avere, ma non appena pervenissero, mi farò premura di comunicarle alla E. V., per quegli uffici che fossero opportuni all'estero.

356

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 869/275. Londra 22 febbraio 1872 (per. il 27 ).

Confermo il telegramma speditole or ora (l) col quale, rispondendo al tele,gramma ricevuto ieri mattina ad un'ora a. m. (2), Le ho significato che il Signor Conte Granville mi ha assicurato..che non gli pervenne neppure una parola a riguardo del progetto del Papa di tenere un Concilio in Inghilterra. Sua Signoria mi soggiunse anzi che avendo ricevuto molto recentemente dei lunghi rapporti del suo Agente a Roma questi riferivano bensì gli argomenti che i due avversi partiti adducevano in favore o contro nella già antica questione della partenza

del Papa da Roma, ma che non vi si indicava eh~ vi fossero anche solo dei discorsi, e delle voci nel Vaticano a riguardo dell'uscita del Papa da Roma per un Concilio a tenersi fuori d'Italia.

Colsi questa circostanza per richiamare alla memoria di Sua Signoria tutte le considerazioni già ripetutamente espostegli all'oggetto di constatare come la partenza del Papa da Roma sarebbe contraria non solo ai veri interessi dell'Italia ed agli interessi religiosi e del Papa stesso ma ben anco agli interessi delle altre Potenze e principalmente delle Potenze Cattoliche o che hanno molti sudditi Cattolici, le quali vi troverebbero una fonte di difficoltà e di imbarazzi assai grandi tanto all'interno che nelle loro relazioni coll'Italia e col Papa. A queste considerazioni altre ne aggiunsi a riguardo della libertà di cui il Papa, i Vescovi e tutti i Ministri della religione godono in Italia, la quale non trova riscontro in nessun paese d'Europa, ond'è che la partenza del Papa dall'Italia si vorrebbe provocare unicamente in vista di produrre complicazioni ed imbarazzi colla speranza che ne profitti la questione del ristabilimento del potere temporale del Papa.

Sua Signoria non solo non fece alcuna osservazione in contrario ma accolse ben anco con molto favore queste considerazioni, della cui importanza mi parve che sia pienamente persuaso.

Feci infine notare a Sua Signoria che probabilmente la voce di cui Le aveva tenuto discorso proveniva dal partito che spinge il Papa ad abbandonare Roma, il quale partito, non avendo finora potuto ottenere che il Papa lo ascoltasse in questo affare, tentava probabilmente di trovare un mezzo indiretto per allontanarlo dall'Italia e per portarlo fuori di essa senza che Egli abbia a dichiarare di volerla abbandonare definitivamente.

(l) -Cfr. n. 353. (2) -Cfr. n. 346,
357

IL CONSOLE GENERALE AD ANVERSA, SCAGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 2. Anversa, 22 febbraio 1872 (per. il 26).

Il Conte di Chambord da circa una settimana si trova in Anversa e si è installato in questo albergo • Saint Antoine • con le persone del suo seguito.

Il pellegrinaggio dei legittimisti si è accresciuto al punto in questi ultimi giorni da tenere empite tutte le locande potendosi calcolare a parecchie centinaia il numero di tali arrivati.

Numerosi deputati poi arrivano da Versailles e ne ripartono dopo di avere avuto delle conferenze col Conte e co' legittimisti.

Il partito clericale si dà gran moto, e promette di volere appoggiare il piano del Conte di Chambord con ogni sua forza materiale e pecuniaria alla condizione espressa però (e ciò viene da esso apertamente manifestato) che riuscendo a stabilire sul Trono di Francia Enrico V questi prometta a coadiuvare il ripristinamento del Papa nei suoi diritti come Sovrano temporale, liberandolo dalla prigionia nella quale viene tenuto da un Re ladrone e scomunicato.

In queste chiese si sono aperte nuove questue e dal pergamo i curati predicano alla crociata gratificando il Re N. S. di ogni ingiurioso epiteto.

La presenza in Anversa di questo partito legittimista che così apertamente complotta tanto contro l'attuale Governo Francese che contro quello dell'Italia produce in paese un grande risentimento, e giorni sono un buon numero di persone si fermarono innanzi all'Hotel abitato dal Conte di Chambord e gridarono

• à bas la calate. Vive la liberté •. L'autorità locale per evitare la ripetizione di tali assembramenti fa sorvegliare attivamente le vicinanze della Locanda.

Ieri circolava per la Città una petizione coperta da numerose firme ed indirizzata al Presidente e membri della camera dei rappresentanti a Bruxelles per la quale si chiede di volere imporre al Conte di Chambord la partenza dal Belgio per fare cessare questo stato di cospirazione flagrante contro Paesi vicini ed amici. In appoggio qui allegato (l) un esemplare di tale documento, come pure una lista sommaria dei legittimisti che si trovano in Anversa.

Questa sera negli appartamenti occupati dal Conte di Chambord nella locanda • Saint Antoine • vi sarà un grande ricevimento ufficiale di tutti i legittimisti qui accorsi e chiamati per discutere sull'avvenire della Francia sotto l'Egida di Enrico V Re di Francia.

Col treno di questa mattina e provenienti dalla Francia giunsero circa una sessantina di membri appartenenti al clero francese.

Nel portare il tutto a conoscenza dell'E. V. mi riservo di tenerla ulteriormente ragguagliata di quant'altro possa venire a conoscenza mia su tale delicato assunto.

358

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA

D. RISERVATO S. N. Roma, 23 febbraio 1872.

L'Incaricato d'Affari di Spagna presso S. M. nel rimettere al sottoscritto la traduzione di una Circolare che il Governo spagnuolo diramò ai suoi Agenti all'estero sui pericoli a cui la Società detta Internazionale espone l'ordine sociale, espressegli il desiderio di conoscere da essa verbalmente le impressioni che la lettura di tal documento avrebbe prodotta nell'animo del Governo del Re. Onde possa trovarsi quindi il sottoscritto in grado di soddisfare al desiderio del Rappresentante spagnuolo, si pregia qui unito trasmettere al suo onorevole collega il Presidente del Consiglio, Ministro dell'Interno, copia della Circolare suddetta con preghiera di volergli poscia comunicare quelle osservazioni che possono venirgli suggerite dalla lettura di essa.

27 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

(l) Non pubblicato.

359

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 1059. Roma, 23 febbraio 1872 (per. il 24).

In una recentissima adunanza di aderenti alla parte repubblicana in Torino, fu data lettura di lettere di certo Cecchini di Lugano, il quale in compagnia di Valetti, Riboni e vari disertori dei reggimenti italiani residenti in Svizzera, organizzerà tra breve bande armate per invadere il territorio italiano dalla parte di Como nello scopo di iniziare un moto repubblicano.

A tal fine si richiede al Ferrero Gola di Torino copie delle carte topografiche dello stato maggiore e dell'opera dello Stato maggiore dell'esercito sardo intitolata • Le Alpi che cingono l'Italia •.

Prego pertanto l'E. V. di fare solleciti uffici al R. Rappresentante in Svizzera per le occorrenti comunicazioni a quel Governo, e per quelle più diligenti informazioni che potranno procurare riguardo a tali disegni rivoluzionari.

360

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1805. Parigi, 23 febbraio 1872 (per. il 27 ).

Il Signor di Remusat mi aveva dato convegno per oggi al Ministero degli Affari Esteri nella speranza di potermi annunziare la nomina da proporsi al gradimento di Sua Maestà del nuovo Ministro di Francia a Roma. Essendomi recato da lui egli mi disse che non poteva ancora annunziarmi per oggi questa nomina, giacché il Signor di Lasteyrie al quale aveva proposto questa carica l'aveva rifiutata, per la ragione che esso Signor di Lasteyrie è convinto che la carica di Ministro all'estero deve essere impossibile con quella di membro dell'Assemblea Nazionale. Il Signor di Rémusat si condolse meco di questo rifiuto perché conoscendo intimamente i sentimenti e le opinioni del Signor di Lasteyrie con cui è anche congiunto per parentela egli era certo che questa nomina di un uomo sinceramente liberale amico d'Italia sarebbe stata bene accolta nel nostro paese egualmente che in Francia. Il Signor di Rémusat aggiunse che in presenza di questo rifiuto egli intendeva ora fare una scelta fra i Diplomatici di carriera e nominò come candidati possibili il Signor Fournier già Ministro di Francia in !svezia e il Conte di Gobineau già Ministro di Francia in Persia, in Grecia ed al Brasile. Io impegnai il Signor di Rémusat a non ritardare più oltre la nomina del nuovo Ministro e gli confermai ciò che già gli aveva detto precedentemente che questo ritardo produce in Italia un'impressione sommamente sfavorevole alla Francia. • Il Governo del Re, gli dissi, può tener conto e tien conto difatti delle buone intenzioni del Governo francese e delle circostanze, alcune delle quali erano imprevedibili, che hanno cagionato questo ritardo. Ma esso non può impedire che il fatto del ritardo quale che ne sia la cagione produca un'impressione sfavorevole sull'opinione del paese e quando questa impressione si produce non può a meno di preoccuparsene e di tenerne conto •. Il Signor di Rémusat convenne con me che era urgente di porre un termine a questa situazione e mi disse che lo farebbe il più presto possibile. Soggiunse poi che era specialmente tenuto al Governo del Re di aver avuto abbastanza confidenza in lui per non aver attribuito questi ritardi che egli pel primo rimpiange ad alcun sentimento ad alcuna intenzione meno favorevole pel nostro paese.

In questa come nelle precedenti conversazioni che ebbi col Signor di Rémusat sull'argomento che ci occupa mi studiai di far comprendere all'onorevole Ministro degli Affari Esteri le conseguenze spiacevoli che il ritardo dell'invio a Roma d'un Ministro Francese può produrre per le relazioni future dell'Italia e della Francia. Lo feci tentando di conservare costantemente la giusta misura determinata da un lato dal vivo interesse che noi portiamo al mantenimento dei buoni rapporti colla Francia e dall'altro dal sentimento di dignità del Governo del Re che ho l'onore di rappresentare.

Il Signor Fournier di cui è cenno nel presente dispaccio appartiene da lungo tempo alla carriera diplomatica. Egli rappresentò recentemente la Francia presso la Corte di Svezia. Gode fama di intelligente diplomatico, e di uomo animato da convinzioni liberali e moderate. Il Conte di Gobineau appartiene pur esso alla carriera diplomatica da molti anni. Egli fu Ministro di Francia in Persia, in Grecia ed ultimamente al Brasile. In tali posti si trovò in contatto con molti membri della Diplomazia italiana ed altri nostri concittadini; egli fu specialmente in contatto col Cavaliere Senatore Marcello Cerruti, durante la sua missione in Persia. L'E. V. potrà avere dall'onorevole Senatore ogni ragguaglio sopra di esso.

La petizione, o per meglio dire, le petizioni dei -clericali all'Assemblea francese, tendenti ad impedire l'invio a Roma d'un Ministro di Francia, dovevano essere riferite e discusse domani. Ma i rapporti e la discussione di esse furono ancora rinviati a sabato 2 Marzo venturo. Il Signor di Rémusat mi disse che la relazione della Commissione conchiudeva colla proposta dell'ordine del giorno puro e semplice, e che il Governo non accetterebbe altra proposta. È tuttavia probabile che un ordine del giorno motivato in favore dei diritti della S. Sede sarà presentato e sostenuto da parecchi membri dell'Assemblea fra i quali si citano Monsignor Dupanloup ed il Signor Keller.

Trattandosi di un'Assemblea quale è composta l'Assemblea Nazionale Francese, è impossibile il prevedere il corso ed il risultato di una tale discussione. L'esempio di una precedente discussione sopra un argomento non dissimile di quello di cui ragiono non è tale da !asciarci troppa fiducia nella moderazione, nel senso politico e dirò anche nel sentimento patriottico di una parte dell'Assemblea stessa. Per parte mia non ho mancato di chiamare l'attenzione del Signor di Rémusat anche su quest'argomento facendogli notare come mal si provvede all'interesse della Francia con discussioni il cui minore inconveniente è quello di alienarle le simpatie dei popoli vicini e degli uomini appartenenti all'opinione liberale moderata di ogni paese.

361

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, GREPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4136. Monaco, 24 febbraio 1872 (per. ore 17)

Le Gouvernement bavarois n'attache pas importance au bruit reconvocation Concile attendu que nouvelles reçues par lui ne le confirment pas. Il attribue cela à une simple manoeuvre du parti Jésuites. M. Dollinger ne croit pas meme non plus à la possibilité de reconvocation.

362

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4137. Parigi, 24 febbraio 1872, ore 16,05 (per. ore 19,55).

J'ai fait savoir amicalement à M. de Rémusat que des deux vous préférez M. Fournier.

363

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI DI FRANCIA A ROMA, DE SAYVE

Roma, 25 febbraio 1872.

Je m'empresse de vous accuser réception de la lettre que vous m'avez fait l'honneur de m'adresser le 20 de ce mois (l) au sujet de la reforme judiciaire que le Bey de Tunis aurait l'intention d'introduire dans la Régence avec l'accord et le concours des trois Gouvernements principalement intéressés, l'Italie, la France et la Grande Bretagne.

Ainsi que j'ai eu l'occasion de vous le dire dans un de nos derniers entretiens, l'adhésion du Gouvernement du Roi est acquise à toute réforme pouvant avoir des résultats sérieux dans l'intéret d'une amélioration réelle de l'administration de la justice dans la Tunisie. Nous nous proposons donc d'examiner à ce point de vue les projets qui nous seront présentés pouvant amener à un résultat aussi désirable.

La substitution des tribunaux mixtes à la justice émanante directement du Bey constituera assurément une réforme de la plus haute importance. Mais l'introduction de cette réforme exigera une étude approfondie des questions relatives à la composition de ces tribunaux, à l'étendue de leur juridiction, à la législation que les nouveaux magistrats devront appliquer.

Au mois de Juillet dernier, le Gouvernement du Bey nous a fait parvenir, par l'entremise du Conseil Général de S. M. à Tunis, un projet contenant les bases d'une réforme judiciaire tendant à introduire des tribunaux mixtes de première instance et d'appel. J'ignore si ce projet a été ensuite modifié, ou si le Gouvernement français est disposé à l'adopter comme base de négociation.

J'écrirai donc au Consul Général du Roi à Tunis, pour avoir des informations précises et détaillées à ce sujet, et je lui dannerai, en attendant, pour instruction de déclarer au Bey que l'Italie est favorable en principe à une réforme judiciaire ayant pour but l'institution de tribunaux mixtes dans la Régence, à la condition que cette réforme ait lieu avec l'accord et le concours de la France et de la Grande Bretagne. Le Consul Général d'Italie fera connaitre en meme temps au Bey que nous sommes disposés à examiner le projet auquel il se sera lui meme définitivement arreté.

Dès que ce projet nous aura été communiqué et aussitòt que les intentions du Gouvernement britannique nous seront connues, il sera facile aux trois gouvernements de s'entendre sur le choix des moyens les plus propres à amener promptement un accord sur cette affaire.

(l) Cfr. n. 348.

364

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4138. Parigi, 25 febbraio 1872, ore 14,20 (per. ore 16,10).

Je reçois de M. de Rémusat le suivant billet confidentiel: • Je suis heureux que votre préférence soit pour M. Fournier, car c'est aussi notre penchant, et ce sera lui si dans la journée je n'obtiens pas un consentement qui vaudrait encore mieux •. M. de Rémusat ne m'a pas nommé la personne dont il attend le consentement.

365

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4139. Madrid, 25 febbraio 1872, ore 19,35 (per. ore 23).

Dans une grande réunion présidée hier au soir par Zorilla il a été décidé que le parti radica! s'unirait aux différentes oppositions pour combattre Gouvernement dans les élections. M. Zorilla a bien dit, il est vrai, que la question dynastique était en dehors de cette soidisante coalition nationale, mais le fait de se joindre aux ennemis de la Dynastie n'en est pas moins scandaleux et aggrave singulièrement la situation déjà si tendue.

366

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1806. Parigi, 26 febbraio 1872 (per. il 29).

Il Signor di Rémusat mi annunziò oggi la nomina del Signor Fournier al posto d'Inviato Straordinario e Ministro Plenipotenziario della Repubblica Francese presso S. M. il Re. Il Ministro degli Affari Esteri della RepubbUca spera che questa nomina incontrerà il gradimento di Sua Maestà.

Il Signor Fournier, come ebbi l'onore d'informare con precedente dispaccio l'E. V. (1), appartiene da molto tempo alla diplomazia francese. Egli rappresentò ultimamente la Francia come Ministro alla Corte di Svezia. Gode opinione di diplomatico intelligente ed esperto e di uomo di convinzioni sinceramente liberali e moderate. Nelle presenti condizioni non esito ad affermare che questa nomina può essere considerata come conveniente e buona.

Ho informato di questa nomina l'E. V. per telegrafo, pregandola di farmi sapere anche per telegrafo se essa è gradita da Sua Maestà, giacché non è senza importanza che essa sia confermata il più presto possibile nel giornale ufficiale.

367

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 953. Berlino, 26 febbraio 1872.

M. Rascon a communiqué récemment à M. de Thile une circulaire de son Gouvernement, en date du 9 Février, relative à 1'Internationale. Le Gabinet de Madrid indiquait quelles étaient ses vues pour en conjurer le danger, et suggérait entre autres que les Etats, qui n'ont pas encore conclu de traité d'extradition avec l'Espagne, se prétassent à stipuler une convention, ou à établir un accord spécial, pour tout ce qui concerne cette association.

Le document dont il s'agit a été soumis au Prince de Bismarck, qui avant de répondre a demandé que l'Employé de son Ministère spécialement chargé de cette question lui fit un rapport sur ce point notamment: dans quelle mesure conviendrait-il de prendre des accords dans un Traité ad hoc? Si je suis bien informé, S. A. se montrerait peu disposée à entrer dans cette voie, et semblerait préférer que les Etats entre lesquels existent des Conventions d'extradition s'entendissent pour donner à ces arrangements une interprétation, d'après laquel il serait admis de comprendre parmi les crimes et délits passibles d'extradition celui d'appartenir à l'Internationale.

M. de Thile s'est réservé de me faire connaitre dans quel sens l~ Cabinet de Berlin répondrait à la circulaire espagnole.

En attendant, ainsi que V. E. en a été informée par cette Légation, une commission a été formée l'année dernière pour réunir les matériaux et fixer les points de vue qui serviront de guide dans les conférences ultérieures, projétées ensuite du mémoire rédigé par le Comte de Beust. Les travaux de cette commission procèdent avec lenteur. Dans une de ces dernières Séances, on a constaté une fois de plus le fait, combien il était malaisé à ces hautes fonctionnaires, à ces juriconsultes, de combiner quelque chose de pratique et de salutaire dans les mesures à adopter, soit en voie préventive, soit en voie répressive.

Il est à craindre qu'on fasse des commentaires à perte de vue sur la légalité, sur les théories de l'économie politique, sur les droits et devoirs des patrons et des ouvriers, tandisque l'Internationale mettra à profit le temps pour étendre son organisation. Il faut encore espérer cependant que les Gouvernements s'écarteront de leur routine traditionnelle, et qu'ils se mettront en guerre ouverte avec une association, qui ne vise à rien moins qu'à renverser la société, la famille et la propriété, par tous les moyens révolutionnaires.

(l) Cfr. n. 360.

368

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 1811. Roma, 27 febbraio 1872.

Vous pouvez annoncer à M. de Rémusat que la nomination de M. Fournier est agréée par le Roi.

369

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 372. Roma, 27 febbraio 1872.

Avant'ieri soltanto il Marchese di Sayve mi ha rimesso copia di un progetto di protocollo che la Francia sarebbe disposta a firmare per determinare i limiti della giurisdizione consolare a Tripoli di Barberia.

Questo progetto è assai diverso tanto nel preambolo, quanto nella parte dispositiva, dal testo adottato dall'Inghilterra nell'atto separato firmato a Londra il 12 Luglio 1871.

Non abbiamo da parte nostra alcuna abbiezione a fare contro il progetto francese quando dall'Inghilterra e dalla Turchia il medesimo sia accettato. Non vedrei però ragione di togliere dal protocollo che si intenderebbe di firmare

dalle quattro potenze, la disposizione dell'art. 2 del precitato atto firmato dalla Turchia e dalla Gran Bretagna nel luglio dell'anno passato. Quella disposizione tendeva ad assicurare in ogni caso ai Consoli delle potenze firmatarie il trattamento della nazione la più favorita; e simile clausola, benchè perda della sua importanza quando il protocollo sia sottoscritto dall'Italia, dalla Francia e dall'Inghilterra, avrebbe però sempre ragione di essere finchè anche gli altri Governi, che hanno Consoli a Tripoli di Barberia, non abbiano accettato le restrizioni che col protocollo più volte ricordato si introdurrebbero.

Ella vorrà dunque dire al Signor di Rémusat che la nostra accettazione è assicurata al progetto di protocollo ch'egli mi ha fatto comunicare; ma che è nostro desiderio che sia mantenuta anche la clausola che nell'atto Anglo-Ottomano forma l'Art. 2.

Secondo il desiderio espressomi dal Marchese di Sayve, noi ci asteniamo da qualunque pratica presso la Turchia per farle accettare il progetto di protocollo preparato dalla Francia; ma aspettiamo che il Gabinetto di Parigi ci tenga informati dell'accoglienza che il Governo ottomano farà alla sua proposta.

Non posso poi tacere in questa occasione che si fa sempre più urgente che una deliberazione sia presa in questa vertenza per togliere ogni incertezza nei limiti della giurisdizione che i Consoli esercitano tutt'ora nella provincia di Tripoli, incertezza creata naturalmente dal fatto stesso che pendono delle trattative aventi per iscopo di limitare considerevolmente la estensione di quella giurisdizione.

370

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT

D. 25. Roma, 27 febbraio 1872.

L'Incaricato d'Affari di Spagna in questa residenza mi ha comunicato e rilasciato copia, in nome del suo Governo, di una circolare che da questi fu indirizzata il 9 corrente alle Legazioni da lui dipendenti per invitarle a rappresentare agli esteri governi la necessità di porsi d'accordo per esaminare e decidere quali misure sieno più adatte a tutelare gli stati dai pericoli che solleva contro la loro interna sicurezza l'Associazione rivoluzionaria conosciuta sotto il nome di • Internazionale •. La circolare esprime il desiderio che taluna delle grandi potenze abbia ad assumersi il compito di concretare le basi di quell'accordo.

Prima di rispondere alla domanda contenuta in siffatto documento, se cioè il Governo di S. M. sia disposto a prendere in considerazione la proposta di cui trattasi, io desidero che V. S. m'informi se la stessa circolare sia stata comunicata anche al Governo Austro-Ungarico e quali sieno le intenzioni di esso a tale riguardo. Debbo pregarla perciò di volermi procurare le necessarie nozioni su questo oggetto.

371

IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 105. Washington, 27 febbraio 1872 (per. il 17 marzo).

Stamane mi giunse il dispaccio che l'E. V. mi fece l'onore di rivolgermi li

6 febbraio, serie politica n. 18 (1), e siccome l'Ambasciata Giapponese è aspet

tata nella Capitale nella giornata di domani, non volli indugiare a trattenere

questo Rappresentante Giapponese del suo contenuto, affinchè ne tenesse conto

fin dalle prime conversazioni coi suoi colleghi.

Gli ripetei come l'Ambasciata del Giappone sarebbe per trovare in Italia

tutte quelle liete accoglienze che loro erano dovute, cui il Signor Mori rispose

parole di riconoscenza aggiungendo essere egli d'avviso doversi vieppiù restrin

gere le relazioni d'amicizia .che già esistono fra il Giappone e l'Italia poichè il

carattere di questa nazione è più confacente ed atto ad inspirare confidenza ai

suoi compatriotti, nella quale opinione mi feci a confermarlo.

Quanto all'epoca della venuta in Italia egli non poté ragguagliarmi in modo preciso. È probabile l'Ambasciata faccia un soggiorno di più settimane in questa residenza, poichè a quanto mi diceva il Signor Mori, il suo Governo ha l'intenzione di fare trattati simili con tutte le potenze, epperò avrà cura di ben studiare il primo affinchè serva di modello ai seguenti. Da Washington l'Ambasciata si trasferirà in Inghilterra, Francia, Germania e Italia di modo che, avendo io espresso il desiderio del R. Governo di riceverla prima del giugno o dopo il settembre, il più probabile sarà che l'Italia sia l'ultima sosta, e questa sarebbe giusto a cadere verso l'ottobre perchè per la fine del presente anno gli Ambasciatori che sono le principali Autorità dell'Impero debbono essere di ritorno in patria.

Il Signor Mori mi disse che due o tre navi di guerra del Giappone verrebbero a prenderli in Europa per ricondurli al Giappone pel canale di Suez, nè essere tuttavia deciso dove queste navi avrebbero ad aspettare l'Ambasciata, il suo Governo esitando fra Costantinopoli ed un porto d'Italia. Cui replicai che non avendo essa l'intenzione di conchiudere trattati colla Turchia, il porto di Brindisi mi sembrava di gran lunga il più conveniente.

Quanto alla revi.sione dei trattati il Signor Mori mi disse che il suo Governo desiderando di proc~derf' colla massima ponderazione sarebbe necessario prolungarne il termine e questo potrebbe farsi anche prima di giungere alle rispettive residenze. Di quanto sarò per trarre in proposito, avrò l'onore di rendere conto all'E. V. per serie commerciale.

L'E. V. mi domanda informazioni sul ricevimento che farassi all'Ambasciata Giapponese. Posso fin d'ora ragguagliarla che questo Governo avendo l'intenzione di pagarle tutte le spese di soggiorno domandò, tempo fa, al Congresso un credito di 50,000 dollari per questo scopo, ed il credito gli fu votato. Però il Signor Mori prese vasti appartamenti per essa in questo maggiore albergo, e fece sapere al Segretario di Stato che l'Ambasciata venendo per affare preferiva

pagare le proprie spese giornaliere, ma accetterebbe con riconoscenza tutte quelle agevolezze che le sarebbero fatte al fine di visitare le principali istituzioni dello Stato. Il Signor Fish disse al Signor Mori il Governo dell'Unione sarebbe felice di disporre di quella somma e di fare per tutto qualunque cose fosse per essere grata ai Signori Ambasciatori. E di siffatta offerta questo Rappresentante giapponese fu oltremodo riconoscente.

(l) Cfr. n. 326.

372

IL CONSOLE A LUGANO, CHIORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO S. N. Lugano, 27 febbraio 1872 (per. l' 1 marzo).

Mi credo in dovere d'informare l'E. V. che domenica scorsa 25 andante il Pubblico di Lugano, dietro avvisi a stampa affissi agli angoli delle -contrade, fu invitato in Teatro da certo avv. Odoardo Forazzi, Italiano, a proprie spese alla prima delle sue conferenze politico-sociali, che intende dare sulla guerra e le Nazionalità.

Da quanto mi si disse il Teatro fu affollato essendo a gratis, e per la prima volta sebbene le sue idee espresse fossero repubblicane, fu però abbastanza moderato, ma ora rimane a vedersi in seguito, mentre parmi scorgere in lui un affigliato all'Internazionale.

Mi si aggiunse poi che alle altre conferenze farà pagare l'ingresso, la metà del di cui introito sarà devoluto a qualche opera pia, e l'altra per proprio conto, di cui credo egli abbia molto bisogno, da quanto si può arguire. Egli fece sperticati elogi di questa repubblica, dò che gli procurò molti applausi, e di volo fece capire che disapprovava l'attuale regime di Governo in Italia.

Colla riserva di tenerla al corrente in seguito, ho l'onore...

373

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

D. 120. Roma, 28 febbraio 1872.

Troverà V. E. qui uniti alcuni documenti (l) riferentisi tutti ad un progetto di riforma giudiziaria in Tunisi. Qual sia la sostanza della riforma che si vorrebbe introdurre, quali sieno le disposizioni del Governo tunisino, della Francia e le nostre circa l'utilità della modificazione progettata, chiaramente apparirà dai documenti medesimi. Rimane solamente a noi di conoscere il modo di vedere del Governo inglese a questo riguardo, e per esserne informato, io chiamo l'attenzione dell'E. V.

sopra questo affare, interessandola ad avere una conversazione in proposito -con Lord Granville.

(l) Non pubblicati.

374

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 120. Roma, 28 febbraio 1872.

Con rapporto del 15 luglio 1871 (l) V. S. mi trasmetteva un progetto stato a lei comunicato dal Governo del Bey e tendente a riformare l'amministrazione attuale della giustizia nel senso di sostituire al tribunale personale di S. A. un tribunale misto con doppio grado di giurisdizione.

Sempre che questo cambiamento di giurisdizione non abbia ad estendersi a quelle cause che attualmente sono di competenza dei tribunali consolari, noi dobbiamo considerare una riforma tendente allo scopo sovrariferito come un passo importante nella via del progresso, corrispondente all'incremento degli affari fra stranieri ed indigeni nella Reggenza.

Quando, poco dopo avermi trasmesso il progetto suindicato, V. S. venne personalmente in Roma, ella ha potuto conoscere quale impressione il progetto medesimo aveva prodotto presso di noi. In massima noi ritenevamo la riforma non solamente giustificata dalle circostanze presenti della Reggenza, ma dallo stato stesso attuale delle cose resa necessaria ed urgente. Ritenevamo però eziandio non abbastanza maturate le proposizioni del Governo tunisino, alcune delle quali apparivano, sino da un primo esame, troppo incomplete, mentre altre sembravano di molto difficile applicazione.

Ora però il Governo del Re ha ricevuto dalla Francia una comunicazione intesa ad ottenere il concorso dell'Italia nei negoziati che il Gabinetto di Parigi si dichiara disposto ad intavolare a Tunisi, per ottenere una riforma nell'amministrazione della giustizia sulla base della creazione di tribunali misti.

Alla comunicazione scritta (2) che in proposito mi ha fatta il marchese di Sayve, incaricato d'affari della Repubblica, ho risposto con una lettera di cui è bene che ella abbia copia (3).

Da quest'ultimo documento risulta infatti entro quali limiti e sotto quali riserve deve intendersi l'adesione che noi diamo in massima al progetto di riforma giudiziaria a Tunisi. Anzi tutto le gravi questioni relative alla composizione dei tribunali misti, alla estensione della giurisdizione ad essi concessa, non che alla legislazione che i medesimi saranno chiamati ad applicare, dovranno formare oggetto di attento esame. In secondo luogo poi le trattative non potendo essere condotte senza il concorso dell'Inghilterra, noi abbiamo subordinato l'accettazione nostra ad entrare in negoziati formali, alla adesione del Governo inglese ai negoziati stessi.

V. S. dovrà dunque aver presente questo nostro modo di vedere quando farà conoscere al Bey l'adesione che noi diamo in massima al progetto di riformare l'amministrazione della giustizia mediante l'istituzione di tribunali misti. Sarà poi indispensabile che V. S. si metta in rapporto col suo collega di Francia

per poterei esattamente informare delle trattative preliminari che ebbero luogo fra il Bey ed il Governo francese relativamente a questo affare. Importa sovratutto a noi di sapere se il Governo francese abbia accettato come base delle trattative il progetto statoci comunicato nel luglio scorso ovvero se questo progetto abbia già subito delle modificazioni. In quest'ultimo caso ella vorrà procurarci possibilmente il testo emendato del progetto, affinchè anche da noi lo si possa esaminare colla necessaria ponderazione.

(l) -Cfr. n. 19. (2) -Cfr. n. 348. (3) -Cfr. n. 363.
375

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 955. Berlino, 28 febbraio 1872 (per. il 3 marzo).

La bonne fortune qui accompagne le Prince de Bismarck ne s'est pas démentie dans ces derniers temps.

A l'intérieur, la grande campagne entreprise par la fraction du centre et ses adhérents dans quelques Etats, fraction soutenue par les particularistes auxquels le parti polonais prete aussi son appui, n'a pas eu le résultat désiré par la coalition. On se rappelle que les Chambres législatives de Bavière et du Wurtemberg avaient été saisies de propositions identiques émanant de l'initiative parlementaire, et qui tendaient à mettre sous la sauvegarde de la législation intérieure les droits particuliers réservés aux deux Royaumes. Ces propositions, qui devaient préparer une trouée dans les institutions de l'Empire en immobilisant en quelque sorte sa constitution, ont échoué. Je n'ai pas besoin de faire ressortir l'importance du rejet de ces propositions au point de vue de l'union allemande.

A Berlin, la lutte a été plus sérieuse encore. Il s'agissait du projet de loi sur l'inspection des écoles par l'Etat. Mes rapports prouvent que ce n'est pas sans peine que le Gouvernement a obtenu une majorité à la Chambre des députés. Il reste maintenant à subir l'épreuve à la Chambre des Seigneurs.

Là aussi on s'attend à une forte opposition, mais en dernière analyse tel est l'avis que j'ai entendu émettre par des personnes d'ordinaire bien informées -la Herrenhause n'osera se prononcer dans un sens contraire aux vues du Souverain qui se range ouvertement du bord de son premier Ministre. Celuici fait un peu à Berlin, comme dans les autres Etats de la Confédération, l'office du chien du berger. Dè que les moutons se débandent et semblent vouloir dévaster les beaux pàturages que leur a découvert sa sagacité, il se lance après eux. D'un bond il dépasse les plus hardis et de gré ou de force les ramène au bercail.

Ce n'est pas à dire qu'il n'ait pas parfois des moments de découragement quand il rencontre des adversaires meme dans l'entourage du Roi. Ainsi à une des dernières soirées chez la Rei~te, le Prince de Bismarck apostropha avec beaucoup de vivacité le Ministre de la Maison Royale: • Les intrigues qui s'ordissent ici genent mes allures, minent ma santé, me procurent des insomnies. Je devrai me retirer; mais, avant de le faire, j'aurai soin que le public sache pourquoi je quitte la partie •.

Mais ce ne sont là que des bouffées de mauvaise humeur, et l'abattement passager fait bientòt place au sentiment qui le porte à se dévouer à l'oeuvre qu'il a entreprise avec tant d'habilité et avec tant de succès.

A l'étranger, il n'a certes pas à se plaindre à la solution donnée à l'affaire des chemins de fer de Roumanie. Si les principaux intéressés ne l'ont pas reglée de façon à ne léser aucun droit légitfmement acquis, du moins ont-il réussi à écarter des motifs ou des prétextes à une intervention diplomatique plus accentuée qu'elle ne l'avait été, de prime abord, en suite de la pression du Cabinet de Berlin et de bons offices de quelques autres Puissances. La position du Prince Charles de Hohenzollern sans etre devenue très stable n'a du moins pas empiré.

La question des chemins de fer Luxembourgeois prend aussi une tournure plus favorable aux intérets de l'Empire. Le Gouvernement Grand Ducal va se voir obligé de sortir de l'impasse où l'ont fourvoyé la compagnie de l'Est et le Traité de paix de Francfort. L'exploitation du réseau ne tardera probablement pas à etre confiée à une société allemande.

Vis-à-vis de la France, les relations restent les memes que celles que j'ai indiquées dans mes dépeches N. 935 (l) et 939 (2).

Il y a bien des désillusions sur le régime actuel qui est cependant le seui qui convienne et corresponde à l'état général de l'opinion, aussi longtemps du moins qu'il n'existera pas dans ce pays un véritable parti de l'ordre chez qui les prédilections de forme politique soient inspirées par le souci du véritable patriotisme. Il est de fait que l'égoi:sme des partis menace de donner le coup de grace à la France, et qu'il n'y a rien d'invraisemblable à ce que l'imbroglio n'aboutisse à une seconde guerre civile. L'Allemagne pourrait envisager cette éventualité avec assez de calme, et meme avec un secret contentement, car ce serait une cause de plus d'affaiblissement pour ses voisins. Mais le cas pourrait alors se présenter où il faudrait prendre quelques garanties pour la sùreté de l'armée d'occupation, et pour le payement de l'indemnité de guerre. La poule aux oeufs d'or doit continuer à pondre. Il ne convient donc pas de la laisser s'éventrer. Bref, l'Etat major serait char.gé en ce moment de préparer un travail pour le mouvement des troupes qu'il pourrait etre nécessaire d'envoyer outre Rhin pour renforcer et étendre, au besoin, l'occupation.

Il suffit de jeter un regard sur la situation de l'Europe pour se rendre compte que, dans les conjonctures actuelles, l'Allemagne n'a pas à se préoccuper outre mesure des velleités d'une revanche du còté de la France. Il faudrait à celle-ci un allié. Mais où le trouver? Ce ne serait certes pas en Italie pour des

raisons qui sautent aux yeux; ni en Autriche où les bons rapports avec le Cabinet de Berlin forment la base essentielle du programme du Comte Andrassy; ni en Russie où le Tsar se déclare le meilleur ami de l'Empereur Guillaume, et un des admirateurs du Prince de Bismarck; ni en Angleterre qui se renferme plus que jamais dans la politique de non intervention armée sur le continent. Cette attitude lui est peut-etre dictée moins par les partisans de l'école de Manchester, que par la crainte de complications sérieuses avec les Etats-Unis disposés à profiter de chaque circonstance favorable pour faire valoir d'anciennes prétentions. Ce fut en effet cette crainte qui paralysa en grande partie l'action de l'Angleterre lors de la dernière révolution dans la Pologne russe, et lors de la guerre Austro-Prussienne contre le Danemarck. Sa neutralité en 1870-1871 n'a-t-elle pas été provoquée aussi dans une certaine mesure par la meme appréhension? Il est assez explicable dès lors que les Cabinets de Saint Pétersbourg et de Berlin s'appliquent à entretenir les meilleures relations avec l'Amérique. La question de l'Alabama est maintenant de telle nature qu'on n'y voit guère d'autre solution possible que l'abandon par les Etats-Unis des réclamations portant sur les dommages indirects, ou bien l'admission, en principe du moins, de ces memes réclamations par le Cabinet de Saint James. Or jusqu'ici le Gouvernement de Washington parait aussi déterminé à maintenir ses prétentions, que l'Angleterre semble résolue à les repousser absolument. Sans vouloir aller jusqu'à prédire que la paix en sera troublée, il y a là ampie matière à fixer exclusivement l'attention de l'Angleterre. Et pour ce qui concerne l'Allemagne, elle n'aurait aucun intéret, pour le moment du moins à offrir ses bons offices en présence d'exigences aussi contradictoires, et qui servent si bien d'une manière indirecte sa politique en Europe.

Je ne parle pas de l'Espagne qui semble marcher de plus en plus vers une complète anarchie; en nous récompensant si mal d'avoir consenti à lui céder un de nos Princes pour restaurer le principe monarchique. Je laisse également à l'écart la Turquie momentanément devenue un appendice ou à peu près de la Russie; et devant compter dès lors sur cette Puissance. Heureusement que l'Allemagne sert de quelque contrepoids, car sa mission est de sauvegarder des intérets majeurs sur le Danube, aussi bien que sur le Rhin.

Il résulte de l'ensemble de ces détails que soit à l'intérieur, soit à l'étranger, le Prince de Bismarck est à meme de poursuivre sans de graves appréhensions la politique dont il est la plus intelligente personnification.

On comprend combien l'opinion publique a été émue en apprénant, il y a peu de jours, qu'un attentat avait été projeté contre le chancelier de l'Empire par un individu venant de Posen. Les indices ont paru suffisants à la police pour procéder à l'arrestation. L'enquète révélera si vraiment le fanatisme ou des instigations religieuses ont été ici vraiment en jeu. En attendant nous n'en savons pas davantage à ce sujet que le récit des journaux. Peut-ètre eut-il mieux valu ne pas ébruiter la chose avant de se convaincre de la culpabilité de cet individu, car si on ne découvrait rien de sérieux à sa charge, les adversaires du Prince de Bismarck ne manqueraient pas d'affirmer qu'il ne s'agissait que d'une réclame dans le but de décider la Chambre des Seigneurs à voter sans conteste le projet de loi relatif à l'inspection des écoles par l'Etat.

(l) -Cfr. n. 299. (2) -Non pubblicato.
376

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE RISERVATO 167. Lisbona, 28 febbraio 1872 (per. il 27 marzo).

II Conte di Thomar ha chiesto recentemente al suo Governo istruzioni preventive e confidenziali per l'eventualità della morte del Papa, che egli crede

• pas très éloignée • (sic) e per l'elezione del successore.

Il Signor de Andrade Corvo si preoccupa già da gran tempo di questa grave eventualità, sia per la parte ostensibile che concerne il Portogallo come Potenza avente diritto di veto, sia per la parte riservata d'interesse generale, onde la nuova elezione pontificale risponda nel miglior modo all'interesse religioso e politico cosmopolita, non che alla bramata conciliazione del Papato coll'Italia.

Quanto alla parte ostensibile il Governo sta riunendo qui tutti i materiali storici per provare il suo diritto di veto, ammesso ed accettato senza contestazioni come quello della Spagna della Francia e dell'Austria, mi assicurò il Ministro, specialmente in una delle elezioni del secolo passato; e tal diritto il Portogallo, soggiunse S. E., intende esercitarlo in prò dell'interesse comune.

Quanto alla parte riservata il Signor Corvo è d'avviso che sarebbe utilissimo previo accordo tra le Potenze, aventi diritto di veto, e l'Italia, per eliminare anzitutto candidati al Pontificato, ben noti per la loro affiliazione e devozione al partito degl'irreconciliabili -non che previo concerto pel trionfo d'un candidato se non il più liberale, il quale nelle circostanze attuali avrebbe ben poca probabilità di successo, almeno per uno dei Cardinali chiamati ora flottans, proclivi alla conciliazione ed indipendenti da influenze preponderanti.

Il Ministro Portoghese crede che tale previo accordo sarebbe atto a scongiurare grandi mali e gravi pericoli, ed è disposto a coadjuvarlo anzi brama oltremodo possa realizzarsi prontamente, se non con la Francia, attese le sue tendenze e la sua situazione attuale, almeno fra la Spagna, il Portogallo e l'Austria. Egli suppone anzi che delle pratiche furono già iniziate a Vienna per mezzo d'intermediarii officiosi ed avere essi trovato il terreno favorevole presso i Cardinali Austro-Ungheresi. Recenti informazioni particolari da Roma fanno puranche supporre a S. E. • que le parti noir a désormais une influence dominante au Vatican • (sic) coadjuvato potentemente dal partito oltramontano e legittimista francese ed il Vaticano tenti ora ogni sforzo presso le Potenze Europee, in ispecie la Russia, per isolare 'l'Italia, far trionfare il legittimismo in Francia e con Enrico V sul trono ed un nuovo Papa ostile a noi, ristabilire il potere temporale.

L'opinione del Signor Corvo è quella di opporre senza ritardo operosità ad operosità, mediante l'accordo sopraccennato, senza il quale, soggiunse il Ministro, l'azione di ognuno di noi sarebbe di poco o nessun prò mentre quella du parti noir è già forte, compatta e militante.

Nel por fine a questi cenni interamente confidenziali e riservati, debbo aggiungere dal linguaggio tenutomi costantemente ed in ispecie di recente da questo Ministro Portoghese, che S. E. parmi disposta sinceramente a secondare

l'Italia nella futura elezione del nuovo Pontefice, come l'ha sempre ben secondata negli affari Romani, (le sue recenti istruzioni al C"onte Thomar ne fanno fede); ma per ben secondare i nostri interessi, identici a suo credere nella questione Romana a quelli del partito liberale cosmopolita e consentanei ai bisogni dell'epoca nello interesse stesso della religione, sembragli esser d'uopo anzitutto uno scambio d'idee esplicito e confidenziale.

Se tale è pure l'opinione del Governo del Re, prego V. E. di trasmettermi istruzioni in proposito.

P. S. -Qui unito un piego pel Commendatore Aghemo, Capo del Gabinetto Particolare di S. M., con preghiera a V. E. di farglielo rimettere.

377

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(AVV)

L. P. Roma, 29 febbraio 1872.

Il Signor Fournier è nominato e anche questa è fatta. La nomina del nuovo Ministro di Francia ha fatto scomparire il malumore ed è stata accolta con piacere. Anche i giornali che in questa faccenda mostravano un'impazienza e una amarezza che erano, per dir vero, nella disposizione deHo spirito pubblico faranno buon viso al nuovo arrivato. Ora ciò che importa è che il Signor Fournier venga presto al suo posto. Un ritardo ridesterebbe la memoria dei ritardi del Signor de Goulard e finirebbe col far considerare la nuova nomina come una derisione. Ora mi sembra nell'interesse del Governo francese, poichè resistette agli ostacoli che gli si frapponevano per la nomina di un nuovo titolare, di cogliere almeno il frutto di quest'atto e di non sciuparne i vantaggi con un ritardo di cui nessuno gli terrebbe conto, ed è nell'interesse del Signor Fournier di prepararsi una buona posizione personale in Italia mostrando una sollecitudine e una buona volontà di cui l'opinione pubblica italiana gli sarebbe grata.

Io sono abbastanza soddisfatto anche della scelta della persona. Le informazioni che ebbi qui sul conto del Signor Fournier dai diplomatici esteri che lo conoscono, Piper, Paget etc. sono favorevoli. E mi rammento che anche negli anni scorsi e al tempo dell'Impero, mi occorse di veder fatta menzione nei dispacci della Legazione nostra a Stoccolma del Signor Fournier, come d'un diplomatico che si mostrava, rara avis nella diplomazia francese, apertamente favorevole all'Italia.

Insomma ciò che solo rimane ancora a desiderare è che il Signor Fournier venga presto a Roma. Chiamo su ciò tutta la vostra attenzione. Vedo da un telegramma Havas giunto stamane che qualche giornale francese ha inventato tutto un romanzo sulla presenza a Roma del Principe Federico

Carlo. Non occorre che vi dica che questo viaggio non ha nulla di diplomatico. Il Re gli diede un pranzo come fece pel Granduca di Russia, qualche giorno fa, come farà pel Re di Danimarca e pel Principe di Galles che verranno nel Marzo a Roma. Il Principe Prussiano viaggia nel più stretto incognito. È però vero che col Re e al pranzo di Corte si espresse nei modi più amichevoli verso l'Italia. Ed è impossibile che il paese, vedendo tanta riserva da un lato, non apprezzi dall'altro un contegno francamente benevolo e che anzi insiste nell'affermarsi tale. Voilà tout. Vi dico questo per vostra informazione, benchè probabilmente non ne avrete alcun bisogno.

378

IL MINISTRO A BRUXELLES, BLANC, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 29. Bruxelles, 1 marzo 1872 (per. il 5).

Le séjour du Comte de Chambord à Anvers parait avoir été conseillé par les principaux amis de ce prétendant pour appuyer en quelque sorte le mouvement de fusion qui s'élabore à Versai:lles entre diverses fractions des partis monarchiques. D'après ce qui nous revient ici des discours et conciliabules tenus ces derniers jours à l'hotel Saint-Antoine autour du comte de Chambord, on aurait réussi à constater que les espérances libérales du centre droit de l'Assemblée de Versailles, de meme que les affirmations absolues de ceux qui identifient la cause de la France avec celles de tous les Bourbons et de la papauté temporelle, obtiennent du prétendant une sorte de bienveillance silencieuse, un acquiescement tacite à ce qui se fera pour la bonne cause en bonne intention, et une certaine condescendance enfin envers ceux qui se contenteraient, pour Henri V, des pouvoirs qu'avait Louis XVIII. Toutefois les plus bruyants, parmi les amis du Prince, ont été les ultramontains et les absolutistes. La restauration du pouvoir temporel du pape, le rétablissement de la Maison de Bourbon à Naples et à Madrid ont été acclamés dans les réunions tenues par le comte de Chambord sans que ce dernier criìt opportun de modérer l'expression de tout ce zèle. Beaucoup de pretres, venus de France, ont déclaré que l'appui du clergé était assuré à qui chasserait les Italiens de Rome; que c'est là pour eux le unum necessarium. Quant à déterminer la portée de tout ceci au point de vue de l'état des choses en France, ce n'est pas ma tache.

Le Ministère Malou a tout d'abord compris que l'arrivée du Comte de Chambord à Anvers et les démonstrations qui s'ensuivaient était un embarras dont il faudrait se délivrer à la première occasion favorable. Il est positif que de hauts fonctionnaires belges ont visité le comte de Chambord et son entourage: c es visites ont été, les unes de simple convenance bien justifiable, de la part de la Cour spécialement, les autres de simple précaution afin que le prétendant fiìt averti des inconvénients prévus des démonstrations légitimistes qui se préparaient.

V. E. a vu dans les journaux le détail des manifestations populaires, sans autre gravité d'ailleurs, par lesquelles les libéraux d'Anvers ont acueilli l'état-

ZS -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

major légitimiste. Quoi qu'on en ait dit, l'Internationale n'y avait aucune part. Il était naturel que l'opposition parlementaire saisit l'occasion pour embarrasser le ministère. Les interpellations successivement faites par M. de Fré et M. Couvreur n'ont donné lieu à aucun éclaircissement particulièrement intéressant, et le départ du comte de Chambord, qui a quitté le territoire belge, a terminé cet épisode de la campagne légitimiste à la grande satisfaction du Cabinet, qui avait des motifs de craindre que le Comte de Chambord ne vint passer quelques semaines à Bruxelles meme.

379

IL MINISTRO AD ATENE, MIGLIORATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 35. Atene, l marzo 1872 (per. l'8).

In riscontro alla Circolare Ministeriale in data 1G dicembre scorso (1), mi pregio informare V. E. che dai ragguagli assunti mi risulta non esistere in Grecia alcun ente religioso considerato come Italiano.

380

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BUENOS AYRES, DELLA CROCE DI DOJOLA

D. 39. Roma, 2 marzo 1872.

Le accuso la ricevuta del rapporto che ella mi indirizzava il 13 gennaio (2) da Montevideo per farmi conoscere la risoluzione da lei presa di rompere le sue relazioni ufficiali con la Repubblica Orientale. A quest'ora V. S. sarà in possesso del mio dispaccio del 30 dello stesso mese (2), col quale io la facevo avvertita che, qualunque fosse la decisione che ella avrebbe preso, il Governo di S. M. si sarebbe trovato costretto di sottoporre ad un maturo esame la argomentazione delle note del Signor Herrera y Obes prima di prendere ulteriori provvedimenti. Col dispaccio stesso, io rispondevo alla domanda di istruzioni fattami da V. S. per l'eventualità di gravi disordini di cui la stessa città di Montevideo sembrava minacciata. Mi lusingo che quest'ultima parte del dispaccio sovra ricordato avrà potuto giungere in tempo utile per essere comunicato all'Incaricato d'Affari rimasto nella capitale dell'Uruguay.

In ogni modo, ella conosce, Signor Ministro, a quest'ora il pensiero del Governo in previsione della sospensione dei rapporti da lei prenunziata nel suo rapporto del 16 ottobre u. s. (2).

Cll Cfr. n. 250. (2} Non pubblicato.

Il nostro modo di credere non è cambiato. Noi ci affretteremo per quanto è possibile a far esaminare la discussione da V. S. sostenuta con il Governo Orientale al punto di vista del valore giuridico degli argomenti addotti dalle due parti. Il parere che ci sarà dato servirà di base per le future istruzioni, quando sarà possibile e conveniente riprendere le trattative.

Intanto, la S. V. può considerare come terminata la missione affidatale presso il Governo orientale.

381

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4151. Pietroburgo, 2 marzo 1872, ore 12,20 (per. ore 16,45).

Je tiens de bonne source que la Cour de Rome a permis l'usage de la langue russe pour les sermons dans les églises de Pologne. La négociation doit donc etre regardée comme réussie, mais je ne sais pas si les relations diplomatiques seront reprises. En tout cas, on nie toujours à la Chancellerie qu'un Nonce serait reçu à Pétersbourg. Le Père Hyacinthe qui a demandé il y a quelques temps de precher n'y a as été autorisé. Je confirme à V. E. que le Gouvernement français a été étranger à cette négociation. L'Ambassadeur de France ici ne s'en est en aucune manière occupé malgré les agissements de M. Capnist à Rome. Ce fait qui émane spécialement des opinions personnelles du Prince Gortchakow ne se rattache nuHement à une entente entre la France et la Russie que certains journaux s'obstinent à préconiser sans aucun fondement. Si quelque cause de politique générale peut y avoir contribué, c'est plutòt une certaine préoccupation inspirée par le compromis galicien et par les proportions sérieuses que prend le parti catholique en Allemagne.

382

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 1231. Roma, 2 marzo 1872 (per. il 3).

Il Governo Spagnuolo nel significare per mezzo dell'E. V. (l) i provvedimenti presi o che intende di prendere contro l'Internazionale, manifesta il desiderio di mettersi d'accordo col Governo Italiano e con altri, per emanare disposizioni efficaci a reprimere i progressi e gli attentati sovversivi di quella associazione che estende di giorno in giorno le sue ramificazioni ed il numero de' suoi aderenti, con grave pericolo degli ordini sociali e della sicurezza degli Stati.

(ll Cfr. n. 358.

Ritengo degna della massima considerazione tale proposta del Governo

Spagnuolo e lodevolissima la sua iniziativa, ma non posso non dubitare che sia

al presente maturo ed attuabile il concetto espresso nella Circolare comunicata,

che a·lcuna delle grandi Potenze s'incarichi di formulare basi accettabili per

accordi internazionali e per una azione repressiva universale e simultanea.

Non è a dissimulare la grave difficoltà di rinvenire i mezzi comuni per

impedire lo svolgimento dell'Associazione in discorso e reprimere le manifesta

zioni senza derogare talvolta non solo ai diritti guarentiti dagli Statuti liberali,

ma ancora ai principii più fondamentali del diritto punitivo, circa gli elementi

costitutivi del reato, circa gli estremi che rendono applicabile la sanzione

penale.

Di vero i modi con cui si presentano siffatte associazioni, sebbene frequentemente collegate a centri esteri, sono assai varii, e direi proteiformi gli statuti diversi, e spesso compilati in guisa da non offendere la legge. Dove soltanto si riscontra una certa uniformità si è nello scopo, se non reale, almeno ostentato di emancipare l'operaio dai pretesi monopolii e soprusi del ·capitalista e dell'intraprenditore, e di accomunare la terra, i capitali e gli strumenti del lavoro.

Sui mezzi coi quali conseguire questa rivoluzione economica, si discute assai, ed in Italia più che altrove. Invero la fazione mazziniana vuole far precedere la questione politica alla sociale, ed i seguaci dell'Internazionale vorrebbero il contrario. Certamente gli sforzi degli uni e degli altri collimerebbero a rovesciare la monarchia per istabilire una forma di governo puramente democratico, come il solo che, secondo loro, possa fare ragione ai diritti del pro'letario. Così pure tutte le società democratiche e le Sezioni dell'Internazionale si propongono di promuovere ed organare, su ampia scala, mediante Casse di resistenza, gli scioperi fra gli operai allo scopo di ottenere aumenti di salario o, quel che è a notare, una semplice diminuzione delle ore di lavoro.

Siffatti scioperi, secondo le intenzioni dei mestatori che li eccitano, sono diretti sopratutto ad intimorire il governo, e al tempo stesso ad estendere fra le masse lavoratrici la loro perniciosa influenza personale.

Gli internazionali di Parigi, di Londra e d'altri grandi centri professano spesso teorie atee e sovversive di ogni ordinamento di famiglia, avverse alla proprietà privata, ed in una parola ispirate al socialismo, od al comunismo più puro.

Tranne qualche isolata manifestazione, piuttosto individuale che collettiva, in Italia le società democratiche non osano appropriarsi siffatte teorie, ed è difficile rinvenirle negli stessi statuti segreti di alcune di esse.

A parte ogni divergenza di programma, tutte queste società, ripeto, sono senza fallo pericolose all'ordine sociale, ma importa ponderare le difficoltà non poche nè leggiere che si oppongono alla loro repressione, quando si voglia rispettare la legalità e la giustizia. Si richiederebbero all'uopo leggi eccezionali e provvidenze violente; ma la irritazione che queste produrrebbero nel paese, sarebbe considerevole, e creerebbe anche qualche simpatia per quelle associazioni per cui ora il pubblico è da noi indifferente. D'altro canto le società diverrebbero sètte, ed associazioni segrete, che fatte più caute ed animate dalla esasperazione renderebbero vieppiù difficile la vigilanza su di loro.

In Italia e fuori non mancano esempi di sètte che acquistarono estensione e potenza sotto gli occhi di polizie cui non mancavano i mezzi, né faceva ostacoli la legalità.

A mio avviso la via da seguirsi dal Governo sarebbe la seguente. 1° Vigilare attentamente siffatte società per conoscere i loro atti e tutti i loro propositi. È a tal uopo opportunissimo un sistema non interrotto di comunicazioni tra Governi per continuare a rendere più efficace la sorveglianza che è di comune interesse. Ed a questo proposito ho prima d'ora diretti ripetuti uffici alla E. V. per notizie concernenti lo sviluppo della Internazionale nella Spagna stessa, in Francia, in !svizzera ed altrove. 2° Colpire le predette associazioni, non appena dai principii astratti passano a preparare e consumare fatti illegali e punibili, al quale effetto i Codici penali, e la giurisprudenza comune definiscono precisamente gli estremi del reato e contengono sanzioni sufficienti. 3° Dare opera affinché nei modi più acconci la stampa, le cattedre popolari e gli altri mezzi della diffusione del pensiero fra le masse, svelino la fallacia delle teorie socialiste e comuniste, e chiariscano come l'attuazione di queste, anziché elevare la condizione del proletario, getterebbe tutto il paese nella più deplorevole anarchia morale ed economica, distruggendo gli elementi della crescente prosperità ad esclusivo e personale profitto di pochi agitatori.

L'operaio si può e si deve convincere che soltanto dal rispetto di tutti i diritti, dalla ordinata libertà e dal comune progresso può attingere il miglioramento della propria condizione, e che dalle efferate rivoluzioni, dalle grandi rovine economiche, su cui fanatici, o più spesso menzogneri intriganti vorrebbero fondare l'emancipazione, non può aspettarsi che maggiori miserie.

Di pari passo, con siffatti provvedimenti, va infine studiato diligentemente un problema certamente grande e degno di preoccupare i governi, e le menti più illuminate dei nostri tempi.

Governi e cittadini debbono prender la maggior cura possibile degli interessi della classe operaia, non per sottrarla al supposto dispotismo del possidente e del capitalista, non per intervenire a turbare con l'arbitrio le leggi naturali della produzione e della distribuzione della ricchezza, elevando artificialmente (e convien dire inutilmente) le mercedi, ma promuovendo il progresso economico nazionale mediante la libertà e la larghezza degli scambi, la mobilitazione e l'associazione dei capitali, e particolarmente le associazioni di beneficenza e le banche popolari, le casse di risparmio e simili istituti, di cui non poco si giovano le classi popolari.

Compito principale delle classi culte, non meno che dei Governi, è pure quello di porre le più vive sollecitudini nel fornire non soltanto i primi rudimenti dell'arte e delle lettere ai figli del popolo, ma di provvedere seriamente alla loro educazione, e sollevarne gli animi al sentimento della dignità morale, avvezzandoli alla severa pratica del dovere. Molto possono le classi agiate a prò della classe povera con tutti i mezzi che la carità e la filantropia consigliano circa le istituzioni a favore della vecchiaia, col patrocinio delle associazin11i

operaie e, come si è detto, col dedicare una cura speciale alla educazione della nuova generazione.

Nella qual cosa i consigli e gli incitamenti autorevoli del Governo possono riuscire assai efficaci nelle grandi città, come nei villaggi presso i cittadini più doviziosi e più colti.

Tali sono le impressioni prodottemi dalla menzionata circolare, e che l'E.

V. ha desiderato di conoscere per darne notizia al Governo di Spagna, con cui allo stato delle cose, non mi pare resti per ora altro concetto pratico da seguire, che tenere scambievolmente, per mezzo della E. V., più frequenti ed opportune comunicazioni che giovino all'importantissimo intento di difendere l'ordine e la civiltà dagli attacchi delle parti sovversive (1).

383

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 956. Berlino, 2 marzo 1872 (per. il 5 ).

En me référant à mon rapport N. 953 (2) qui s'est croisé avec la dépeche de V. E. N. 236 (3), je suis à meme de transmettre quelques nouveaux renseignements.

M. de Thile a bien voulu me donner lecture aujourd'hui d'une dépeche qui vient d'etre expédiée au Représentant de l'Empire à Madrid en réponse à la circulaire du Gouvernement Espagnol en date du 9 Février échu.

Le Cabinet de Berlin exprime ses remerciments pour cette communication. Il voue la plus sérieuse attention à tout ce qui concerne l'Internationale et il tiendra beaucoup à recevoir des données ultérieures qui pourraient parvenir à la connaissance des autorités Espagnoles sur l'organisation et les menées de cette dangereuse société. Un échange de vues entre les Gouvernements ne pourrait qu'etre profitable aux principes de l'ordre social qu'il est de leur devoir de sauvegarder.

Le Cabinet de Berlin est disposé à entrer en négociations avec l'Espagne pour un traité d'extradition sur la base de ceux déjà conclus par l'Empire. Jusqu'ici l'Espagne n'a stipulé un accord de ce genre qu'avec la Prusse en date du 5 Janvier 1860. Le nouveau traité pourrait admettre que les auteurs de crimes commis en conséquence d'une affiliation à l'Internationale, seraient passibles d'extradition. Ainsi on ne saurait les livrer pour le seui fait d'étre membres de cette association. Il faudrait la preuve de crimes ou délits en corrélation directe avec cette qualité. Il resterait d'ailleurs à examiner si les lois actuelles de l'Empire qui régissent le droit d'association pourraient etre modifiées dans ce sens.

V. -E. se souviendra que dans notre convention d'extradition, nous n'avons pas réussi à introduire la catégorie • association de malfaiteurs •, précisément parce que le Code Pénal de ce Pays ne prévoit pas ce cas. P. -S. J'ai l'honneur d'accuser réception et de remercier V. E. des dossiers (documents diplomatiques) N. 9 -VIII, IX, X.
(l) -Annotazione marginale del documento: • Comunicata a Madrid». (2) -Cfr. n. 367. (3) -Non pubblicata, ma cfr. n. 358.
384

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1809. Parigi, 2 marzo 1872 (per. il 5).

Ieri il Signor di Rémusat mi annunziò che i relatori delle petizioni clericali presentate all'Assemblea nazionale all'oggetto d'impedire che il Ministro di Francia presso S. M. risieda in Roma avevano annunziato al Governo il rinvio della presentazione delle loro relazioni ad un'epoca più lontana e non ancora determinata.

L'E. V. sa che la presentazione di tali relazioni era stata fissata per oggi. Mi congratulai col Signor di Rémusat di questo rinvio, dicendogli che tali discussioni non possono avere altro risultato che quello di turbare la buona intelligenza fra due paesi che sono chiamati dai loro reciproci interessi a vivere in perfetta armonia, ed espressi la speranza che il ritardo fosse il più lungo possibile. Siccome poi mi era stato riferito, ed era anche stato pubblicato in qualche giornale, che i Commissari si fossero messi d'accordo col Governo per presentare un ordine del giorno motivato, contenente delle riserve in favore dei diritti temporali della S. Sede, domandai al Signor di Rémusat se vi fosse qualche cosa di vero in tale notizia.

Il Ministro degli affari esteri mi rispose che diffatti i relatori avevano domandato al Governo se egli accetterebbe un ordine del giorno accompagnato da un considerandum. Il Governo aveva risposto che non si opporrebbe ad un tale ordine del giorno purché il considerandum fosse redatto d'accordo col Governo stesso. Ma questo considerandum non venne formolato e la cosa rimase in sospeso. Ho chiamato la speciale attenzione del Signor di Rémusat sul pericolo d'una tale soluzione.

• O questo considerandum, gli dissi, non ha un valore, un significato preciso, ed allora non ha altro risultato che di fare un atto sgradevole all'Italia ed inutile, anzi dannoso alla S. Sede; ovvero ha un significato ed un valore, ed in questo caso esso costituisce un atto ostile all'Italia, ciò che il Governo francese dichiara di non volere in nessuna guisa. Ovvero ancora esso sarà redatto in modo equivoco, ed allora non si contenterà nessuno, si scontenteranno tutti e si avranno gl'inconvenienti riuniti delle due ipotesi precedenti. Gli uomini assennati di tutta l'Europa non sanno comprendere che l'Assemblea francese, in presenza delle rovine ancor fumanti della Francia, delle piaghe ancora aperte d'una doppia guerra e dell'occupazione straniera, invece di occuparsi esclusivamente a rimediare tanti e sì urgenti danni, voglia preparare complicazioni future. Le conseguenze di una tale condotta possono essere funeste alle buone relazioni dei due paesi. Sento l'obbligo di coscienza di dirvelo con tanto maggiore sincerità quanto più certa è la mia fiducia nelle vostre benevoli disposizioni e in quelle del vostro Governo verso l'Italia •.

Il Signor di Rémusat mi rispose ch'egli e il suo Governo si preoccupavano vivamente della necessità ch'essi riconoscono di mantenere le relazioni più amichevoli coll'Italia e che s'impegnerebbero a non lasciar pericolare un tale risultato.• Io spero d'altra parte, mi disse il Signor di Rémusat, che voi saprete tenerci conto delle difficoltà in cui ci troviamo in presenza del partito cattolico assai numeroso nell'Assemblea e fuori. La maggioranza dell'Assemblea non vuole nemmeno essa sollevare complicazioni cogli Stati esteri, ed il Governo della Repubblica è ben deciso a non sollevarle. La prossima partenza per Roma del nuovo Ministro di Francia e il ritardo delle relazioni delle petizioni sono un'arra della nostra buona volontà e delle nostre buone intenzioni verso l'Italia •.

385

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. Berlino, 4 marzo 1872.

Ma dépeche sub litera A contient ma réponse à la demande que vous m'aviez adressée ensuite de vos entretiens avec le Roi. Mes rapports B. C. D. font suite. Sa Majesté, avec la fougue propre à son caractère, opinait pour accélérer la réalisation du projet de voyage. De votre còté, vous trouviez que la date des noces d'or de Leurs Majestés Saxonnes serait trop tardive, et que mieux vaudrait se mettre en route vers l'été. Vous désiriez que le projet se réalisàt, ni trop tòt, ni trop tard, quand l'occasion et l'opportunité s'en présenteraient naturellement.

Je dois avouer que, après avoir miìrement réfléchi, ma pensée s'est portée vers l'idée de remettre sur le tapis le plan dont les événements de 1870 avaient empeché l'exécution. Mais je n'avais pas mission pour m'engager sur ce terrain. J'ai diì me borner à pressentir le Comte d'Eulenburg sur l'époque la mieux indiquée pour effectuer une course à Berlin.

Je ne sais si le Comte d'Eulenburg a lu au fond de ma pensée, mais il m'a laissé clairement entendre que teHe était bien l'intention du Prince Impérial, de fournir Iui-meme au Prince de Piémont et à la Princesse Marguerite l'occasion de visiter cette Cour, en Leur offrant d'etre parrain et marraine du futur enfant de la Princesse Victoria.

Il ne m'appartenait pas d'objecter des si et des mais, de ne rien faire qui put détourner ce courant d'intentions bienveillantes, et ce d'autant moins, que cette combinaison me semblait avoir les conditions voulues par V. E.

J'ai aussitòt rédigé le rapport précité (1).

Le 28 Février, j'ai reçu vos deux télégrammes (2). J'ai donné connaissance du premier au Comte d'Eulenburg, par un billet. Quant au second, j'ai cru y voir quelque hésitation de votre part, la crainte meme que je pourrais aUer de l'avant et engager de mon propre estoc les choses de telle manière, que nous nous trouverions trop liés. Le doute m'est aussi venu que, sur la simple lecture d'un de mes télégrammes du 27 Février (2), vous vous fussiez mépris sur son contenu. Dès lors, j'ai mis si possible plus de réserve encore dans mon attitude. J'ai évité de voir le Comte d'Eulenburg, et, dans le langage que j'ai tenu au Prince Impérial, le 2 Mars, j'ai laissé une porte ouverte à un ajoumement, au moins pour ce qui concernait Madame la Princesse Marguerite (dépeche B.).

J'en ai fait de meme, et d'une manière plus explicite encore, dans l'entretien que j'ai eu aujourd'hui avec M. d'Eulenburg. J'ai laissé entrevoir l'éventualité où le Prince Humbert, et lui seui pourrait assister à la cérémonie du bapteme. Comme de raison, je n'ai pas caché à mon interlocuteur que j'ignore entièrement les intentions de notre Cour sur le double projet, et qu'il échappait entièrement à ma compétence de les préjuger en quoi que ce soit. C'était là, surtout pour ce qui regardait le parrainage et le marrainage, une affaire à traiter directement par le Prince Impérial avec Monseigneur le Prince Humbert. Il ne m'a pas paru convenable d'ajouter que, en cas d'empechement majeur, nous pourrions déléguer le Ministre du Roi dans cette résidence pour remplir les formalités d'usage. Si en effet, comme on peut maintenant s'y attendre, S.A.I. et R. s'adresse directement au Prince de Piémont pour une offre aussi amicale nous aurions très mauvaise gràce à décliner. D'un autre còté, la proposition venant spontanément d'ici, personne ne saurait trouver à y redire. Bien loin de là, chacun serait autorisé, en cas de refus, à nous reprocher un manque de courtoisie. Au reste, nous sommes parfaitement libres d'accepter une semblable invitation, sans donner aucune explication. Si le Cabinet de Versailles s'en formalisait, c'est qu'il aurait mauvaise conscience à notre endroit. Nous n'avons jamais donné lieu de supposer que nous méditions une attaque quelconque contre la France, dont l'opinion publique nous est cependant si contraire. C'est à eUe bien plutòt que nous pourrions attribuer des arrière-pensées hostiles. Or, si tel est le cas, nous aurions parfaitement raison de poser un fait qui lui prouvat que, si son amitié nous échappe, une compensation ne nous manquerait pas au besoin. C'est là, ou je me trompe fort, de la véritable politique de prévoyance. Agir autrement, ne s'appellerait plus user de ménagements, mais montrer une faiblesse dont l'Italie serait en droit de nous demander un compte très sévère.

Quant au Prince de Piémont, il aime trop son pays, à l'exemple de Son Auguste Père, pour ne pas comprendre tous les devoirs de sa position, en ne consultant que son patriotisme. Si la Princesse Marguerite n'était pas en état de traverser les Alpes, Il devrait se décider à venir seul. Mais ce serait très dommage, car la mission ne sera vraiment complète, l'impression qu'elle

laissera ne sera vraiment profitable et de longue durée, que si la Princesse accompagne son mari. Elle a le don de plaire partout et de captiver les sympathies générales. Il importe de gagner les bonnes graces de la Princesse Victoria, qui est appelée à exercer une grande influence à un changement de règne. C'est là une tache dont s'acquitterait à merveille la Princesse Marguerite. Si d'autre part sa constitution délicate avait besoin de se raffermir, un changement d'air lui serait utile, et Elle aurait l'occasion de consulter en Allemagne quelque célébrité médicale.

Vous m'avez chargé de développer de plus en plus les bonnes relations entre l'!talie et l'Allemagne. L'arrivée de nos Princes dannerait la meilleure impulsion, soit auprès de ce Gouvernement, soit auprès de l'opinion publique. Ce fait parlerait de lui meme, et n'aurait pas besoin de commentaires de notre part. Le grain qu'on semerait, et que je m'appliquerais à cultiver, en saisissant les à propos, germerait avec le temps et nous donnerait, le cas échéant, une excellente récolte.

Nous avons trois mais devant nous, pour les préparatifs nécessaires. Fin Mai et commencement de Juin sont les temps les plus favorables aux voyages vers le Nord. Dans l'intervalle, on parviendra à trouver un successeur au Général Cugia. Mais, quel qu'il soit, je prierais V. E. de lui donner pour instruction de s'abstenir scrupuleusement de traiter des choses politiques, ou du moins de prendre une initiative à cet égard. C'est là une partie qui doit m'etre exclusivement réservée. Au reste, camme vous le verrez par ma lettre particulière du 5 (1), que j'ai rédigée en sorte que lecture puisse en etre donnée au Roi, il faut bien se garder de faire des ouvertures directes d'alliance. Il ne faut pas non plus s'attendre à ce que, ni l'Empererur, ni le Prince de Bismavck, abordent directement cet ordre d'idées. Il conviendra de se borner à un échange d'assurances de bon vouloir pour le présent et pour l'avenir, sans viser à un résultat pratique immédiat.

Quant à l'itinéraire, je crois que la vaie du Brenner-Miinich serait préférable à celle du Semmering. Pour que la politesse soit parfaite, il serait bien d'accentuer que le but unique du voyage est Berlin. Ainsi, il est indiqué d'éviter de passer à Vienne, et de garder l'incognito en traversant Miinich. Rien n'empecherait ensuite de faire d'ici une course à Dresde, car chacun comprendrait que la Princesse Marguerite se rapprochat de ses grands parents maternels.

Je n'ai jamais reçu mes lettres de créance pour Carlsruhe. On trouve ici

la chose peu convenable, vu les liens de parenté entre les deux Cours. Je

me réfère à ma dépeche de la Série Politique du 20 Octobre 1871, n. 890 (1). Il

serait bien d'ailleurs que, le cas échéant où l'Impératrice anticiperait son

séjour à Bade et que le Prince de Piémont et la Princesse Marguerite dussent

y aller pour présenter à S. M. Leurs hommages, j'y fusse accrédité dans

toutes les formes.

II est encore un point sur lequel je tiens à appeler votre attention. Du

moment où l'objectif de notre politique étrangère est tourné vers l'Allemagne,

non seulement il faut qu'aucune dissonance ne se fasse entendre dans la

direction imprimée à nos autres représentants diplomatiques, mais il importe

aussi que notre programme soit à l'abri des mutations, malheureusement trop fréquentes, de nos Ministres à l'intérieur. Vous jugerez dane peut-ètre à propos de constater dans les actes du Ministère quelles sont vos instructions, qui doivent lier aussi vos successeurs. Pour mon compte, je suis invariablement le chemin qui m'est tracé. Je ne voudrais pas qu'il dépendit du caprice d'un nouveau venu, soit à Rome, soit à Berlin, de s'écarter de cette vaie, au risque de nous voir accusés d'inconséquence, je n'ose dire de déloyauté.

(l) -Non pubblicato. (2) -Non pubblicati.

(l) Non pubblicata.

386

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL VICE PRESIDENTE DEL SENATO, VIGLIANI

D. s. N. Roma, 5 marzo 1872.

Ho l'onore di trasmettere qui unito a V. E. l'annunziato compromesso (l) per l'arbitrato sulla quistione della Gedeida, sottoscritto dal Primo Ministro e dagli arbitri tunisini, e le comunico pure la lettera (2) d'accompagnamento colla quale quel documento venne inviato al Console Generale Cavalier Pinna.

L'E. V. potrà trattenere presso di sè queste carte, che sono le originali, fino a quando Ella crederà di non più averne bisogno, e La pregherei di volermene, allora, fare la restituzione, per essere riposte nell'archivio di questo Ministero.

Questa controversia della Gedeida, è ora, mercè la firma del compromesso entrata in una fase regolare, io spero che, quando l'E.V. avrà stabilito il giorno della riunione del collegio arbitrale, la partenza degli arbitri tunisini non si farà più a lungo desiderare, ed i lavori cui Ella è destinata a presiedere condurranno prontamente all'attesa soluzione.

387

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL PRESIDENTE DELLA SOCIETA COMMERCIALE, INDUSTRIALE ED AGRICOLA PER LA TUNISIA, NISCO

D. s. N. Roma, 6 marzo 1872.

Sono in grado d'annunziarLe che ho ricevuto ieri da Tunisi il compromesso per l'arbitrato sulla questione dei danni della Gedeida, regolarmente firmato dal Primo Ministro e dagli arbitri tunisini. Mi sono affrettato dal canto

mio, ad inviare l'originale stesso di tale documento a S. E. il Cavaliere Vigliani (1), cui spetta stabilire ulteriormente il giorno della riunione del collegio arbitrale, che egli è chiamato a presiedere.

(l) -Non pubblicato. (2) -Non pubblicata.
388

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 962. Berlino, 6 marzo 1872 (per. il 10).

La Cour et le Gouvernement ici sont très touchés de l'excellent accueil fait par Notre Auguste Souverain et par le Prince de Piémont au Maréchal Prince Frédéric-Charles. La presse de ce pays se borne à en prendre acte, comme d'un fait qui témoigne à lui seui des bons rapports entre les deux nations. Elle n'imite point certains journaux français, nommément la Patrie, qui a fait des commentaires à perte de vue sur le but du voyage du Prince Prussien, lors meme qu'il ne cache aucune mission politique spéciale, ni surtout une mission du genre de celle dont ce journal se plait à l'entretenir ses lecteurs.

V. E. aura lu la déposition faite par M. Thiers devant la commission d'enquete sur l'insurrection du 18 Mars, déposition qui embrasse les principaux événements auxquels il s'est trouvé melé depuis le 4 Septembre 1870. Il est pour le moins étrange que cet homme d'Etat se permette des révélations sur ses conversations avec notre Auguste Souverain et avec V. E., en matière si délicate. J'en ai dit quelques mots à M. de Thile, tout en lui rappelant, -ainsi qu'il résulte de mes entretiens avec S. E. -, que, avant meme l'arrivée de M. Thiers à Florence, j'avais été autorisé à déclarer notre ferme intention de résister à toute tentative d'obtenir notre •concours militaire. J'ai également raconté les confidences que j'avais reçues d'un de mes collègues, lié de longue date avec le Président de la République (rapport N. 926 S. P.) (2). Celui-ci n'hésitait pas à déclarer alors que le Roi d'ltalie n'avait jamais eu l'intention d'intervenir les armes d la main en faveur de la France. Comme de raison, je n'ai eu l'air d'attacher aucune importance à cet incident. Je n'en ai parlé que sur le ton de la plaisanterie, mais il ma paru opportun de rectifier.

Ainsi que je l'ai télégraphié, le courrier Villa est parti hier avec une expédition formée surtout de dépeches de la Série affaires courantes et commerciales. Que V. E. me permette de Lui signaler que, entre autres, le rapport financier N. 384 a été fait par le Comte Litta, dont le zèle intelligent et la bonne volonté sont dignes des plus grands éloges.

(l) -Cfr. n. 386. (2) -Cfr. n. 254.
389

IL MINISTRO A LONDRA, CADORN A, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 883/278. Londra, 6 marzo 1872 (per. il 12).

Mi pregio di riferirle il risultato delle conversazioni che mi sono procurato dal Signor Conte Granville in esecuzione del dispaccio di V. E. del 28 Febbrajo p. p. N. 120 (1). Serie Politica, relativo alla riforma giudiziaria nella Tunisia.

Dopo di avere esposto al Signor Conte il contenuto del predetto dispaccio e le cose risultanti dai documenti litografici trasmessi relativi a questo affare, il Signor Conte da me interrogato sul modo di vedere del Governo Britannico in questo affare, mi disse innanzi tutto, che erangli state fatte dal Bey di Tunisi le stesse comunicazioni fatte dall'Italia. Soggiunse che Egli pure era, in massima, favorevole ad una riforma giudiziaria sulla base di Tribunali misti, ma che però non era ancora in grado di potermi esprimere alcuna opinione relativamente al progetto del Governo Tunisino, perché avendolo comunicato ai Consultori della Corona non ne aveva ancora avuta la risposta. Però avendo fatto questa ·comunicazione già da tempo notevole aveva appunto or ora sollecitata la risposta. Mi promise che, avut.ala, e presa una deliberazione, mi avrebbe con piacere manifestato l'opinione che egli se ne sarebbe formata.

Mi riserbo pertanto di farle nuove comunicazioni tostoché Sua Signoria mi fornirà le opportune notizie.

390

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL

D. RISERVATO 11. Roma, 8 marzo 1872.

La Circolare del Governo Spagnolo agli Agenti diplomatici all'estero circa le intelligenze da prendersi per la repressione degli attentati contro l'ordine sociale per parte della Società che comunemente vien denominata Internazionale, è stata a me ·comunicata dall'Incaricato d'Affari Spagnolo il quale desiderava da me conoscere l'impressione prodotta dalle proposte del Gabinetto di Madrid nel R. Governo. Ed io, mentre mi riservai di maturamente esaminare le proposte stesse, mi rivolsi (2) al Presidente del Consiglio, Ministro dell'Interno acciocchè mi facesse conoscere il pensiero suo a tale riguardo. Reputo opportuno che della risposta (3), datami da S. E. il Cavaliere Lanza,

V. S. abbia notizia, perchè in essa è tracciata appuntò la via che il Governo di

S. -M. intende per ora di seguire. Trattandosi però di un affare che interessa anche altri Governi, noi procureremo di tenerci al corrente delle disposizioni che i Governi stessi dimostreranno di voler prendere, e già le principali Legazioni italiane all'estero ebbero in proposito prime istruzioni. Intanto il punto essenziale è questo, che noi continueremo a dare alla Spagna tutte quelle informazioni che possano interessarla e poniamo conto di ottenere da codesto paese un'amichevole reciprocità a tale riguardo.
(l) -Cfr. n. 373. (2) -Cfr. n. 358. (3) -Cfr. n. 382.
391

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATISSIMA 1393. Roma, 8 marzo 1872 (per. l' 8).

In continuazione delle comunicazioni precedenti relative alle mene dell'Internazionale, mi pregio di trasmetterle qui unita copia di due circolari segretissime del Comitato Generale del Risorgimento Sociale di Londra in data del 24 settembre e 5 febbraio n. 10 e 15.

ALLEGATO l.

CIRCOLARE SEGRETISSIMA 10. Londra, 24 settembre 1871.

Questo Comitato Generale ha deciso di comunicare a tutti i Comi,tati d'Italia, Austria, Ungheria, Spagna ecc. ecc. una parte delle trattative che ha aperto con l'ex Imperatore dei Francesi dichiarando però fin d'ora, che questo Comitato Generale, associandosi alle mire di Luigi Napoleone ha sempre di mira il Risorgimento e emancipazione sociale.

L'aiutante di campo di Napoleone III Signor Visconte Bante de Liverny, a nome dell'Imperatore stesso, si presentava alla sede della nostra potente società per invitarci a cooperare efficacemente in Francia e fuori per la riuscita della sua causa, disponendo le cose perchè in un tempo non lontano venga acclamato suo figlio Imperatore dei Francesi, non dispiacendo, a quanto pare, tale cosa all'attuale Presidente della Repubblica, Signor Thiers, il quale per il momento e con ragione, vuole rimanersene affatto estraneo, ma con tutto ciò il Signor De Liverny, ci assicurò che il Signor Thiers appoggerebbe più volonterosamente il figlio dell'ex Imperatore anzichè uno della Casa Orléans, purchè egli, Thiers, rimanesse Reggente durante la minore età del Principe.

Dettammo le basi dell'accordo che pel momento non interessano gli altri Comitati, solo diremo che questo Comitato Generale si è impegnato a coadiuvare potentemente per la riuscita della Casa Bonaparte al trono di Francia, sicuri che riuscendo, noi avremo fatto un gran passo verso la nostra meta: il Risorgimento e emancipazione sociale.

Il Signor Liverny versò nella nostra cassa buoni per 20 mila lire sterline, come primo acconto.

Siccome poi noi pensiamo che nessuna Potenza Europea, per que,sto fatto avrebbe a temere dalla Francia, perchè con altra guerra civile che sorgerà, la Francia resterebbe impotente per lunga pezza, e forse per sempre; e che anzi la Casa di Napoleone cercherebbe allearsi con tutti, tenendosi in buone relazioni specialmente con l'Italia, noi domandiamo se si troverebbero degli partigiani che venissero a Londra a disposizione di questo Comitato Generale.

Le condizioni sarebbero le seguenti: Viaggio pagato, 50 scellini al loro arrivo in Londra, più 3 scellini al giorno sino a che l'individuo rimane a disposizione di questo Comitato, e alla fine una gratificazione di 300 scellini e viaggio pagato pel ritorno.

Noi vi preghiamo risponderei prontamente, usate prudenza, e pensate che il mondo tutto ha gli oochi sopra di noi. Salute. Il Presidente firmato E. Woorde.

ALLEGATO Il.

CIRCOLARE RISERVATISSIMA 15. Londra, 5 febbraio 1872.

Con Circolare n. 10 R. R. del 24 settembre 1871 questo Comitato Generale comunicava a tutte le Sezioni esistenti nell'Europa una parte delle trattative che aveva intavolate con Napoleone III per porre sul trono di Francia il di lui figlio, e con altra circolare n. 410 delli 8 ottobre 1871 pur continuando a comunicare le trattative e sullo stesso riguardo vi pregavamo di sospendere l'invio provvisoriamente a Londra degli individui che accettavano le nostre proposte di arruolamento, imperocchè non eravi necessario di ingaggiare individui per spargerli sul suolo Francese, essendo sufficiente il numero dei Francesi che si sono affigliati e che in conseguenza si sottomettevano alle nostre disposizioni. Da quell'epoca ad oggi i nostri numerosi incaricati continuarono attivamente a fare la propaganda e migliaia e migliaia di adesioni sia nell'Esercito francese, sia nelle campagne che nelle città, ebbero ad inviarci.

Visto e considerato però che Napoleone III ha in alcune parti del contratto, stabilito dal suo incaricato, mancato; pur continuando egli ed i suoi amici a farci vivissime premure perchè ci adoperiamo che un moto succeda a suo favore ora che la situazione in Francia rsi è fatta gravissima e che il Governo ha perduto quasi tutta l'autorità che avea; ma essendo ormai convinti che se Napoleone III o chi per esso, manca ora ad una parte degli impegni assunti con noi, un giorno al potere disconoscerebbe tutti i patti sottoscritti e ci rinnegherebbe per la seconda volta, così questo Generale Comitato nella sua seduta di jer altro tre corrente, ha stabilito di prendere un'energica risoluzione (pur facendo la vista di sostenere la causa di Napoleone III) di tentare un doppio movimento in Francia ed in !spagna e con un colpo di mano impadronirsi del potere.

Per questo motivo noi invitiamo caldamente tutte le sezioni dell'Europa da noi dipendenti di voler secondarci e preparare gli animi e questo gran movimento, dappoichè non tarderemo a far trionfare a grado a grado e per ogni luogo la legge del nostro riordinamento e emancipazione sociale. E facciamo osservare che se la dissoluzione del regime attuale in Francia ed in !spagna venisse improvvisa e trovasse il nostro gran partito non preparato, e senza aver tracciato un programma di condotta ed una via sicura per riuscire nel doppio intento, la prospettiva che più naturalmente si affaccia alla mente di tutti sarebbe la guerra civile, avendo i due Governi in mano ancora una parte delle forze della nazione, ciò che noi dobbiamo per quanto è possibile evitare; ma all'incontro con un colpo di mano impadronirsi del potere d'ambedue le nazioni e porre alla testa uomini pratici, esperti e che professano in tutto e per tutto le nostre teorie e in tal guisa assicureremo il trionfo della emancipazione e risorgimento sociale; non dubitando che i popoli delle altre nazioni non tarderebbero a seguire l'esempio della Francia e della Spagna.

Ed è per tale motivo che questo Generale Comitato invita tutte le sezioni dell'Europa a voler convocare tutti gli affigliati e far loro conoscere che il giorno della nostra emancipazione è vicino, e quindi coloro che sentono la urgente necessità di migliorare la loro sorte e coloro che professano simpatia pel grande movimento sociale vogliono unirsi a noi in quest'ultima lotta, preparandosi di venire a sostenere in Francia ed in !spagna la nostra causa che è la loro, caso mai quei Governi tentassero di resistere.

Se continuasse la nostra inazione in questo grave momento non potrebbe più deplorarsi come semplice errore, ma gli si dovrebbe dare un nome più infame, che rimarrebbe incancellabile per sempre, e perciò vogliamo lusingarci che se tutte le sezioni si presteranno, nel modo che è consentito dalla loro condizione, a coadiuvarci e agevolarci la via per procedere non sarebbe vana la speranza del successo.

Questo Consiglio Generale nella sua nuova adunanza stabilirà le norme che le sezioni dovranno tenere e si affretterà comunicarle agli ispettori generali perchè le inviino alle medesime.

Si raccomanda vivamente di invitare gli affigliati non tenerne parola con chicchessia ed usare la massima prudenza, perchè da molti nemici siam circondati e da gravi pericoli siamo minacciati specialmente se ci andasse a male questo movimento. Accusateci ricezione della presente. Salute e prudenza.

Pel Presidente firmato F. Engels.

392

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 61. Vienna, 8 marzo 1872 (per. l' 11).

Tosto pervenutomi l'ossequiato dispaccio dell'E. V. N. 26 in data delli 27 Febbrajo (l) col quale mi si accompagnava copia della Nota dello Incaricato d'Affari Francese a Roma del 25 (2), relativa all'affare del Laurium, mi feci premura di appurare l'equivoco occorso, giacchè, che equivoco vi fosse, era per me evidente. Par,lai col Marchese di Banneville della comunicazione fattami dall'E. V., indagai gli intendimenti del Ministero Imperiale e Reale degli Esteri a riguardo della questione in discorso, interrogando in proposito alti funzionarj di quel Dicastero, e finalmente ieri dovetti parlarne col Conte Andrassy stesso, onde chiarire con precisione i fatti. Il risultato di queste varie investigazioni si è: l o Che il Barone di Pottemburg, nuovo Ministro Imperiale ad Atene, non ha ricevuto incarico di sorta relativo ad azione qualsiasi nell~ vertenza in parola all'infuori di riferire al suo governo quanto gli sarebbt dato conoscere sugli intendimenti del Governo Ellenico al riguardo; colla istruzione però ben precisa di astenersi in modo assoluto di emettere apprezzamenti od altrimenti intromettersi nella questione senza aver ricevuto nuove e precise istruzioni di farlo. 2° Dal pari non sussisterebbe l'insistenza fatta presso il Principe Jpsilanti, Rappresentante Ellenico a Vienna, affinchè avesse a raccomandare al suo Governo di entrare nella via degli accomodamenti apertagli dalla benevola moderazione delle Potenze interessate.

Il Conte Andrassy si è limitato a dire al Principe Jpsilanti che sarebbe desiderabile ricevesse dal suo Governo istruzioni, onde poter seco Lui conferire sulla quistione, a seconda della nuova fase in cui essa potrebbe entrare, ove i suoi buoni ufficj che egli era stato invitato ad impiegare dai governi d'Italia e di Francia fossero pure accettati dal Governo di Grecia; cosa che

non si verificò fino ad oggi, il nuovo Gabinetto di Atene non avendo fatto ancora comunicazione di sorta in proposito al suo Rappresentante a Vienna, dacchè ha assunto il potere. 3° Finalmente toccami rettificare la parte della Nota del Signor de Sayve che si riferisce all'idea che il Conte Andrassy avrebbe suggerito di trasportare l'arbitraggio fuori del territorio greco, e non credo poterlo far meglio che riferendo quanto esplicitamente ebbe a dirmi al riguardo il Ministro Imperiale e Reale.

Il Conte Andrassy, in una conferenza avuta due giorni sono col Marchese di Banneville, in cui l'Ambasciatore Francese aveva.gli dato lettura di un dispaccio del Conte di Rémusat, che se non appieno nella forma, nella sostanza almeno rassomigliava alla Nota del Signor de Sayve, aveva immediatamente dovuto constatare essere occorso un non lieve equivoco nell'apprezzamento delle sue idee; e quindi senza indugio chiarire seco lui il vero stato delle cose, siccome il fece meco ieri. Il Conte Andrassy si mantiene fermo nella sua risoluzione di declinare pel suo Governo qualsiasi azione arbitrale nella quistione, essendo suo convincimento che tanto in tesi generale come nel caso speciale, una tale azione non può riuscire che a danno di chi l'esercita, impossibile essendo di non scontentare una delle parti, e molto probabilmente anzi ambedue. Egli accettò di intromettere i suoi buoni ufficj allo scopo di assecondare le idee concilianti a cui specialmente mostra ispirarsi il Governo Italiano, e toglier così di mezzo tutto ciò che può inasprire la quistione passionando gli animi, e rendendo in tal modo possibile uno spassionato accordo fra le parti interessate, affinchè di concerto possano trovar modo di convenire sul modo equo e pratico di risolverla. Egli dichiara assolutamente infondata ogni qualsiasi altra più estesa interpretazione si sii potuto dare alle sue idee.

Ciò poi che ha potuto far credere al M. de Banneville il Conte Andrassy fosse intenzionato suggerire di trasportare l'arbitraggio fuori di Grecia, non può essere stato altro che la comunicazione fattagli del desiderio espresso al Principe Jpsilanti che il suo Governo, come dissi più sopra, avesse ad autorizzarlo ad intrattenersi seco lui sulla vertenza, dandogli in proposito le volute istruzioni. Il Conte Andrassy nel fare tale invito al Rappresentante Ellenico non aveva altro scopo, siccome ebbe a dirmi, che di agevolare l'opera sua amichevole, sembrandogli più semplice, dacchè egli era in grado di conoscere i sentimenti dei Governi d'Italia e di Francia col mezzo dei rispettivi Rappresentanti di quelle due Nazioni, muniti di apposite istruzioni al riguardo, di potere del pari tenersi meglio a giorno degli intendimenti del Governo Ellenico a mezzo del suo rappresentante a Vienna di quanto avrebbe potuto farlo, corrispondendo col lontano Rappresentante Imperiale e Reale ad Atene.

Nel riferire all'E. V. lo stato delle cose quale mi risulta in modo non dubbio, non posso nasconderle dubitare seriamente che l'azione conciliatrice a cui il Conte Andrassy già con mediocre buon volere soltanto s'era sobbarcato, abbia a sortire risultato soddisfacente; poichè ho potuto convincermi che l'equivoco occorso eragli riuscito particolarmente spiacevole, locchè avrà per conseguenza di rendere viemmaggiormente ancora riservata e guardinga la sua intromissione nella questione.

29 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

(l) -Non pubblicato. (2) -Non pubblicata.
393

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Parigi, 8 marzo 1872.

Esco pur ora dal Gabinetto di M. de Rémusat. Egli mi confermò che Fournier partirà di qui dal 15 al 17 in guisa da essere a Roma verso il 20.

II Signor de Rémusat non fu per nulla offuscato dalla presenza a Roma del principe di Prussia. Io gli dissi, secondo che mi avete scritto, che il Principe viaggiava senza missione politica ed egli mi rispose che le sue informazioni concordavano pur esse a confermare che il viaggio in questione non aveva scopo politico.

Ora un'osservazione per voi solo. II Signor Fournier ha molte qHalità, come v'ho già scritto. È intelligente, esperto, amico dell'Italia, non clericale. Ma è fino, e si rende perfettamente conto della situazione. Occorre una certa prudenza nel trattare con esso. Diplomatico di professione, è accostumato a dare un'importanza forse esagerata alle dimostrazioni di cui possa essere l'oggetto nell'uno come nell'altro senso, a prenderne atto e a farne prendere atto. Non è uomo insomma da trattarsi come Senard. Bisogna trattar con lui come si dice coi guanti bianchi, con tutta sincerità ed anche con cordialità ma colla corretta misura. Dite queste cose al solo Re per norma Sua.

394

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Vienna, 8 marzo 1872.

Nel rivolgervi il mio rapporto ufficiale d'oggi stesso (l) relativo alla questione del Laurium, non mi è possibile astenermi dall'accompagnarvelo con poche righe particolari, sebbene il fatto non abbia d'uopo di commenti.

Allorchè mi pervenne la Nota del Signor de Sayve che vi compiaceste trasmettermi, dovetti leggerla due volte per persuadermi che non sognavo, tanto mi parve strano quanto in essa vi stava scritto; non è infatti possibile di edificar un assieme di cose, più in opposizione al carattere ed alle tendenze del Conte Andrassy, e che maggiormente divergesse dall'attitudine da esso assunta nella nostra vertenza del Laurium. Volendo però aver la spiegazione dell'imbroglio, andai dal Marchese di Banneville, e gli parlai in modo generico delle istruzioni impartitemi dall'E. V. chiedendogli più precisi schiarimenti. Vedendo però che egli batteva la campagna tenendosi nelle generali, cavai fuori la nota del Signor di Sayve, e gliene diedi lettura. La conoscenza di quel documento non gli procurò gran soddisfazione, esso dissemi che evidentemente

il suo Governo aveva dato a quanto egli avevagli riferito, un color molto più accentuato di quanto egli aveva inteso dargli, ed in prova del suo asserto, mostrommi la risposta a lui diretta dal Conte de Rémusat che egli dicevami esser press'a poco nel vero. Questa risposta a me parve che se era alquanto attenuata nel colorito, nella sostanza però era identica alla nota Sayve. Non ritornerò sul risultato finale delle mie indagini, avendolo fatto estesamente col mio rapporto d'oggi; solo vi dirò la mia impressione su tutto ciò, e si è che: il Marchese di Banneville ha frainteso le intenzioni del Conte Andrassy ed avrà ancora creduto bene di esagerarle alquanto nel riferirle al suo Governo, onde darsi i guanti d'aver ottenuto un successo, ed attenuar così la poca favorevole impressione prodotta a Versailles dallo scacco che subiscono in questo momento i negoziati per la revisione del trattato di navigazione. Il Signor Rémusat a sua volta diede maggior corpo ancora alle notizie avute dal suo ambasciatore, e cosi trasformata la cosa ne ragguagliò il Signor de Sayve che compilò la nota a Voi diretta. E così verificassi il caso che un infusorio trasformassi in un mostro! Temo però, che l'accaduto scemi ancora il pochissimo buon volere col quale il Conte Andrassy s'era sobbarcato ad impiegar in questa nostra vertenza la sua azione amichevole e conciliatrice, e che quindi

nuovamente s'allontani la soluzione di questa spiacevole questione.

Toccai ieri col Conte Andrassy l'argomento della partenza del Papa e dell'offerta che al dire di alcuni giornali sarebbegli stata fatta dall'Imperatore d'un asilo a Salisburgo; ma recisamente risposemi nulla esservi di vero in ciò, ed anzi aver egli fondato motivo di ritener come abbandonata del tutto al Vaticano l'idea di ricercar all'evenienza l'ospitalità negli Stati Austriaci. A questo proposito il Conte Andrassy trovò opportuna occasione, per riconfermarmi i sensi cosi altamente simpatici ed amichevoli verso l'Italia, a cui s'informa la politica dell'attuale Governo Austro-Ungarico, politique que rien. ne pourrait jaire changer com'egli dicevami conchiudendo.

Dell'andamento delle trattative per la revisione del trattato di navigazione colla Francia, vi ho tenuto a corrente coi miei passati rapporti, e telegrammi, ed ho luogo di ritenere che il risultato finale sarà come ve l'ho preannunciato negativo in modo assoluto, in questo momento però la Francia sta facendo nuovi e più pressanti tentativi, mostrandosi anche disposta a concessioni in reciprocanza, ciò che non aveva fatto finora; a quanto però dicevami ieri il Conte Andrassy sebbene io non avessi toccato questo argomento la situazione non ha probabilità di sorta di modificarsi.

Perdonatemi la fretta colla quale questa lettera è scritta ed aggradite..•

(l) Cfr. n. 392.

395

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4162. Berlino, 9 marzo 1872, ore 16,30 (per. ore 21,45).

J'ai été reçu par le Prince Royal. Il y a l'agrément de l'Empereur et de l'lmpératrice pour offrir, aussitòt la naissance de l'enfant, au Prince Humbert et à la Princesse Marguerite, d'etre parrain et marraine. Le bapteme aura lieu vers le commencement de juin, mais au besoin, et à notre convenance, on pourrait retarder de quelques jours. Le Comte Brassier a été informé par le Ministère des Affaires Etrangères afin d'etre à meme de s'expliquer si on l'interpelle. L'Empereur et son fils ont dit qu'ils seraient très heureux de voir nos Princes à une époque à laquelle Hs seront à Berlin. L'Impératrice trouve que l'occasion est indiquée. Le Comte de Bismarck approuve fort la chose. J'espère que la lettre que Vous m'annoncez du Prince Humbert sera à l'unisson de ces sentiments aussi courtois que bienveillants. La dépeche citée dans un discours de Bismarck à la Chambre Haute est du Comte Brassier: on me l'a dit confidentiellement. La solidarité des intérets y est accentuée. Le Moniteur Prussien constate que le Prince Frédéric Charles à reçu a notre Cour l'accueil le plus gracieux.

396

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1816. Parigi, 9 marzo 1872 (per. il 12).

In conformità alle istruzioni datemi dall'E. V. col dispaccio di Serie Politica N. 372 in data del 27 febbraio ultimo (1), io informai jeri verbalmente S. E. il Ministro degli affari esteri della Repubblica che il Governo di S. M. non sollevava obbiezioni contro il testo del progetto di protocollo sui limiti della giurisdizione consolare a Tripoli di Barberia che Le fu rimesso in copia dal Marchese di Sayve; ma che nell'opinione di V. E. era desiderabile che fosse mantenuto nel nuovo protocollo a quattro il testo dell'articolo 2 del protocollo ch'era stato firmato separatamente tra l'Inghilterra e la Turchia il 12 luglio 1871 e che tendeva ad assicurare per ogni caso ai Consoli delle Potenze firmatarie il trattamento della Nazione più :favorita.

Il Signor di Rémusat avendomene espresso il desiderio, io gli rimisi una nota verbale conforme alle istruzioni contenute nel dispaccio suddetto.

397

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 967. Berlino, 9 marzo 1872.

A mon audience chez le Prince Impérial, j'ai été heureux de recueillir de sa bouche combien étaient toujours vives ses sympathies pour notre Famille Royale et pour l'Italie. Je lui ai dit, à mon tour, que les memes sentiments existaient chez nous pour Sa personne et pour son Pays. Il ne saurait en etre

autrement, car notre amitié repose, non seulement sur un penchant instinctif, mais sur des intérets positifs, qui n'ont pas besoin d'etre démontrés, tellement ils sautent aux yeux. Il existe entre nous une solidarité, dans l'acception la plus large. N ous creusons le meme sillon dans l'histoire du monde. Il est de notre devoir de nous entre aider, en veillant surtout au maintien de la paix, nécessaire à l'un comme à l'autre pour consolider les résultats obtenus. Malheureusement, rien ne prouve sous ce rapport que la France, mettant à profit les rudes leçons de l'expérience, se résignera à l'oeuvre de sa réorganisation intérieure et renoncera aux velléités de prépondérance sur ses voisins. Il est plus que douteux que la sagesse l'emporte chez elle. Si elle devait retomber dans les erreurs de sa politique traditionnelle, ses aspirations trouveraient un contrepoids dans la forte constitution de l'Allemagne, appelée désormais à etre une garantie de tranquillité pour l'Europe, et nommément pour l'Italie. Quant à nous, notre ligne de conduite est toute tracée, nous évitons de donner des prétextes de mécontentement à la France, mais nous nous préparons sérieusement à repousser toute ingérence offensante. A cet effet, nous avons foi dans notre bonne cause, nous comptons sur nos propres forces, et meme, sans le demander, sur l'appui éventuel de l'Allemagne. Les memes principes sont inscrits sur nos drapeaux, que nous sommes décidés à porter haut et ferme. L'indépendance de l'Italie et de l'Allemagne ne saurait etre désormais en jeu, sans réunir les efforts combinés de ses défenseurs naturels.

Le Prince Impérial espérait que la France ne provoquerait pas une nouvelle guerre c'était là un tel fl.éau, qu'il ne faudrait rien négliger pour l'éviter. Si l'on devait recourir derechef au sort des armes, il importait que le cas de légitime défense fut bien établi. Le meilleur moyen de parer à cette éventualité, serait certainement celui de former une Ugue entre les voisins de la France. Ce serait un salutaire avertissement. Il n'hésiterait pas à apposer sa signature à un tel traité. Il est vrai que, en apparence du moins, ce serait un peu faire revivre les principes si impopulaires de la Sainte Alliance. Aussi, conviendrait-il peut-etre mieux ne point se lier par des accords trop vagues et à échéance indéterminée, et se réserver une entente quand le besoin s'en ferait sentir avec quelque urgence.

J'ai répondu que telle était aussi ma manière de voir particulière, et que j'étais on ne peut plus satisfait d'avoir eu une fois de plus l'occasion de constater ses bonnes dispositions à l'égard de l'Italie. J'avais pleine confiance que ces sentiments bienveillants l'accompagneraient quand il ceindrait la couronne d'Allemagne, et que notamment il saurait se prévaloir de ses relations personnelles avec Monseigneur le Prince Humbert, pour agir selon les intérets des deux Pays. Chacun fait des voeux pour que le règne de l'un et de l'autre ne soit traversé par aucune crise, pour que l'un et l'autre jouissent tranquillement du capitai de gioire et d'affection amassé par Leurs Augustes Pères, mais, s'il se présentait des jours difficiles, ce serait en se donnant la main qu'il répondraient le mieux à la confiance des deux Nations.

Le Prince m'a répété que nous pourrions compter sur ses convictions et ses sympathies. Il m'a remercié de la franchise de mon langage. Il était bien aise que nous nous fussions trouvés d'accord dans le idées que nous avions échangées en voie particulière.

(l) Cfr. n. 369.

398

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 239. Roma, 11 marzo 1872.

Dopo che con il mio dispaccio del 20 giugno dell'anno passato, io ebbi l'occasione di segnalarle cosi l'accoglienza da noi fatta alle comunicazioni dell'Inviato di Allemagna circa gli affari del Venezuela, come le osservazioni sottoposteci dal rappresentante degli Stati Uniti, io ho potuto sempre meglio confermarmi nella opinione che l'accordo dei Governi europei con quello di Washington era una condizione essenziale per la buona riuscita delle pratiche intavolate a Caracas. Per contribuire in quanto poteva dipendere da noi al conseguimento di uno scopo agli occhi nostri tanto desiderabile, con altro mio dispaccio del 17 gennaio u. s. (l) io metteva V. S. in grado di far conoscere al Gabinetto di Berlino come gli affari del Venezuela stessero per entrare in una nuova fase dappoichè si attribuiva agli Stati Uniti il progetto di esercitare un'azione efficace per costringere il Venezuela a soddisfare ai suoi impegni, ed io insistevo allora particolarmente perchè dalla S. V. si facesse sentire al Governo germanico tutta la convenienza che vi era pei governi europei di non separare la loro causa da quella del Gabinetto di Washington e di unirsi anzi a quest'ultimo nei passi da farsi a Caracas.

Nel frattempo i rappresentanti d'Italia, Germania, Inghilterra, Spagna e Danimarca avevano presentato collettivamente una nota al Ministro degli Affari Esteri del Venezuela, e V. S. mi informava nel febbraio scorso (2) che a Berlino si desiderava aspettare l'esito di quelle pratiche.

Ma era pur troppo da prevedersi che i passi fatti dai cinque rappresentanti suindicati senza il concorso del rappresentante del Governo di Washington avrebbero condotto ad una sterile discussione mediante lo scambio di note fra il Gabinetto di Caracas e quei rappresentanti presso di lui accreditati. La cor-:ispondenza del cavaliere Viviani conferma tale nostra previsione.

Fu dunque con vivissima soddisfazione che nei giorni stessi nei quali io riceveva da V.S. il rapporto del 17 febbraio (3) circa una circolare del Gabinetto di Berlino per gli affari del Venezuela, mi fu dato di accogliere una comunicazione del Conte Brassier di S. Simon, il quale, in base alla circolare medesima, venne a propormi che l'Italia si concertasse colla Germania per incaricare il Governo di Washington di pigliare l'iniziativa dei provvedimenti necessari per far soddisfare dal Venezuela i creditori stranieri.

La circolare del Gabinetto di Berlino, riproducendo sostanzialmente la pro

posta da noi fattagli per mezzo di V. S. sino dal gennaio scorso, doveva natu

ralmente incontrare la completa nostra adesione. Io fui lieto di darne l'assicu

razione all'Inviato Germanico. Le istruzioni che si stanno preparando per il

Ministro del Re a Washington saranno pertanto intese sul senso desiderato dal

Gabinetto di Berlino. E siccome le precedenti comunicazioni di quel R. Rappre

sentante con il Governo presso il quale è accreditato hanno diggià avuto per effetto di stabilire fra l'Agente d'Italia e quello degli Stati Uniti a Caracas uno scambio di idee molto vantaggioso, così noi ci lusinghiamo che in questa nuova via si otterranno dei frutti che sin qui era inutile sperare dal solo buon volere del Governo di Caracas.

Mi dispiace di non avere in pronto documenti relativi a questa vertenza e di non poterli perciò spedire con il corriere d'oggi. Riservandomi di farne l'invio a V. S. tosto che siano preparati, spero che questi pochi cenni le basteranno per dare al Gabinetto di Berlino una risposta aUa comunicazione fattaci dal Conte Brassier, e continuare così con codesto Governo uno scambio di comunicazioni tanto utili in questo affare.

(l) -Cfr. n. 302. (2) -Cfr. n. 327. (3) -Non pubblicato.
399

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 240. Roma, 11 marzo 1872.

Ho ricevuto regolarmente la pregiata corrispondenza politica della S. V. sino al n. 962 incluso e la ringrazio delle informazioni che ella mi ha colla medesima favorite.

Quando la S. V. si troverà in grado di ragguagliarmi sulle ulteriori decisioni del Gabinetto di Berlino relativamente alla circolare spagnuola che proponeva un accordo degli Stati cui interessano le mene dell'Associazione internazionale (rapporto n. 956) (l) le sarò grato di quanto ella vorrà comunicarmi in proposito.

In attesa appunto di conoscere le intenzioni degli a:ltri Governi cui la circolare spagnuola fu indirizzata, mi sono astenuto finora dal dare a quelle proposte un riscontro definitivo. Ho incaricato (2) il Conte di Barrai di assicurare il Governo di Madrid che, pur riservandoci di esaminare le quistioni enunciate nella predetta circolare, noi continueremo a comunicare alla Spagna tutte le notizie da noi raccolte e che potranno interessarla relativamente all' • Internazionale • facendo assegnamento sulla amichevole reciprocità di quel Governo al medesimo riguardo.

400

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4164. Madrid, 11 marzo 1872, ore 2.

Les conditions de ,Ja coalition électorale entre républicains, radicaux, carlistes et alphonsistes ont été acceptées. La situation devient de plus en plus grave. Détails par poste.

(l) -Cfr. n. 383. (2) -Cfr. n. 390.
401

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 62. Vienna, 11 marzo 1872 (per. il 14).

II Ministro di Spagna in questa residenza, non ha ancora (sino ad oggi) ricevuto dal suo Governo la nota circolare sull'Internazionale indirizzata dal Gabinetto di Madrid ai suoi agenti all'Estero in data delli 9 Febbraio; egli quindi non potè parlare ufficialmente del contenuto di essa, che conosce soltanto dai giornali, con questo Ministro degli Affari Esteri. Ciò nondimeno per corrispondere il più sollecitamente possibile al desiderio che l'E. V. esprimevami coll'ossequiato suo dispaccio dei 27 scorso Febbrajo N. 25 (1), presentii il Conte Andrassy sull'accoglienza che egli sarebbe per fare all'attesa comunicazione Spagnuola. II Conte Andrassy, sebbene egli pure già conoscesse la circolare dai giornali, pure si tenne sulle generali nello apprezzarla mostrandomi però essere il Governo Austro-Ungarico disposto a dimostrare di prendere nella dovuta considerazione l'iniziativa del Governo di Madrid su di un argomento che cosi altamente interessa tutte le Nazioni. Al tempo stesso però lasciavami capire che, a suo avviso, quella iniziativa non avrebbe per conseguenza risultato di importanza, poichè, dicevami essersi pur stabilito nel Convegno dello scorso anno di Gastein-Salisburgo di studiare d'accordo fra la Germania e l'Austria-Ungheria i provvedimenti da prendersi a tutela dei due Stati contro l'azione dell'Internazionale; ma l'unico risultato di un tale accordo essere stata la compilazione da una parte e dall'altra di due memoriali, che nulla contenevano di pratico nè di efficacemente corrispondente allo scopo che i due Governi s'erano prefisso. Dopo di ciò nulla erasi fatto, e la quistione erasi nuovamente posta a dormire. Nel ciò dirmi mostravami non nutrire fiducia che il nuovo tentativo fatto dalla Spagna avesse a produrre risultato efficace.

Mentre mi riserbo di ragguagliare a suo tempo l'E. V. nel modo più preciso che mi sarà possibile sulla risposta che questo governo sarà per fare alla comunicazione in parola, ho creduto dover mio informarla per intanto di quanto già mi era dato conoscere al riguardo.

402

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. 110. Roma, 14 marzo 1872.

Mi giunse regolarmente il di Lei rapporto del l o corrente (2), al quale andava unita copia della Nota rimessa al Gran Vizir dal Signor Christich per sollecitare l'evacuazione del piccolo Zvornich e di Sakhar da parte dei Musulmani colà stabiliti.

Come Ella giustamente osserva nel precitato rapporto, si tratta di una vertenza antica che avrebbe da assai tempo dovuto essere risoluta. Ma per ora il Governo serbo non pare intenzionato di portare la questione davanti alle potenze garanti, sibbene egli sembra accontentarsi dell'appoggio morale ed ufficioso che i rappresentanti di quei Governi, colla loro personale influenza, possono dargli presso la Porta ottomana.

In tale stato di cose, se non vi ha urgenza di prendere un partito in questa questione, vi è però sempre motivo di preoccuparsi delle conseguenze che può avere la ripresa di trattative che, in altri tempi ed in circostanze forse più favorevoli, non poterono condurre ad alcun accordo le due parti interessate. La quistione di opportunità è sempre grave: in queste cose poi domina tutte le altre. Gli ultimi rapporti dei Consolati di S. M. in Bulgaria ed in Bosnia accennano ad un insieme di circostanze che farebbero desiderare che nessuna questione si risvegliasse in quelle parti dell'Europa, o che risvegliate, venissero subito composte. L'interesse nostro è per il mantenimento aella tranquillità e della pace; per l'allontanamento di qualunque politica perturbazione. La linea di condotta di V. S. è dunque naturalmente tracciata dall'interesse proprio dell'Italia, e gli adoperamenti di Lei nou possono essere che nel senso sovra esposto. Ella vorrà pertanto considerarsi autorizzata entro questi limiti ad appoggiare presso il Governo ottomano il partito di una pronta e pacifica soluzione della vertenza che la Serbia fa risorgere; ed io desidero che, in ciò facendo, Ella abbia cura di congiungere l'azione di cotesta R. Legazione a quella delle rappresentanze delle altre Potenze garanti. Che se a Lei sembrasse scorgere che fra queste ultime non esiste una perfetta identità di propositi, converrà raddoppiare di circospezione per non eccedere la misura prescritta all'azione personale ed ufficiosa di cui V. S. venne richiesta, ed intanto il R. Governo, meglio informato della situazione, provvederà perché a Lei non manchino le necessarie istruzioni.

(l) -Cfr. n. 370. (2) -Non pubblicato.
403

IL MINISTRO A BUENOS AIRES, DELLA CROCE DI DOJOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 150. Buenos Aires, 14 marzo 1872 (per. il 21 aprile).

Quando l'E. V. ordinò a questo R. Consolato di procedere al censimento degli Italiani qui residenti, non mancò quell'Ufficio di far risaltare i vari ostacoli che si sarebbero opposti a quella operazione; ma in adempimento ai ripetuti ordini ricevuti, il V. Console Reggente si accinse a compilare con quei mezzi che erano in suo potere le richieste statistiche.

Avendo l'E. V. indicato di rivolgersi alle autorità locali per ottenere il loro concorso colla solita ma illusoria offerta di reciprocità, ed avendomi insegnato l'esperienza come sia facile l'urtare la suscettibilità di questi governanti, e difficile, dall'altro lato, di averne qualsiasi appoggio a favore, consigliai il Signor Tesi a dirigersi egli stesso al Direttore di Polizia ed anche al Governatore della Provincia, dai quali, più agevolmente che dal Governo Nazionale potevasi sperare una favorevole risposta. Ma avendo queste autorità riscontrato di non poter nulla promettere senza una previa autorizzazione del Governo Nazionale diressi allora al Signor Tejedor, Ministro degli Affari Esteri, la Nota che qui unisco in copia alla quale questi rispose col documento che l'E. V. troverà qui pure unito (l) e, che contiene un deciso rifiuto di voler prestare qualsiasi appoggio alla Legazione ed al Consolato e quasi quasi accenna ad una proibizione di compilare, per parte nostra, il censimento degli Italiani.

Prima di dirigermi questa ufficiale risposta il Signor Tejedor mi aveva invitato a ritirare la mia Nota, il che io non volli fare, tanto perchè gli ordini di V. E. erano chiari e precisi, quanto perchè mi pareva importante che il Governo di

S. M. potesse constatare, ancora una volta, quali sono le tendenze di questo Governo e dell'attuale Ministro degli Affari Esteri in particolare, relativamente agli stranieri, alle Legazioni ed ai Consoli delle Potenze Europee.

È un fatto incontestabile che il numero ognor crescente degli immigranti, la loro attività i loro guadagni, la loro prosperità uniti alla qualità di stranieri che essi conservano sempre, pongono questo Governo in seria apprensione. Se da un lato egli desidera popolare le sue immense solitudini con l'elemento dell'immigrazione, d'altro lato egli è sgomentato dal vedersi per così dire assorbito, e dal vedere nelle sue principali città il numero degli stranieri eguale e forse superiore a quello degli indigeni. Di qui una continua gelosia, uno stato di latente ostilità che si manifesta ad ogni momento tra il Governo Argentino e le rappresentanze estere. È da rimarcare che l'unico rimedio che potrebbe presentarsi per questa difficile situazione, vale a dire la naturalizzazione, non si verifica quasi mai. Per quanto piccola ed inconcludente la protezione che le Legazioni possano accordare ai loro compatrioti, questi, nella immensa loro maggioranza, preferiscono sempre conservare la loro antica sudditanza anziché farsi cittadini di questa Repubblica. Un tale stato di cose parmi meritare la più seria attenzione dei Governi europei, e specialmente dell'Italiano, le cui colonie in questi paesi sono le più numerose.

Il censimento intrapreso dal Consolato è ora compiuto; la buona volontà incontrata nella parte colta della Colonia, il modo con cui si composero le Commissioni, il sagrifizio di denaro al quale si assoggettò il Consolato stesso, fecero sì che quest'opera ottenesse risultamenti assai migliori di quanto potevasi sperare.

Per quello che si può sapere, non essendo ancora compiuto lo spoglio delle schede, il numero degli Italiani nella città sola di Buenos Aires, sarebbe di circa cinquantamila, ottomila di più di quelli che si inserissero nel 1869 nel censimento fatto fare dal Governo Argentino. Non molti furono i rifiuti, ma pure vi furono Italiani, alcuni anche di classi mediane, che si ricusarono a for

nire le informazioni che venivano loro richieste, e rigettarono le schede. Varii si inserissero con nomi falsi e non pochi saranno certo quelli che sfuggirono alle ricerche, fra questi in particolare modo la numerosa classe dei servitori, cocchieri, camerieri ed inservienti in generale, dimoranti presso famiglie argentine o straniere, alle quali famiglie, visto il malvolere delle autorità, e la poca probabilità di buona accoglienza, le Commissioni nominate dal Consolato non poterono presentarsi. Non credo quindi di andare errato nel giudicare che ai 50.000 inscritti nel Censimento del Consolato devono aggiungersi altri 10.000, il che porterebbe la cifra degli Italiani nella sola città di Buenos Aires a 60.000.

È pure già compiuto il censo di molte delle località site in questa provincia e si stanno raccogliendo i voti anche nelle altre. Il Consolato trasmetterà, a suo tempo, tutti i documenti relativi.

(l) Non pubblicati.

404

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 64. Vienna, 15 marzo 1872 (per. il 18).

Il Ministro di Spagna presso questa Corte consegnò jeri al Ministro degli Affari Esteri la Nota circolare del suo Governo relativa alla proposta di concerti a prendersi fra le varie Nazioni, onde tutelarsi contro l'azione della Società detta dell'Internazionale.

Il Conte Andrassy prese atto di tale comunicazione, e dissegli riservarsi porgergli un riscontro dopo che il Governo Imperiale avrebbe preso ad esame le proposte contenute in detto documento.

Poco dopo avendo avuto occasione di vederlo dissemi che mentre avrebbe sottoposto all'esame dei due Gabinetti della Monarchia le proposte Spagnuole, proponevasi di presentire gli intendimenti in proposito del Governo Germanico col quale già antecedentemente il Governo Austro-Ungarico era entrato nella via d'uno scambio d'idee al riguardo. Avendomi poi chiesto che accoglienza intendesse fare il Governo Italiano a dette proposte io gli risposi: che il R. Governo s'era limitato per ora a dar atto della comunicazione fattagli riservandosi esso pure di farne soggetto d'esame e di regolarsi anche a norma delle risoluzioni che sarebbero adottate dagli altri Governi. Si, dissemi allora il Conte Andrassy, è questa una questione nella quale parmi essere bene camminar d'accordo, in quanto a me sembrerebbemi abbastanza pratica ed efficace l'idea messa avanti dalla Spagna, di estendere per atto internazionale, l'extradizione accordata pei reati comuni agli imputati di fatti dipendenti dall'affigliazione all'Internazionale, e ciò non mi parrebbe difficile a conseguirsi ove Austria, Italia e Germania si mettessero su ciò d'accordo.

Come di ragione, mancando al riguardo d'istruzioni, m'astenni dall'apprezzare o meno un tale modo di vedere e la conversazione cosi finì. Non mancherò di ragguagliare l'E. V. di quanto verrà in seguito a mia conoscenza sull'argomento.

405

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 171. Costantinopoli, 15 marzo 1872 (per. il 23).

Fin da quando feci ritorno dal mio congedo in questa residenza non cessai dall'occuparmi dell'importante assunto del diritto di proprietà accordato agli esteri nello Impero Ottomano e del modo più conveniente di farne godere anche i Regii sudditi che lo reclamavano con insistenza sempre più crescente.

Il Generale Ignatiew avendomi fatto conoscere che il Governo Imperiale di Russia era anche pronto dal canto suo a fare, sotto certe condizioni la sua adesione al protocollo relativo alla legge dei 7 Sepher 1284, abbiamo intavolato di comune accordo delle pratiche presso la Sublime Porta onde ottenere da essa per via di uno scambio di note alcune garanzie o spiegazioni reputate necessarie ad eliminare gl'inconvenienti che sono sorti dalla pratica applicazione della legge.

Ho l'onore d'inviare a V. E. un progetto di nota (l) compilato a tale scopo dal mio collega di Russia e le osservazioni da me fatte sulla medesima in una mia risposta particolare.

Queste osservazioni furono trovate giuste dal generale Ignatiew e fu convenuto che la nota da spedirsi sarebbe stata modificata nel senso da me indicato.

Se non che prima di spedire la nota a Server Pacha, riputammo opportuno di accertarci dell'accoglienza che sarebbe fatta dalla Porta alle proposte in essa contenute.

Dopo parecchie conferenze che all'uopo hanno avuto luogo tra il Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri, il Primo Interprete dell'Ambasciata di Russia ed il Secondo Interprete della R. Legazione, Cavalier Barone, è nato in noi il convincimento che la Porta è disposta ad ammettere tutte le nostre proposte, meno due.

Essa rifiutasi anzitutto a sanzionare il pareggiamento degli esteri ai sudditi più favoriti, sostenendo che in principio non esistono nell'Impero differenze fra suddito e suddito, ma semplici eccezioni derivanti dalla diversità di credenza che non si possono ad un tratto fare scomparire. Non si potrebbe dunque ammettere nè la testimonianza dei cristiani innanzi ai Tribunali turchi, nè che un cristiano possegga un terreno accanto ad una Moschea o in un quartiere esclusivamente turco.

La seconda proposta a cui il Governo Ottomano non potrebbe consentire sarebbe quella di far decidere dai rispettivi Tribunali Consolari le quistioni relative alla trasmissione della proprietà.

Io credo che difficilmente il Governo Ottomano s'indurrà a transigere su questi due punti; e se vorremmo far di essi una condizione sine qua non della nostra adesione al protocollo, la soluzione di questo importante negozio sarebbe rimandata a tempo indeterminato e ci esporremmo alle più vive lagnanze da parte di tutta la nostra colonia. Prego puranco V. E. di notare che la nuova

Banca Italiana non potrebbe fare operazioni di credito sopra stabili se dal R. Governo non si procedesse alla firma del Protocollo. I due punti sovra enunciati non si trovano tra le riserve fatte dall'E. V. nei suoi autorevoli dispacci precedenti.

Convengo di buon grado della loro utilità, ma non potrei ritenerli come indispensabili. Convengo pure che sarebbe ottima cosa se potessimo procedere sino alla fine di accordo con la Russia in questa questione e firmare con essa il Protocollo; ma è mio debito far notare a V. E. che i nostri interessi in Oriente sarebbero gravemente compromessi se per motivi secondarii trascurassimo più oltre di dar la nostra adesione a quell'atto.

Io non so ancora se la Russia vorrà far dipendere la sua adesione dall'accettazione di quei due punti e farò tutti i miei sforzi presso il Generale Ignatiew per che ciò non sia. Ma prego V. E. dirmi, anche per telegrafo, se in tal caso sono autorizzato a conchiudere solo col Governo Ottomano uno scambio di note sulle basi del progetto che ho l'onore di trasmetterle, meno i due punti dianzi citati.

(l) Non pubblicato.

406

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Vienna, 15 marzo 1872.

Ho oggi un'occasione sicura per far impostar questa lettera sul territorio Italiano, e me ne valgo, le circostanze propizie per scrivervi senza riserva non presentandosi frequentemente.

I giornali di qui e l'opinione pubblica pur anche, fecero in questi giorni non pochi commenti al viaggio in Italia del Principe Federico Carlo, commenti che si fecero più insistenti ancora allorchè il telegrafo diede la notizia vera o falsa dell'arrivo del Maresciallo Moltke, e quindi riferì pur la voce consegnata se non sbaglio nell'Italia Nuova di un trattato d'alleanza offensiva e difensiva Italo-Prussiano. Devo anzi dire che l'opinione pubblica se ne commosse alquanto, l'impressione da essa .provata fu di diffidenza, e di timore pur anche. La possibilità di un'alleanza che ricorda quella del '66 già riescita cosi fatale all'Austria non può infatti non destar apprensioni in un paese che a malgrado gli sforzi fatti, non è ancor riuscito, e forse riuscirà giammai a riprendere il suo equilibrio. C'est un orage qui gronde sur la France mais qui pourrait fort bien finir par éclater sur l'Autriche, esprime l'impressione provata a Vienna sulle voci corse. Il partito liberale Tedesco stesso non accolse con piacere quelle voci, mentre non ha miglior desiderio che di veder sempre maggiormente stringersi la triplice alleanza ltalo-Austro-Prussiana. Il partito federalista cattolico non lasciò sfuggir l'occasione per scoprir le sue batterie, e fulminar ad un tempo la Prussia e l'Italia facendo intraveder solo mezzo di salute l'alleanza colla Francia. Il tempo però in cui una tal alleanza era possibile è passato e gli stessi Leo Thun e soci ove venissero al potere non si troverebbero più in grado di realizzarla, tanto ha prevalso il Germanismo in queste Provincie Tedesche. Il Conte Andrassy che ho visto ieri m'interrogò a brule pourpoint sull'argomento con tuono semi scherzoso, sebbene dalle sue parole e dall'espressio~e della sua fisionomia abbia dovuto convincermi esser suo avviso che se non tutto qualche cosa di vero c'è. Io gli risposi mostrando di prender la sua interrogazione come una facezia, e si continuò a discorrere su quel tuono, e si fu metà scherzando metà sul serio ch'egli mi disse, si cela est du reste, je n'ai qu'une seule chose à vous demander, c'est que nous en soyons aussi, e lì si mise ad insistere sulla piena conformità di vedute in ogni questione che non può a meno di esistere fra le tre potenze. Credendo conveniente non mostrar troppo desiderio di tagliar corto a questo discorso sebbene in verità mi trovassi abbastanza imbarazzato a continuarlo, entrai .nelle sue idee, mezzo buonissimo sempre per finirla, dicendogli però che a mio avviso non sapevo veder in questo momento necessità di alleanza nello stretto senso della parola per nessuno, che per conto nostro evidentemente non sognavamo aggressioni come non paventiamo di essere aggrediti, che quindi non credevo si pensasse oggi ad alleanze, essendo bene persuasi d'altronde, che la comunanza d'interessi non ci avrebbe lasciato mancar d'alleati ove questi ci fossero necessari. Il Conte Andrassy colse la palla al balzo per esprimermi ancora una volta come non manca mai occasion di farlo, i sensi di verace amicizia che l'Austria Ungheria nutre per l'Italia, il suo vivo desiderio che in ogni questione l'accordo sia perfetto fra la Germania l'Austria e l'Italia. Non so l'impressione che le mie risposte avranno fatto sul Conte Andrassy, probabilmente avrà capito que je pataugais non sapendone niente, e per indovinar ciò non ci andava molto acume. Confesserò però che se anche avessi saputo con certezza che nulla affatto vi era di vero nelle voci corse, non avrei parlato in modo diverso, poiché qui più ci credono in buoni rapporti colla Germania, più usano guanti per trattar con noi, e meno spiegano velleità d'immischiarsi nei nostri affari cedendo alle insistenze clericali.

Vi ho detto qualche cosa in un mio dispaccio ufficiale degli affari d'Ungheria, non sono in grado di dirvene gran cosa di più, poichè si sanno e si giudicano molto inesattamente le cose di Pesth a Vienna. Il Conte Andrassy mostrossi meco perfettamente rassicurato sul risultato finale. Egli si reca colà oggi per un pajo di giorni ma respinge energicamente l'idea suppostagli di voler ripigliar il suo posto di Presidente del Ministero Ungherese, sebbene lasci travedere che a suo avviso il Lonyai ha spiegato una nociva incertezza allorchè incominciarono nel Parlamento le scene che tuttora continuano. In fin dei conti mi persuado io pure da quanto leggo e sento, che il partito Deack mercè la sua forza numerica e la sua compattezza trionferà, e con esso il Gabinetto che è intieramente cosa sua.

Nessuno mi ha ufficialmente parlato ancora della questione della separazione delle linee ferroviarie dell'Alta Italia dalla Siidbahn, però il Landau che ho visto ieri l'altro me ne parlò lui, ma nello stesso senso di alcuni mesi fa, cioè come di cosa d'impossibile effettuazione.

Come forse saprete, l'Imperatore ha fatto fabbricar due fucili da caccia per mandarli in dono al nostro Re, in contraccambio del regalo fattogli da S. M. due anni or sono parmi. I fucili sono terminati, e sono magnifici, ma la cassa in cui sono racchiusi è evidentemente la parte essenziale del dono, poichè essa è quanto di più bello si può fare a Vienna dove si è maestri in tali lavori. Ho già visto il tutto ultimato, e credo non si aspetti che il ritorno dell'Imperatore per fargli veder l'esecuzione dei disegni da Lui approvati, e poscia si spedirà la cassa al Conte Wimpfen affinchè presenti lui il regalo del suo Sovrano. Ho creduto bene avvisarne prima, poichè sembrerebbemi opportuno si facesse in tal occasione nè più nè meno di quanto ha fatto l'Imperatore allorchè ricevette il dono del Re. Egli m'immagino avrà scritto al Re una lettera di ringraziamento, che il suo Ministro sarà stato incaricato di consegnare, e così pur parmi sarebbe il caso di far se realmente l'antecedente è tale.

Ho visto dai giornali che il Principe Imperiale di Germania, è stato nominato Presidente della Commissione per l'Esposizione di Vienna, probabilmtmte dovrà conferirsi egual carica al Principe Umberto, ma siccome ciò implicherebbe l'annuncio ufficiale della sua venuta a Vienna per quell'epoca, parrebbemi opportuno nel senso dell'idee che vi ho altra volta espresse, che non si precipitasse una tal nomina, si potrebbe aspettare che il desiderio ne venisse espresso da qui ed ove per un caso che non mi par probabile nessuna iniziativa venisse presa da qui, è mio avviso converrebbe astenersi del tutto poichè a noi non conviene in nessun modo far delle avances. Perdonatemi vi prego se mi permetto esternarvi con tanta franchezza le mie idee senz'esserne richiesto, lo faccio supponendo non vi sia discaro conoscere in anticipazione i:1 modo di vedere di chi si trova sopra luogo, a Voi sta poi il giudicare se ho ragione o torto, e qualunque siano le Vostre decisioni, m'impiegherò sempre con tutte le mie forze alla miglior possibile riuscita dei Vostri intendimenti.

407

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1819. Parigi, 16 marzo 1872 (per. il 19).

Col mio rapporto di questa serie N. 1812 in data del 6 corrente (l) ebbi l'onore d'informare l'E. V. che nella seduta del giorno precedente il Ministro degli Affari Esteri della Repubblica aveva annunziato all'Assemblea Nazionale che la discussione delle petizioni dei cattolici relative all'invio d'un nuovo Ministro di Francia a Roma presso il Governo del Re era stata messa all'ordine del giorno del 16 marzo corrente. Jer l'altro ancora nulla era stato mutato a tale decisione, come il Signor di Rémusat me lo disse verbalmente e come tosto ne avvertii l'E. V. per telegrafo (2). Ma nella tornata di jeri il Signor Chesnelong domandò formalmente all'Assemblea che questa discussione sia accettata dal Governo per oggi, lo che provocò dopo un breve ed insignificante dibattimento un voto esplicito dell'Assemblea la quale si pronunciò per la negativa, senza fissare nessun termine di tale nuovo aggiornamento.

(l) -Non pubblicato. (2) -Con tel. n. 4170, del 14 marzo, non pubblicato.
408

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1820. Parigi, 17 marzo 1872 (per. il 20).

Nella tornata di jeri Monsignor Dupanloup, Vescovo d'Orléans, prese la parola per richiamare l'attenzione dell'Assemblea sulle petizioni dei Cattolici.

Egli espresse il suo rammarico che nella seduta precedente l'Assemblea aveva deciso di aggiornare ancora la lettura delle relazioni sulle petizioni concernenti c la questione Romana •.

Il Vescovo d'Orléans annunziò che venerdì o sabbato prossimo, quando le discussioni finanziarie ora pendenti lo permetteranno, egli domanderà alla Assemblea di stabilire il giorno in cui sarà udita la lettura di quella relazione e che non venne, come l'E. V. sa, fissato dal voto dilatorio dello scorso venerdì.

• L'Assemblea comprenderà, aggiunse Monsignor Dupanloup, la gravità, la delicatezza e le convenienze del motivo e dell'interesse che m'indussero a prendere la parola •.

La destra applaudi, ma l'incidente non ebbe altro seguito.

409

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1821. Parigi, 18 marzo 1872 (per. il 21).

Nelle sedute dei 13 e 14 corrente l'Assemblea Nazionale adottò definitiva

mente il testo della legge contro c l'Internazionale • quale esso era stato da

ultimo modificato dalla Commissione parlamentare. II progetto di una simile

legge era stato per la prima volta presentato alla Camera dal Guardasigilli,

nell'agosto del 1871, ed io ebbi l'onore d'informare sino d'allora l'E. V. delle

disposizioni di quel progetto col mio rapporto del 11 dello stesso mese N. 1608

di serie politica (1). Coi miei rapporti NN. 1803 e 1804 dello scorso febbrajo (2)

io ebbi cura di farle conoscere il testo nella sua redazione modificata dello stesso

progetto e d'inviarle una copia del rapporto della Commissione. Mi pregio ora di

riferire all'E. V. l'intiero testo definitivo della nuova legge.

Esso è il seguente:

• Art. l o -Ogni associazione internazionale che sotto qualsivoglia denominazione ed in ispecie sotto quella di associazione internazionale degli operaj, avrà per iscopo di provocare alla sospensione del lavoro, all'abolizione del diritto di proprietà, della famiglia, della patria, della religione, o del libero esercizio dei culti, constituirà, pel solo fatto della sua esistenza e delle sue ramificazioni sul territorio francese, un attentato ·contro la pace pubblica.

Art. 2° -Ogni francese che dopo la promulgazione della presente legge si affilierà o farà atto di affiliato all'associazione internazionale degli operaj o ad ogni altra associazione che professi le stesse dottrine ed abbia lo stesso scopo, sarà punito coll'imprigionamento da tre mesi a due anni e con una multa da 50 a 1000 franchi. Egli potrà inoltre essere privato di tutti i suoi diritti civili e di famiglia enunciati nell'articolo 42 del Codice penale durante 5 anni almeno e 10 anni al più.

Lo straniero che si affilierà in Francia sarà punito colle pene comminate colla presente legge.

Art. 3o -La pena dell'imprigionamento potrà essere elevata a 5 anni e quella della multa a 2000 franchi rispetto a tutti, francesi o stranieri, che avranno accettato una funzione in una di queste associazioni o che avranno scientemente contribuito al suo sviluppo, sia ricevendo o provocando soscrizioni a suo prò, sia procurandole adesioni collettive o individuali, sia infine propagando le sue dottrine, i suoi manifesti o le sue circolari.

Essi potranno inoltre essere rinviati dai Tribunali correzionali dal momento dell'espiazione della pena sotto la sorveglianza dell'alta polizia per cinque anni al meno e per 10 anni al più.

Ogni francese al quale sarà stato fatta applicazione del paragrafo precedente resterà durante lo stesso tempo sottomesso alle misure di polizia applicabili agli stranieri, conformemente agli articoli 7, paragrafo l, e 8 della legge del 1849.

Art. 4° -Saranno puniti con uno a sei mesi di prigione e con multa da 50 a 500 franchi coloro che avranno prestato o dato a pigione scientemente un locale per una o più riunioni d'una parte o sezione qualunque delle associazioni sopra menzionate, il tutto senza pregiudizio delle pene più gravi applicabili, in conformità del codice penale, ai crimini e delitti d'ogni specie dei quali avranno potuto rendersi colpevoli, sia come autori principali, sia come complici i prevenuti di cui è fatta menzione nella presente legge.

Art. 5° -L'art. 463 del codice penale potrà essere applicato in quanto alle pene della prigione e della multa pronunciate dagli articoli che precedono.

Art. 6° -Le disposizioni del Codice penale e quelle delle leggi anteriori, cui non fu derogato dalla presente legge, continueranno a ricevere la loro esecuzione.

Art. 7° -La presente legge sarà pubblicata ed affissa in tutti i Comuni •.

(l) -Non pubblicato. (2) -Non pubblicati.
410

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 975. Berlino, 18 marzo 1872 (per. il 25).

Dans une visite que j'ai faite aujourd'hui au Secrétaire d'Etat, la conversation a été amenée par lui sur les commentaires sans fin auxquels se livre la presse française sur le voyage du Prince Frédéric-Charles en Italie. Il était évident que les suppositions n'étaient pas fondées en ce qui concernait des accords secrets entre les deux Gouvernements, mais il n'était pas moins vrai que le

30 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

Prince avait reçu un accueil qui témoignait de nos sympathies envers l'Allemagne. Ce voyage avait été l'occasion de manifestations qui avaient produit ici le meilleur effet à la Cour et dans l'opinion publique.

Nous avons ensuite parlé des articles dans différents journaux de la presse allemande et italienne, où se trouvent aussi des appréciations exagérées sur l'état actuel des choses, mais celles-ci du moins sont empreintes d'une bienveillance très réciproque. A ce propos, je me plaisais à constater avec quel soin la Norddeutsche Allgemeine Zeitung reproduisait dans ses colonnes ce qui s'imprimait chez nous de favorable à ce Pays et le jugement amicai que cette Gazette portait sur nos circonstances intérieures. De part et d'autre, je lisais des allusions plus ou moins directes à des projets d'alliance, camme si on voulait empiéter instinctivement sur l'avenir. C'était là un courant d'idéees et d'aspirations, qui n'avaient point de bases réglées par la diplomatie, mais qui n'étaient pas moins un indice de plus de la communauté, de la solidarité de nos intérets. J'avais lu entre autres un extrait de La Gazzetta d'Italia, du 12 Mars, annonçant de la manière la plus positive qu'un traité défensif avait été déjà signé entre les deux Puissances. Je citai quelques passages de cet article, qui entre nous n'avait pas besoin de réfutation. Je n'avais pas moins le sentiment que les conjonctures présentes de l'Europe nous rapprochaient forcément, et que, s'il se présentait des éventualités où nous devrions faire acte de présence pour sauvegarder la conservation de la paix, nous nous trouverions réunis ipso facto sur le méme terrain.

Je avouais avec la plus grande franchise que je m'appliquais à entretenir entre les deux Gouvernements des relations toujours plus intimes, et telles que, à l'occurrence, il n'y eut qu'à stringere il nodo -c'est l'expression dont je me suis servi-pour qu'au méme instant surgit un accord complet. C'était là mon programme, qui ne serait pas désavoué par V. E. Je comptais en méme temps sur la réciprocité du Cabinet de Berlin.

M. de Thile partageait ces idées, et raisonnait comme moi à cet égard, en ajoutant que l'alliance entre l'Ita'lie et l'Allemagne était dans la situation méme, et que, ainsi placée, elle valait en effet mieux que des traités qui n'avaient pour garantie que les convenances passagères des parties contractantes.

Le Secrétaire d'Etat m'a répété aujourd'hui encore que le Cabinet de Berlin avait une très médiocre confiance envers la France. Pour bien se tenir sur ses gardes, il suffisait de voir avec quelle énergie le Président de la République, tout en se défendant de poursuivre une politique de revanche, insistait auprès de l'Assemblée Nationale sur la nécessité de laisser intact le budget de la guerre, parceque la France doit avoir une armée nombreuse et solide, pour conserver sa Iégitime influence. Ce n'est certes pas là le meilleur moyen de réveiller chez ses compatriotes des dispositions pacifiques, que d'accroitre les forces militaires dans des proportions plus vastes que sous l'Empire. On a beaoucoup remarqué ici une correspondance de Paris, insérée dans la National Zeitung, attribuant à

M. Thiers l'arrière pensée, une fois qu'il aurait cinq à sixcent mille hommes de troupes, de négocier l'arme au bras des facilités, si non des réductions, dans le paiement des trois derniers milliards d'indemnité. Qu'on ne s'y méprenne pas à Paris, le jour où le Prince de Bismarck s'apercevrait qu'on joue vis-à-vis de lui un double jeu, il n'hésiterait pas un seui instant à conseiller à son Souverain de faire justice sévère.

411

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 169. Berna, 19 marzo 1872 (per. il 22).

Il Presidente della Confederazione mi ha comunicato il contenuto della relazione fattagli dal Segretario del Dipartimento federale di Giustizia e Polizia, ch'egli avea mandato nel Ticino per informarsi di ciò che il Governo di quel Cantone avesse fatto per impedire le intraprese che si credeva meditasse di nuovo il Nathan sopra l'Italia.

Da tale relazione risulta che il Cecchini nel quale si riconosceva l'agente principale del Nathan è già stato internato nella Svizzera tedesca e che le Autorità del Ticino opinano che la partenza di lui basterà di per se stessa a troncare le mene in corso.

Il Signor Welti pensa del rimanente che con la morte del Mazzini si svigorisce e si spegne il partito che faceva intraprese dal Ticino, e che non sia perciò a temere che si rinnovellino da quel lato tentativi colpevoli sopra l'Italia, e mi assicura nello stesso tempo che in ogni caso le Autorità svizzere veglieranno perché tanto in quel Cantone quanto nei lontani Cantoni limitrofi all'Italia siano mantenute in vigore le ordinanze federali destinate ad impedire che su quelle frontiere siano scosse le relazioni di buon vicinato fra i due paesi.

412

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. S. N. Pietroburgo, 19 marzo 1872 (per. l' 1 aprile).

L'inviato di Spagna, Cavalier Muruaga, comunicò a suo tempo al Principe Gortschacow la circolare del suo Governo riguardante i provvedimenti da prendere di accordo fra i grandi potentati nell'intento di far riparo alle ma·cchinazioni sovversive della Internazionale. Il diplomatico spagnuolo ebbe alquanti giorni fa occasione di farne parola con l'Imperatore istesso, che non senza esprimergli il desiderio che Egli avea di raggiungere l'intento proposto a tutela dell'ordine legale nel governo delle nazioni, notò la difficoltà che s'incontrava nello stabilire un accordo, segnatamente con l'Alemagna, atteso il tenore della legislazione Prussiana che non forniva i mezzi preventivi per contrastare ad una Associazione così grandemente pericolosa, di cui non pertanto i fini politici erano celati, e i fini apparenti, prettamente economici e sociali, erano di tal natura da non poter provocare per se stessi l'azione riparatrice della legge.

Nè molto disforme nella sostanza fu il linguaggio che tenne su tal soggetto al Muruaga il Principe Cancelliere. Ei gli disse cioè che quanto alla Russia nei suoi ordini interni, essa non aveva nulla da temere dalla Internazionale perciocchè il dritto di riunirsi non vi era riconosciuto legalmente ondechè l'autorità vi avea i mezzi di far opera, a un bisogno, non solo contro questa, ma bensì contro qualsiasi altra associazione politica, che minacciasse la sicurezza dello Stato. Ma che pur non di meno la Russia non negava l'assenso ad accordi comuni nell'intendimento di trattare di una convenzione per cui tutti gli stati si obbligassero a consegnarsi reciprocamente i complici della Setta; cioè ad una estradizione speciale in vista della Internazionale. Ma che da questo riguardo considerato il documento Spagnuolo gli pareva concepito ed espresso in forma troppo generale e indeterminata, e che sarebbe stato mestieri, prima di venire di piè fermo ai negoziati, il definire quali sarebbero per l'appunto i casi attendibili ed i fatti specialmente criminosi degli affiliati soggetti alla sanzione del trattato.

Nell'a·ccennare l'opinione espressa da questo governo sovra un così grave argomento, è impossibile il non avvertire qual profondo mutamento siasi operato nell'indirizzo della politica ufficiale di Europa, e nell'atteggiamento rispettivo delle potenze: è degno di nota in effetti che i pericoli della Rivoluzione, i quali formavano tanta parte delle preoccupazioni delle Corti del Nord, e di quella di Pietroburgo in ispecial modo, siano ora presi da quelle in tanta minore considerazione, poichè il destarsi del principio di nazionalità, e l'incremento che può riceverne la grandezza delle Corone, indusse nei consigli dei Sovrani altri e ben diversi intendimenti da quelli delle antiche reazioni.

413

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE AD ALESSANDRIA D'EGITTO, G. DE MARTINO

T. 1819. Roma, 20 marzo 1872, ore 12,45.

Des négociations sont ouvertes au sujet de la juridiction consulaire à Tripoli. Il n'a jamais été question de l'Egypte.

414

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 66. Vienna, 21 marzo 1872 (per. il 24).

L'opinione pubblica in Austria mostrasi assai preoccupata in questi giorni delle voci vaghe bensì, ma pure insistenti, che corrono nei circoli politici e vengono dai giornali ripetute non solo, ma come di ragione amplificate, di alleanze progettate o già conchiuse fra la Germania e l'Italia ed anche fra la Germania e la Russia. Gli uomini di Stato stessi di questi paesi non rimangono estranei a tale preoccupazione, sulla quale credo opportuno richiamare l'attenzione dell'E. V., rivestendo essa uno spiccato carattere di inquietudine, che ben si spiega col malessere interno da cui è travagliata l'Austria-Ungheria, conseguenza delle difficoltà somme che il Governo incontra a conciliare le inconciliabili esigenze delle varie nazionalità di cui essa si compone.

La voce sparsa di un più stretto accordo e di un'alleanza fors'anco fra la Germania e l'Italia, a cui diede origine la presenza a Roma e Napoli del Principe Federigo Carlo, nonché il noto discorso del Principe di Bismarck, fu vivamente commentata dai giornali di ogni colore di questa capitale, pressoché unanimi tutti a vedervi un prossimo pericolo per l'integrità del territorio della Monarchia, i giornali clericali, come di ragione, consigliarono come solo rimedio un'alleanza cogli interessi Cattolici di tutta Europa, colla Francia che accenna a volerli rappresentare; i giornali liberali invece propugnarono la necessità di più stretti vincoli colla Germania e coll'Italia, l'abbandono dell'appoggio degli interessi Cattolici, che sono in opposizione con quelli delle due nazioni che accennano a volersi unire onde opporre una diga all'azione dissolvente del partito che ne è l'espressione, alla Francia che a malgrado la sua attuale debolezza mostra volerne tenere alta e minacciosa la bandiera. Il Governo, come è ben naturale, divide questa seconda opinione, come chiaramente dimostravami il Conte Andrassy, dicendomi uno di questi giorni: • S'il doit y avoir une alliance entre la Prusse et vous, nous ne demandons qu'une seule chose, c'est d'en etre aussi, car nos intérets sont communs •. Queste parole del Conte Andrassy mi confermano nell'opinione che già mi ero fatta dallo studio dei giornali, che cioè l'inquietudine esistente sulla possibilità di un'alleanza fra la Prussia e l'Italia ci è molto favorevole costringendo l'Austria a ricercare la nostra amicizia, in luogo di doverlo fare noi.

In questi ultimi giorni poi l'inquietudine in parola venne ad accrescersi ed acquistare nuova forma in conseguenza della crisi che attraversa l'Ungheria. Come sempre nei suoi guai l'Austria-Ungheria crede vedere nei fatti di Pest la mano della Russia; devo dire però parermi che né il Conte Andrassy, né gli uomini politici più eminenti che compongono il Governo o che lo appoggiano dividono questa idea, sebbene essa si faccia strada anche nei circoli diplomatici di questa città.

Si parla a Vienna con insistenza, ed anzi si accenna in modo positivo ad un segreto eventuale accordo fra la Germania e la Russia in conseguenza del quale l'Austria perderebbe la Galizia. Tutto ciò non avrebbe importanza grave ove non capitasse nel momento appunto in cui il Governo studiasi di trovare un compromesso che gli procuri l'appoggio di quella stessa Galizia. Come dissi nel mio precedente rapporto (1), il risultato delle misure testè prese a riguardo della Boemia può mutare molto favorevolmente la situazione, rendendo, ove esse siano coronate da successo, più indipendente l'azione governativa a fronte delle esigenze Polacche. Intanto però, la crisi Ungherese continua, ed il Governo stesso malgrado ne celi per quanto possibile l'importanza, non ne prevede ben chiaramente l'esito. Il male sembra essere più grave di quanto pare; il ritorno in iscena di Kossuth è una minacria all'attuale ordine di cose in quel paese

abbastanza seria. Il Governo ha l'appoggio del partito Deak, e quindi la gran maggioranza nel Parlamento ed una maggioranza anzi da invidiarsi da tutti i Governi costituzionali, tanto essa è compatta e disciplinata; essa sosterrà il Governo ad oltranza, sebbene il Conte Lonyay, attuale ·capo del Gabinetto non le sii simpatico, e sii soltanto indicato per quel posto dal vecchio Deak a difetto di altra più capace personalità. Ma se il Governo ha la maggioranza nella Camera, e pare anche nelle principali città, non la ha nelle campagne; i contadini gli sono contrari per la massima parte; essi hanno conservato riverenza ed affetto per Kossuth, a cui sono legati non solo da sentimentali ricordanze, ma pure anche e più essenzialmente da un interesse materiale di non lieve importanza. Infatti la Carta Governativa creata dal Governo di Kossuth fu dichiarata senza valore dal Governo Imperiale, dopo la sua vittoria sulla rivoluzione, e· bruciata per la massima parte nelle città, ritirandola coll'intimidazione dai suoi detentori; ma presso i contadini tale operazione non riuscì; essi conservarono la carta che era fra le loro mani, e la nascosero nella speranza venisse il giorno in cui riacquistasse il suo valore.

Quanto sia questa carta ancora esistente nelle campagne il Governo nol conosce con precisione; sa però che essa rappresenta una somma non indifferente e quindi di un interesse abbastanza rilevante pei suoi detentori. Conseguentemente è naturale che il ritorno in iscena di Kossuth nel momento attuale, sia un pericolo più grave di quanto potrebbe apparire, una nuova complicazione.

Non ho d'uopo di dire all'E. V. che nelle mie conversazioni tanto col Conte Andrassy, come cogli uomini politici coi quali mi trovo in relazione, non trascuro mai occasione di porgere le più positive assi·curazioni dei simpatici sentimenti dell'Italia per l'Austria Ungheria, del suo vivo desiderio di stringere sempre maggiormente gli amichevoli legami fra i due paesi, di rassicurare insomma in ogni miglior modo l'opinione pubblica a nostro riguardo. Ho però creduto opportuno rappresentare all'E. V. l'esistente stato di cose, a mio avviso, a noi favorevole, poiché esso ci assicura della impossibilità in cui questo paese si trova di prestare orecchio agli eccitamenti che potrebbero venirgli dalla Francia onde associarlo alla sua azione ostile contro di noi nelle quistioni aventi tratto ai sedicenti interessi della Cattolicità a Roma. L'Austria Ungheria, ha, più che mai, supremo bisogno di non avere l'Italia ostile: da parte sua quindi non abbiamo a temere un'ingerenza negli affari nostri, che associata a quella che per avventura altra potenza vorrebbe esercitare, potrebbe pure darci noja. Nella quistione adunque delle Corporazioni Religiose, che parmi sii per essere posta fra breve sul tappeto, è mio parere il Governo non abbia a soverchiamente preoccuparsi dei desiderj ed apprezzamenti già espressi dall'Austria, e che nuovamente, più per la forma che per altro, non mancherà di riesprimere. Usando in tale circostanza le maggiori forme di ·cortesia con questo Governo, non nascondendogli i nostri intendimenti, dandogli il mezzo di tranquillare la coscienza del Sovrano, potendogli mostrare l'interessamento preso alla quistione dal suo Governo, ed il buon volere pure del Governo Italiano, limitato solo da ineluttabili esigenze, anche questo fatto compiuto sarà accettato senza che le cordiali relazioni esistenti tra i due Stati abbiano a soffrirne.

(l) Non pubblicato.

415

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Vienna, 21 marzo 1872.

Vi scrivo in fretta poche righe, poichè il tempo mi manca per scrivervi più lungamente, salvo di ritardar la partenza del ·corriere Longo giuntomi ieri sera da Berlino con raccomandazione di farlo tosto proseguire. Ho visto testè il Conte Andrassy; incidentalmente in una conversazione che avrò occasione altra volta di narrarvi, egli mi disse che l'Arciduca Giovanni il più giovane dei figli del defunto ex Gran Duca di Toscana Leopoldo II, il quale trovasi attualmente imbarcato, facendo un viaggio d'istruzione deve recarsi a Napoli, e poscia a Roma visitandovi coll'assenso dell'Imperatore, S. M. il Re nonchè il Principe Umberto. Egli ha però per istruzione se S. M. si trova a Roma di far la prima visita al Santo Padre.

Ho creduto opportuno d'informarvi immediatamente della cosa, sembrandomi non senz'importanza la venuta in Italia di un principe della dinastia che già regnava in Toscana, e l'omaggio ch'egli ha ordine di far al Re ed alla famiglia Reale. Mi sono astenuto dall'esprimere impressione qualsiasi allorchè il Conte Andrassy parlommi dell'ordine dato al giovane Arciduca di far la prima visita a S. S., ignorando il modo di vedere in proposito del R. Governo, il sistema seguito dagli altri Principi che convennero a Roma dopo ch'essa è capitale d'Italia, e che S. M. vi ha fissato la sua residenza. Se altri Principi hanno praticato lo stesso sistema evidentemente non sarebbe il caso d'annettervi importanza in quest'occasione, e ravviserei sommamente conveniente che il giovan arciduca il quale d'altronde è cugino germano del Re, fosse ricevuto con particolar distinzione, gli si conferisse il Collare dell'Annunziata, e tanto S. M. quanto il Principe Umberto fossero larghi di cortesie verso di lui. Ove poi i Principi esteri che lo precedettero a Roma avessero visitato prima il Re che il Santo Padre, ravviserei sempre opportuno si facesse all'Arciduca cortese accoglienza, astenendosi però da dimostrazioni appariscenti. Potrebbe poi anche darsi il caso che l'Arciduca abbia ricevuto ufficialmente le istruzioni di cui mi si parlò, ma che particolarmente gli si sia raccomandato di trovar modo di recarsi a Roma mentre il Re non vi si trova, e di evitar d'incontrarlo mostrando al tempo stesso rincrescimento che le circostanze non si siano prestate acchè egli potesse ossequiarlo. Questa supposizione la credo abbastanza probabile; essa porge all'lmperatore il mezzo di salvar a suo credere la capra ed i cavoli. Io non vorrei però l'ajutassimo in quest'operazione di salvamento! Se dunque l'Arciduca non trova il mezzo di vedere il Re ed il Principe Umberto, sembrami ,che nè la Corte nè il Governo dovrebbero curarsi di lui, poichè non ci sarebbe della nostra dignità, e d'altronde il male ricadrebbe su chi vorrebbe farcelo a noi, poichè dopo la visita del Principe Federico Carlo in Italia, l'opinione pubblica in Austria vedrebbe molto male che un Arciduca il quale si sarebbe recato a Roma non avesse trovato mezzo di veder S. M. Sarebbemi grato di saper qualche cosa anche per telegrafo della question d'etichetta di cui sopra, onde sapermi regolar pel caso me se ne riparlasse.

La revisione del trattato di navigazione chiesta dalla Francia non fa progressi; Banneville è venuto oggi da Andrassy con nuove concessioni; prima si eccettuava il Mediterraneo, oggi si offre di eccettuar tutti i mari salvo l'Atlantico, insomma si vorebbe· l'emporter à tout prix, ma non si riescirà a niente; l'Austria-Ungheria ne fa una question di principio, e non intende JEar una concessione alla Francia che potrebbe soltanto esser motivata da considerazioni politiche che non hanno ragione d'essere oggi.

Ecco tuttociò che ho da dirvi di più interessante oggi oltre a quanto si contiene nel mio rapporto politico d'oggi pure (1), chiudo in fretta rinnovandovi ...

416

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI

D. 19. Roma, 22 marzo 1872.

Fra i documenti diplomatici che con questo dispaccio le trasmetto ella rimarcherà il rapporto del R. Incaricato d'Affari a Caracas, in data 23 gennaio (2) dal quale risulterebbe non essere le istruzioni del Rappresentante degli Stati Uniti presso al Venezuela favorevoli per gli Affari Italiani quanto ci era stato dato di sperare in seguito alle dichiarazioni amichevoli fatte a V. S. dal Signor Fish ed a me riferite col rapporto 17 settembre ultimo passato (2). Esiste a questo riguardo un equivoco che potrà forse essere chiarito nell'occasione in cui Ella farà allo stesso Signor Fish la comunicazione di cui debbo oggi incaricarla relativamente a quegli affari.

Al qual proposito sarà utile premettere che dalla mia corrispondenza anteriore tanto con codesta Legazione, quanto col R. Rappresentante in Caracas, e con il Ministro di S. M. a Berlino appare in modo evidente la nostra cura di non disgiunger l'azione dell'Italia da quella che secondo le nostre previsioni, il Governo di Washington sarebbe stato tosto o tardi costretto ad esercitare a Caracas per interessi non diversi dai nostri. Quindi ancor che aderissimo alla proposizione della Germania di fare un passo collettivo presso il Venezuela, passo al quale gli Stati Uniti non si associarono, non abbiamo mai cessato di fare di un'intelligenza con il Governo di Washington la base delle trattative le quali sole potevano a nostro credere raggiungere lo scopo da noi desltderato. E siccome in questa nostra opinione ci confermavano i rapporti dell'Incaricato d'Affari in Caracas, così noi potevamo essere sicuri che il nostro concetto troverebbe una applicazione anche nella condotta di quella Gente italiana: di ciò fanno fede i rapporti del Signor Viviani, ch'io raccomando all'attenzione di V. S. segnatamente in quanto si riferiscono alla parte da lui avuta per persuadere

il Signor Pile ad associarsi ai suoi colleghi d'Italia, Germania, Inghilterra, Spagna e Danimarca nella domanda collettiva da farsi al Venezuela per richiamare quel Governo all'osservanza degli obblighi che egli trascura in generale nei suoi rapporti cogli stranieri. Se le istruzioni del Signor Pile non gli permisero di accondiscendere alle istanze del R. Incaricato d'Affari, queste bastano tuttavia a dimostrare con quale animo noi ci siamo adoperati perchè alla domanda collettiva dei cinque Governi europei si unisse anche quella degli Stati Uniti.

Non farà dunque meraviglia a V. E. di sentire che con viva soddisfazione noi abbiamo in questi giorni aderito ad una nuova proposta del Governo Germanico tendente ad invitare gli Stati Uniti a prendere l'incarico di un accomodamento degli affari degli stranieri al Venezuela impegnando il Governo di Washington ad occupare le dogane principali di quello Stato per il pagamento dei creditori che da tanto tempo inutilmente reclamano il loro avere. Le informazioni ricevute a Berlino conformi a quelle che noi stessi abbiamo avute da Caracas, indurrebbero a credere che una proposizione in questo senso sarebbe favorevolmente accolta dal Signor Fish; e noi siamo convinti che in realtà la questione, portata sopra questo terreno, potrà più facilmente essere risoluta a comune vantaggio dei creditori stranieri del Venezuela senza alcuna distinzione, siano essi americani od europei.

Un'altra circostanza che certamente non può sfuggire all'attenzione di V. S. è questa che noi, scevrando sempre in queste questioni la parte che tocca alla politica le manteniamo nei loro veri limiti, e conserviamo così un'assoluta libertà nella scelta delle vie che possono condurre a vantaggiose transazioni e ad utili accomodamenti. Questi infatti non potrebbero mai avere un carattere diverso da quello che noi dichiariamo di attribuire alle vertenze sulle quali importa di venire ad aggiustamento.

Per tutte queste considerazioni io non credo di dover esitare ad invitare

V. S. a prendere col rappresentante della Germania a Washington gli opportuni concerti per fare insieme a lui la proposta sopra riferita. Spero che il Gabinetto di Washington sarà per accoglierla favorevolmente ed intanto curerò che dal canto suo il rappresentante italiano a Caracas contribuisca nèl miglior modo possibile a metterla in esecuzione. Le istruzioni che egli riceverà gli prescriveranno non solamente di intendersi con il Signor Pile per tutto ciò che riguarda l'affare dei crediti italiani verso il Venezuela, ma anche di astenersi fino a nuovo avviso da qualunque passo che possa pregiudicare l'esecuzione del progetto al quale la proposta che noi facciamo agli Stati Uniti si riferisce. Per effetto di tali istruzioni rimarrà così escluso in modo assoluto persino il pensiero che ha potuto essere manifestato nelle private conversazioni del R. Rappresentante con il suo Collega degli Stati Uniti, ma che non sarebbe mai stato accolto con favore dal Governo italiano.

Avendo io con questo dispaccio messo V. S. in grado di fare presso il Signor Fish dei passi che spero saranno decisivi per la risoluzione delle nostre vertenze con il Venezuela, aspetterò ora di essere da Lei informato di quanto in proposito Ella avrà potuto ottenere.

(l) -Cfr. n. 414. (2) -Non pubblicato.
417

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1822. Parigi, 23 marzo 1872 (per. il 26).

Nella seduta dell'Assemblea Nazionale di jeri, la questione della discussione sulle petizioni in favore del Papa fu messa in campo sulla domanda di Monsignor Dupanloup, e dopo un breve discorso del Signor Thiers ed un altro egualmente breve discorso del vescovo d'Orléans essa fu risolta nel senso d'un aggiornamento indefinito.

Stimo utile il riferire qui testualmente le parole pronunziate dal Presidente della Repubblica e quelle di Monsignor Dupanloup. II Signor Thiers disse:

• Devo ringraziare Monsignor Vescovo d'Orléans d'avermi ceduta la parola alla quale egli aveva un diritto anteriore al mio; ma era facile indovinare l'intenzione colla quale egli domandava la parola ed io pensai che forse precedendolo su questa tribuna risponderei alla sua intenzione senza compromettere in nessuna guisa gl'interessi che gli sono cari e gl'interessi dello Stato che non gli sono meno cari che quelli della Chiesa.

Signori, il Governo ha preso innanzi a voi l'impegno di accettare questa discussione allorquando essa venisse a presentarsi. Quest'impegno, esso è pronto a tenerlo. Ma esso pensa che vi sarà forse utile di conoscere il suo pensiero sull'opportunità di tale discussione. Noi riflettiamo a questa discussione da più settimane e non dobbiamo dissimularvi che per gl'interessi stessi che voi tutti volete servire, il Governo teme questa discussione. Egli non ha certo nulla a nascondere in tale argomento. Egli vi fece conoscere l'anno scorso la sua politica; egli vi persiste. Da un Iato, la causa dell'indipendenza della S. Sede, del Capo augusto della Chiesa cattolica, gli è cara: egli l'ha difesa, egli la difenderà sempre. Ma vi è una causa che non gli è meno -cara, ch'è cara ugualmente a voi, ed è quella dello Stato. Io ve lo dichiaro in tutta sineerità, Signori, nelle circostanze attuali le discussioni che tratterebbesi d'affrontare avrebbero per la politica della Francia inconvenienti positivi ed io affermo che per la causa dell'indipendenza della S. Sede esse non avrebbero nessun vantaggio. Fidate nelle nostre opinioni conosciute, fidate nel mio passato, e forse avrete a congratularvi più per la fiducia che vi piacerà accordarci che non avreste a rallegrarvi di discussioni indubbiamente interessanti, ma nelle attuali circostanze affatto inopportune •.

Monsignor Dupanloup parlò in seguito come segue:

• Signori, io montava a questa tribuna quando il Presidente della Repubblica manifestò il desiderio di prendere la parola; io vi montava per domandarvi di voler mettere nel vostro ordine del giorno di domani la lettura e l'esame delle relazioni sulle petizioni relative al S. Padre. E v'erano gravi e serie ragioni per farlo.

Volgeranno domani cinque settimane dacchè nessun rapporto di petizioni vi fu fatto, benchè il vostro regolamento domandi che si dia alle petizioni un giorno ogni settimana; e bisogna aggiungere che tra le petizioni che aspettano ve ne sono, come quelle di cui qui trattasi, che appartengono ad un ordine e ad un interesse più elevato i quali non ammettono l'indifferenza. Non è il ·caso ch'io domandi al Presidente della Repubblica più precisione nelle dichiarazioni ch'egli credette doverci fare; so nella situazione dolorosa in cui siamo quali riguardi sieno dovuti agli imbarazzi segreti e più o meno penosi d'un Governo. So anzitutto quale rispetto meritino le sventure della Francia. Non può venire nel mio pensiero, -e me lo rimprovererei, -di aggravare le sue tristezze facendole troppo sentire la sua impotenza.

In presenza delle dichiarazioni del Presidente della Repubblica e in presenza delle disposizioni che sembra aver mostrate l'Assemblea, io quindi non insisto per respingere un aggiornamento che più d'ogni altro io rammarico, ma che, vi confido, lascia intatti il diritto dei firmatari delle petizioni ed i sentimenti di coloro i quali non potendo recare soccorso ad auguste sventure vogliono per lo meno rivendicare il diritto di attestare ch'essi vi compatiscono, e lascia intatti eziandio gl'interessi ed i diritti imprescindibili della

S. Sede.

Non mi è d'altronde in nessuna guisa difficile a mettere qui d'accordo i miei sentimenti di vescovo ed i miei sentimenti di Francese, imperocchè da lungo tempo, da oltre dodici anni, io ho questa convinzione (e lo dissi a voce abbastanza alta per poterlo ridire, e le di·chiarazioni benchè velate del Presidente della Repubblica non fecero che renderla più profonda), io ho questa convinzione che la politica che fu si fatale al Papa fu in pari tempo fatale alla Francia. Possa Dio darci giorni migliori e nella fermezza, nella saviezza e nell'onestà d'una politica migliore permetterei di difendere efficacemente e di rilevare come conviene alla Francia interessi sì cari e sì sacri •.

Dopo un tentativo inutile del Generale Du Tempie per continuare la discussione, l'aggiornamento senza indicazione di termine fu adottato e l'incidente fu chiuso.

Lasciando in disparte le cose dette da Monsignor Dupanloup le quali non hanno per noi che un valore relativo, rimane ad esaminare il discorso del Presidente della Repubblica. Il Signor Thiers in sostanza si riferì alle dichiarazioni da lui fatte in non dissimile circostanza dinanzi all'Assemblea nella state scorsa, e le confermò senza ripeterle. Il Governo francese, secondo le parole del Presidente della Repubblica, è tenero della indipendenza della S. Sede e del Pontefice; l'ha difesa e la difenderà. Ma le discussioni sulle petizioni sono ora inopportune, ed esse potrebbero avere inconvenienti reali per la politica della Francia, senza essere di vantaggio alla causa dell'indipendenza della S. Sede. Si abbia confidenza nelle opinioni ben note del Governo francese, nel passato del Presidente della Repubblica, e si avrà luogo forse ad essere più soddisfatti di questa confidenza che non di discussioni, senza dubbio interessanti, ma ora intieramente inopportune.

Sarebbe stato molto desiderabile, nell'interesse delle relazioni dei due Governi d'Italia e di Francia, che il Capo della Repubblica francese avesse scelto questa occasione per meglio accentuare la sua politica di acquiescenza ai fatti compiuti ed avesse risolutamente tolto di mezzo ogni appiglio a future controversie e discussioni su questo argomento. Ma nello stato presente delle

cose in Francia, nell'attuale turbamento degli spiriti in questo paese, e soprattutto considerata la composizione dell'attuale Assemblea nazionale ed il carattere personale del Presidente della Repubblica, una soluzione più radicale e più conforme all'equità nonchè ai veri interessi della Francia e della stessa Sede apostolica, non era da sperarsi e non è. Certamente chi volesse trarre dal discorso del Signor Thiers le ultime conseguenze logiche delle sue parole, verrebbe a conchiudere ora, come già nella state scorsa, che se fosse stato in potere del Signor Thiers l'impedire l'unificazione dell'Italia e la caduta del potere temporale, l'avrebbe fatto, e Io farebbe ancora se lo potesse senza rischio per la Francia.

Prese quindi assolutamente e letteralmente, le dichiarazioni del Presidente della Repubblica potrebbero costituire un fatto tale da chiamare fin d'ora sulle sue possibili conseguenze future tutta l'attenzione del Governo del Re. Ma in primo luogo è da notare che lo stesso Signor Thiers insistendo sull'interesse che il suo Governo porta all'indipendenza della S. Sede e del Papa, evitò con cura di far menzione del potere temporale. Questa distinzione ha un'importanza che certo non sfugge all'E. V. Noi non abbiamo mai contestato alla Francia il diritto d'interessarsi all'indipendenza della S. Sede e del Papa. Il Governo del Re porta a quest'indipendenza un eguale interesse e vi ha largamente provveduto. Ma il Governo del Re non ammette che quest'indipendenza debba consistere in un potere temporale irrevocabilmente scomparso. In secondo luogo, per giudicare le conseguenze pratiche delle dichiarazioni del Signor Thiers, è necessario di non perdere di vista la composizione attuale dell'Assemblea, quella dello stesso Governo francese, ed infine lo stato della pubblica opinione in Francia. La maggioranza dell'Assemblea, quale risultò da elezioni fatte in circostanze affatto eccezionali ed in presenza di eventi che sono ancora presenti allo spirito di ognuno, non rappresenta certamente la maggioranza dell'opinione pubblica francese. La maggioranza dell'Assemblea ha in fondo tendenze clericali. L'opinione pubblica del paese non è in maggioranza clericale. In seno allo stesso Governo, le opinioni su questa questione sono ben !ungi dall'essere conformi. A canto al Signor Thiers, favorevole per antiche convinzioni politiche al potere temporale, siede il Signor di Remusat che non può certo accusarsi di clericalismo. Il Governo della Francia versa in uno stato assolutamente provvisorio. In tale condizione esso non può fino ad un certo punto prendere impegni definitivi, e se li prendesse, il Governo futuro, quale che potesse essere, non si stimerebbe probabilmente legato da essi più di quanto il Governo presente si stimi legato dall'operato del Governo della difesa nazionale.

Sottometto queste considerazioni al ponderato giudizio dell'E. V., non senza avvertire che l'aggiornamento delle petizioni votato jeri è qui considerato come una soddisfazione data all'opinione liberale, e ch'esso avrà probabilmente per effetto di diminuire l'agitazione che si fece negli scorsi giorni nella stampa di Francia e d'Italia a scapito della buona intelligenza delle due nazioni.

Noterò qui di passaggio che fu parlato negli scorsi giorni di una lettera che il Signor Thiers avrebbe avuto occasione di dirigere al Papa e nella quale il Presidente della Repubblica esprimeva l'avviso che non convenisse al Pon

tefice di lasciare Roma, ma che ove si decidesse a questo passo e si risolvesse di venire in Francia, vi troverebbe ospitalità e rispetto. Il Signor di Remusat che interrogai in proposito nell'ultima udienza, mi disse che ignorava l'esistenza d'una tale lettera. Ma la cosa mi è stata affermata abbastanza perchè io creda utile d'accennarla per ogni buon fine all'E. V.

418

IL MINISTRO A BRUXELLES, BLANC, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 35. Bruxelles, 23 marzo 1872 (per. il 28).

J'ai l'honneur d'envoyer à V. E. le compte-rendu de la séance du Sénat d'hier, où ont été discutées les allocations du budget des Affaires Etrangères pour les deux Légations de Belgique à Rome.

En rapprochant les déclarations faites dans cette séance par le Ministère et ses amis, du langage qu'ils avaient tenu dans la Chambre des Représentants sur le meme sujet, V. E. constatera qu'après avoir annoncé que M. Solvyns prendra un congé, ils ont motivé le maintien du Ministre de Belgique auprès de S. M. par des raisons empruntées à la nécessité de la protection des sujets Belges, et non point, ·comme il eut été si nature!, aux rapports d'amitié existants entre les deux pays.

A l'égard du maintien du Ministre Beige auprès du Saint Père, ce n'est point sur le caractère souverain reconnu par la loi des garanties au chef de la Catholicité que les orateurs du Gouvernement ont appuyé la résolution du Ministère; c'est en faisant les allusions les moins cachées aux incertitudes de l'avenir, et en considérant le Roi d'Italie comme un conquérant suivi par les diplomates sur les territoires actuellement occupés par lui, que les Ministres eux memes ont déclaré n'avoir rien à changer dans la représentation Beige auprès du Saint-Siège.

Je ne mentionnerai pas les paroles injurieuses prononcées par un des membres de la droite contre la personne de Notre Auguste Souverain. A défaut du Ministère, qui est resté muet, le Prince de Ligne, qui présidait, rappela énergiquement l'orateur aux sentiments des convenances, et j'eus l'occasion le soir, chez le Prince, de lui en exprimer mes félicitations.

Je ne veux point exagérer l'importance des satisfactions de mots que le Ministère donne au parti ultramontain. A défaut d'instructions spéciales de

V. E., je m'abstiendrai en voie officielle de toute observation à ce propos.

Cependant je ne crois pas devoir cacher ici l'impression qu'on en ressentira nécessairement en Italie. La Belgique a eu l'honneur d'inaugurer la première sur notre continent ces rapports normaux de l'Eglise et de l'Etat qui répondent aux besoins de la foi comme à ceux de la liberté. Petit pays neutre, elle n'est pas appelée à une politique active; mais elle pourrait exercer une influence bienfaisante et pacificatrice dont le monde lui serait reconnaissant, si, conformant son attitude extérieure à l'esprit de ses institutions, elle ne mon

trait aucune faiblesse envers les passions politiques d'un autre age, qui viennent compliquer si dangereusement la situation des intérets conservateurs en Europe. Il est étrange de rencontrer des Catholiques Belges à còté des révolutionnaires de l'Internationale, dans les attaques dirigés contre des Monarchies qui se fondent sur l'ordre, la légalité, la liberté de conscience. Il est facheux qu'au lieu de s'occuper des graves questions que soulève pratiquement dans le pays voisins la direction d'idées qui a prévalu dans l'Eglise Romaine, certains Catholiques Belges ne sachent que faire des vreux pour des bouleversements politiques dont les résultats ne seraient certes pas à leur avantage. Quant au Ministère Beige, c'est à lui de voir ce qu'il gagne à éviter d'éclairer ses amis, de peur de les froisser, et a se dérober à la tàche utile que lui assignerait sa situation, auprès du Gouvernement du Roi dont les dispositions se sont montrées si conciliantes, et auprès du St. Siège dont les amis les plus éclairés ne sauraient mieux montrer leur dévouement que par une courageuse sincérité.

419

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AD ALESSANDRIA D'EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 176. n Cairo, 23 marzo 1872 (per. il 30).

Giorni sono Nubar Pascià venne da parte del Vicerè e mi lesse un paragrafo di una lettera ricevuta da Parigi di persona loro confidente, la quale preveniva S. A. che tra il R. Governo e quello di Parigi si erano aperte negoziazioni per regolare la riforma giudiziaria in Egitto su basi assai differenti di quelle stabilite dalla Commissione riunita al Cairo. Nubar sogg:iunse essere il Vicerè molto allarmato che tale notizia potesse avere un fondo di vero, quando per le tante prove segnalate di benevolo ed intelligente concorso per parte del

R. Governo, egli lo ritiene come il suo principale sostegno per riuscire nella tanto desiderata riforma.

Non potetti trattenermi di rispondergli che io credeva del tutto inesatta

quella notizia, tanto nuova per me che per essi, ma non potetti impegnarmi a

dare delle assicurazioni. Egli insistette perchè volessi per telegrafo pregare

l'E. V. in nome del Vicerè di fargli sapere se realmente si erano aperte le

negoziazioni annunciate, e credetti aderire a tale dimanda.

La risposta telegrafica che l'E. V. si è benignata mandarmi (l) ha fatto

cessare ogni apprensione, ed il Vicerè personalmente mi ha incaricato rivol

gerne a V. E. i più vivi ringraziamenti.

È doloroso di veder rimasta stazionaria in Costantinopoli la quistione della riforma. Alle sollecitazioni di S. A. di ottenere l'autorizzazione di attuarla, sola formalità che si esigeva, si continua a rispondere con benevole assicurazioni che sarà accordata, ma intanto per questa stessa speranza di riescita, la posizione delle cose va sempre peggiorando. E se una certa pressione delle Potenze non si esercita è molto a temersi per l'esito di una riforma reclamata or molto più dagli interessi stranieri che dagli indigeni.

(l) Cfr. n, 413.

420

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE AD ALESSANDRIA D'EGITTO, G. DE MARTINO

D. 57. Roma, 24 marzo 1872.

Al telegramma con il quale V. S. mi segnalava l'inquietudine provata da

S. A. il Khedive alla notizia di supposte trattative fra l'Italia e la Francia per proporre nuove basi alla riforma giudiziaria dell'Egitto, io ho risposto con il dispa•ccio telegrafico del giorno 20 corrente (1). E così V. S. si sarà trovata in grado, assai prima di ricevere questo dispaccio, di smentire completamente la sovra enunciata notizia.

La riforma giudiziaria dell'Egitto rimane per l'Italia un desiderio al compimento del quale ella sa come e quanto si sia dal R. Governo contribuito. Nel mio dispaccio del 31 dicembre 1871 (2) riassumendo l'opinione del Governo di S. M. intorno a quelle riforme, io mi sono espresso in un modo ad esso favorevole, alla condizione soltanto che l'opera riformatrice riesca completa, perchè allora solamente sarà efficace.

Non posso far altro che riferirmi a quel mio dispaccio che deve continuare a servirle di norma per il linguaggio da tenere relativamente all'affare in discorso.

Il Governo italiano non ebbe occasione in questi ultimi mesi di scambiare alcuna comunicazione con altri Gabinetti circa l'importante quistione di cui ora la trattengo. Non mi sono dunque note le intenzioni del Governo attuale di Francia. Potrei però arguire ·che esso non sia sfavorevole alla riforma giudiziaria in Egitto dalla circostanza che, in occasione delle trattative tutt'ora in corso per istabilire i limiti della giurisdizione dei Consolati esteri nel territorio di Tripoli di Barberia, il Gabinetto di Versailles parve disposto a voler far risultare da documenti ufficiali che l'accomodamento, accettato dalle potenze per Tripoli non poteva pregiudicare la riforma egiziana, sulla quale pendono negoziati, e per la quale aggiungeremo noi, esistono, almeno da parte dell'Egitto, degli impegni positivi. Ed affinchè V. S. possa meglio comprendere il valore delle riserve, occorse circa l'Egitto nelle trattative concernenti Tripoli, le comunico alcuni documenti che si riferiscono a quest'ultimo negoziato. Avverto però V. S. che si tratta di un affare tuttora pendente e per il quale sono di rigore una grande discrezione e molta riservatezza.

(l) -Cfr. n. 413. (2) -Cfr. n. 278.
421

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 94. Madrid, 24 marzo 1872 (per. il 29).

Depuis deux jours les correspondances étrangères, aussi bien que la presse espagnole, ne parlent que d'une alliance conclue entre l'!talie et l'Allemagne et dont une des conséquences serait de s'occuper d'une manière active des affaires de l'Espagne soit en maintenant contre le résultat des élections, et meme par un coup d'état, le Roi Amédée, soit, si Sa Majesté ne voulait absolument plus occuper le tròne, en Lui substituant le Prince Frédéric Charles ou le Prince Hohenzollern.

Le Journal El Debate, feuille sémi-officielle, nie de la manière la plus catégorique toute espèce de projets de ce genre; mais il n'en est pas moins vrai que ces rumeurs, coincidant avec la présence d'officiers prussiens dans les Pyrénées, dont il paraissent étudier les passages militaires, ont produit dans le public une profonde impression qui se reflet d'une manière très nette dans les différents articles ci-joints (1).

422

IL MINISTRO A BRUXELLES, BLANC, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 36. Bruxelles, 25 marzo 1872 (per. il 28).

Le Gouvernement du Roi, fort de sa modération, peut laisser passer sans y attacher de gravité les expressions plus ou moins correctes des opinions ultramontaines, et avoir meme égard à l'embarras où se trouvent les catholiques au pouvoir vis-à-vis des excès de langage de leurs amis. Mais ce n'en est pas moins un devoir pour le Ministre de S. M. de faire en sorte que personne ne puisse prendre notre longanimité pour de l'indifférence ou de la faiblesse.

J'ai donc cru devoir me prévaloir de mes bonnes relations personnelles avec les hommes du Gouvernement pour témoigner avec une entière franchise mes impressions de la séance du Sénat du 22. J'ai dit à M. D'Aspremont Lynden que j'avais ignoré jusqu'à ce jour que la Mission de M. de Solvyns n'eut pour but que la protection des nationaux Belges, comme il semblait d'après les discours ministériels; que pour ma part ma mission ne se bornait pas à cet office, rempli ordinairement par des Chargés d'Affaires à défaut des Chefs de Mission; que j'avais surtout à coeur, selon les intentions du Gouvernement du Roi mon Maitre, d'entretenir des rapports amicaux entre les deux Pays et les deux Maisons Royales, et que je regrettais personnellement, à ce point de vue, que les outrages à la personne de S. M. eussent été insuffisamment réprimés, et que le maintien meme d'un Ministre Beige près de Sa Saintété si naturellement

justifiable par la situation souveraine du Pontife, eiìt été présenté comme une mesure de prévoyance pour des éventualités qui changeraient l'ordre de choses actuel.

Le Comte D'Aspremont Lynden s'attacha à me représenter qu'il aurait protesté contre le langage du Sénateur Casier si le Prince de Ligne n'eiìt rempli cet office: qu'il n'avait laissé aucun doute sur les ordres donnés à M. De Solvyns de suivre le Roi à Rome; qu'il avait entendu rendre justice à la politique Italienne en parlant des députations Catholiques qui se rendent auprès du St. Père avec tant de liberté et de sécurité; et il me pria de tenir compte de la situation où se trouve le Ministère vis-à-vis de certaines exagérations de ses partisans, qui lui créent, me dit-il, plus de difficultés que les attaques memes des libéraux.

Je fis observer alors au Comte d'Aspremont que la tolérance du Gouvernement envers les excès des passions dans son propre parti pouvait encourager ces memes excès au de là de toutes les limites supportables. J'en fis juge le Comte D'Aspremont lui meme en lui demandant ce qu'il pensait d'un article de la Gazette Catholique du Limbourg que je lui mis sous les yeux, en lui disant expressément que je dédagnais de lui faire à cet égard une demande quelconque de répression, m'en rapportant aux lois qui punissent en Belgique de telles infamies et dont l'application est du ressort du Ministère de la Justice.

Le Comte D'Aspremont Lynden parcourant cet imprimé me témoigna dans les termes les plus énergiques de l'indignation qu'il en ressentait, et me déclara qu'il s'entendrait ce soir avec son collègue de la Justice pour en faire demain une délibération en Conseil.

(l) Non pubblicati.

423

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 976. Berlino, 25 marzo 1872 (per. il 31).

J'ai demandé aujourd'hui au Secrétaire d'Etat s'il avait des renseignements sur l'accueil qui aurait été fait par l'Angleterre, l'Espagne, etc., à la circulaire par la quelle, le Cabinet de Berlin, conformément à notre manière de voir, proposait une entente à l'effet de s'en remettre au Gouvernement de Washington pour une solution de l'affaire de Venezuela.

M. de Thile n'a pas été à mème de me donner une réponse sur ce point. Tout en répétant ce qu'il m'avait dit précédemment (dépeche N. 972) (l) il m'informait qu'une nouvelle complication venait de surgir. M. Rascon avait reçu l'avis que le Gouvernement de Venezuela avait intimé au chargé d'Affaires d'Espagne l'ordre de quitter le territoire de la République.

M. de Rascon m'a confirmé le fait, en me laissant entendre que, d'après son avis, il ne serait pas improbable que l'Espagne fil.t bientot obligée de prendre une position plus accentuée, car elle était engagée plus que les autres

31 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

Puissances à demander satisfaction. Pour le moment cependant on se bornerait peut-etre à l'envoi de quelques bàtiments de guerre dans ces parages pour la surveillance des còtes d'où partent des flibustiers pour l'ìle de Cuba. Le Cabinet de Madrid avant d'aller plus loin dans ses démonstrations attendrait encore de connaitre les véritables dispositions des Etats-Unis en suite des démarches de tierces Puissances.

M. de Rascon se montrait au reste peu satisfait des fluctuations dans l'attitude du Cabinet de Berlin jetant d'abord feu et fiamme, menaçant de faire lui-meme une expédition, y poussant en suite les autres, et maintenant s'abritant en quelque sorte derrière les Etats-Unis.

S'il en est ainsi, nous devons procéder avec beaucoup de circonspection dans notre marche combinée avec celle de ce Gouvernement dans cette question pour lui secondaire et subordonnée à des considérations touchant à la politique générale.

(l) Non pubblicato.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 978. Berlino, 25 marzo 1872 (per. il 31).

Je me suis de nouveau convaincu, dans mon entretien d'aujourd'hui avec le Secrétaire d'Etat, que les déclarations pacifiques de M. Thiers n'étaient accueillies ici, que sous bénéfice d'inventaire. Le Président de la République a une singulière façon de prouver sa politique de conciliation. Il jure ses grands Dieux qu'il n'a aucune arrière-pensée belliqueuse, mais il parle en meme temps de l'armée française, en voie de réorganisation, avec un enthousiasme sous lequel on serait tenté de découvrir une menace quand les conjonctures seraient plus propices. Si le Cabinet de Versailles ne visait qu'à réparer ses désastres à l'intérieur et à satisfaire à ses dettes vis-à-vis du vainqueur, il ne s'exposerait pas à épuiser toujours plus les ressources de la France, par un budget militaire au delà de toute proportion. Heureusement, sous ce rapport, sa faiblesse ne lui permettra de faire la guerre, ni aujourd'hui, ni demain. D'ailleurs l'Allemagne fait bonne garde.

M. de Thile m'a parlé du caractère fantaisiste des nouvelles propagées par la presse parisienne, à propos du voyage en Italie du Prince Frédéric-Charles, auquel, S. E. se plaisait à le constater, nous avions accordé une si large hospitalité, sur terre et sur mer. Ces nouvelles avaient cependant produit quelque impression sur l'esprit de M. de Rémusat. Ce Ministre, sans interpeller le Chargé d'Affaires de l'Empire, y avait fait quelque allusion. Le Comte de Wesdehlen s'était empressé de répondre qu'il n'avait reçu aucune instruction pour régler son langage, mais qu'il avait lieu de croire que le voyage de S.A.R. ne cachait aucun but politique, langage dont M. de Rémusat a semblé se montrer satisfait.

Parmi les combinaisons que des journaux français s'ingéniaient à échafauder sur le séjour en Italie du Prince Frédéric-Charles, on a été jusqu'à soulever une hypothèse, d'après laquelle S.A.R. serait appelée à succéder en Espagne au Roi Amédée. Notre Auguste Souverain, effrayé des dangers que court son Fils, ne serait pas éloigné de se prèter à une semblable combinaison. Ces correspondances paraissent datées d'une maison de fous. Nul doute que le Roi Amédée ne reculera pas devant les difficultés que des partis ingouvernables multiplient sur sa route. Il faut espérer aussi que le bon sens de la nation espagnole l'aidera à triompher des intrigues des prétendants et autres. Mais, si le Souverain actuel devait succomber dans cette lutte, il ne serait nullement impossible de voir renaitre une candidature Hohenzollern. Il ne faut pas oublier que la Cour de Berlin, en approuvant à la dernière heure le désistement du Prince Léopold, a refusé de déclarer qu'elle n'autoriserait plus à l'avenir le renouvellement de cette candidature. Elle devait, pour cette éventualité comme pour toute autre, se réserver la faculté de consulter les circonstances. V. E. se souviendra aussi des réponses assez ambigiies qui m'ont été données par le Prince de Bismarck, quand, par un sentiment d'exquise courtoisie, nous mettions le Roi de Prusse en demeure de se prononcer, avant designer l'exeat du Due d'Aoste. C'était là une porte que

M. de Bismarck voulait peut-etre laisser ouverte, camme tant d'autres, pour des combinaisons éventuelles, dans le cas où elles pourraient, ne serait-ce que momentanément, servir ses convenances pour la situation intérieure de l'Allemagne ou pour ses alliances à l'étranger.

Il n'est que trop vrai que dans la haute politique, on fait parfois bon marché des scrupules qui, dans la vie privée, nous détournent d'une mauvaise action. Mais il y a une certaine dose d'honneteté qu'on ne saurait refuser, jusqu'à preuve contraire, meme à un ennemi. Or, le Cabinet de Berlin ne range point parmi nos adversaires, mais nous considère meme camme un allié nature!. On ne saurait donc lui attribuer, dans l'état actuel des choses, le plan de travailler à évincer un des nos Princes du trone d'Espagrie. Je sais d'ailleurs que, non seulement vis-à-vis de moi, mais aussi de M. de Rascon, M. de Thile se plait à témoigner combien son Gouvernement est heureux d'entretenir avec l'Italie et l'Espagne les meilleurs rapports. Aussi, les considérations que je viens d'émettre ne s'appliquent elles qu'au cas où le trone de ce dernier Pays deviendrait vacant, et où il conviendrait alors à l'Allemagne de chercher à jeter son dévolu sur cette couronne.

Je confie mon expédition de ce jour à M. le Marquis Torrigiani, qui part demain en congé pour Florence.

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IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 67. Vienna, 25 marzo 1872 (per. il 31).

Ravvisando possa riuscire di qualche interesse all'E. V. la relazione di una conversazione da me avuta giovedì scorso incidentalmente col Ministro degli Affari Esteri, la quale ha tratto in modo generale alle relazioni fra l'Austria e l'Italia, pregiomi riferirla il più esattamente che mi riesce possibile.

Il Conte Andrassy che io interpellava sulla attendibilità delle voci che corrono intorno alla nomina di un nuovo ambasciatore Imperiale e Reale presso al Santo Padre, rispondevami nulla esservi di deciso in proposito, tenere però ad assicurarmi che ove un Ambasciatore fosse nominato, tanto la scelta della persona quanto le istruzioni che gli si darebbero porterebbero l'impronta dei sentimenti cosi altamente amichevoli che legano l'Austria Ungheria all'Italia.

c Il nostro Inviato al Vaticano • soggiunsemi molto accentuatamente c ha ed avrà sempre per istruzione ben precisa di non ingenerare nell'animo del Santo Padre illusioni di sorta di possibile appoggio del suo Governo.

c Ne sono pienamente persuaso •, gli risposi tosto, c perché l'alimentare tali illusioni non può in modo alcuno tornare vantaggioso all'Austria, le speranze che s'ingenererebbero nell'animo della Corte del Vaticano essendo troppo evidentemente irrealizzabili, e ciò nondimeno di natura a produrre conseguenze che non possono se non creare imbarazzi e complicazioni al Governo che le alimenterebbe •.

c Avete perfettamente ragione •, risposemi il Conte Andrassy, c ma ciò nondimeno tengo ad assicurarvi, come lo feci, in modo ben preciso di questi nostri intendimenti, soggiungendovi ancora che essi non sono la conseguenza del fatto accidentale che a capo del Gabinetto di Vienna vi sii il Conte Beust o me, come ben mi accorgo si crede in Italia, dove si pensa e si dice che non si può contare sopra l'Austria poiché da un momento all'altro può succedere un cambiamento di scena che porti al potere uomini avversarj dichiarati dell'unità Italiana, strenui fautori del Papato. c Voi sorridete • dicevami interrompendosi c perché il pensate anche voi •.

c Ultimate il vostro dire • rispondevagli io c vi spiegherò poi la cagione del mio sorriso • .

c Niente di più falso dunque • riprendeva egli c che una tale idea. Prima di tutto l'arrivo al potere di un Leo Thun o di altro personaggio di quel partito è un'impossibilità poiché esso non troverebbe appoggio di sorta nel paese, e la macchina governativa non potrebbe funzionare, l'Imperatore d'altronde non divide per nulla le idee di quei Signori, come provò testé usando dell'alta sua influenza onde impedire a Pest la formazione di un embrione di partito Cattolico che accennava a volersi costituire. L'Italia adunque deve persuadersi che le sue relazioni coll'Austria Ungheria non dipendono né dipenderanno dalla circostanza che l'uno piuttosto che l'altro degli uomini politici di questo paese sia al potere, ma che esse sono invece la conseguenza naturale degli interessi assoluti ed invariabili di questa Monarchia che sempre si imporranno agli uomini che dovranno reggerne le sorti. Dunque perché sorridevate? • conchiuse.

• Sorridevo • risposi io c perché infatti trovo che avete ragione nel giudizio che portate dell'apprezzamento che l'opinione pubblica in Italia fa delle amichevoli relazioni attualmente esistenti fra l'Austria Ungheria e l'Italia; le cose stanno proprio come le giudicate. Non sorridevo però perché io veda le cose a quel modo, no; i miei apprezzamenti sono pienamente conformi ai vostri, e dacché ho potuto acquistare una certa conos·cenza di questo paese non ho mai mancato di ragguagliare il mio Governo e di parlare in ogni circostanza con profondo convincimento, nel senso stesso che voi venite di farlo con me, con

questa aggiunta sola che ho sempre detto ravvisare impossibile la venuta al potere di un Leo Thun, poiché essa avrebbe per conseguenza immediata di trarre il paese nell'abisso, salvo il caso anche per nulla improbabile che il personaggio in questione od altro suo pari venuto al potere per un'imprevedibile circostanza mutasse intieramente programma, e non facesse neppure un ette di tutto ciò che ha detto e giurato sino ad oggi •.

Il Conte Andrassy mostrò di assentire pienamente anche a questa aggiunta mia. Solo dissemi: • Ma come dunque, se vedete le cose a questo modo, perché nel vostro paese non le si giudica del pari? •.

• Devo • risposigli tosto • fare su quest'argomento una distinzione essenziale fra il Governo che vede le cose precisamente come le vedo io, e l'opinione pubblica che le vede diversamente; e dac·ché siamo a parlarci con tutta franchezza, vi dirò anche le ragioni di questo modo di vedere dell'opinione pubblica, la quale non ha poi tutti i torti non potendosi essa addentrare nelle segrete cose, e dovendo formare il suo giudizio più sulle apparenze che sulla realtà. Dacché fu conchiusa la pace fra l'Austria e l'Italia nel 1866, il Governo Austro Ungarico non mancò mai occasione di dar prove del suo sincero desiderio di mantenere amichevoli relazioni coll'Italia, di stringere sempre maggiormente con essa legami di ogni genere; piacemi constatare pure che Sua Maestà l'Imperatore, tanto nei suoi atti come nelle sue parole mostrossi sempre appieno animato dei sentimenti che informavano l'azione del suo Governo, e per mio conto particolare non avrei che parole di riconoscenza a dire parlando della degnazione tutta speciale colla quale si compiacque accogliermi, ed in ogni circostanza che si presentò volle onorarmi dacché sono a Vienna. Non altrimenti saprei parlare dell'Arciduca Alberto e di qualche altro membro della famiglia Imperiale; non tutti però informano la loro condotta a riguardo del Rappresentante dell'Italia agli esempi che vengono loro dati dal Capo della Loro Casa.

È inutile che ritorni sul rifiuto di ricevermi poco garbato nella forma statomi fatto dall'Arciduchessa Sofia, sulla sgarbatissima astensione di risposta che trovò la mia domanda di udienza presso il Padre dell'Imperatore. Queste cose si sanno in Italia e si commentano, dandovi importanza oltre il bisogno, attribuendosi a quei membri della famiglia Imperiale una influenza sull'animo del Sovrano che ben so non esiste. Arciduchi vanno e vengono attraversando l'Italia, e nessuno di essi fino ad oggi sebbene parecchi siano anche legati da stretti vincoli di parentela col Re, ha creduto rompere anche solo momentaneamente lo stretto incognito, e trovar modo di recarsi a fare atti di cortesia presso Sua Maestà il Re. Dovete capire che queste cose sono osservate dal pubblico che non può a meno di stabilire raffronti fra il modo di agire della Corte Austriaca a fronte di quello delle altre Corti amiche che sono poi le Corti tutte d'Europa. Come volete dunque che l'opinione pubblica non abbia a farsi il ragionamento che l'amicizia dell'Austria è conseguenza della politica degli uomini di Stato che siedettero al Governo di quel paese dal 1866 in poi, ma che venendo il giorno in cui essi abbiano a cedere il posto ad altri, le cui tendenze armonizzino con quelle della famiglia Imperiale, un cambiamento di scena completo dovrà succedere, ed i vecchi rancori della casa di AsburgoLorena contro la casa di Savoia e l'Italia risvegliarsi vivi come nel passato •.

A questo quadro da me postogli sott'occhio di circostanze di fatto indiscutibili, il Conte Andrassy non seppe troppo cosa rispondermi. Tentò di scusare gli atti di taluni dei membri della famiglia Imperiale, volle correggere le mie impressioni su altri, mise in rilievo il mutamento abbastanza essenziale in verità, verificatosi già nei circoli aristocratici di questa capitale a riguardo dell'Italia e degli Italiani. La nostra conversazione però avendo durato abbastanza lungamente, poiché evidentemente nel riferirla ho omesso molti particolari di minore importanza e condensato il resto, ci lasciammo promettendoci di riprendere altra volta tale discorso, e riconoscendo egli il mio asserto che, a malgrado tutto il buon volere del Conte Beust e suo, esiste pur sempre fra i due paesi un lieve strato di ghiaccio che sarebbe di reciproco interesse venisse rotto, ma che ciò non può farsi senza il concorso di propizie circostanze che non si devono creare, ma di cui si può coadiuvare il nascimento.

L'impressione lasciata in me da questa conversazione si è che il Conte Andrassy sente più che mai oggi il bisogno di stringersi a noi onde togliere alla Francia qualsiasi speranza di averla compagna nelle sue velleità in favore del Potere Temporale, e rendere così impossibili i suoi conati, la cui troppo naturale conseguenza sarebbe lo stringimento di più intimi diretti legami fra la Prussia e l'Italia, fatto che l'Austria non può prevedere senza serio timore per la sua esistenza, e che appunto per essa in questo momento è argomento di grave preoccupazione.

È mio avviso che un riavvicinamento più marcato ancora dell'Austria verso di noi ci è altamente vantaggioso, poiché la mercé di esso la Francia non può costituire quel fascio delle Potenze Cattoliche che sarebbe nelle sue aspirazioni. Essa si trova più che mai nell'isolamento e nella impotenza di muoversi; a noi dunque maggiore libertà di azione, non necessità di estere alleanze.

Ma questo riavvicinamento dobbiamo !asciarlo fare interamente dall'Austria; è questo il solo mezzo di essere sicuri •che la nostra dignità non verrà mai compromessa, l'unico modo pure anche di far sì che i risultati del riavvicinamento siano duraturi e non effimeri.

Eviterò dunque per conto mio di ritornare su questo argomento, tanto più dopo il recente discorso pronunziato alla Camera dei Signori dal Signor Schmerling, ex Presidente del Consiglio e Presidente della Alta Corte di Giustizia, il quale viene chiaramente a dimostrare che i nemici dell'Italia in Austria non sono soltanto a ricercarsi nel partito capitanato dai Leo Thun e soci. Il telegrafo nel riferire quel discorso ne ha omesso la parte che comprendeva una violenta diatriba contro l'Italia espressione dei sentimenti di quella frazione del partito Cattolico che non fa causa comune coi federalisti, partito che forse è il più simpatico in alto: prova ne sia che il Ministro Unger, il quale si alzò per rispondere al Signor Schmerling, ribatté vigorosamente le a,ccuse lanciate dall'oratore contro la politica interna del Governo, ma credette dover tacere a riguardo degli attacchi direttigli intorno alle cordiali relazioni coll'Italia, e passare sotto silenzio le villanie scagliate contro lo Stato amico; evidentemente onde non dire cose che avrebbero potuto dispiacere al Sovrano e compromettere i rapporti con esso che il Gabinetto ha ogni interesse a conservare (1).

(l) Annotazione marginale: « Comunicato a Sua Maestà 3 aprile •.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 135. Belgrado, 27 marzo 1872 (per. l' 1 aprile).

Sembrami sia trascorso sufficiente spazio di tempo dal giorno in cui la Serbia dichiaravasi col fatto volenterosa ad accogliere e ricercare il sostegno della Russia, fino allora sperato dall'Austria-Ungheria, perchè io possa far constare con bastante certezza le conseguenze che ne risentirono le relazioni di vicinato fra il Principato e l'Impero Austro-Ungarico.

Scrissi che le spiegazioni offerte intorno al viaggio del Principe a Livadia erano state accolte come soddisfacenti: ma ne dovea necessariamente seguire un raffreddamento notevole nelle relazioni personali fra i Signori Reggenti ed il Signor Kallay; e doveano le conseguenze di questo muta~nento influire sulla marcia dei negoziati in pendenza fra i due stati: stavasi trattando, come è noto a V. E., a proposito dell'abolirsi delle capitolazioni ed a proposito della costruzione di un ponte che riunirebbe a Belgrado la sponda sinistra del Danubio e le ferrovie in progetto in ambo i paesi, e della condizione presente dei negoziati scriverò più sotto.

Il Signor Kallay recassi a Vienna e dal suo ritorno in poi, in due mesi e più, non recassi che due volte a visitare i Reggenti, e congedandosi disse loro che se per avventura essi avessero alcuna cosa a comunicargli o di alcuna cosa a richiedere il suo Governo, egli aspetterebbe ciò gli venisse significato.

Nel frattempo i serbi non parvero volersi mantenere troppo rigorosamente in disparte dal malcontento che serpeggia fra i serbi dell'Ungheria: i fogli del Principato, non escluso il foglio ufficiale, non lasciano trascorrere occasione di scrivere cose offensive all'Ungheria e, per ciò che tocca ai fogli serbi che nella Bassa Ungheria alcun tempo fa riunivano alle ingiurie verso il Governo di Pest ingiurie a quello di Belgrado è cosa nota, direi pubblica, che con somme di danaro pagate a Neusatz ed a Gauscova, si trasformò l'ostilità in benevolenza. Poco importa dò all'Ungheria, diceami il Signor Kallay: se quelle gazzette potessero trovare modo più violento di opposizione per piacere al governo serbo, ce ne verrebbe male, ma l'acrimonia fu sempre eccessiva e non può accrescersi. Perchè debbo io, aggiungea, ricercare colloqui coi Signori Reggenti? Se il facessi potrei io tralasciare di fare osservazioni sopra il modo di scrivere dei fogli pubbl.ici? E ciò non credo sia ora conveniente.

Alla crisi parlamentare che intralcia con tanto discapito il progresso degli affari a Pest, corrisponde un accrescimento nel malcontento delle popolazioni serbo-ungheresi: parmi non siavi illusione a questo proposito e riconoscesi che nei comitati serbi le stesse autorità comunitative obbediscono ai cenni dall'• Omladina • e del dottore Miletic: riconoscesi che l'astio l'inimicizia che nutrono i Serbi verso i Magiari ed i tedeschi è giunta all'apice: i serbi rifiutansi persino ad intraprendere affari di commercio e di banca in comune con i non serbi: l'abisso non riempiesi, si allarga e per sicuro il maggior danno che ne venne all'Austria-Ungheria dall'avvicinamento del Principato alla Russia, S'i è questo: che la separazione fra le due quistioni, fra la questione che si agiterà in seno all'Impero Ottomano e quella che si agita nell'Impero Austro-Ungarico divenne meno importante e che in fatto allorquando si va discorrendo di una questione orientale si debba oggidl riconoscere che non la sola Turchia vi è direttamente minacciata.

Il concetto che del Principato si ha ora nelle provincie serbo-ungheresi è a quello simpatico molto e ciò dee attribuirsi alla nuova politica rispetto alla Russia: le facili immaginazioni già parlano colà di un possibile matrimonio del Principe Milano colla Granduchessa Vera: e questa voce è in parte sostenuta dall'intendimento che supponesi nel Principe, e del quale discorresi apertamente di fare una visita lunga alla Corte Russa nel prossimo novembre, approfittandosi di un invito ricevuto a Livadia.

I negoziati intorno alle capitolazioni stanno così: a Vienna fu comunicato un contro progetto serbo nel quale ammettesi il diritto di proprietà agli stranieri, anche non domiciliati in ciò all'opposto di una risoluzione della Scupcina che solamente ai domiciliati vorrebbe concedere simile diritto: non vuolsi tuttavia ammettere, nonostante l'esempio della Rumania, la reciproca esecuzione delle sentenze. Credo aver già scritto che l'Impero Austro-Ungarico non insisteva nella domanda della stipulazione di un cartello per l'estradizione dei disertori.

Furono interrotti i negoziati per la costruzione del ponte destinato a congiungere le ferrovie, sebbene le basi sieno da ambo le parti fisse e consentite: sembra che la Serbia v'abbia data la prova di soverchia diffidenza: dapprima l'Ungheria offriva di costruire da sola quell'opera difficile e costosissima: la Serbia volle addossarsi metà del peso, ma le cose andarono alla lunga per la scelta del luogo; e poi la Serbia domandava si costruissero due ponti, l'uno sulla Sava e l'altro sul Danubio: di più, e fu su questa discussione che s'interruppero le conferenze, la Serbia volle si fissasse un termine per la costruzione della ferrovia sul territorio suo: offrivansi fino a quattro anni ma non valse.

V'è un altro fatto, di non grave natura, ma il quale conferma il concetto che la Serbia sfugge da ogni dimostrazione che potrebbe interpretarsi come atto di buon vicinato, anche talvolta a suo detrimento. Così nel Principato non si pigliò alcun provvedimento finora perchè il nome della Serbia compaia a lato di tutti gli altri stati anche i più piccoli e più lontani all'esposizione universale di Vienna.

L'Austria-Ungheria pare non si dia alcun pensiero della malevolenza di cui gli si dà prova: e non sarebbe assurdo il supporre in quel Governo il calcolo di lasciar accumularsi le ragioni di querela, e l'intendimento di servirsene al momento opportuno, imitando allora il pronto ed efficace modo di procedere che usò la Prussia nel passato a Dresda ed a Hannover.

Non è a dirsi con quale compiacenza il mio collega Signor Chichkine discorre delle difficoltà sempre crescenti dell'Ungheria, non mi ci fermo: ma sebbene oggetto non immediatamente affine a questo dispac·cio, credo non sia senza interesse ch'io scriva a V. E. quale è il linguagg.io suo (al quale per sicuro corrisponde quello degli altri agenti dell'Impero così metodicamente e uniformemente ragguagliati) riflettente le difficoltà che minacciano il trono del principe Carlo di Rumania: il viaggio della Principessa, nell'opinione sua, precorrerebbe la partenza del Principe, il quale, osservava, giungerà presto al termine consueto di sei anni, al di là dei quali fu concesso di regnare nei Principati a nessuno degli Ospodari.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA

D. s. N. Roma, 29 marzo 1872.

Il sottoscritto ringrazia il Ministro dell'Interno delle importanti osservazioni comunicategli colla pregiata nota del 2 corrente (n. 1231 Gab.) (l) in ordine alla circolare diramata dal Governo spagnuolo allo scopo di provocare l'accordo degli stati principali d'Europa circa le misure atte a proteggere la quiete sociale contro le pericolose aggressioni della Internazionale.

Su questo argomento il sottoscritto ebbe già occasione di conoscere le viste del Governo germanico, e poichè egli ritiene che a codesto possa tornare utile d'esser ragguagliato su tale proposito così si pregia di qui riferirgli il sunto delle nozioni raccolte.

Il Governo germanico sarebbe disposto ad intavolare negoziati per stipulare con la Spagna un trattato d'estradizione sulla base di quelli che già possiede cogli altri Stati. Esso ritiene che nella enumerazione dei reati previsti da quei trattati come titoli per domandare l'estradizione, troverebbesi già quanto basta per colpire il maggior numero dei fatti criminosi che potessero scaturire dall'Internazionale. Ammette però che il solo fatto dell'affiliazione a quella società non sarebbe oggidì pel Governo germanico, un titolo sufficiente a concedere l'estradizione, e soggiunge che i negoziati da intraprendersi potrebbero appunto condurre ad esaminare fino a qual punto sarebbe da estendersi l'applicazione dell'obbligo di estradizione ai reati che si riferiscono alle leggi concernenti le associazioni.

Il sottoscritto sarà grato al Ministro dell'Interno se vorrà esprimergli il proprio autorevole avviso sulla importanza pratica che potrebbero avere per l'Italia i concetti svolti dal Governo germanico sull'esposto argomento.

(l) Cfr. n. 382.

428

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, Al MINISTRO A BRUXELLES, BLANC

T. 1821. Roma, 30 marzo 1872, ore 14,40.

J'approuve le langage que vous avez tenu au Ministre des Affaires Etrangères à propos de la séance du Sénat et de l'article de la Gazette de Limbourg. Je vous autorise à le lui faire savoir. Vous pouvez faire remarquer que nous avons poussé notre modération jusqu'à ne pas remarquer le séjour prolongé de M. de Solvyns à Florence. Dites-moi si vous ètes d'avis qu'une attitude plus décidée de notre part servirait la cause du parti libéral en Belgique. Veuillez me dire aussi à quelle époque auront lieu les élections pour le renouvellement partial des Chambres belges.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. 111. Roma, 30 marzo 1872.

Ho ricevuto il suo rapporto del 15 corrente (l) relativo alla quistione del diritto degli stranieri di acquistare e possedere beni stabili in Turchia.

La nota da dirigersi alla S. Porta preparata da codesto Ambasciatore di Russia, e la lettera con la quale Ella fece conoscere al diplomatico imperiale il suo giudizio sovra quell'importante documento, mi hanno permesso di formarmi un criterio abbastanza esatto dello stato presente delle trattative.

Stando nei termini del progetto russo di nota, le difficoltà da risolvere si riassumono in cinque punti: assicurare a tutti indistintamente gli stranieri, da qualunque tempo abbia avuto origine la loro nazionalità, il trattamento che le leggi e le consuetudini assicurano agl'indigeni i più favoriti; mantenere i principì del diritto internazionale relativamente allo statuto personale dello straniero in quanto questo statuto può riferirsi all'esercizio del diritto di proprietà, e più particolarmente in ciò che riguarda la tutela, la maggiore età e la facoltà di testare; determinare che la successione dello straniero si aprirà davanti l'autorità consolare e sarà liquidata regolata e divisa, conformemente alla legislazione del paese al quale il defunto apparteneva, e riservare il concorso dell'autorità ottomana in certe forme determinate, per il caso soltanto in cui nella successione si trovassero dei beni Vakouff; estendere le stesse norme che regolerebbero le successioni, ai casi di fallimento e di vendita forzata; specificare per ultimo che, se in ragione della proprietà immobiliare,

Io straniero è sottoposto alla giurisdizione dei tribunali ottomani, questa giuri

risdizione non possa in alcuna guisa scemare l'efficacia dei diritti e deHe immu

nità che sono assicurati dalle capitolazioni, nè la facoltà riconosciuta ai rap

presentanti esteri di portare il loro appoggio morale negli affari dei con

nazionali.

La S. V. ha presentato a S. E. il Generale Ignatieff alcune osservazioni che io sostanzialmente approvo. È assai difficile che la Turchia voglia riconoscere in un atto ufficiale l'esistenza nell'Impero di sudditi più o meno favoriti. Questa denominazione risponde purtroppo esattamente allo stato delle cose sussistente ancora in Turchia; ma si comprende che la S. Porta ricusi di ammettere che la situazione di fatto non corrisponde ai principi di assoluta eguaglianza civile tante volte proclamati dati Governo ottomano. Ciò proverebbe tutt'al più una verità che non ha bisogno di nuova conferma, che cioè si mutano più facilmente le leggi che non i costumi di un popolo. V. S., partendo da considerazioni più pratiche, propone adunque che si eviti questa difficoltà, e si ottenga a un di presso lo stesso scopo, omettendo le parole che probabilmente non sarebbero accettate dalla S. Porta. Ella osserva che !le principali diversità esistenti tuttora in Turchia fra musulmani e non musulmani, per ciò che riguarda la proprietà fondiaria, si riducono alla limitazione esistente per i non musulmani di non poter possedere certi terreni situati nelle vicinanze delle Moschee, e di non poter abitare in certe località riservate al soli musulmani. V. S. propone che questa limitazione sia esattamente definita per togliere incertezza che potrebbe sussistere a tale riguardo. Ma al tempo stesso V. S. faceva giustamente presente al Generale Ignatieff l'opportunità di stipware che la testimonianza degli stranieri sarebbe sempre ammessa davanti i tribunali ottomani, al pari di quella dei sudditi musulmani della S. Porta.

Inspirandosi poi alle istruzioni che il Ministero Le diede fino dal 4 marzo dell'anno passato, Ella propose al Generale Ignatieff di fare alla Porta varie domande non contemplate nello schema di nota preparato da quel rappresentante di Russia. Sovra queste ultime proposte, non è d'uopo ch'io trattenga V. S. Dal tenore delle medesime mi avvedo che la legislazione relativa all'esercizio del diritto di proprietà è rimasta in quello stato incompleto che ha sempre formato, agli occhi nostri, la maggiore difficoltà a sottoscrivere il protocollo propostoci dalla Turchia. Sulle conseguenze inevitabili della imperfezione della legislazione relativa :1lla proprietà fondiaria, non ho più ragione di insistere; esse trovarono un sufficiente sviluppo nelle sovra indicate istruzioni, alle quali mi riferisco. Sento dunque con piacere dal rapporto del 15 marzo corrente che un accordo si era stabilito fra le due delegazioni d'Italia e di Russia per modificare il progetto di nota nel senso delle osservazioni da V. S. presentate al Generale Ignatieff.

È di tutta opportunità che le trattative abbiano ad essere condotte, anche per l'avvenire, sullo stesso piede di intimità e di perfetta intelligenza fra V. S. e l'Ambasciatore di Russia. Ma nel sovra citato rapporto del 15 corrente, Ella mi ha narrato che le trattative preliminari fatte di concerto con l'Ambasciata russa presso la Porta, avevano fatto accorta la S. V. dell'impossibilità di mantenere qual era già stato inteso, il progetto di nota da consegnarsi al Ministro

degli Affari Esteri del Sultano. Il Governo ottomano non si mostra disposto ad ammettere che lo straniero venga pareggiato ai sudditi del Sultano i più favoriti sostenendo in massima l'eguaglianza civile di tutti i sudditi ottomani. E conseguentemente non pare disposto ad ammettere una stipulazione che assicuri che la testimonianza dei cristiani e degli stranieri in generale varrà davanti i tribunali ottomani quanto quella dei musulmani. In secondo luogo poi la

S. Porta si sarebbe dichiarata formalmente contraria ad ammettere che le quistioni relative alla trasmissione della proprietà abbiano ad essere sottoposte alla giurisdizione consolare.

Dispiace sommamente al Governo del Re di vedere che, sacrificando la sostanza delle cose al rispetto di certe formule non corrispondenti aUa realtà dei fatti, la Turchia si opponga ad accettare una clausola che, assicurando l'eguaglianza della testimonianza degli stranieri a quella dei musulmani offrirebbe una seria guarentigia contro inconvenienti che è impossibile non prevedere. Infatti con quale animo si può aderire ad un protocollo destinato a favorire l'acquisto della proprietà per parte degli stranieri, quando tutto fa temere che la condizione di questi davanti i tribunali ottomani sarà tale da togliere in molti casi qualunque sicurezza alla proprietà? Non bisogna dimenticare che nella procedura dei tribunali ottomani la prova testimonia,le non solamente è ammessa anche contro il titolo, ma prevale a tutte le altre.

V. S. mi fa riflettere che se noi facciamo della accettazione della clausola in discorso una condizione sine qua non della nostra adesione al protocollo, la soluzione di questo importante negozio sarebbe rimandata a tempo indeterminato con grave malcontento della nostra colonia di Costantinopoli.

Non posso certamente dissimularmi l'importanza di questa ed altre simili considerazioni. Ma il Governo di S. M. tutelerebbe male i diritti e gl'interessi dei suoi sudditi, se permettesse che sovra di essi abbia ad estendersi la giurisdizione di tribunali pei quali la testimonianza di uno straniero e di un cristiano non vale quanto quella di un musulmano. Non risulta da quanto V. S. mi scrive che atlla Porta si sia contestata l'esistenza di una situazione di fatto cotanto pregiudizievole per lo straniero. Or dunque, se la situazione esiste, perchè non porvi rimedio? Mi pare che se la Turchia non intende ammettere una dichiarazione bilaterale a questo riguardo, l'Italia e la Russia dovrebbero almeno dichiarare, nell'occasione della firma del protocollo, che ogni volta gli interessi dei loro sudditi saranno portati davanti i tribunali ottomani, si avrà come un diniego di giustizia qualunque differenza che si volesse stabilire fra le testimonianze in ragione della nazionalità e della religione del testimonio. Questa dichiarazione che la Porta non potrebbe ricusarsi ad accettare, abiliterebbe gli agenti delle due potenze interessate ad intervenire, quando ne sia bisogno, in favore dei loro connazionali, se per la differenza sul valore delle testimonianze, gli interessi di questi ultimi corressero serio pericolo.

Per ultimo, rimarrebbe ch'io Le esprimessi il mio avviso sopra l'altra difficoltà affacciatasi nel corso delle trattative preliminari con la Turchia, difficoltà a cui Ella accenna scrivendo che il Governo ottomano non consentirà mai a permettere che i tribunali consolari giudichino nelle questioni della trasmissione della proprietà. Ma per rispondere adeguatamente a quanto Ella mi scrive in proposito, occorre al Ministero di sapere come si abbia ad intendere la difficoltà opposta dalla S. Porta. La parola trasmissione di proprietà si estende difatti a qualunque modo di traslazione della propr,ietà stessa sia fra vivi sia per successione testamentaria od intestata. Ora è mestieri spiegarsi ed intendersi a questo proposito perchè quando l'espressione adoperata dalla Porta avesse ad interpretarsi in questo largo senso, è facile comprendere che ben poco rimarrebbe della sostanza delle riserve e delle considerazioni che con la nota progettata da V. S. e dal Generale Ignatieff si volevano ottenere. Di questa nota rimarrebbe soltanto una generica dichiarazione di voler salvo lo statuto personale dello straniero, dichiarazione che quando non sia meglio specificata, può sembrare superflua perchè lo statuto personale è retto dalla legge propria dello straniero, non solo in Turchia ma in qualunque altro paese, senza bisogno di apposite formali dichiarazioni.

Sovra quest'ultimo punto, aspetterò dunque che V. S. mi abbia dato qualche maggior schiarimento, prima di emettere un'opinione definitiva. E intanto La prego di ponderare attentamente le cose svolte in questo dispaccio ed a rispondervi, se Ella avesse qualche osservazione da sottoporre al Ministero.

(l) Cfr. n. 405.

430

IL MINISTRO A BRUXELLES, BLANC, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4180. Bruxelles, 30 marzo 1872, ore 23,40 (per. ore 2 del 31).

Je n'ai aucune nouvelle du Ministère des Affaires Etrangères à la suite de l'entrevue du 25, et rien n'indique que le Ministère actuel imite envers nous l'empressement que le Ministère libéral mettait à poursuivre d'office les pamphlets contre Napoléon. L'opinion de mes Collègues et celle des personnes les plus modérées, parmi lesquelles je citerai confidentiellement Montalto, est que, depuis quelque temps, notre tolérance est exceptionnelle. Le mandat des députés d'Anvers, Brabant, Fiandre O·Ccidentale, Luxembourg et Namur, c'est à dire de la moitié de la Chambre, expire le second mardi de juin prochain. Les élections auront lieu selon l'usage quelques jours après. Je ne sais voir aucun inconvénient à ce que V. E. prenne une décision dont l'effet se prolonge jusqu'après les élections. Le langage des Catholiques ministériels a assez prouvé qu'ils craignent cette éventualité et la regarderaient comme un échec pour leur politique. Les libéraux y trouveraient un grand avantage pour leur campagne électorale qui a, actuellement, très peu de chance de succès. Les Catholiques ministériels seraient d'autant plus genés que le Roi et son Cabinet particulier, qui ont peu de prédilection pour eux, et qui redoutent extrèmement les complications extérieures, leur imposeraient envers l'Italie des égards qui mécontenteraient les plus actifs du parti. En resumé je crois devoir attendre la décision de V. E. avant de faire nouvelle démarche ici.

431

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. 113. Roma, 31 marzo 1872.

Già da qualche tempo il R. Governo era informato delle pratiche intavolate dal Governo principes.co di Rumania per fare ammettere il suo diritto ad avere una rappresentanza diplomatica all'estero. In una visita recente fattami dal Ministro di Turchia, questi mi disse essere egli stato incaricato dal suo governo di avvisarmi ufficialmente che varii gabinetti hanno risposto sfavorevolmente alla domanda che la Rumania loro aveva diretto a questo riguardo.

L'Italia non ebbe occasione di pronunciarsi in questa questione; nè io ho creduto opportuno di emettere una opinione nel colloquio che ebbi con Photiades Bey.

432

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1827. Parigi, 31 marzo 1872 (per. il 3 aprile).

L'Assemblea nazionale tenne jeri la sua ultima seduta prima delle vacanze di Pasqua. Il Presidente della Repubblica colse l'occasione per pronunciare un discorso tendente a rassicurare il paese sulla situazione tanto all'interno quanto all'estero. Le condizioni delle finanze e quelle dell'armata ebbero la più larga parte nella prima metà dell'allocuzione presidenziale. Dopo aver presentato un quadro tranquillante delle une e delle altre ed aver fatto nuove proteste della sua ferma intenzione di fare ogni possibile sforzo per mantenersi in accordo colla maggioranza della Assemblea, il Signor Thiers passò all'esame della situazione del Governo francese rimpetto agli altri Governi d'Europa, negando che la Francia vi si trovi isolata e sia senza alleanze. Il Signor Thiers ripetè più volte, colla massima insistenza, che la pace europea non era in nessuna guisa minacciata, che la circospezione regnava da per tutto e che nessuno pensava ad impegnarsi con o contro chichessia.

Una delle denegazioni del Presidente della Repubblica alluse evidentemente alle voci che erano corse d'un'alleanza offensiva e difensiva tra l'Italia e la Germania. In quanto all'atteggiamento futuro della Francia verso l'estero, il Signor Thiers affermò, sul suo onore che finché esso si troverà nelle attuali sue funzioni l'unico suo pensiero sarà quello di mantenere la pace, sia in Francia, sia nel mondo.• La Francia, egli disse, non sogna di guerra; essa intende solo a riconstituirsi e la vera rivincita per lei si è di rifare le sue forze e di mostrarsi all'Europa ed al mondo nell'atteggiamento fermo che sempre essa ebbe e che essa sempre deve serbare •.

433

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 981. Berlino, 31 marzo 1872 (per. il 5 aprile).

Dans ma dernière entrevue avec M. de Thile, quelques allusions ont été

faites aux nouveHes à sensation répandues naguères par certains organes de

la presse et aux quelles M. de Rémusat semblait avoir attaché quelque valeur

(dépeche N. 978) (1).

La crédulité publique avait été mise à forte épreuve. Je me suis borné à constater que, si d'autres journaux plus sérieux avaient révoqué en doute le fait d'une alliance déjà conclue entre l'Italie et l'Allemagne, ils avaient du moins reconnu, entre les deux Puissances, une telle communauté d'intéréts, qu'au premier danger elles se tendraient la main. L'opinion générale se rend donc parfaitement compte que l'entente existera dans une situation donnée, sans qu'il soit besoin de nous le dire ou de l'écrire d'avance. Les sous-entendus peuvent se passer d'explications.

Le Bien Public lui meme, l'organe supposé de M. Thiers, admettait la conformité d'intérets de nos deux nations.

A propos du bruit mis en circulation, d'une candidature éventuelle du Prince Frédéric-Charles au tròne d'Espagne, • bruit qui ne méritait pas un démenti •, la conversation s'est portée sur ce Pays. M. de Thile m'a parlé d'un incident, sur lequel il m'a recommandé le secret.

Il y a peu de jours M. Rascon était venu l'entretenir, en voie particulière et confidentielle, sur l'attitude étrange du Ministre Impérial à Madrid. S'écartant d'une réserve assez indiquée en présence de l'antagonisme des partis, ce diplomate fréquentait de préférence les salons de l'opposition. Dernièrement, une fete ayant été annoncée à la Cour, la Duchesse de Medina-Cceli affectait le meme jour de donner un bal. Le Baron de Canitz alla d'abord chez le Roi et la Reine, mais, deux heures avant que L.L. M.M. se fussent retirées dans Leurs appartements, il quittait le Palais pour se rendre à la seconde invitation, et entrainait son collègue d'Autriche à suivre son exemple. Cette conduite donnait lieu à de fàcheux commentaires. M. de Rascon avait l'ordre de la signaler au Cabinet de Berlin.

M. de Thile a exprimé ses regrets d'un tel manque de tact, si peu en rapport avec les instructions formelles transmises à la Légation Impériale à Madrid. Il se réservait d'en faire l'objet d'un rapport au Prince de Bismarck, qui serait à la fois peiné et irrité d'apprendre qu'un agent diplomatique comprit aussi mal son ròle vis-à-vis d'une Cour arnie. Mais, comme le Chancelier Impérial était encore absent pour quelques jours, l'intervalle serait mis à profit pour interpeller M. de Canitz, afin de savoir comment il entendrait expliquer de sembla

bles procédés. Il était d'ailleurs équitable d'appliquer le principe: audiatur et aUe1·a pars.

A l'avènement au tròne du Roi Amédée, le Cabinet de Berlin s'était em

pressé de signifier au Baron de Canitz les ordres les plus précis, pour qu'il ne né

gligeat aucune occasion de témoigner du bon vouloir de la Cour et du Gouver

nement Impérial, et de leur désir de voir se consolider la nouvelle dynastie.

La dépeche qui contenait ces ordres était restée sans réponse. Il est vrai que

ce diplomate, d'après le dire du Secrétaire d'Etat, ne serait pas des plus .capa

bles; du moins a-t-il échoué dans ses examens, et il à dù son avancement sur

tout à la faveur.

En communiquant ces détails confidentiels à V. E., je me réfère à mon

rapport précité N. 978.

(l) Cfr. n. 424.

434

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BRUXELLES, BLANC

D. 9. Roma, l aprile 1872.

Par vos dépeches n. 35 et 36 de la série politique (l) vous avez appelé mon attention sur la discussion à laquelle a donné lieu au Sénat beige l'allocation du budget des Affaires Etrangères pour les deux Légations de Belgique à Rome. L'impression que ces débats ont produite sur moi, et en général dans l'opinion publique en Italie, justifie complètement vos appréciations. Aussi je n'hésite pas à donner mon approbation au langage que vous avez tenu à S. E. le Comte d'Aspremont-Linden, et aux considérations que vous lui avez exposées en mettant sous ses yeux l'article de la Gazette Catholique de Limbourg du 23 Mars 1872.

Vous savez M. le Ministre, que nous désirons vivement maintenir les bonnes relations qui ont existé heureusement jusqu'ici entre la Belgique et l'Italie. Nous croyons aussi avoir donné les preuves les moins douteuses de notre modération, et du calme inaltérable que nous conservons en présence des fougueuses attaques du parti ultramontain. Loin de vouloir attirer des embarras au Ministère beige, nous avons admis tacitement la fiction d'un congé dont M. Solvyns profitait à Florence, et qu'il a eu le bon esprit d'interrompre par quelques visites trop courtes à notre gré, car ce diplomate jouit à juste titre de toutes nos sympathies. Cependant nous ne saurions admettre, comme vous le dites très bien, que le maintien d'une Légation beige auprès du Roi ait pour unique

prétexte la protection des intérets belges en Italie. Des Chargés d'Affaires, meme des Consuls suffiraient parfaitement à atteindre ce but. Je regrette donc comme vous que S. E. le Ministre des Affaires Etrangères tout en plaidant ainsi qu'il en avait parfaitement le droit, la cause du maintien de la Légation de Belgique auprès du S. Siège, n'ait pas su trouver des raisons plus plausibles pour justifier aussi le maintien du Ministre de Belgique auprès du Roi. Nous nous attendions, je ,l'avoue, de la part du Ministre d'une Cour arnie et d'un Etat neutre, à plus d'empressement à nous défendre contre des accusations inqualifiables, à une plus grande impartialité dans ses jugements et à plus de mesure dans ses prévisions politiques.

Nous avons cru jusqu'à présent et nous pensons toujours que l'amitié qui existe entre l'Italie et la Belgique n'a pas seulement pour motif leur intéret réciproque, mais qu'elle puise surtout sa solidité dans l'analogie des institutions et du développement historique.

L'Italie a suivi l'exemple de la Belgique en se donnant par la volonté des populations une dynastie qui est devenue dans les deux pays l'auguste symbole de la nationalité.

C'est encore l'exemple de la Belgique que l'Italie a suivi de préférence dans l'application du gouvernement parlementaire, et nous avons marché sur les traces de la Belgique séparant complètement l'Eglise de l'Etat. Les deux gouvernements sont donc appelés à s'unir pour défendre la cause de la Monarchie constitutionne1le et ce n'est pas servir les véritables intérets du parti conservateur que de passer sous silence des attaques qui ébranlent le principe monarchique et déchirent la religion qu'ils prennent pour prétexte.

Je désire que vous complétiez par ces considérations celles que vous

avez déjà eu l'honneur d'exposer à S. E. le Comte d'Aspremont. Elles lui four

niront je l'espère l'occasion de nous faire parvenir quelques explications ami

cales sur les dispositions du Gouvernement Beige vis-à-vis de l'Italie:" L'indi

gnation que S. E. a exprimée en lisant l'ignoble article de la Gazette de Lim

bourg me donne l'espoir qu'il aura compris lui meme la haute convenance

d'appeler l'attention de son Collègue de la justice sur ces revoltantes aberra

tions de certaines feuilles ultramontaines. Nous nous sommes fait une règle

invariable de ne pas provoquer officiellement la repression des articles injurieux

dont la presse de certains pays est remplie à nos égards. De pareilles insultes

ne sauraient atteindre le Roi, notre Auguste Souverain: nous avons d'ailleurs la

confiance la plus absolue dans l'opinion éclairée du peuple Belge. Toutefois

nous ne saurions ne pas voir une preuve d'amitié dans la répression spontanée

d'abus aussi flagrants de la presse. Nous croyons le Gouvernement belge inté

ressé plus que nous memes à fletrir ces abus, car il doit avoir à coeur de dé

montrer qu'il ne partage pas les projets et les espérances de la faction dont la

Gazette de Limbourg n'est que l'organe dévergondé.

32 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

(l) Cfr. nn. 418 e 422.

435

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

D. 127. Roma, 3 aprile 1872.

Credo opportuno che V. S. sia informata delle conversazioni avute dal

Ministro del Re a Bruxelles ,con il Ministro degli Esteri, nonchè delle istruzioni

che io ho dato a quel R. Rappresentante dopo che il Gabinetto Belga ebbe occa

sione di manifestar i suoi sentimenti verso l'Italia in pubblica discussione

innanzi al Senato. A questo fine Le trasmetto oggi copia di due Rapporti del

Signor Blanc, l'uno in data del 23 (1), l'altro del 24 marzo (2), e vi aggiungo

parimenti copia di un mio dispaccio del 1° aprile (3).

È cosa probabile che il Belgio pigli egli stesso l'iniziativa di far conoscere

a Londra le rimostranze del Ministro d'Italia, e che in tal caso Lord Granville

tenga di dò discorso all'E. V. Ove così fosse per accadere, la mia comunicazione

d'oggi deve servire a Lei per informare S. S. del linguaggio che siamo stati

costretti di tenere al Governo del Re Leopoldo. Dai documenti che faccio facoltà

a V. E. di mettere confidenzialmente sotto gli occhi di Lord Granville, risultano

abbastanza chiari i motivi che ci posero nella necessità di rompere il silenzio

prima d'ora da noi serbato anche in presenza di fatti che escludevano ogni

dubbio sui sentimenti dell'attuale Gabinetto Belga a nostro riguardo.

L'Italia non avea dato importanza alle manifestazioni di una stampa sotto ogni aspetto eccessiva nè al favore palesemente accordato dal Governo alle riunioni cattoliche avvenute nel Belgio verso la fine di giugno dell'anno passato. Più che ad onorare il Venerabile Capo della Chiesa, i pellegrinaggi del Giubileo Papale erano diretti a produrre pel Governo del Belgio una pressione sfavorevole alla continuazione dei buoni rapporti con l'Italia nel momento in cui questa trasferiva la sua Capitale a Roma. Il Gabinetto di Bruxelles che nulla avea fatto per evitare una tale situazione, parve invece valersene per assumere sin da quel momento a nostro riguardo un contegno ch'io non saprei ben definire, perchè, se non fu apertamente ostile lasciò però sempre trasparire quello stesso pensiero che dovea per ultimo rivestire una forma concreta nei discorsi di alcuni Ministri davanti il Senato. Non persuaso della stabilità dell'ordinamento politico presente dell'Italia, il Gabinetto di Bruxelles cercò sempre di temporeggiare nelle sue risoluzioni ogni volta che si trattava per lui di prendere verso l'Italia il partito decisivo che i vincoli di amicizia esistenti fra il nostro paese ed il Belgio avrebbero dovuto additargli sino dal primo momento dell'insediamento del Governo italiano in Roma.

Il discorso pronunziato in Senato dal Barone d'Anethan, allora Ministro degli Affari Esteri, nella tornata del 3 luglio 1871, benchè contenesse tutte

le riserve volute dal suo partito, concludeva però in modo abbastanza abile per eludere una domanda di spiegazioni da parte nostra. Ma la stessa circospezione di linguaggio non è stata più osservata dal successore del Barone d'Anethan nè dai di Lui colleghi, membri dell'attuale Gabinetto. La lettura del resoconto della tornata del 22 marzo, dimostra troppo palesemente che il Governo Belga nè ha modificato il suo modo di giudicare della situazione dell'Italia, nè si stima obbligato di osservare a nostro riguardo quella circospezione di linguaggio dalla quale il Barone d'Anethan non avea creduto poter prescindere nelle discussioni del luglio passato.

Noi non ricerchiamo occasioni di interrompere o sospendere delle relazioni diplomatiche che abbiamo invece sempre procurato di rendere amichevoli e cordiali. Nelle circostanze attuali non era però compatibile coi nostri doveri il prolungare indefinitamente un silenzio che non avremmo potuto nè spiegare nè giustificare. Non possiamo ignorare la gravissima impressione prodotta nel partito liberale del Belgio dalle recenti discussioni del Senato. Riferisce il Signor Blanc che nessuno in quel paese può credere che a meno di difficoltà gravi nella nostra situazione a Roma, l'Italia possa lasciar passare inosservato un simile incidente. Ora non solamente tali difficoltà non esistono ma non possiamo neppur lasciar indurre in errore l'opinione liberale ,che in Europa· fu per noi il più valido ausiliario della ricostituzione nostra nazionale. D'altronde come possiamo noi nasconderei che il contegno del Governo Belga se non favorisce, serve però di eccitamento alle manifestazioni cdiose di una stampa a noi ostile? Per la loro stessa esagerazione queste dovrebbero incontrare la riprovazione di qualunque partito onesto e di qualunque Governo che abbia care le leggi della convenienza e del decoro. Epperciò nel porgere all'attuale Ministro degli Affari Esteri del Belgio delle lagnanze per una pubblicazione del giornale cattolico del Limburgo, il Governo italiano non ebbe tanto il proposito d'invocare sugli autori di quella ed altri simili articoli l'applicazione delle leggi, quanto l'intenzione di segnalare in un fatto speciale l'aberrazione a cui trascende il partito sotto la pressione del quale il Belgio sembra agire in ciò che alle sue relazioni coll'Italia si riferisce. Sebbene il Signor d'AspremontLynden abbia biasimato nei suoi colloquii con il Signor Blanc le intemperanze del giornale sovra citato, non ci risulta sin qui che il Gabinetto di Bruxelles abbia fatto alcunchè per disimpegnare la responsabilità del Governo in presenza degli eccessi del partito dal quale egli trae le sue forze davanti il parlamento.

Non insisterò maggiormente sovra questo argomento. Le cose sovra dette e quelle che sono esposte nei documenti che Le invio, bastano a farle conoscere in quali termini stanno i nostri rapporti con il Belgio, e di queste indicazioni Ella deve, all'occorrenza, valersi presso Lord Granville se sarà interrogata in proposito.

(l) -Cfr. n. 418. (2) -Cfr. n. 422, in realtà del 25 marzo. (3) -Cfr. n. 434.
436

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 100. Madrid, 4 aprile 1872 (per. l'11).

Conformément aux instructions que V. E. avait bien voulu me donner dans sa dépeche reservée du 8 Mars dernier (1), je n'ai point manqué de m'exprimer dans le sens indiqué avec le Ministre des Affaires Etrangères au sujet de l'Internationale, et il a été convenu que, du d)té du Gouvernement italien comme de celui de l'Espagne, l'on se ferait réciproquement un échange amicai de toutes les informations qui pourraient se rattacher à cette importante question.

Et pour commencer, M. de Blas m'a dit que, conformément à l'invitation qui lui en avait été adressée par le Prince de Bismarck, le Gouvernement Espagnol s'occupait d'un projet de répression qui, en ce moment, était soumis à l'examen des Ministères de la Justice et de l'Intérieur, et qui, sous peu, serait communiqué aux différents Gouvernements. D'après ce que m'a donné à entendre le Ministre, il paraitrait que le projet en question serait à peu de chose près semblable à celui adopté dernièrement par l'Assemblée de Versailles, dont il reproduirait les principales dispositions.

Ayant demandé en suite à M. de Blas ce que le Gouvernement comptait faire à l'occasion de la réunion Internationale qui doit avoir lieu le 7 courant à Zaragosse, il m'a répondu que, après mùre réflexion, l'on avait pensé qu'il valait mieux laisser s'étaler au grand jour les théories subversives de cette dangereuse association, afin que l'opinion publique, parfaitement éclairée et justement effrayée de l'abìme vers lequel l'on voulait pousser la Société toute entière, pùt, avec bien plus de spontanéité et de conviction, donner sa sanction aux mesures d'énergique répression que le Gouvernement était décidé à adopter.

En ayant l'honneur de remercier V. E. de la lettre du Cabinet particulier de Sa Majesté, ainsi que des intéressants documents diplomatiques N. 6 X Roma, 6 XI et 6 XII qui y étaient joints, je saisis...

437

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4184. Parigi, 5 aprile 1872, ore 17,35 (per. ore 19,20).

M. de Rémusat vient de me dire, de son còté, qu'il était très satisfait des premiers rapports de M. Fournier et nous nous sommes félicités réciproquement de l'apaisement qui s'était opéré dans l'opinion publique des deux pays.

(l) Cfr. n . .390.

438

IL MINISTRO A BRUXELLES, BLANC, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 37. Bruxelles, 5 aprile 1872 (per. il 9).

J'ai porté aujourd'hui à la connaissance de S. E. le Comte d'Aspremont Lynden le contenu de la dépeche que V. E. a bien voulu m'adresser en date du I de ce mois, N. 9 (1).

Le Ministre des Affaires Etrangères me tint en substance le meme langage que dans notre précédente entrevue sur les difficultés de la situation du Ministère vis-à-vis des exaltés du parti Catholique. Il m'informa que le 25 au soir, il avait appelé l'attention de son collègue de la Justice sur les publications injurieuses que je lui avais signalées; il ignorait encore la suite que la magistrature aurait donné à l'affaire; il me pria enfìn de laisser dans ses mains pour quelques heures la dépeche dont je venais de lui donner lecture, afìn d'en conférer avec ses collègues, dans le désir d'écarter autant qu'il dépend de lui tout ce que pourrait nuire aux bons rapports des deux Gouvernements. Je crus devoir acquiescer à cette demande.

439

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 983. Berlino, 6 aprile 1872 (per. il 10).

La réponse du Chancelier Impérial à la lettre du Bey de Tunis, lettre arrivée ici le 9 Février, ne partira qu'après demain. Le Prince de Bismarck l'ayant signée hier, M. de Thile a bien voulu me permettre, en voie confidentieUe, d'en prendre lecture.

Tout en exprimant ses regrets des faits qui ont amené la démarche du Bey, le Prince de Bismarck invoque les circonstances atténuantes pour Ies procédés de M. Tulin. Ce Consul ne saurait avoir eu l'intention de blesser les justes susceptibilités du Gouvernement de Tunis, qui depuis un siècle a comblé sa famille de faveurs et de distinctions. Il n'a eu en vue que de servir les intérets d'une cause qui lui paraissait des plus légitimes. Le Prince de Bismarck reconnaìt à son tour le bien fondé de la réclamation Erlanger, et sollicite une solution de cette affaire, en faisant appel aux sentiments d'équité du Bey. Il s'attend à des propositions, pour un arrangement qui tienne compte, dans une certaine mesure, des réclamations dont il s'agit. Sauf un passage sur la nonparticipation de la Prusse à la commission fìnancière, passage contre lequel il y aurait à redire, puisqu'il n'aurait dépendu que du Cabinet de Berlin d'y prendre part ou du moins d'en faire la demande, il me paraìt que l'ensemble

de la lettre du Prince de Bismarck laisse la porte ouverte à une conciliation et à des pourparlers ultérieurs.

Je n'ose affirmer que mes démarches soient pour quelque chose dans ce premier résultat. Dans tous les cas, il faut en attribuer une plus large part au fait de la course récente du Prince Frédéric-Chavles à Tunis, où S.A.R., a reçu le meilleur accueil, et dont on devait ici montrer quelque reconnaissance.

M. de Thile désirait, dans le cas où je serais interpellé sur la marche de cette affaire par les Ambassadeurs de France et d'Angleterre, que je me bornasse à dire que la réponse du Prince de Bismarck n'était pas encore partie à la date où j'avais eu mon dernier entretien avec le Secrétaire d'Etat.

J'aurai soin de voir également M. Goring, pour l'engager nouvellement à faire en sorte que les instructions à transmettre à M. Tulin soient rédigées dans un sens aussi conciliant que possible.

(l) Cfr. n. 434.

440

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 984. Berlino, 7 aprile 1872 (per. l' 11).

J'ai cherché à savoir par M. de Thile quelle impression avaient produit ici les derniers discours de M. Thiers à l'Assemblée Nationale et dans la Commission de permanence. Sans entrer dans aucun raisonnement le Secrétaire d'Etat s'est borné à dire qu'il n'avait aucune confiance dans les déclarations pacifiques du Gouvernement français, et que le Prince de Bismarck ne pensait pas autrement.

Les principaux organes de la presse allemande expriment plus que des doutes sur la valeur du langage du Président de la république. Ce langage ne saurait inspirer aucune garantie sérieuse pour l'avenir. Cet homme d'Etat proclame à chaque occasion qu'il veut reconstituer une armée, (sur un pied supérieur à celui qui existait sous l'Empire), dans le but de sauvegarder avec son appui l'ordre à l'intérieur et la paix à l'étranger. Mais, pour ·réaliser cette idée fixe, il exige l'impossible, d'un pays dont les ressources ont été mises à si forte contribution par des désastres récents. Lors meme qu'on serait persuadé en Allemagne que M. Thiers fut le seui, parmi ses compatriotes, qui aurait renoncé à tout projet de revanche, en serait-on plus avancé, en croyant à sa sincérité? M. Thiers n'est-il pas provisoire? La république n'est-elle pas provisoire? Tout n'est-il pas provisoire au delà du Rhin? La France avme, si non pour aujourd'hui, du moins pour demain. Si tel est son droit, il en résulte pour ses voisins aussi, au Sud camme à l'Est, l'obligation de prendre acte de ces armements, et de rester sur le qui vive. Sans etre alarmiste, il est permis d'accorder aux français quelque dose de cet amour patriotique dont la Prusse fit preuve en 1808. A cette époque les documents officiels regorgeaient, camme aujourd'hui, d'assurances pacifiques; ce qui n'empechait pas, cinq ans plus tard, la convention de Tauroggen, et l'appel de Frédéric-Guillaume III à son peuple pour un soulèvement.

Le nouvel Ambassadeur de France près cette Cour a été autorisé par M. de Rémusat à s'expliquer, dans un sens analogue aux discours précités de M. Thiers. Il parait cependant qu'on était fort sur l'éveil, à Versailles, en suite des bruits d'une alliance entre l'Italie et l'Allemagne, car le Vicomte de GontautBiron a fait vis-à-vis de moi, à ce sujet, des allusions très directes.

La récente tournée du Prince Frédéric-Charles semblait surtout le préoccuper. Il se plaisait à ajouter combien son Gouvernement tenait à rester dans les meilleurs termes avec le Cabinet de Rome.

Je lui ai répondu que tel était aussi notre désir, notre programme hautement avoué n'étant autre que celui de nous vouer à la conservation de la paix générale. Nous comptions, dans le meme but, sur le concours des autres grandes Puissances. Je regrettais, sous ce rapport, de voir quelques écarts dans les colonnes d'un journal français, auquel on attribue des attaches officieuses.

Le Bien PubLic avait publié dernièrement, relativement à ces memes bruits d'alliance, un article qui dépassait au moins le but, car, non content de les démentir, il faisait la remarque que l'Italie n'oserait pas former contre la France des projets hostiles. C'était là un propos hors de mise entre Pays d'un rang égal et dont les relations doivent etre basées sur une considération mutuelle.

M. de Gontaut alléguait que les Gouvernements n'étaient pas responsables des maladresses commises par la presse, et que d'ailleurs le Bien Public passait à tort pour etre l'organe de M. Thiers. S. E. ajoutait que, en Italie également, le Diritto entre autres ne marchait pas toujours dans la voie de la modération.

• A cette différence près, ai-je ajouté, que cette Gazette, qui n'a certainement pas un caractère gouvernemental, ne riposte probablement qu'à des attaques du journalisme français •.

Il n'y a rien eu d'acerbe dans ces explications, échangées avec une parfaite courtoisie, dont il serait au reste difficile de s'affranchir avec M. de Gontaut qui, à l'encontre de la plupart de ses compatriotes, n'a pas le defaut de suffisance, d'impertinente présomption. Aussi a-t-il su se faire bien venir par la Cour et le Gouvernement.

441

IL VICE CONSOLE A BUCAREST, GLORIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 348. Bucarest, 7 aprile 1872 (per. il 15).

La notizia sparsa dai giornali francesi della Triplice Alleanza Prusso-RussoItaliana diè quivi occasione a varie critiche contro il Governo per parte dei giornali dell'opposizione, e sovratutto di alcuni giornali ultra francesi, i quali gettavano le alte grida contro il presente Gabinetto che non seppe impedirla, e ,contro l'Italia che, rinnegando la sua origine, aiuta i Teutoni a distruggere i fratelli Latini. Il Governo però non vi prestò fede, ed in una conversazione avuta giorni sono col Signor Catargi, questi non fece il minimo cenno del

l'Italia, e non era punto inquieto sulle conseguenze di questa alleanza di cui negava l'esistenza. Non si trattenne però dal dirmi che molti intrighi facevano i Russi in Bessarabia, dove un forte partito esisteva ora tendente alla riunione di quella Provincia alla Russia. Io gli chiesi se non credeva che, più che gl'interessi Russi, il mal governo sofferto dalla Bessarabia da quando era stata in forza del Trattato di Parigi -riunita alla Rumenia, e la noncuranza assoluta di tutti gl'interessi suoi per parte dei Gabinetti che si eran succeduti nei Principati, fossero la cagione che aveva fatto fiorire il partito anti-Rumeno.

• Jusqu'à un certain point vous avez raison, mi diss'egli allora, mais croyez moi que les Russes ont beaucoup travaillé pour augmenter le mécontentement de ces populations qu'ils avaient déjà Russifìées pendant leur domination •. Del resto, aggiunse, il Signor Costaforo partirà fra poco per la Bessarabia onde • déjouer les intrigues de nos ennemis et redonner de la confrance aux vrais patriotes •. Il Presidente del Consiglio vede ancor molto color di rosa ed ha piena fiducia nella riuscita della missione affidata al Signor Costaforo, mentre invece, a sentire gli Agenti Inglese, Francese ed Austriaco, il marcio è irreparabile ed il pericolo imminente.

Senza mezzo veruno per giudicare da qual parte sia la ragione, parmi, da varie conversazioni avute con diversi deputati di quelle parti, che il Signor Catargi dovrebbe preoccuparsi maggiormente dello stato degli animi in Bessarabia, e che i miei colleghi di Francia, Austria ed Inghilterra troppo si esagerino il male.

La Russia ha colà molti aderenti, ed in molti villaggi non vi sono che Slavi, mentre poi, fra i Rumeni stessi, vi è un forte partito che lamenta la decadenza che sempre andò aumentando dopo l'unione colla Rumenia. La Russia non ha quindi bisogno di grandi intrighi per tenervi una certa agitazione. Pur tuttavia, se non l'idea di razza, per lo meno la benignità delle leggi e quella certa qual libertà che, malgrado gli abusi delle Autorità, pur esiste nei Principati, fanno sì che molti, i quali ora gridano contro tutto, non sarebbero poi, in fin dei conti, molto soddisfatti di ritornare sotto i Cosacchi.

Comunque sia però, non credo che la Russia riuscirà sì presto a far nascere torbidi tali da poter, con qualche apparenza di giustizia, prender parte attiva, ed invadere quel territorio, e certamente non lo potrebbe se gl'impiegati amministrativi e giudiziari fossero meno corrotti, meno ignoranti ed alquanto più amanti del proprio Paese che della propria borsa.

Il presente Gabinetto è animato da buone intenzioni, ed il Signor Catargi, uomo pieno di buon senso, vorrebbe far qualcosa, ma molto dista Bucarest da Ismail, dove gli ordini ministeriali si eseguono sol quando piacciono, e d'onde, s'informa l'Autorità centrale nel modo più ,conveniente ai privati interessi di chi scrive. Per darne una piccola prova all'E. V., Le narrerò un fatto avvenuto ultimamente, e che tengo dalla bocca stessa del Signor Catargi. Il Prefetto

d'Ismail aveva lasciato la sua residenza, ed insieme al Console Russo in Jassi era partito per Odessa. Avvennero i disordini contro gli Israeliti, e durante tre giorni il Ministro dell'Interno corrispose telegraficamente col Direttore della Prefettura credendo avere a fare col Prefetto. E dell'assenza di questi egli fu avvertito solo da telegrammi privati trasmessigli da Ebrei di città vicine, mentre

all'ufficio telegrafico d'Ismail si ritenevano tutti i dispacci che direttamente od indirettamente potevano informare il Governo della lontananza del rappresentante il potere esecutivo in quella Provincia. Che se poi la Russia volesse usare la forza, allora non sarebbe certo in Rumenia e dai Rumeni che trovar potrebbe efficace resistenza.

Per concludere adunque, ripeto che credo si ordiscano intrighi, poichè il Governo di Pietroburgo è sempre soddisfatto ogni qualvolta disordini avvengono in Rumenia, avendo così pretesto di lamentare lo statu quo ante e proclamare il nessun risultato prodotto dal Trattato di Parigi, ma che questi non sono tali da minacciar da soli il presente stato di cose, come vorrebbero farlo credere varii Agenti Esteri.

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IL CONTE KULCZYCKI AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM

(AVV)

L. P. Roma, 7 aprile 1872.

Le prochain consistoire aura lieu dans le courant de ce mois, probablement de demain en huit. Le Pape y préconisera des évéques italiens et étrangers, et publiera probablement l'Allocution ou l'Encyclique que les incertitudes qu'on avait à l'égard de la France avaient empéché de publier dans les deux derniers consistoires. Ce document aura subi bien des modifications.

La diplomatie accréditée près le Saint Siège se plaint extrémement depuis quelque temps des divergences croissantes qui existent entre le langage du cardinal Antonelli et celui du Pape. Le Saint Père se montre souvent plus coulant et le cardinal ne tient aucun compte de ce que le Pape a dit; il ajoute sèchement: • Sa Sainteté l'aura dit sans y penser •. La diplomatie assure que le cardinal Antonelli est toujours le maitre de la situation au Vatican; suivant ces messieurs, le cardinal vicaire lui-meme, confesseur de Sa Sainteté et instrument aveugle de la Compagnie de Jésus, serait habilement dirigé et manié par l'infatigable et rusé secrétaire d'Etat. Si le Pape n'est pas parti, c'est suivant la diplomatie qui hante le Vatican, parce que le cardinal Antonelli ne l'a pas voulu. Si le Pape ne sort pas actuellement dans les rues de Rome, c'est parce que le cardinal ne le veut pas et que plutòt que de faire sortir le Saint Père, il l'enfermera au besoin de vive force. Le cardinal, toujours suivant les mémes opinions, serait mu avant tout par l'intérét personnel, par des considérations de famille et de fortune.

Les diplomates qui voient le plus souvent le Saint Père disent tout bas qu'il commence à tomber en enfance. Un des représentants étrangers qui jouent le ròle le plus important au Vatican avait tout dernièrement une communication extrémement confidentielle à faire à Sa Sainteté de la part de son gouvernement. C'était un secret d'Etat ou à peu près. Il n'en avait soufflé le mot à personne, pas méme au cardinal Antonelli. Quelle ne fut donc pas la stupéfaction de ce diplomate en retrouvant quelques jours plus tard son entretien avec Sa Sainteté répété tout au long dans la Correspondance de Genève, à laquelle le Pape, parait-il, l'avait fait envoyer, comme il le fait souvent. Le correspondant habituel de cette feuille à Rome est M. de Magrulonne (Henri Rouge); mais il parait que le journal genevais visait aussi des communications du secrétaire intime de Sa Saintété, qui est Monseigneur Cenni. Le diplomate en question s'en plaignit amèrement au cardinal Antonelli, qui se contenta de sourire.

Les prélats romains sont en ce moment très irrités contre le Pape à cause des canonicats de S. Jean et de S. Pierre qu'il a donnés à des étrangers comme Monseigneur Stucor ou à des ecclésiastiques italiens ne faisant pas parti du clergé romain, comme Monseigneur Castagneto.

Le cardinal Antonelli a écrit à tous les représentants du Saint Siège à l'étranger en les engageant à raconter le fait des vitraux brisés à la scala Santa dans les entretiens qu'ils auraient avec les ministres des affaires étrangères, et à se servir de ee fait comme d'un argument pour prouver la captivité du Pape.

Le Vatican se trouve dans les plus excellents termes avec la Russie. On y parle d'un ministre plénipotentiaire russe qui serait accrédité auprés du Pape. Il est parfaitement vrai que le Pape, le samedi Saint, a dit qu'il était parfaitement libre et que s'il ne sortait pas, c'est parce qu'il ne voulait pas sortir.

Ces jours-ci un homme inconnu, un solliciteur, a pu pénétrer jusque dans la chambre à coucher du Pape à 7 du matin, sans étre arrété par personne. Il était resté assez longtemps dans la chapelle et entra dans la chambre du Saint Père sans savoir probablement où il se trouvait. Le Pape sortait de ses couvertures en ce moment là. Il fut extrémement épouvanté et son médecin dut lui donner un purgatif. Cependant le visiteur était très inoffensif, et fut mis à la porte par les domestiques que les grands coups de sonnette du Saint Père attirèrent aussitòt. Le fait a été raconté par Pie IX lui méme à la personne qui m'a donné ces détails.

Le comte d'Arnim, en quittant le cardinal Antonelli lui a tenu le langage le plus violent. Le comte de Tauffkirchen a cessé de représenter la confédération germanique près le Saint Siège simultanément avec la présentation des lettres de rappel de M. d'Arnim. L'Allemagne n'est plus représentée que par un 2e secrétaire de la Légation prussienne. M. de Tauffkirchen est redevenu simple ministre de Bavière.

Le Pape s'est exprimé avec une grande sympathie sur le compte de la princesse Marguerite, après avoir entendu qu'elle avait pris des billets à la loterie du palais Salviati et qu'elle désirait gagner sa tasse.

Après la mort de la Comtesse Marconi, qui était la tutrice de la fille naturelle du cardinal Antonelli et d'une Anglaise et l'intermédiaire entre le cardinal et le parti d'action en Italie, M. Chauvet, directeur de Don Pirloncino, est devenu le gardien de cette jeune personne. Madame Marconi en mourant a confié à

M. Chauvet des secrets d'Etat et des papiers qui pourraient perdre le cardinal. Grace à ce dépòt M. Chauvet est devenu, au grand scandale de tout le Vatican, une sorte de dictateur au palais apostolique.

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IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4188. Madrid, 8 aprile 1872, ore 12,30 (per. ore 16,30).

Résultat définitif des élections donne cent voix de majorité au Gouvernement. Cet important succès améliore considérablement l'ensemble de la situation.

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 2282. Roma, 8 aprile 1872 (per. il 9).

Riscontro alla lettera 29 marzo Div. Gab. n. 19 (1).

Ringrazio l'E. V. di avermi dato notizia delle vedute del Governo Germanico sopra le possibili difese contro le aggressioni della sovversiva Associazione Internazionale.

Ho veduto con soddisfazione che sostanzialmente le opinioni di quel Governo sopra sì rilevante argomento, concordano con quelle espresse e motivate nella mia del 2 marzo u. s. n. 1231 (2) relativa alla Circolare del Ministro di Spagna.

Perciò riferendomi a quello svolgimento più ampio che è dato nel foglio ora citato, mi restringerò ad accennare come allo stato presente di cose, manchi a mio avviso adeguata materia e fondamento legale ad una estensione tale dei vigenti trattati di estradizione, che comprenda i casi di affigliazione e di appartenenza all'associazione in discorso.

Non occorre ricordare alla E. V. quale liberale interpretazione, tanto nelle discussioni e negli atti del Parlamento, come nel Consiglio di Stato sia prevalsa, in ordine al diritto di associazione, e quale larghezza alle discussioni filosofiche politiche e religiose consenta la nostra legislazione sulla stampa.

Finché una Società si raccoglie intorno ad un programma economico politico, inspirato anche ai più assurdi sofismi della Scuola socialista, il potere esecutivo, se non vede una offesa alle leggi od una minaccia positiva di distruzione dell'ordine esistente, non può applicare la repressione penale. E d'altra parte non conviene aprire processi, che nella maggior parte delle volte, riescono a porre in maggior rilevanza l'associazione che si intende di combattere.

Il reato, e quindi il pericolo, comincia allora quando dal campo delle vaghe aspirazioni verso nuovi ordini di cose, di attuazione più o meno problematica, si passa al fatto od alla diretta preparazione di questo, mediante accordi e tentativi per delinquere contro le proprietà o le persone.

In tali circostanze le disposizioni del nostro codice penale e l'elenco dei reati per cui si concede l'estradizione a norma della Convenzione vigente col Governo Germanico, provvedono pei casi più rilevanti.

L'associazione internazionale, massime in Italia è tuttavia in uno stato di formazione assai rudimentale, e si travaglia ancora faticosamente intorno alle vie da scegliere per concretare un sistema di condotta, ed estrinsecare la sua azione.

Nella condizione in cui si trova questa associazione, è difficile ora di determinare i casi che dovrebbero essere colpiti da disposizioni penali, e riesce quindi anche più difficile definire quali nuovi reati debbano iscriversi nell'Elenco di quelli per cui si fa luogo all'estradizione.

Sarò tenuto alla compiacenza della S. V. se vorrà in seguito tenermi informato delle novità di qualche rilievo nelle relazioni estere, sopra sì importanti questioni che meritano ad ogni modo la concorde attenzione di tutti i Governi.

(l) -Cfr. n. 427. (2) -Cfr. n. 382.
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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1831. Parigi, 8 aprile 1872 (per. il 12).

Non è senza soddisfazione che posso constatare che una calma di buon augurio ha succeduto all'agitazione che s'era prodotta nella stampa e nell'opinione pubblica francese all'occasione delle petizioni clericali presentate all'Assemblea nazionale, della prolungata assenza da Roma del titolare della Legazione di Francia, e dei rumori d'ogni sorta a cui aveva dato origine il recente viaggio in Italia del Principe Federico Carlo di Prussia. Benchè i due Governi d'Italia e di Francia, istruiti dello stato reale delle cose, non avessero partecipato a quest'agitazione, tuttavia il fatto dell'agitazione esisteva ed essi avevano dovuto preoccuparsene. Il rinvio ad epoca indeterminata della discussione delle petizioni clericali, l'arrivo a Roma del Signor Fournier, nuovo Ministro di Francia, e l'accoglienza che gli fu fatta, contribuirono in gran parte al risultato che ho pur ora accennato.

Contribuì pure a questo risultato la discussione, benchè non sempre misurata, che si produsse non solo nella stampa italiana e francese, ma anche nella stampa di Germania e d'altri paesi intorno alla questione delle relazioni future dell'Italia e della Francia, e delle eventualità a cui l'alterazione di queste relazioni avrebbe potuto dar luogo. Questa discussione ebbe per effetto di rendere la situazione più netta e di far più evidente l'interesse che l'Italia, la Francia e l'Europa hanno acciocchè nulla succeda che alterando i rapporti dei due paesi divisi dalle Alpi possa originare una situazione minacciosa per la pace dell'Europa.

In una conversazione ch'ebbi recentemente col Signor Thiers ho potuto convincermi che i sentimenti del Presidente della Repubblica francese consuonano con questo modo di vedere. Il Signor Thiers si lodò meco del linguaggio che S. M. il Re e l'E. V. hanno tenuto al Signor Fournier e della buona accoglienza che il Ministro di Francia trovò presso il R. Governo; mi disse che la sua ferma intenzione era di mantenere cordiali relazioni fra l'Italia e la

Francia; ch'egli voleva con passione la pace, non soltanto perchè la Francia era nell'impossibilità di fare la guerra, ma per principio; che in presenza dei vari partiti rappresentati in seno all'Assemblea Nazionale, era egli costretto a certi temperamenti di linguaggio; che certamente egli non aveva approvato i fatti che produssero l'unificazione del Regno d'Italia e la caduta del potere temporale, ma che da vero uomo di Stato egli teneva conto dei fatti compiuti e li accettava come il resto dell'Europa li aveva accettati: che non aveva mai pensato e non pensava ad una rottura fra l'Italia e la Francia; che non cercava in questo momento alleanza con nessuna Potenza e si contentava di chiedere per la Francia una stima simpatica, ch'essa merita, e un'imparziale neutralità; che questo pure domandava all'Italia.

Risposi al Signor Thiers dicendogli che udivo con soddisfazione l'espressione di questi sentimenti e che non dubitava che il Governo del Re l'avrebbe appresa con eguale soddisfazione; che noi dal lato nostro non domandavamo alla Francia che di accettare, come fecero le altre Potenze l'attuale stato di cose in Italia, e che ciò posto, il nostro interesse come la nostra intenzione era di conservare colla Francia quei vincoli d'amicizia e di buone relazioni, cementati dalla storia, ch'erano una delle guarentigie della pace europea.

Nel corso della conversazione il Signor Thiers mi parlò della questione del soggiorno del Papa in Roma. Egli mi disse che per parte sua desiderava che il Pontefice rimanesse al Vaticano e che nella corrispondenza che aveva avuto l'occasione d'avere col S. Padre non aveva taciuto questo suo modo di vedere.

• Non mi arbitrai, dissemi il Signor Thiers, di dar consigli al S. Padre. Il rispetto che ho per lui non che i riguardi che devo al Governo italiano non mi consentono di dar consigli in questa circostanza. Ma dissi al Papa che quale che fosse il desiderio nostro di vederlo rimanere in Roma, se esso si decidesse ciò nulla meno a partire e scegliesse la Francia a sua residenza, esso vi troverebbe asilo e rispetto •. -• Del resto, aggiunse il Signor Thiers, credo che se il Papa partisse da Roma, non verrebbe in Francia •.

Io domandai al Signor Thiers se aveva qualche speciale indicazione per credere ciò. Mi rispose che non aveva nessuna speciale indicazione, ma che lo presentiva. Il Signor Thiers è d'avviso che per ora il Papa non ha intenzione di lasciar Roma, ma teme che la questione dell'abolizione delle corporazioni religiose possa far rinascere nell'animo del Pontefice il progetto di partenza. Io diedi a questo proposito al Signor Thiers alcuni ragguagli intorno al modo con cui il Governo del Re si propone di sottomettere al Parlamento la soluzione di questa questione, ragguagli che attinsi dalle conversazioni ch'ebbi l'autunno scorso coll'E. V., evitando però d'entrare prematuramente in particolari che possono ancora andar soggetti a variazioni.

L'impressione prodotta in me da questa conversazione si è che il Presidente della Repubblica è sinceramente alieno da ogni cosa che possa turbare le relazioni fra l'Italia e la Francia, e che desidera che lo si sappia.

Non apprenderò nulla di nuovo all'E. V. informandola che il Signor di Rémusat, Ministro degli Affari Esteri, persevera nelle simpatie, in lui non nuove, pel nostro paese, per le sue istituzioni e pel modo savio e fortunato con cui vi sono applicate. Egli pure si rallegrò con me dal miglioramento che s'era prodotto nell'opinione pubblica al di qua e al di là delle Alpi, e si mostrò soddisfatto di quanto il Signor Fournier gli aveva riferito nei primi rapporti suoi. Il linguaggio di questo illustre uomo di Stato non potrebb'essere nè più favorevole, nè più onorevole pel nostro paese e per gli uomini che lo governano.

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IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 103. Madrid, 8 aprile 1872 (per. il 13).

Il ne peut plus désormais y avoir de doute sur le triomphe éclatant qu'a remporté dans les élections le Ministère, et qui, en nombre rond, peut se chiffrer par cent voix de majorité. Il peut bien y avoir quelques rares variations par suite de la couleur douteuse de quelques députés, mais ces variations peuvent tout aussi bien se produire en faveur du Ministère qu'en faveur de l'opposition, et, dès lors, le chiffre plus haut indiqué doit étre accepté comme l'expression exacte de la majorité acquise au Gouvernement. Si maintenant, comme cela est important, l'on décompose les votes donnés à l'opposition, l'on trouve que les carlistes et les républicains ont seuls profité de la coalition, tandis que les radicaux, qui en ont été les promoteurs, verront leurs rangs diminués de près de 20 voix aux prochaines Cortès. Ce résultat suffirait à lui seul pour prouver jusqu'à l'évidence la faiblesse de ce parti, qui, malgré les déclamations furibondes de ses organes, et son succès à Madrid, motivé par les raisons que j'ai précédemment expliquées, n'a en réalité ni forces ni racines dans le pays.

Quant au parti alphonsiste, qui de tout temps a joué un ròle si effacé dans les précédentes législatures, et ne sera guère représenté que par une dizaine de voeux dans celle-ci, l'on sait que, en conspirateur habile, connaissant bien son terrain, tous ses efforts sont concentrés dans l'armée qu'il cherche, par tous le moyens possibles, à corrompre et à gagner à sa cause. Ainsi que j'ai eu plusieurs fois l'occasion d'en informer V. E., c'est de ce còté qu'est le véritable danger, les républicains et les carlistes ne représentant qu'une petite fraction de l'opinion du pays, et étant surtout particulièrement odieux à l'armée, qui est le pivòt sur lequel roule invariablement la politique espagnole, et dont la volonté prévaudra toujours dans les circonstances décisives.

En résumé, quoiqu'en disent, dans l'exaspération de leur échec, les journaux de l'opposition, la sifuation, qui était si menaçante il y a seulement quelques jours, s'est singulièrement améliorée, et maintenant il va dépendre autant de l'habileté du Gouvernement, que du patriotisme de la majorité, de la consolider, en restant invariablement unis. C'est là une condition indispensable de vitalité pour le Gouvernement, car si, comme l'affirment déjà certains organes de la presse radicale, la moindre scission venait à se produire entre les Unionistes et les Progressistes de M. Sagasta, tout serait de nouveau remis en question et l'on rentrerait fatalement dans l'impasse dont on vient de sortir.

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IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. RISERVATA. Pietroburgo, 8 aprile 1872 (per. il 23).

I negoziati relativi alla Chiesa Cattolica di Polonia furono interrotti dalla nomina di Monsignor Ledocowski a Primate di quel Regno, i,l cui documento fu rinvenuto fra le carte sequestrate siccome l'E. V. ben sa, al celebre Prelato per ordine delle autorità Alemanne.

Trattavasi fra la Corte di Roma e il Gabinetto Imperiale di una riforma del Collegio Cattolico di Pietroburgo a norma dei desiderii di quella, e come concessione rispondente alla concessione da lei fatta quanto alla nomina dei vescovi: e avvertasi che la facoltà quanto all'uso della lingua che si tenea da ultimo come già concessa dalla Sedia di Roma, fu poi, dietro le esitazioni sopravvenute, posta in qualche dubbio, o almeno tenuta in sospeso. Il Collegio Cattolico di Pietroburgo, siccome alla E. V. è noto, fu istituito al tempo della seconda Caterina, e contiene un Concistorio e un Seminario, da cui dipendono i Cattolici delle provincie Russe, circa tre milioni e mezzo, sparsi in tutta la regione Occidentale dell'Impero, segnatamente in Lituania, in Podolia, in Volinia (32 mila ve n'ha fin'anco in Pietroburgo). Ma per effetto dell'abolita autonomia di Polonia, al metropolitano che è sopra al Collegio Cattolico di Pietroburga è venuto poi, di fatto se non di diritto, ad essere soggetto per la forza delle cose anche il clero cattolico Polacco. Ora la nomina dell'arcivescovo di Posen a Primate, lasciando stare le attribuzioni politiche di cui per diritto storico potrebbe essere investito, si conserta con la vertenza del Collegio Cattolico, per questo rispetto, che la sua nuova autorità occultamente conferitagli, potrebbe secondo gl'intendimenti di Roma, porlo in relazioni ufficiali col clero cattolico, non pur della sua diocesi del Posen, ma eziandio con quello dei correligionarii della Polonia Russa. Il Cancelliere Imperiale si è alquanto commosso di questo incidente, per cui fu compromesso il buon risultamento delle trattative da lui iniziate con la Corte Pontificia, ed ha indirizzato in questi ultimi giorni frequenti e solleciti messaggi al Signor di Capenhist per averne spiegazioni e chiarimenti. Questa politica di conciliazione con la Curia Romana appartiene quasi del tutto ai concetti personali del Principe Gortchakow, ed ad un certo sentimento di vecchio uomo di stato, in cui certamente prevalgono gl'interessi della sua na:z:ionalità così strettamente collegati con quelli della religione Ortodossa, ma che pure al tempo stesso non può disfarsi da un rispetto antico per il Cattolicismo Romano, come ordinamento politico, e come principio conservatore nella politica internazionale di Europa. Pure a tal sentimento non partecipa la maggioranza degli uomini politici di questo paese, a cui tale arrendevolezza del Principe Cancelliere verso una potestà nemica della religione nazionale non sembra conforme alla politica tradizionale dell'impero.

La sconfitta parlamentare degli uomini della Germania collegati coi Polacchi di Alemagna e il vigore spiegato contro essi dal Cancelliere Prussiano

ha senza alcun dubbio contribuito a generare in Russia una opinione poco favorevole a questi tentativi di ricomponimento col Vaticano; e come indizio di cosiffatto disfavore è da notare la formazione di una Società filo-ortodossa che ha sede in Pietroburgo, e ch'è presieduta dal Gran Duca Costantino. Codesta società tenne jer l'altro la sua adunanza di inaugurazione, e gli oratori che vi presero la parola manifestarono, con assenso visibile e quasi unanime degli ascoltanti, sensi di attrattiva e desiderio di accostamento alla parte dei vecchi Cattolici Alemanni, e di crescente ripugnanza all'autorità del Pontefice di Roma.

In Russia si parla molto della Polonia dopo la guerra Franco-Germanica; ed a partito si ingannerebbe chi tenesse che questa grande controversia Europea della Polonia non sia destinata, in un avvenire non troppo remoto, a commuovere la mente degli uomini di Stato. Ciò parrà strano a chi usa vedere e discutere la questione polacca secondo gli apprezzamenti della scuola liberale di Occidente; ma tanto è che il Russo patriota e diplomatico ha fitto in mente un pensiero, di cui ben pochi in Italia ed in Francia hanno inteso a parlare, ma di cui, per istrana che ci paja, si potrebbe sentire a parlare anche troppo un giorno: quello cioè di un quarto parteggio della Polonia. Questo pensiero, di cui la possibilità pratica sembrò emergere più viva dai risultamenti della guerra, che obbliga la Russia ad usufruttuare l'amicizia del suo potente vicino, consisterebbe in uno scambio della Polonia Russa di qua dalla Vistola, che sarebbe ceduta alla Germania, con la Galizia e la Bucovina che sarebbero tolte alla Monarchia Austro-Ungarica, i cui abitatori sono in massima parte GreciOrtodossi. La frontiera della Russia con l'Impero Germanico rimarrebbe la stessa, fino all'altezza del Razgrad, e di là raggiungerebbe la Vistola fino al confluente del San, per cui si continuerebbe la linea del novello confine. Per effetto di tal mutamento la Russia abbandonerebbe una popolazione di due milioni e mezzo di Cattolici, per acquistarne in compenso altrettanti, della stessa fede e quasi della stessa razza che il resto dell'Impero, in due provincie da rapire all'Austria. Nè tal disegno sarebbe attuabile che rnercè una guerra a quest'ultima, di cui il Russo è nemico implacabile, e il cui danno gli sarebbe un incentivo di più a tentarne l'adempimento.

Per fermo è cosa ben poco credibile che una così grossa eventualità di guerra possa avverarsi sotto l'amministrazione del Principe Gortchakow. Ma io intesi farne parola ad uomini gravi che hanno voce nei crocchi politici attenenti al regime ufficiale, come di cosa non estranea alle previsioni del tempo, e che potrebbe formare argomento di accordi con la nuova Russia; massimechè qualunque altra combinazione di diversa natura, che vantaggiasse gl'incrementi della Russia sulle terre dipendenti dal Turco, non tornerebbe conforme alle viste del Gabinetto Germanico.

Senza presumere di attribuire a questi concetti una troppo grande importanza, la qualità delle persone da cui li raccolsi, e la frequenza con cui mi accadde in questi giorni di sentirne favellare, mi indussero a credere che portasse il pregio di farne un cenno alla E. V., che nella sua saggezza saprà stimarne l'utilità ed il valore.

448

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A BERNA, MELEGARI

D. 82. Roma, 9 aprile 1872.

Il Ministero dell'Interno, al quale ho successivamente comunicato le notizie pervenutemi circa le misure adottate dalle autorità federali verso i rifugiati italiani nel Ticino, si è nuovamente rivolto a me per ottenere in proposito ulteriori e più esatte informazioni. Esso desidera specialmente sapere chi sieno gli italiani espulsi dal Cantone, e quale direzione essi abbiano preso.

Non mi dissimulo che un ufficio di codesta Legazione al Governo federale per chiedergli formalmente contezza del suo operato, equivarrebbe in certo modo ad un nuovo eccitamento per indurre quel Governo alla adozione di più efficaci provvedimenti che non sia il semplice trasferimento a Bellinzona del noto Cecchini.

Per questa ragione, e nel dubbio che considerazioni di convenienza sconsiglino le nuove domande di cui si tratta, io mi limito a comunicare alla S. V. il desiderio espresso dal Ministero dell'Interno, lasciando lei giudice dell'opportunità della cosa. Se ella stimasse doversi astenere per ora dal ricorrere nuovamente al Governo federale sull'argomento delle mene rivoluzionarie del Canton Ticino, la pregherei solamente di volermi esporre, per norma della mia risposta al Ministero dell'Interno, le ragioni da cui tale astensione le sarebbe suggerita.

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IL MINISTRO A BRUXELLES, BLANC, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 38. Bruxelles, 11 aprile 1872 (per. il 15).

Ayant rencontré hier au soir M. Malou qui est, V. E. le sait, le principal homme d'Etat du Cabinet, nous nous sommes entretenus de la communication que j'ai eu à faire au Comte d'Aspremont Lynden sur l'ensemble des rapports politiques actuels de la Belgique avec nous.

M. Malou me dit que je recevrai sous peu une communication touchant la relation faite par le procureur du Roi dans le Lymbourg sur le Journal La Gazette Catholique. La conclusion en serait que ce Journal sans abonnés et sans influence ne cherche qu'à se faire une notoriété de scandale; que les rédacteurs en sont personnellement discrédités au point de n'avoir pu se faire admettre au cercle Catholique de la localité; qu'on les poursuivra s'ils continuent, mais que pour le moment ce serait servir leurs intentions que de leur faire les honneurs d'un procès.

J'observai que nous avions assez témoigné du parfait mépris que nous inspiraient de telles attacques, mais que, venant d'une faction qui se rangeait parmi les amis du Ministère, elles avaient forcément une place dans les appréciations que mon Gouvernement devait faire de l'attitude du Gouvernement Beige envers nous; attitude facheusement caractérisée par la faiblesse du

33 -Documenti d'iplomatici -Serie II -Vol. III

Ministère devant les attaques de l'extrème droite contre nous dans la séance du Sénat du 22, et par l'irrégularité de la situation de fait de la représentation Belge auprès du Gouvernement du Roi. Je crois inutile de reproduire les développements que j'ai donné à ces considérations. Je n'ai rien négligé pour faire comprendre à M. Malou la convenance d'en venir à une attitude plus franche, et pour le convaincre qu'en continuant à encourager le Vatican dans des illusions politiques qu'aucun catholique éclairé ne partage plus, on trompe le Saint Père à son détriment, et on vient en aide aux partis qui, dans des intérets totalement étrangers à la Religion, sont cause que le Saint Père se croit tenu à s'abstenir du plein usage de son autorité personnelle en matière religieuse, et efface en quelque sorte le Pontificat derrière les intrigues politiques qui ont su s'imposer à lui.

M. Malou m'écouta et me questionna beaucoup, parut concevoir l'idée qu'un reste d'espoir de restauration fondé sur les Cabinets Etrangers était peut-etre le seui obstacle à l'entrée d'un parti catholique avec l'assentiment du St. Père dans le Parlement Italien, s'arréta avec complaisance sur le fait signalé par moi qu'il n'existe aucune difficulté chez Nous, au contraire de la Belgique, entre le Clergé et les Autorités, et m'assura enfin que je pouvais compter sur lui pour redresser l'état des rapports entre nos deux Gouvernements. Il me dit avoir trouvé nos observations un peu dures; mais il ajouta qu'il serait fait une réponse de nature à nous satisfaire, et il reconnut explicitement que la présence de lVI. de Solvyns en congé à Florence est singulière, et que la situation à cet égard doit etre régularisée.

450

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 246. Roma, 12 aprile 1872.

Ringrazio V. S. della relazione fattami della conversazione avuta con il signor de Thile circa gli affari del Venezuela. Sono ben lieto di sapere che da quel colloquio risultò sempre meglio dimostrata l'identità di viste esistenti fra l'Italia e la Germania sulla opportunità di promuovere una risoluzione delle difficoltà incontrate in quel paese mediante il concorso amichevole del Governo di Washington.

Ella sarà probabilmente informata che il R. Console ed Incaricato d'Affari a Caracas, il quale da molto tempo dovea per affari di famiglia recarsi in Italia, è partito in congedo affidando la cura degli affari italiani al suo collega il rappresentante della Germania.

La partenza del signor Viviani mi lascia senza notizie da Caracas, e ciò in un momento in cui avrei molto desiderato averne sulle cause della sospensione delle relazioni diplomatiche fra il Venezuela e la Spagna. Alla S. V. riuscirà forse di poter sapere che cosa abbia scritto in proposito il rappresentante di Germania al suo governo; ed ella ben comprende che a noi interessi di esserne informati.

451

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. 115. Roma, 12 aprile 1872.

Photiades Bey venne a parlarmi della vertenza risvegliata dalla Serbia con la recente sua domanda alla S. Porta. Egli era incaricato di dirmi che il suo Governo aveva risposto alla Serbia essere disposto ad esaminare i titoli del Principato al possesso dei villaggi turchi, oggetto di contestazione, ma essere del pari fermamente deciso a non andare oltre nella via delle concessioni gratuite sin qui fatte allo stato tributario. L'Inviato di Turchia mi chiedeva quale fosse il modo nostro di vedere in questa questione.

Nella conversazione ch'io ebbi in proposito con Photiades Bey, rilevai anzitutto con piacere che la Turchia non chiude la via a possibili negoziati. Se si dichiara assolutamente contraria a fare nuove concessioni alla Serbia, la Porta ottomana si dimostra però disposta a riconoscere i diritti del Principato se questi è in grado di fornirne le prove e di addurne i titoli. In tale stato di cose che non esclude la possibilità d'un accordo fra le due parti interessate, l'Italia non ha altro contegno da prendere che quello già tracciato dalle precedenti istruzioni di questo Ministero. Epperò io ho potuto dare a Photiades Bey la precisa assicurazione che se l'Italia avesse da adoperarsi per il componimento delle insorte difficoltà lo farebbe con quello spirito di giustizia e d'imparzialità che è il carattere della sua politica estera; ma che intanto il Gabinetto di Roma non solamente si asterrebbe da qualunque passo che potesse interpretarsi a Belgrado come un incoraggiamento a persistere nella via intrapresa, ma insisterebbe anzi presso la Serbia perché entrando francamente in trattative con la Porta, essa abbia da astenersi da atti che potrebbero complicare la quistione.

452

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI

D. 29. Roma, 12 aprile 1872.

Nel di Lei carteggio politico, pervenutomi regolarmente sino al n. 140 incluso, ho trovato interessanti informazioni sulla vertenza dei villaggi turchi dei quali la Serbia domanda alla Turchia la cessione. Ringrazio la S. V. di tali sue comunicazioni.

La risposta della Turchia, quale mi venne comunicata dall'Inviato della Sublime Porta presso il R. Governo non suona come un assoluto rifiuto di esaminare la questione dal lato dello stretto diritto che il Principato può far valere sopra a quei due villaggi. Ma le disposizioni del Governo ottomano sono totalmente sfavorevoli a gratuite concessioni che egli dichiara in modo esplicito di non voler fare allo Stato tributario. Il mio dispaccio d'oggi al Ministro del

Re a Costantinopoli, dispaccio di cui Ella troverà qui unita la copia, servirà di norma a V. S. per regolare il proprio linguaggio con codesti Reggenti.

Ella non deve lasciar loro ignorare che l'Italia vedrebbe con dispiacere la Serbia appigliarsi a partiti che complicando lo stato presente delle cose, renderebbero più difficile un'equa soluzione della vertenza attuale.

453

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 71. Vienna, 12 aprile 1872 (per. il 15).

Nel mio rapporto dei 25 Marzo u. s. (l) facevo cenno all'E. V. del discorso accentuatamente ostile all'Italia, pronunciato in seno alla Camera dei signori dal Barone Schmerling, facendo rilevare il silenzio assoluto serbato su tale parte del discorso del precitato alto funzionario dello Stato dal Ministro oratore Signor Unger, che aveva preso la parola per rispondere agli attacchi diretti contemporaneamente da quel Membro dell'alta Camera contro la politica interna dell'attuale Gabinetto. Non credetti di poi ritornare sull'argomento, sembrandomi che l'eloquenza dei fatti dispensasse da ulteriori commenti; del pari non ravvisai necessario assicurare l'E. V. essere del tutto falsa la voce corsa in alcuni giornali che io avessi avuto al riguardo una conversazione col conte Andrassy, poichè evidentemente il non aver fatto cenno di ciò all'E. V. sembravami fosse bastevole ad accertarla dell'insussistenza della notizia. Vedendo però oggi la quistione ritornare in campo nell'ufficiosa Rivista del Lunedi ed anzi in articolo che so essere stato compilato al Ministero degli Esteri, tengo ad accertare l'E. V. che non solo non ho fatto parola dell'incidente col Ministro, ma che anzi non ho neppure più avuto occasione di vedere il Conte Andrassy dal giorno in cui il Signor di Schmerling pronunciò il suo discorso. È bensì vero che ebbi ad esprimere il mio modo di vedere sull'accaduto col Barone Orczy, ma ciò non ebbe luogo se non alcuni giorni fa, dopo che i giornali già avevano parlato delle mie supposte lagnanze, ed inoltre l'iniziativa del discorso essendo stata presa dal mio interlocutore. Ieri poi, lo stesso Barone Orczy da cui mi ero recato per annunciargli che accettavo l'invito di andare a Pest, dissemi che la mia visita risparmiavagli una lettera, giacchè era stato incaricato dal Conte Andrassy di esprimermi il suo rincrescimento, per l'importanza che aveva potuto vedere dai nostri giornali, essersi data in Italia all'incidente Schmerling, e di assicurarmi che le parole ed i sentimenti di quell'oratore, per quanto alta sia la sua posizione nella gerarchia dello Stato, altro non rappresentavano se non un'opinione affatto personale, spoglia di solidarietà qualunque con chicchessia. Il Conte Andrassy, dissemi il Barone Orczy accentuatamente, m'incarica dirvi : • che desidera siate persuaso non esistere comunanza di vedute di sorta, fra sua Maestà l'Imperatore ed il Barone di Schmerling, che anzi basta che que

sti accenni di piegare da una parte perchè il Sovrano senza esitare prenda l'opposta via! •. Continuando quindi il suo ragionare spiegommi il silenzio del

Ministro oratore col solito assai mediocre ragionamento adottato sin dal primo momento, dell'organismo costituzionale vigente in Austria, che vieta ai Ministri parziali della Monarchia di entrare nel campo della politica estera, esclusivamente riservato al Ministro degli affari Esteri in seno alle Delegazioni. Allorchè queste si riuniranno, vedrete, soggiunsemi, come il Conte Andrassy saprà rispondere a chi muoverà attacchi al Governo in ordine alle sue relazioni coll'Italia. Aggiunsemi in seguito che corrispondenze nel senso delle presenti spiegazioni, erano state mandate ad alcuni giornali italiani, fra gli altri alla Gazzetta di Venezia (inserte nel n. del 9 corrente sotto la data di Vienna 7 aprile) alla Perseveranza ed all'Opinione, e con questa circostanza, dissemi pure, essere stato redatto al Ministero Esteri l'articolo della Rivista del Lunedì. Sentita tale dichiarazione, l'assicurai essere lieto di prendere atto delle cordiali intenzioni del Governo Imperiale e Reale, di fare quanto da esso dipende onde dissipare qualsiasi anche lieve nube, potesse sorgere nei così amichevoli rapporti esistenti fra i due governi: dacchè però mi si confermava la paternità dell'articolo della Rivista del Lunedì, dovevo rilevare una inesattezza; e si era che al Ministero ben dovevasi sapere che io non avevo fatto parola dell'accaduto col Conte Andrassy, che capivo però si fosse presa per punto di partenza tale voce corsa, senza la quale assai difficile sarebbe stato l'entrare in argomento, e che quindi non davo a ciò peso di sorta: che non del pari però potevo sorvolare su di una frase contenuta in detto articolo in cui dicevasi presso a poco che se in Italia esisteva ancora un vecchio rancore contro l'Austria, la reciprocità non era vera. Spiacquemi assai, dissi, che un g,iornale ufficioso accrediti voci di sentimenti ostili dell'Italia contro l'Austria, mentre nulla è più falso dell'esistenza di tali sentimenti. Il Barone Orczy dissemi la frase cui accennavo essergli sfuggita, che non avrebbe però mancato di far cenno all'ufficio della stampa della mia osservazione, affinchè anche a tale riguardo si ponga mente in altra occasione.

Nell'accommiatarmi poi da lui, credetti dovergli dire che sempre intento per parte mia ad eliminare qualsiasi piccola causa di attrito potesse nascere fra i due paesi, mi ero limitato a far cenno al mio governo del discorso del Signor Schmerling l'indomani del giorno in cui era stato pronunciato: che d'allora in poi più non ero ritornato sull'argomento, ma che non avrei mancato di portare a conoscenza dell'E. V. le così cordiali dichiarazioni al riguardo fattemi fare dal Conte Andrassy col suo mezzo.

(l) Cfr. n. 425.

454

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL VICE CONSOLE A BUCAREST, GLORIA

T. 1825. Roma, 13 aprile 1872, ore 16.

L'Angleterre m'a proposé de faire dans un but d'humanité d'accord avec elle des représentations au Gouvernement des Principautés Unies afin d'empecher que les juifs ne soient persécutés pendant leurs :fetes de Pàques, ainsi que cela est arrivé souvent, sous prétexte qu'ils melent du sang chrétien dans leurs cérémonies. Veuillez vous associer à ces démarches.

455

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL CONSOLE GENERALE A PEST, SALVINI

D. s. N. Roma, 13 aprile 1872.

Le accuso ricevuta del,la sua corrispondenza fino al n. 4 incluso. Chiamò la mia speciale attenzione quanto Ella mi scrive circa il movimento clericale, che incomincia a prendere, a quanto sembra, una certa importanza in Ungheria. Io la prego quindi di continuarmi le sue utili informazioni sulle mene di questo partito, il quale non lascia mezzi intentati per crearci, direttamente ed indirettamente, ostacoli e difficoltà d'ogni sorta e la cui azione si esplica in tutti i paesi per contrastare e distruggere le conquiste della civiltà e del progresso. Sullo stato della pubblica opinione, e sui rapporti degli ungheresi con i popoli finitimi ed in ispecie coi croati e coi serbi sarò tenutissimo alla S. V. se vorrà, come già fece con lodevole zelo per lo passato, favorirmi ulteriori notizie, giacchè Ella non ignora con quanto interesse il Governo del Re segua lo svolgimento della vita pubblica in codesti paesi fra i più ragguar

devoli della finitima monarchia ed ai quali ci legano tanti interessi morali e materiali.

456

IL VICE CONSOLE A BUCAREST, GLORIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 355. Bucarest, 14 aprile 1872 (per. il 21).

Malgrado apparisse chiaramente che il corruccio del Principe di Bismark contro la Rumenia non era peranco scomparso, il Signor Costaforo interpellava giorni sono il Reggente di quest'Agenzia Germanica se un Agente Rumeno ufficiale sarebbe stato accolto a Berlino. Il Signor Thielau rispondevagli chiaramente ch'era molto meglio per la Rumenia di aspettar qualche mese prima di fare simili proposte, onde non compromettere l'affare, non essendo questo il momento di chiedere delle concessioni al Governo Germanico. Il Ministro degli Affari Esteri si accomiatò di cattivo umore, e pareva tutto fosse finito. Ma otto giorni dopo ritornò alla carica, e disse al Signor Thielau pregado ufficialmente di chiedere a Berlino l'autorizzazione d'inviarvi un Agente Rumeno, facendo sentire che avrebbero nominato il Signor Rossetti, quello stesso ch'era da molto in Prussia come incaricato degl'interessi Rumeni presso Strusberg, e che aveva agito in modo tale da acquistarsi buon nome presso le Autorità Prussiane. Nuovamente il Signor Thielau consigliò di soprassedere, ma il Signor Costaforo insistette, dicendogli che, se non gli bastava la sua parola, era pronto a scrivergli una lettera in questo senso. La risposta non tardò a giungere da Berlino, e fu che la Rumenia poteva far quello che voleva, ma che il Governo Germanico si sarebbe indirizzato alla Turchia, per sapere in qual condizione potesse accettare un Agente Rumeno.

È qui opinione accreditata che il Signor Maurogeni (mio rapporto n. 334) sia partito per Berlino allo scopo di rinnovare simili tentativi.

457

IL VICE CONSOLE A BUCAREST, GLORIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 356. Bucarest, 15 aprile 1872 (per. il 22).

Giorni sono il Reggente l'Agenzia Germanica riceveva dal Principe di Bismark l'ordine d'intendersi coi suoi colleghi circa i passi opportuni onde attirar seriamente l'attenzione di questo Governo circa lo stato di agitazione ed i preparativi che si fanno per una persecuzione generale degli Ebrei nei Principati.

Il Signor Thielau venne allora da me a chiedermi se ero d'avviso di agire in questo senso, ed in qual modo estrinsecare la nostr'azione.

Gli risposi non avere istruzioni recenti in proposito, ma che, essendo a mia conoscenza le mene dei partiti per far riuscire nuovi e più generali disordini contro gli Israeliti, io mi credevo autorizzato dalle istruzioni antiche a fare, in unione coi miei colleghi tutti quei passi che si credessero tali da impedire ogni movimento di questo genere. Quanto poi al modo di far sentire la nostra voce, parermi potersi -prendendo le mosse dalla nota direttaci dal Signor Costaforo in data dei 19 febbraio (mio rapporto n. 344) (l) -chiedere i maggiori dettagli promessici, e richiamar seriamente l'attenzione del Governo Principesco sui sinistri rumori che corrono e dall'interno e dall'estero circa una nuova prossima persecuzione di Israeliti, i quali vivono in continua trepidanza. Finii però col dire ch'io mi sarei sempre unito al parere della maggioranza.

L'Agente Inglese, pure fino a quel momento senza istruzioni, rispose nell'istesso mio senso, se non che propose che si facessero da ciascuno delle rimostranze verbali al Signor Catargi in assenza del Signor Costaforo.

La sua opinione fu accettata da noi, ed il Signor Green il Signor Thielau ed io ne abbiamo intrattenuto il Signor Catargi sabato stesso. Io poi, avendo nella notte susseguente ricevuto il pregiato telegramma in cifra che l'E. V. ben volle dirigermi in data dei 13 corrente (2), rividi il Presidente del Consiglio il giorno seguente e gli annunziai avere io pure come i miei colleghi d'Inghilterra e di Germania, ricevuto istruzioni precise in questa vertenza, e gli ripetei con più forza ancora quanto gli avevo detto la vigilia.

Il Signor Catargi mi rispose: • nous avons pris toutes les mesures possibiles pour empecher le renouvellement des troubles, et nous sommes surs que rien ne pourra arriver sans une répression immédiate; du reste les nouvelles, que nous recevons de M. Costaforo, nous font espérer puisqu'elles nous assurent que l'agitation s'est beaucoup calmée en Bessarabie, de manière que, si des intrigues étrangères ne viennent pas gater notre oeuvre de pacification, on peut etre sur que rien n'arrivera •.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 454.
458

IL VICE CONSOLE A BUCAREST, GLORIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 357. Bucarest, 15 aprile 1872 (per. il 23).

I rapporti del Signor Costaforo dalla Bessarabia danno strazianti notizie dello stato degli Israeliti in quelle contrade. Incalcolabili sono le perdite loro arrecate negli ultimi torbidi, immensa quindi è la loro miseria; né lo stato delle popolazioni è tale da fare sperare bene per l'avvenire. Al danno materiale si aggiunge quindi per gli Ebrei la tortura morale dell'incerto futuro che loro appare gravido di nuove e più terribili sofferenze.

Simili cose furono confessate aU'Agente Inglese da S. A. mentre il Signor Catargi continua sempre a parlare come se vedesse tutto in rosa e come se fosse certo che ogni cosa camminerà tranquillamente.

Questa calma è piuttosto simulata, e àa qualche tempo egli è divenuto molto più pensoso; a tal punto che, giorni sono, parlando della questione Israeliti in Rumenia, egli dicevami esser quello il lato vulnerabile di qualunque Governo che volesse l'ordine nel Paese. Chiunque potrà sfruttarla e farla risorgere da un momento all'altro, dando così luogo a sommosse dannosissime al prestigio del Paese e del Governo.

Pur troppo egli ha ragione pavlando in tal guisa, e sovratutto accusando il partito rosso e Cogalniceano che, essendo al potere, furono i primi ad aizzare le passioni e promuovere, per un meschino interesse elettorale, assassinii impuniti contro gli ebrei.

Sembravami tuttavia ben deciso a non lasciarsi imporre dai perturbatori e continuare la sua politica di ordine.

459

IL MINISTRO DI FRANCIA A ROMA, FOURNIER, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Roma, 16 aprile 1872 (per. il 18).

Mon Gouvernement avait, dès le mois de Juin de l'année dernière, signalé à l'attention des Cabinets les dangers que font courir à rl'ordre social dans la plupart des pays de I'Europe !es doctrines et !es actes de la Société internationale des travailleurs et plusieurs Puissances nous ont fait connaitre dès lors qu'elles seraient disposées à rechercher de concert avec nous Ies mesures générales qui pourraient étre adoptées dans un intérét de sécurité mutuelle. Avant de suggérer aucune combinaison, nous avons pensé qu'i,l y avait lieu, en ce qui nous concerne, de procéder par voie de législation intérieure et nous avons voulu attendre que l'Assemblée Nationale, saisie de la question, se fùt pro

noncée. Une loi a été votée et nous espérons, à l'aide des dispositions qu'elle renferme, etre en état de paralyser les efforts de l'Internationale sur notre territoire.

Nous ne nous croyons pas le droit de demander aux autres Puissances de suivre l'exemple que nous avons donné. Nous repoussons particulièrement la pensée de tout accord impliquant une ingérence quelconque d'une ou de plusieurs d'entre elles dans les affaires intérieures des autres. Il appartient à chacune d'examiner dans la plénitude de son indépendance si elle doit recourir ainsi que nous à une loi spéciale ou se borner à l'application des pénalités déjà existantes dans ses codes. Mais, quelles que soient à cet égard les résolutions que les Gouvernements jugeront utile de prendre, il est un point sur lequel l'entente entre eux est possible parce qu'elle n'impliquerait le sacrifice d'aucune part de souveraineté et qu'elle serait entièrement conforme aux règles du droit des gens; il importerait que les affiliés à l'Internationale, en quelque lieu que le délit eut été commis, ne pussent se soustraire à l'action de la justice et ce but serait atteint si les Cabinets étaient d'accord pour se concéder mutuellement l'extradition. Le Gouvernement Espagnol s'est déjà placé dans cet ordre d'idées.

L'extradition n'est plus restreinte aux crimes. La plupart des Gouvernements l'ont étendue aux simples délits. On pourrait dire que dans le cas actuel ce délit présente un caractère politique. Mais il ne s'agit pas ici de ces actes qui ont seulement pour but de changer la forme des pouvoirs publics. C'est la société elle-mème qui est en cause, ce sont les conditions essentielles de son existence et de sa stabilité que l'on se propose d'anéantir, c'est l'abolition de l'héritage, la collectivité des biens que l'on prétend décreter. De pareils actes, au point de vue social, constituent des crimes au mème titre que le pillage et le vol.

Au cas où les considérations que je viens d'exposer à V. E. par ordre de

mon Gouvernement, lui paraitraient avoir une valeur d'intérèt général pour

les Gouvernements Européens, je La prierais de me faire savoir s'il lui convient

de compléter notre convention d'extradition, en signant un article additionnel

qui en étendrait l'application aux délits visés par la Loi du 14 Mars.

460

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 172. Bema, 16 aprile 1872 (per. il 20).

In risposta all'ossequiato dispaccio di questa serie n. 82, in data 9 Aprile corrente (1), con cui mi si chiede, a nome del Ministro dell'Interno, di volerlo informare intorno all'esecuzione dei provvedimenti fatti dalle Autorità federali

rispetto ai rifugiati Italiani che si trovavano nel Ticino, debbo sottoporre aUa

E. V. le seguenti avvertenze.

L'Italia non ha che a lodarsi del contegno delle Autorità federali per tutto ciò che concerne la non agevole vigilanza sopra i rifugiati Italiani che hanno successivamente riparato nel Ticino e nei Grigioni. Esistono negli Archivi di codesto Ministero documenti sufficienti per dimostrare come, in ogni circostanza, il Consiglio federale abbia fatto opera per tutelare le nostre frontiere.

Non si ha a questo riguardo che a paragonare il suo modo d'agire verso di noi con quello tenuto da lui verso la Francia, la quale, tanto sotto l'Impero quanto sotto la Repubblica, non ha potuto ottenere che i suoi rifugiati siano allontanati da Ginevra. Cosi deve dirsi di altre Potenze fra le quali la Russia, e noi dobbiamo essere tanto più grati all'Autorità federale di avere, malgrado l'influenza in Svizzera di un grande partito favorevole ai rivoluzionari di tutti i paesi, -e malgrado le guarentigie che le Costituzioni federali e Cantonali stabiliscono a tutela della libertà di tutti coloro che vi hanno stanza qualunque sia la loro nazionalità, -fatto quanto si poteva chiedere da lei per la sicurezza dei nostri confini.

Per ciò che riguarda il Cecchini, di cui si fa cenno nel Dispaccio cui rispondo, questi non è stato internato nel Cantone, come sembrerebbe credersi, ma è stato espulso dalla Svizzera e l'E. V. può assicurare il suo Collega dell'Interno che ho letto questa mane al Palazzo federale un telegramma col quale le Autorità d'Uri annunziano al Dipartimento federale di Giustizia e Polizia che esso Cecchini è passato di là diretto alla volta di Basilea, da dove sarà uscito quest'oggi dal territorio svizzero per recarsi in Inghilterra.

Non stimo conveniente di fare ulteriori istanze presso il Consiglio federale a questo proposito. Il Presidente della Confederazione, d'accordo col Commissario mandato già nel Ticino, mi ha detto che la morte del Mazzini liberava il Consiglio federale dalle noie originate dalla dimora di lui nel Ticino, come le Autorità italiane, se non dai pericoli, dalla molestia cagionata dalla presenza del vecchio cospiratore alla frontiera. Del resto quest'opinione non è disforme da quella che non ha guarì ebbero al proposito a manifestarmi, in un colloquio particolare, alcuni Deputati del Ticino all'Assemblea federale.

Nel caso poi ove ciò malgrado avessero a continuare in quel Cantone le lamentate mene, reputo che sarà opportuno vengano i nostri prefetti della frontiera autorizzati di avvertire, ove accada, anche telegraficamente questa Legazione dei fatti più gravi che fossero per pervenire a loro cognizione.

Io sono troppo lontano dai luoghi di cui si tratta per tenervi d'occhio coloro che di colà meditano imprese a danno dell'ordine in Italia, e per provvedere efficacemente in tempo.

(l) Cfr. n. 448.

461

IL MINISTRO A W ASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 114. Washington, 16 aprile 1872 (per. il 4 maggio).

Mi giunse testé il dispaccio che l'E. V. mi fece l'onore di rivolgermi li 22 marzo affari politici, n. 19 (l) accompagnato da gl'incartamenti relativi alle nostre relazioni con le repubbliche di Venezuela e dell'Uruguay.

Incomincia l'E. V. dal chiamare la mia attenzione sul rapporto del R. Incaricato d'Affari a Caracas del 23 gennaio ultimo (2), dal quale risulterebbe una differenza fra le offerte fattemi dal Signor Fish in ordine all'appoggio ch'era disposto a dare ai nostri richiami presso il Governo di Venezuela e le istruzioni da S. S. inviate poscia al suo rappresentante in quella residenza. Appare veramente che le parole usate meco dal Segretario di Stato furono alquanto più calorose delle istruzioni trasmesse al Signor Pile. Se non che se, per poco si consideri la estrema moderazione e prudenza che il Governo degli Stati Uniti usa nel far valere i propri richiami come vedrassi meglio nel seguito del presente rapporto, comprenderassi essere poco verosimile ch'esso potesse fare pei richiami italiani più che d'appoggiarli coi suoi buoni offici. In ogni caso io sono d'avviso che l'occorso avrà avuto il vantaggio di contribuire a distogliere il Signor Pile dall'influenza di quelle insinuazioni di diffidenza cui H suo animo sembrava inclinato, e ch'erano probabilmente avvalorate dalle pratiche collettive che in quel tempo si stavano fa.cendo dalle potenze europee presso il Governo della Repubblica.

L'E. V. entra quindi a parlare delle pratiche fatte dal Governo Germanico presso quello di S. M. allo scopo d'invitare il Governo degli Stati Uniti ad occupare le dogane principali del Venezuela affine di consacrarne una parte al pagamento dei richiami esteri, e m'ordina di prendere gli opportuni concerti con questa legazione Germanica per farne la relativa proposta al Signor Fish.

Questo progetto, come l'E. V. conosce non è nuovo, chè già ne fu discorso in questa corrispondenza frapposta dell'll gennaio 1871, politico n. 54, se non che in quel tempo il Governo della Repubblica non credette aderire alla domanda. Si fu nell'inverno scorso che il Rappresentante degli Stati Uniti a Caracas credette trarre da una conversazione col Presidente Guzman Bianco che il Governo di Venezuela non sarebbe ora alieno dall'affidare agli agenti di qualche estera potenza ma preferibilmente degli Stati Uniti, la percezione dei diritti di dogana in alcuni di quei principali porti, e di siffatta conversazione rese pronto conto al suo Governo. Il Rappresentante dell'Impero Germanico in questa residenza avendo avuto in quei giorni a fare al Signor Fish una comunicazione relativa al Venezuela, questi gli partecipò quanto aveva ricevuto da Caracas ed espresse il suo avviso che il Governo degli Stati Uniti potrebbe assumersi siffatto incarico se siffatto aggiustamento fosse grato alle Potenze che ne ave

vano interesse. Il Governo germanico trovò il progetto conveniente e ne fece soggetto delle comunicazioni alle potenze europee che l'E. V. conosce, ma finora non diede alcuna istruzione categorica in proposito a questa sua legazione. In seguito alla conversazione ch'io ebbi col Signor SchlOsser credo che questi coglierà la prima occasione per riaprire negoziati in proposito col Signor Fish.

Presso a poco al medesimo tempo il Segretario di Stato toccava di questo progetto col Rappresentante della Gran Bretagna e questi lo comunicava senza indugio al suo Governo. Però questo non fece finora alcun riscontro sull'argomento.

Mi trasferii poscia presso il Signor Fish il quale mi raccontò tutto quello che era occorso finora. Egli mi disse che, appena ricevette quella comunicazione dal Signor Pile, rispose l'idea d'occupare alcune di quelle dogane sembrargli convenientissima e facesse ogni sforzo per farla prevalere presso quel Governo. Ma finora non ricevette alcun ulteriore ragguaglio sulle presenti disposizioni di esso in ordine al progetto in discorso.

Aggiunse il Signor Fish avere in pari tempo partecipato queste pratiche al Comitato degli Affari Esteri della Camera dei Rappresentanti, il quale non aveva fin allora risposto al messaggio del Presidente nella quistione del Venezuela. Se non che la quistione delle relazioni degli Stati Uniti col Venezuela si trovava complicata da quanto era occorso relativamente alla commissione mista dei richiami, parecchie di quelle decisioni, e precisamente quelle ch'erano state pronunciate dall'arbitro, essendo state impugnate dal Governo di Venezuela come non conformi alla giustizia e sospette di corruzione. L'E. V. già conosce come questo Governo fosse poco propenso ad insistere sopra le conchiusioni d'un Tribunale sulla cui integrità esistevano fondati sospetti. Il Comitato della Camera esaminò le relative corrispondenze e presentò in data delli 7 marzo un rapporto pel quale riconosce le proteste del Venezuela contro una parte delle decisioni della Commissione avere fondamento di vero, epperò propone che il potere esecutivo sia autorizzato ad intavolare negoziati col Governo di Venezuela affine di prendere a nuovo esame i richiami che già furono innanzi a tribunale di arbitraggio a termini del trattato del 25 aprile 1866. E quanto alla proposta occupazione di porti il rapporto ne fa menzione incidentalmente come d'indizio delle buone disposizioni di quel Governo, il progetto non essendo sufficientemente maturo perchè il Comitato possa intervenire. La Camera non ha peranco preso alcuna misura in ordine al contenuto di questo rapporto, ma non dubito sarà per accettarne le conchiusioni.

In tali circostanze mi pare adunque non vi sia che da aspettare le ulteriori informazioni che saranno per giungere da Caracas. E frattanto il Governo degli Stati Uniti è officiosamente ragguagliato i governi d'Italia e di Germania desiderare la realizzazione del progetto in discorso nè credo il Governo Inglese sarà alieno dall'aderirvi, l'indugio nel rispondere non potendosi attribuire che alle gravi preoccupazioni d'altro genere in cui versa attualmente. E queste adesioni bastano senza dubbio alla riuscita del progetto. Resta a vedersi se realmente il Governo del Venezuela è pronto ad accettarne le conseguenze, imperocchè quello degli Stati Uniti mi sembrerebbe poco disposto ad imporlo con la forza chè anzi da recenti conversazioni avute col Signor· Fish ho dovuto persuadermi ch'egli rifugge dall'idea di impiegare misure coercitive verso gli Stati dell'America Centrale, nè vi sarebbe indotto che in casi d'estrema necessità.

Avrò cura di tenere l'E. V. informata di quanto sarà per seguire in ordine a questa pendenza.

(l) -Cfr. n. 416. (2) -Non pubblicato.
462

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4201. Madrid, 19 aprile 1872, ore 20 (per. ore 1,25 del 20).

Le ministre des Affaires Etrangères vient de me dire à l'instant qu'un grand mouvement carliste se prépare pour la semaine prochaine dans les provinces basques et de Valence. D'après les correspondances saisies, l'on croit que Don Carlos viendrait en personne commander l'insurrection que seconderait utilement les républicains en faisant naitre des troubles dans les viHes. Mais le Gouvernement se tient prét à agir avec énergie.

463

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 142. Belgrado, 19 aprile 1872 (per. il 24).

Credo le assicuranze dei Signori Reggenti rispetto alla drittura della condotta del Principato verso l'Austria-Ungheria, non sieno da questo Stato credute sincere. L'Austria-Ungheria stima che la Serbia fece e tentò per nuocerle quanto era abile a fare od a tentare. Quella monavchia crede che la Serbia è in diretta relazione coi malcontenti dell'Ungheria meridionale, ch'essa sparge a piene mani il suo denaro a sostegno delle gazzette oppositrici ed a restauro delle multe incorse dagli scrittori di esse. Il prossimo raunarsi del congresso generale dei serbi (scopo legale di esso è tutto che ha relazione con la Chiesa e l'istruzione) a Gross-Beeskerck città molto vicina a Belgrado, dà appiglio ai giornali ungheresi di consigliare al Governo di Pest di mostrarsi più risoluto a Belgrado e di prevenire i pericoli che minaccerebbero la pace interna dello Stato se i malcontenti trovano al di fuori una base di operazione ed un quartier generale.

Gli abusi della stampa a Belgrado non hanno le scuse medesime che nei paesi ove la libertà della stampa è fatto: al di fuori del Radenik diario communistico, internazionale, ed il più letto, ed il quale possiede una stamperia, gli altri fogli sono impressi da quella dello Stato: e siccome lo stampatore è al

paro dello scrittore di un articolo incriminato soggetto a procedimento ed a condanna, nessuno degli articoli di tutti i diari di Belgrado è messo ai torchii senza la sottoscrizione del direttore della stamperia governativa il quale non l'appone che in seguito ad una illegale ma efficace censura.

Il Governo Serbo oggidì non è più padrone di se stesso: se dopo essersi legato all'Omladina ed ai Serbi che in Ungheria quasi apertamente preparansi a rivolta, volesse ritirarsi da quella arrischiata alleanza, non solamente si porrebbe esso in pericolo di essere travolto lo sarebbe per sicuro.

Non è fuor di proposito forse il rammentare che i Serbo-Ungheresi per il loro piccolo numero e fino a che l'opposizione loro non sia pubblicamente riunita a quella dei Croati, non sarebbero soli molto pericolosi: ma l'opposizione ha gravi conseguenze perchè i deputati serbi vestono la fazione alla quale appartengono del nome di • opposizione delle nazionalità • e rafforzano gli altri partiti i quali combattono a nome dei principii del radicalismo. E finalmente è da osservare un fatto ai miei occhi importante e del quale gli avvenimenti futuri porgeranno probabilmente l'occasione di discorrere più profondamente, ed è che nessuna terra al mondo è più che la Slava propizia al nascere ed al fiorire delle dottrine comunistiche, e ciò perchè la genesi dello Stato presso gli Slavi è da ritrovarsi nella forma primitiva del governo comunistico della famiglia e del comune.

Sta nella natura delle cose che la Serbia cerchi a premunirsi contro qualunque accidente che potesse conseguire dalla linea di condotta iniziata nei suoi rapporti con Costantinopoli, recando ad effetto le risoluzioni comuni da lungo pigliate col Montenegro e tentando di strascinare la Grecia. Qui non notossi altro che un maggior scambio di visite tra il Signor Blasnavatz ed il Console di Grecia.

464

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A TOKIO, FE' D'OSTIANI

D. 6. Roma, 21 aprile 1872.

Ho ricevuto l'interessante di lei corrispondenza relativa alla posizione dei missionari cristiani in Cina. Con l'ultimo suo rapporto relativo a questo affare ella mi chiede istruzioni sulla risposta che a lei sembra ormai necessario che anche l'Italia dia alla circolare del Governo cinese a V. S. consegnata nel marzo 1871.

Io non ho mancato, sino da quando V. S. mi ha trasmesso quel documento, di esaminarne attentamente il contenuto. Presi parimenti nella debita considerazione ciò che in varie conferenze le esposero i ministri cinesi e più particolarmente il reggente principe Kung. Sembrava a codesti personaggi che il soggiorno d'una Legazione italiana in Pekino fosse una occasione favorevole per far pervenire alla persona stessa del Romano Pontefice la necessità di un pronto rimedio ai numerosi e gravi inconvenienti che possono derivare dalla condotta dei missionari. E forse perchè fra costoro non pochi appartengono alla nazionalità italiana e dovrebbero quindi sentirsi stretti da un doppio vincolo di dipendenza da Roma, i Ministri cinesi raccomandavano caldamente a V. S. di informare e il Governo del Re e la stessa Sede Apostolica di varie lagnanze che in aggiunta a quelle già espresse nella circolare del marzo 1871, essi andavano diffusamente esponendo.

Tutte queste lagnanze si riassumerebbero però in ciò che i proseliti indigeni, forti della protezione dei missionari, ricusano di obbedire alle leggi della patria e, formando una classe di individui privilegiati, eccitano l'odio popolare che prorompendo fu causa talvolta di danno per tutti i forestieri e di gravissimo ostacolo allo sviluppo delle relazioni della Cina ,con l'Europa. Osservava il principe Kung che oltre agl'interessi della propaganda, vi sono le relazioni commerciali di tutte le nazioni che versano in continuo pericolo se alla posizione dei missionari non si prescrivono più ristretti limiti e norme più conformi all'ufficio che essi compiono. Per ultimo V. S. mi segnalava la particolare insistenza del Principe Reggente nel volerla persuadere della necessità di far presente al Sommo Pontefice il vero stato delle cose, imperocchè quel personaggio mostrava di credere che se noi facessimo conoscere a Sua Santità la condotta dei missionari di propaganda in Cina nonchè le difficoltà che ne derivano alla pace interna di quell'Impero, i padri incorrerebbero nella sua disapprovazione.

Molto opportunamente V. S. nei colloqui avuti coi ministri cinesi cercò di far loro comprendere che il Governo e la nazione italiana non possono essere tenuti responsabili degli atti della Sede Apostolica sui consigli della quale non esercitano alcuna influenza. Certamente il Santo Padre è animato dai sentimenti della più grande imparzialità e giustizia verso tutte le nazioni, ma come noi non possiamo arrogarci di parlare in suo nome, così non possiamo neppure incaricarci di fargli pervenire le lagnanze di altri Governi contro i missionari di propaganda. La distinzione assoluta che passa in Italia fra le due potestà civile ed ecclesiastica non è tale idea colla quale i popoli dell'Estremo Oriente possano agevolmente famigliarizzarsi; ma appunto perciò, ad evitare spiacevoli conseguenze possibili, importa inculcare loro in ogni circostanza questa verità, che in Roma il Governo non ha né parte né influenza nella direzione delle cose che alla propagazione della fede si riferiscono.

Vero è che l'Italia, ad imitazione di ciò che aveano fatto altre nazioni, ha stipulato nel suo Trattato del 1866 con la Cina certe clausole intese ad impedire la persecuzione per causa di religione. Ma con tali stipulazioni il Governo del Re non ha mai inteso di voler avocata a sè la protezione delle Chiese e delle missioni quando queste non ricorrano spontaneamente alla sua tutela. Quindi V. S., ricordandosi delle istruzioni generali avute dal suo predecessore, fece assai bene di non entrare in discussione sul campo troppo vasto che le conversazioni del principe Kung le aprivano. L'Italia non vuol rinunziare alla protezione di tutti i suoi cittadini, siano essi chierici o laici; ancor meno essa potrebbe rinunziare all'esercizio della giurisaizione garantitole dalle sue convenzioni sopra tutti indistintamente gli italiani dimoranti in Cina. Ma il Governo italiano ha ognora ingiunto ai suoi agenti di distinguere gl'individui dalle corporazioni e gli atti degli uni da quelli delle altre, sicchè non possa mai accadere di invadere il campo dell'altrui azione, protezione od influenza. Epperò non pare possibile alcun equivoco sul mandato della nostra diplomazia in Cina, nè sull'indole delle relazioni che noi procuriamo di sviluppare fra l'Italia e quell'Impero.

Sotto questo punto di vista noi avremmo considerato la questione sollevata dal Governo cinese con la circolare più volte citata, se V. S. nel riferire la grave preoccupazione che la quistione anzidetta creava alla Cina, non ci avesse ripetutamente espresso questo doppio concetto, della necessità di non respingere in modo assoluto le domande del Governo cinese e della utilità che tutti i Governi tenessero un linguaggio concorde non solamente al Tsong-li-Yamen, ma anche ai missionari, per rendere possibili i temperamenti da lei reputati indispensabili. D'altronde il Governo del Re non avrebbe mai potuto disinteressarsi completamente in una quistione che gli è rappresentata dal Governo di Pekino come una causa immediata e permanente di conflitti pericolosi.

Sentendo il bisogno di non isolarci in questo affare dai Gabinetti che hanno con noi maggior analogia di interessi, ci siamo diretti anzitutto sino dal giugno 1871 all'Inghilterra richiedendola di farci conoscere le sue intenzioni nella vertenza dei missionari della Cina. Dalla risposta di Lord Granville al R. Inviato a Londra visultò che l'Inghilterra aveva riconosciuto che le missioni si ingerivano talvolta in affari estranei alla religione; che il Governo britannico avea avvisato i missionari di non far più conto sul suo appoggio se con il loro contegno provocano delle complicazioni; che infine alla circolare cinese non dovessi attribuire soverchia importanza perchè da simile atto non potevano alterarsi le convenzioni internazionali le quali bastavano a tutelare la libertà religiosa in Cina.

Queste cose disse il principale segretario di stato della Regina al nostro Ministro a Londra nel luglio dell'anno passato ed io non ho alcun motivo di credere che il Gabinetto inglese abbia di poi modificato un tal suo modo di vedere. Abbiamo però saputo posteriormente che la Francia avea proposto all'Inghilterra di formare fra di loro uno stretto accordo circa la condotta da seguire verso la Cina, e di invitare poscia l'Italia, gli Stati Uniti, la Germania e la Russia ad associarsi a loro nei passi da farsi a Pechino.

La Legazione di S. M. a Pietroburgo che fu in grado di somministrarmi delle notizie abbastanza complete intorno a queste trattative m'informava nell'agosto che la Russia erasi dimostrata poco favorevolmente disposta a considerare sotto il punto di vista francese la quistione di cui qui ci occupiamo. Il Gabinetto di Pietroburgo premetteva che con la circolare cinese si mirava a temperare l'azione dei missionari cattolici e si lasciava, per dir così, fuori causa la Russia e gli stabilimenti da questa posseduti in Cina. Tali stabilimenti astenendosi, per proprio instituto, da ogni propaganda religiosa, aveano mai

sofferto impedimento al libero esercizio del culto. Per questo motivo, credevasi,

il Governo di Pekino si era astenuto dal consegnare al rappresentante dello

Tzar la nota circolare a cui la Russia non trovavasi dunque obbligata di dare

una risposta. Anzi il Gabinetto di Pietroburgo, non trovando nello stato delle

sue relazioni con la Cina che cosa potrebbe giustificare un suo contegno insolito

verso quel paese, accondiscendendo soltanto a ripetute istanze della diplomazia

francese, finiva col promettere unicamente l'appoggio dei suoi officii diploma

tici ai passi che gli altri Governi farebbero a Pekino.

Gli Stati Uniti d'America aveano dal canto loro presentato separatamente

una risposta alla circolare del Tsong-li-Yamen. La nota del signor Low, ministro

della Confederazione a Pechino, porta la data del 20 marzo 1871. Questo docu

mento ci fu comunicato, con varii altri pubblicati a Washington, nel novembre

successivo, dallo stesso rappresentante degli Stati Uniti in Roma. Questa comu

nicazione mentre significava che il Gabinetto di Washington non voleva sepa

rarsi dall'Italia in questa vertenza, dimostrava nel tempo medesimo che gli

Stati Uniti non avrebbero più potuto associarsi ad una risposta collettiva che

altri Governi si proponessero di fare alla Oina.

Il Governo del Re non fu interpellato dalla Francia relativamente a questo

affare. Ancor meno noi abbiamo avuto occasione di conoscere le intenzioni del

Governo francese sulla condotta da tenersi verso le autorità cinesi negli affari

concernenti le missioni. Confrontando però le istruzioni date nel luglio 1871

al duca di Broglie a Londra, con la nota del signor de Rochechouard al Tsong

li-Yamen del novembre dello stesso anno ci pare che la Francia si sia risoluta

a persistere più che mai nella sua antica politica verso la Cina. Ed in questa

nostra opinione ci confermano due circostanze: la pubblicazione cioè fatta nel

Journal Officiel, nel novembre scorso, delle riparazioni imposte al Governo

cinese per il massacro di Tien-Tsin, e la scelta della persona che è partita

recentemente per rappresentare la Repubblica a Pekino. Il signor Jeoffroi (tale

è il nome del nuovo rappresentante francese) è conosciuto a Roma per le sue

simpatie ultramontane e, sebbene egli qui si recasse prima di partire per la

sua residenza, io non ebbi con lui alcun rapporto. Ignoro dunque assolutamente

il senso delle istruzioni ch'egli porta seco a Pekino.

Volli intrattenerla, signor ministro, alquanto diffusamente di tutte queste cose perchè ella possa comprendere che, volendo noi rispondere alla circolare del Governo cinese, lo potremmo soltanto fare separatamente, imperocchè alcune potenze hanno già risposto ed altre hanno lasciato intendere che non risponderebbero.

A quest'ultimo partito anche l'Italia avrebbe potuto attenersi se le considerazioni espresse nella corrispondenza di V. S. e quelle che la medesima mi ha suggerito non m'inducessero invece ad autorizzarla a dirigere al Tsong-li-Yamen una breve risposta. V. S. ne troverà qui unito il progetto al quale conservandone la sostanza, io l'autorizzo a dare la forma necessaria per le comunicazioni da farsi al Governo cinese.

Ella vorrà, signor ministro, informarmi di ciò che ella farà in esecuzione di queste istruzioni.

34 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTERO DELL'INTERNO

D. s. N. Roma, 21 aprile 1872.

In risposta alle pregiate note di codesto Ministero (Gab. 2254 e 2608) in data del 6 e 17 aprile (1), il sottoscritto ha l'onore di raccomandargli la sostanza delle informazioni trasmesse dal R. Ministro a Berna (2) e dal R. Console in Lugano circa le misure prese dal Governo svizzero per prevenire gli effetti delle mene ordite nel Cantone Ticino contro la sicurezza interna del Regno.

Risulta in modo non dubbio da quelle informazioni che il Governo federale si è prestato colla miglior volontà a tutti i provvedimenti che erano in suo potere per allontanare ogni pericolo dalla frontiera italiana. Ne fanno fede il pronto invio che ebbe luogo di uno speciale commissario nel Ticino, il quale nulla tralasciò per raccogliere gli indizi a carico degli individui sospetti, ed il decreto mercè il quale venne tosto espulso dal territorio elvetico il noto Cecchini, solo fra i rifugiati contro cui si avessero dati sufficienti per giustificare una simile censura. Risulta infatti che il Cecchini espulso non solamente da Lugano ma bensì dalla Confederazione, sarebbe partito da quella città il 13 aprile, avviandosi, a quanto pare, alla volta di Londra, munito di lettera di raccomandazione della famiglia Nathan, e di una del prof. Pederzolli per il dottor Feriani di Ferrara ora residente in Inghilterra.

Noi abbiamo tanta maggior ragione di esser grati al Governo federale pel contegno da lui tenuto in questa circostanza a nostro riguardo, in quanto che giova rammentare che alle istanze fatte non ha guarì dalla Francia per l'adozione di simili misure di rigore contro alcuni individui pericolosi dimoranti in !svizzera si potè rispondere da Berna invocando le leggi della Confederazione che accordano ad ogni straniero la più larga ospitalità. I membri del Consiglio federale hanno dato all'Inviato italiano in Berna le più vive assicurazioni del loro proponimento di nulla tralasciare a tutela della sicurezza dei confini del Regno; essi espressero la speranza che colla morte di G. Mazzini, ial quale per lo più facevano capo gli intrighi orditi nel Ticino, sarà tolta di mezzo un'agitazione che era per le autorità elvetiche ragione di fastidiose inquietudini.

Quanto ai sei individui di Perugia che secondo la pregiata nota di codesto Ministero del 3 aprile n. 2168 (3) si sarebbero avviati verso la Francia e la Svizzera, il R. Console in Lugano riferisce che non è finora segnalata la lora comparsa nel Cantone Ticino.

(l) -Non pubblicate. (2) -Cfr. n. 460. (3) -Non pubblicata.
466

IL DIRETTORE GENERALE DEI CONSOLATI E DEL COMMERCIO, PEIROLERI, AL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL

D. 14. Roma, 21 aprile 1872.

Da informazioni pervenute dal Ministero dell'Interno e da questo comunicatemi risulterebbe che certo Sant'Ambrogio già capo di stato maggiore di Menotti Garibaldi sia partito da Roma il 17 corrente alla volta di Spagna allo scopo di formare colà per incarico dell'Internazionale dei comitati destinati ad organizzarvi ed inviarvi volontari italiani per ingrossare le bande degl'insorti. La prego quindi di portare questo fatto a notizia delle autorità spagnuole allo scopo di sorvegliare le azioni e gli andirivieni di questo individuo qualora egli realmente entrasse nel territorio di codesto Reame, riservandomi di farLe tenere tutte quelle ulteriori informazioni sul conto del Santambrogio che mi verranno dal Ministero dell'Interno comunicate.

467

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4206. Madrid, 21 aprile 1872, ore 16 (per. ore 20).

Jusqu'à présent le Gouvernement n'a reçu aucune nouvelle du mouvement Carliste. Cependant Don Carlos ayant fait enjoindre, depuis la frontière basque, aux députés de son parti de ne pas se présenter aux Cortès en ajoutant qu'il allait transporter la question sur un autre terrain, l'on s'attend d'un moment à l'autre à un commencement d'insurrection. Le Gouvernement est sans inquiétude et l'armée bien disposée.

468

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1838. Parigi, 22 aprile 1872 (per. il 25).

Giusta le istruzioni che mi furono impartite dall'E. V. col dispaccio di Serie politica n. 271, in data del 27 febbraio ultimo (1), io pregai il Ministro degli affari esteri della Repubblica di farmi conoscere se la Circolare del Governo spagnuolo concernente • L'Internazionale • fosse stata comunicata anche al Governo francese e quali fossero le intenzioni di quest'ultimo intorno alle misure di precauzione da prendersi contro.

Ho l'onore di qui unito, inviare all'E. V. la copia della risposta che mi fu data dal Signor di Rémusat in proposito e nella quale è espresso il desiderio che una clausola riflettente gli affiliati all'• Internazionale • sia aggiunta nei trattati di estradizione della Francia colle altre Potenze, per assicurare l'esecuzione della legge che fu votata dall'Assemblea nazionale per premunirsi contro quella Società.

Rammento per ogni buon fine ch'ebbi l'onore di riferire all'E. V. il testo di tale legge col mio rapporto di serie politica n. 1803 in data del 22 febbraio ultimo (1).

.ALLEGATO.

RÉMUSAT A NIGRA

Versailles, 22 aprile 1872.

Vous m'avez fait l'honneur de me demander, en vou~ référant à une démarche du Représentant de l'Espagne auprès de la Cour d'Italie, quelles seraient les dispositions du Gouvernement Français en ce qui touche une entente à établir entre les différents Cabinets, pour protéger la société contre les entreprises de • l'Association Internationale des travailleurs •.

Avant de se prononcer à ce sujet le Gouvernement a du attendre que l'Assemblée nationale, saisie d'un projet de loi spécial sur la question eut terminé ses délibérations. Le résultat en est acquis aujourd'hui et l'acte public qui en est sorti a fixé, sur ce point, notre législation intérieure.

Notre intention n'est point de proposer l'adoption des mesures qu'il consacre, aux autres Gouvernements. C'est à chacun d'eux qu'il appartient de statuer en ce qui le concerne, sur cette question, et nous ne voulons pas préjuger leurs résolutions. Mais nous serions heureux de les trouver disposés à seconder l'application de la loi qui vient d'ètre votée en consentant à l'introduction d'une clause additionnelle aux traités d'extradition que nous avons avec eux et qui viseraient ainsi les délits commis par l'association dont il s'agit. J'ai chargé le Ministre de la République à Rome de faire part de ces vues au Gouvernement Italien et j'attacherais du prix à assurer à ses démarches l'appui de votre influence personnelle auprès de M. le Ministre des Affaires Etrangères du Roi.

(l) Non pubblicato, ma cfr. n. 370.

469

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 989. Berlino, 22 aprile 1872 (per. il 28).

Le signe caractéristique de l'époque que nous traversons est l'incertitude qui piane sur l'avenir, en présence du désarroi des partis en France, et d'un régime provisoire qui peut y aboutir à une révolution intérieure et donner un nouvel aliment aux idées de revanche. L'attitude du Président de la République n'a pas toujours été, aux yeux du moins du Prince de Bismarck, de nature à inspirer ici une grande confiance. Je me réfère sur ce point aux entretiens que

j'ai eus avec S. A. et avec M. de Thile. Ils se préoccupaient, l'un et l'autre, de ce que la France, malgré ses plaintes sur le chiffre élevé de l'indemnité de guerre, semblait néammoins disposée à accepter un budget militaire supérieur, de 60 à 100 millions, à celui de l'Empire. La presse officieuse allemande laissait transpirer ces préoccupations.

Dans ces conjonctures, on pouvait s'expliquer jusqu'à un certain point qu'il circulàt dans les journaux des nouvelles alarmantes sur les relations entre le deux Pays. Il était réservé au Daily Telegraph de forcer la note, en laissant pressentir une rupture imminente, la remise d'un ultimatum pour exiger une réduction des armements poursuivis en France, sous peine d'une mobilisation de l'armée allemande et d'une extension de l'occupation, réduite aujourd'hui à six départements. Les démentis n'ont pas tardé à se produire, d'abord à Londres et à Versailles, et en dernier lieu à Berlin.

Ces nouvelles avaient sans doute un còté très fantaisiste, mais en général il ne court pas de bruit qui n'ait quelque fondement. Il faut l'attribuer, comme je l'ai dit plus haut, à l'incertitude pénible des temps actuels, aux discours parfois peu habiles de M. Thiers au sujet des développements qu'il entend donner à l'armée, au prix des impòts les plus onéreux. S'il n'avait besoin que d'assurer la tranquillité intérieure, il se contenterait d'un contingent proportionné à ce but. On est donc tenté de lui attribuer des arrière-pensées belliqueuses. La patience commence à se lasser; il se peut que le Prince de Bismarck ait eu des boutades de mauvaise humeur, devant des indiscrets qui ont colporté ses propos en les exagérant. Qui sait meme si ce n'est pas lui qui, sous main, a cherché à propager des rumeurs, qui servissent d'avertissement indirect à ses voisins? Ce qui est faux aujourd'hui, pourrait devenir une vérité demain, quand on aurait acquis la conviction morale que la France se prépare à rompre le traité de paix de Francfort, ou meme qu'elle médite une diversion contre l'Italie, pour rétablir le prestige de ses armes.

Dans le premier cas, le Cabinet de Berlin n'hésiterait pas à prendre les devants. Le calcul, qu'une rescousse ne couterait pas les trois milliards que la France doi t encore payer à l'Allemagne, ne résiste pas au raisonnement. Il est tout aussi inexact d'énoncer que cette dernière Puissance n'a plus de convoitise territoriale. Il ne faut pas oublier que l'engagement, pris par le Chancelier Impérial, de restituer Belfort, a été vivement blàmé par l'Etat-Major et par l'opinion publique. Depuis lors d'ailleurs, M. Thiers ne s'est point fait faute de relever la haute importance de cette position stratégique. Pour peu que la France prétàt le fianc par des allures provoquantes, la moindre punition serait de lui enlever Belfort aussi bien que l'Alsace-Lorraine. Ce serait au reste un véritable acte de démence de sa part, isolée comme elle l'est sur le continent, que de vouloir revenir à la charge. Tout récemment encore, le Maréchal de Moltke affirmait que pareille entreprise n'aurait aucune chance de succès. La France ayant été vaincue malgré ses lignes de forteresses, Metz, Strasbourg, etc., à fortiori subirait-elle le meme sort maintenant que ces places fortes sont retournées contre elle.

Ce ne serait donc qu'en faisant une trop large part à la folie du Gouvernement français, qu'on pourrait prévoir des tentatives, pour le moins prématurées en présence des conditions intérieures de ce pays et de la situation politique en Europe, où chacun aspire à la paix.

Dans le second cas, j'ai également la ferme persuasion que l'Allemagne ne permettrait pas à la France de se ruer sur nous, ou de nous dicter la loi par des prétentions inadmissibles. Tel est l'intéret du Cabinet de Berlin. C'est là une meilleure sauvegarde, que les assurances verbales qui m'ont été données à plusieurs reprises par le Prince de Bismarck, et qui vous ont été confirmées, je le sais, par le Comte d'Arnim à son dernier passage à Rome. Il va sans dire qu'il ne faudra pas pour autant négliger de témoigner, à chaque occasion, de notre bon vouloir et de notre désir, le cas échéant, d'une entente pour la défense d'intérèts communs. Ce qui n'empèche pas également que nous devons nous habituer à compter avant tout sur nous-mèmes. Mais, si nous jetons un coup d'oeil sur les autres grandes Puissances, il m'est avis qu'il est aisé de se convaincre de plus en plus que nos préférences doivent pencher vers la Prusse, sans rien sacrifier bien entendu de ce que nous devons à notre propre dignité.

L'Angleterre comptait autrefois parmi nos alliés naturels. L'école de Manchester y prédomine aujourd'hui. Elle tend à se dégager toujours davantage des intérets européens. L'Amérique la tient en échec. Elle est plus asiatique, plus australienne, qu'européenne.

Les intérèts de la Russie ne se combinent pas avec les n6tres sur l'Adriatique, à travers laquelle nous ne pouvions nous tendre la main, que pour arriver à la délivrance de la Vénétie. C'était là une perspective que nous lui laissions entrevoir, avant 1866, pour le besoin de notre cause. Il ne saurait en réalité nous convenir qu'elle étendìt sa domination sur les Slaves du Midi. Il rentre certainement dans nos convenances de nous ménager aussi les sympathies de cette Puissance. Or, le meilleur moyen d'y réussir, sous le règne du moins de l'Empereur Alexandre, est indubitablement celui de nous conserver l'amitié de la Prusse.

Quant à l'Autriche, au point de vue de la force, on ne sait trop ce qu'elle peut valoir encore; au point de vue de sa constitution intérieure, tout demeure chez elle à l'état confus et problématique. Elle ne saurait rentrer par une porte détournée en Allemagne, d'où elle a été exclue en 1866. Les Souverains secon

daires dans le nouvel Empire ne sont plus que des grands vassaux de la couronne de Prusse, maìtresse en réalité de leurs populations et de leurs territoires. C'est à ce motif qu'il faut attribuer le sentiment d'indifférence, avec lequel l'opinion publique a accueilli la nouvelle des fiançailles d'un Prince Bavarois avec la fille de l'Empereur François-Joseph. Nous ne saurions perdre de vue que, par un de ces revirements fréquents à la Cour des Habsbourg, le pouvoir pourrait passer aux mains d'un parti qui ne nous est rien moins que favorable, et qu'ainsi nous aurions tort de ne pas nous prémunir contre cette éventualité, en fortifiant les anneaux de la chaìne simpathique entre les Cabinets de Rome et de Berlin. Ne nous reste-t-il pas des questions à vider un jour avec l'Autriche? Pour la sùreté de nos frontières, n'est-il pas indiqué qu'il faut une Italie embrassant tous les versants méridionaux de la chaìne alpestre? Avant de songer à ces revendications, nous avons encore une vaste carrière de progrès intérieurs à accomplir sur nous-mèmes. Quand ce travail sera arrivé à un point satisfaisant, il y aura certainement lieu de procéder aux revendications pour compléter notre unité territoriale. Dans l'intervalle il pourrait cependant surgir des combinaisons qui nous permettraient de soulever ces questions vis-à-vis de l'Autriche, aussi bien que celle de Nice envers la France, et les chances de succès seraient doublées, si nous étions en mesure de mettre dans la balance un appui éventuel du Cabinet de Berlin. Je ne mentionne pas Trieste, car c'est là un port qui a de chauds partisans en Allemagne pour assurer ses communications avec l'Adriatique, la Méditerrannée et l'Orient. Il nous faudrait un concours heureux de circonstances, comme en 1866, mais dont la fortune des armes nous permit de profìter mieux qu'alors.

La plus forte dose de sève, de vigueur, il faut bien en convenir, se trouve chez la Prusse. Par sa culture scientifìque, par son activité laborieuse, et surtout par ses qualités militaires, elle était devenue l'émule de la France, après 1866; depuis 1870 elle a évincé sa rivale et a pris la première place en Europe. Un courant d'intérets solidaires la rapproche de l'Italie. Il nous appartient de chercher à en tirer le meilleur parti.

Ne nous faisons aucune illusion. Malgré les oscillations de la politique, la France est sur la pente d'une seconde guerre avec l'Allemagne, et probablement avec l'Italie aussi. Elle n'est pas imminente, car la France est encorc désemparée, mais, quand elle se sentira en forces, elle tentera l'aventure. C'est une chaudière qui bout à grand feu et qui fìnira par éclater. Ce n'est qu'une question de quelques années, à moins qu'elle soit assez insensée pour anticiper le terme et pour courir alors immanquablement à sa perte. Voilà le point sur lequel nous devons concentrer nos pensées. En face d'une telle situation, il y aurait quelque chose d'inepte, que de disputer entre nous de partialité sentimentale pour la France. Ramassons nous dans un égoi:sme patriotique. Tant que nos propres forces ne suffiront pas pour faire front à l'orage, rangeonsnous sans scrupule du còté où nos propres convenances seront le mieux à l'abri, c'est-à-dire du còté de la Prusse. Sans nous pavaner de nos bonnes relations avec cette Puissance, sans négliger de la surveiller de près pour parer autant que possible aux écarts du Prince de Bismarck, n'en faisons point mystère, marquons meme nos préférences. Si, au point de vue de la raison, il y a encore un moyen d'éviter un conflit et d'assurer le maintien de la paix en Europe, c'est en òtant à la France tout espoir d'un concours quelconque de notre part dans ses haines contre l'Allemagne, et de lui laisser comprendre en méme temps que nous ne serions pas isolés, s'il lui prenait fantaisie de nous menacer.

(l) Non pubblicato, ma per il testo definitivo della legge in parola cfr. n. 409.

470

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 990. Berlino, 22 aprile 1872 (per. il 28).

J'ai appris par M. de Thile que le Pape avait montré une très grande reserve durant l'audience de congé du Comte d'Arnim. Aucune allusion n'a été faite de sa part aux faits qui se sont produits dans ces derniers temps. Mais le Cardinal Antonelli n'a pas caché à ce diplomate combien la Cour de Rome avait Iieu de se plaindre de la conduite du Cabinet de Berlin, dans ses démelés avec le clergé catholique.

J'ai eu un assez long entretien avec le Comte d'Arnim, et je vais en signaler brièvement la partie essentielle. L'Allemagne devrait songer sérieusement à se débarasser de l'ordre des Jésuites, qui compte certainement des hommes très distingués par le savoir et par les qualités individuelles, mais il n'est pas moins vrai que, ensuite de leur serment d'obéissance absolue à leur général qui ne relève que du Souverain Pontife, ils sont dangereux vis-à-vis de l'Etat. Ce sont autant d'Employés à la dévotion du St. Siège, qui suivent aveuglement ses instructions. Ils exercent une espèce de terrorisme sur la conscience des Eveques et des Curés, et sur une partie notable des fidèles. Le jour où I'on secouerait leur joug, chacun respirerait plus à l'aise, et la paix renaitrait non seulement dans le sein de l'Eglise catholique, mais tout aussi bien entre les différentes confessions chrétiennes. Il ne suffirait pas de les interdire en Allemagne, il faudrait demander à Pie IX de sanctionner la suppression de l'ordre, en imitant l'exemple de Clément XIV. L'Italie devrait, le cas échéant, s'associer à des démarches éventuelles dans ce sens de la part du Cabinet de Berlin.

M. d'Arnim se préoccupait aussi, dans la prévision d'un prochain conclave, l'utilité que l'Allemagne réclamat, au meme titre que d'autres Puissances, le droit d'exercer un veto, pour se prémunir autant que possible contre tout candidat à la Papauté, le quel n'offrirait pas les garanties nécessaires de paix et de conciliation. L'Italie également aurait un intéret à s'assurer du meme privilège.

Je ne sais si ce sont là des idées à lui, ou recueillies chez le Prince de Bismarck. Il ne m'appartenait pas de me prononcer à cet égard. Je me suis borné à dire quelques mots, pour alimenter la conversation.

471

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 995. Berlino, 22 aprile 1872 (per. il 28).

Ainsi qu'il résulte de ma dépeche N. 935 (1), M. de Thile, avant d'énoncer un jugement quelconque relativement à l'évacuation demandée par la Serbie des villages du Petit-Zvornik et de Sakhar, attendait des renseignements plus complets de la part de la Légation Impériale en Turquie.

L'ayant interpellé une seconde fois à ce sujet, il m'a répondu qu'il avait été à mème de prendre les ordres du Prince de Bismarck sur les instructions à transmettre aux Agents diplomatiques à Belgrade et à Constantinople.

S. A. avait positivement déclaré ne pas vouloir entendre parler de cette affaire, que les Serbes et les Tures devaient régler directement entre eux.

Je l'ai dit bien souvent, et je ne saurais trop le répéter, il est des questions, entre autres celles qui touchent à l'Orient, dont on ne veut point s'occuper ici, sauf quand elles présentent un appoint pour les affaires de haute politique, où l'intéret allemand serait directement en jeu. Preuve en est l'absence prolongée de Comte de Kaiserling de Costantinople, pour raison très légitime de santé. Mais il n'est pas moins vrai qu'on aurait, depuis quelques mois déj à, mis un terme a cet intérim, si ce Gouvernement eut été pénétré comme d'autres Puissances de l'importance de ce poste, meme en temps ordinaires. Le Cabinet de Berlin paye peut-etre encore sa dette de reconnaissance pour l'attitude de la Russie durant la dernière guerre. Il a l'air de s'effacer à Constantinople, en permettant mieux ainsi au Général Ignatiew d'y jouer un ròle prépondérant.

Je sais cependant qu'on commence ici à se préoccuper de la nécessité d'avoir en Turquie un agent actif et intelligent, comme l'était le Comte de Keyserling. Malgré tous les ménagements que ce fonctionnaire mérite à tant de titres, on ne tarderait pas à lui signifier de retourner à son poste, ou à le remplacer, si son état maladif continuait à etre un obstacle à sa carrière.

(l) Non pubblicato.

472

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 996. Berlino, 22 aprile 1872 (per. il 28).

Depuis son retour de Varzin, le Prince de Bismarck a été tellement surchargé de travail, qu'il lui a été impossible de s'occuper de la question de l'InternationaLe. Ce ne sera que dans quatre ou cinq semaines, vers l'époque de la clòture du Reichstag et du Parlement Prussien, qu'il aura le loisir de rechercher, de concert avec le comité formé ad hoc l'année dernière, quels seraient les meilleurs moyens de parer aux dangers de cette association. Il a été écrit dans ce sens à Vienne et à St. Pétersbourg, d'où le Cabinet de Berlin avait été interpellé récemment encore sur ses intentions.

La réponse du Comte de Granville à la circulaire espagnole, du 9 février, ne découragera pas ce Gouvernement de vouer tous ses soins à combattre des menées cosmopolites et de faciliter, si possible, une entente avec les Etats qui jugeraient, comme lui, que le système du laisser-faire est hors de mise en pareille matière.

Telles sont les indications qui m'ont été fournies par le Secrétaire d'Etat, qui se réservait en meme temps de me tenir au courant de la marche ultérieure de cette affaire.

En attendant, il est fort regrettable que Lord Granville ait opposé une fin de non-recevoir aux ouvertures de l'Espagne. Il est évident en effet que des mesures préventives ou répressives, sur le continent, perdraient de leur efficacité, aussi longtemps que l'Angleterre accordera un asile aux membres, mème les plus diffamés, de l'Internationale.

En accusant réception de la dépèche de V. E. du 12 courant, N. 244 ... (1).

(l) Non pubblicato.

473

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4213. Madrid, 23 aprile 1872, ore 13,30 (per. ore 20,55).

Mouvement insurrectionnel carliste a éclaté hier dans les provinces basques et quelques autres points de celles de Tolède, Aragon et Léon. Les bandes les plus nombreuses sont en Navarre, où Don Carlos à dO. pénétrer. Les chefs du parti radica! à Madrid, tout en réservant leur opposition légale au Gouvernement, sont allés offrir leur appui au roi et protester de leur attachement à la Dynastie. L'on croit que dans première séance des Cortès, pleins-pouvoirs seront donnés au Gouvernement jusqu'à la répression de l'insurrection.

474

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AD ALESSANDRIA D'EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4214. Il Cairo, 23 aprile 1872, ore 19,20 (per. ore 21,10).

Giunta missione Birmana diretta Italia, Inghilterra. Partirà fra 10 giorni. Indeciso ancora qual porto approderà.

475

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 955/295. Londra, 23 aprile 1872 (per. il 28).

Mi pregio di trasmetterle un rapporto che contiene essenzialmente una rivista retrospettiva dell'Internazionale, da cui risulta dei dissensi nati nella sede centrale di Londra e della dissoluzione della organizzazione che qui esisteva, non che del lavoro, che si fa per una nuova ricostituzione della associazione sotto altra forma.

Finora per la lunga assenza da Londra del mio agente e per la difficoltà di organizzare un servizio furono scarse le notizie fornitemi, e conseguentemente fu anche tenue la spesa; ma mi si è promesso che d'ora in poi avrò indicazioni più frequenti e più importanti e che sopra tutto mi verranno dati i connotati delle persone per le quali possa essere più importante il conoscerli, come pure le indicazioni dei luoghi e delle persone colle quali gli agenti della Società corrispondono in Italia.

Prego l'E. V. di voler comunicare quanto sopra a S. E. il Ministro dell'Interno insieme al rapporto qui unito ed ho l'onore di raffermarle (l) ...

ALLEGATO.

15 avril 1872.

25 Octobre 1871. -Tibaldi Gorales (espagnol) Vesinier (français) Mayer fils 9 eta... [sic] dans une réunion ont déclaré la dissolution du Conseil Général et ont radié tous les noms de ceux qui en faisaient partie.

1° Novembre 1871. -Karl Marx s'oppose à cette mesure et entreprend une campagne secrète.

Fin Décembre 1871. -Danesi est envoyé en Italie pour prouver aux grandes villes que le Conseil Général de Londres est indigné de la confiance qu'·on lui a accordée et que Marx trahit leurs intérets.

Janvier 1872. -Parme envoie à Londres Nicolini pour s'assurer de ce fait.

Il retourne en Italie convaincu.

Goldenberger part aussi pour l'Allemagne dans le meme but.

Poitvin va en Belgique.

Regnard se rend en France. (c'est le correspondant du Journal de Paris le Radical). Garciona se dirige vers l'Espagne. Tout pour abolir le Conseil Général de Londres, présidé par Karl Marx. Marx envoie en meme tems comme contre partie Serailler en Belgique qui

porte deux fois de l'argent aux Grèvistes.

Fin Janvier 1872. -Dans une Séance à Londres le nommé Young Secrétaire du Conseil Général demande à Marx si son idée est de se rapprocher de la Societé de Genève.

8 Février 1872. -Dans la séance suivante Young pose à Marx trois questions aux quelles ce dernier ne répond pas et à laquelle séance chez Selubey Bedford Square les nommés Rattazi et Olevy assistaient.

Mars. -Far suite de cette conférence Karl Marx se trouve abandonné de

Vesinier, de Vaillant et autres. Il reste presque seul.

Avril 1872. -Un Congrès doit se réunir à Genève du 20 au 30 Avril 1872 et le premier Acte doit etre l'abolition de la présidence de la Société de Londres, conseil Général de l'Internationale et de dissoudre les deux Conseils qui y existent en permanence.

La Société Internationale des travailleurs devra subir une transformation et sera organisée d'après le nouveau projet sur les bases du principe de la fédération. Elle ne sera plus Société secrète.

Le nommé Vaillant va partir pour l'Allemagne.

Vesinier part pour la Suisse.

Un cousin de Dombrowski pour la Russie.

On parle de Tibaldi comme devant aUer en Italie sous peu. Il va presque tous les soirs chez Bindi, Public House au coin de Greek Street et Old Compton Street Soho.

(l) Annotazione marginale: "All'Interno 29 apr. >.

476

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 146. Belgrado, 24 aprile 1872 (per. il 30).

Pochi dì addietro ebbi l'onore di scriverle che la Serbia dovea nel fatto provarsi nelle circostanze che conosco a porsi in stretta relazione sia con la Grecia, sia col Montenegro.

Raccolsi sopra questo riguardo le informazioni seguenti. Alla passata intimità col Montenegro succede una relativa diffidenza e ciò dal giorno in cui nacque al Principe Nicola un erede maschio: trovansi così

di fronte due dinastie fra gli slavi meridionali; di più qui a Belgrado non bassi stima nè fiducia verso il carattere personale di quel Principe. Lo si dipinge come vacillante e troppo facile a cedere all'amo dei denari.

Si fa conto sulle simpatie dei Montenegrini, i quali si solleverebbero se la Serbia alzasse il grido all'armi: coltivansi relazioni coi primati e cercasi di guadagnare l'animo loro e forse quello ancora del prete Giovanni Sundecic, Segretario del Principe.

La diffidenza similmente detta la sua condotta alla Grecia: essa non dimentica l'indifferenza passata della Serbia. Non ignora tuttavia che in un sollevamento di altri popoli di questa Penisola essa non potrebbe rimanere l'arma a braccio, ma, e lo dichiara se le mie informazioni sono esatte ed ho luogo di credere lo sono, non vuole scendere nell'arena che a due condizioni: che la Serbia apra la lotta, e, sottointendesi, vittoriosamente: e che gli Stati Occidentali rimangano indifferenti e non facciano pur la mostra di intromettersi nella gara fra i cristiani dell'Oriente ed il potentato al quale sono assoggettati.

Passo allo stato interiore del Principato.

Se avessi piena fede nelle notizie che raccolgonsi al Consolato Austro-Ungarico parrebbe che nell'interno della Serbia il risultamento che promettevansi i Signori Reggenti dalla nuova loro politica esteriore non abbia durato favorevole per lungo tempo. Si afferma da quel mio collega che il malcontento è universale: specialmente perchè i tribunali vanno a rilento nel punire e non puniscono con sufficiente rigore i crescenti atti criminosi (per non sminuire dicono, la popolarità del Governo), e perchè lo stesso governo sembra caduto in mano di una sola famiglia, essendo un Reggente, il Ministro dell'interno e l'agente a Costantinopoli ammogliati in un medesimo casato. Ma, credo, giungano al Signor Kallay, più tosto che altre le notizie atte a piacergli. Pesare con probabilità l'opinione generale in Serbia è cosa impossibile; non sonvi parti, ovvero sono inoperose; e se v'ha opposizione attiva essa è cospirazione che sfugge al nostro occhio e che potrebbe, Dio lo sa, scoppiare all'impensata.

Perchè sarebbe la nazione Serba malcontenta dei suoi governanti?

Non voglionsi dai contadini maggiori tasse e non furono loro imposte:

negozianti non vogliono l'uguaglianza commerciale degli Israeliti e non l'ottenemmo: nessuno in Serbia volle o vuole le ferrovie e dai Reggenti non s'avranno; poteasi meglio e fino alla sragionevolezza rispettare desiderii e pregiudizii?

Un fatto un po' strano lo si osserva nondimeno: la vecchia parte Russa e dei personaggi più notevoli di essa come il Garachanine ed il Marinovic, non avvicinaronsi d'un capello al governo presente e continuano a godere di buonissima accoglienza al Consolato Russo ed a mostrarvisi frequentemente. Coglierei forse io nel segno nel temere che spingendo la Reggenza nella vertenza del Mali-Zwornik si vuole dalla Russia un doppio risultamento? Far cadere il prestigio del Principato presso i cristiani orientali a mo' di ciò che avvenne precedentemente rispetto alla Grecia ed in pari tempo distruggere l'ascendente dei nuovissimi amici suoi in Serbia, preparando colla caduta loro la via al potere al fidato e da moltissimi rimpianto Signor Garachanine? Confesso che non mi risolverei a credere possibile tanta astuzia se non riflettessi che nella storia orientale la bilancia ha tutt'altri pesi che nella occidentale, che gli affari

paiono nel Levante trattarsi in modo direttamente redato dai Bisantini e che gli uomini fissanvisi l'astuzia e la doppiezza come le doti le più e direi le sole necessarie ad uno statista.

477

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4221. Berlino, 25 aprile 1872, ore 15,20 (per. ore 20,30).

Le comte Arnim m'annonce au nom du prince de Bismarck qu'un instant il avait été question de supprimer la mission auprès du Saint Siège, mais qu'après mur examen il a été décidé de confier ce poste au cardinal Hohenlohe avec le titre d'ambassadeur, ce choix indique qu'il s'agit bien moins d'un représentant auprès du Souverain temporel qu'auprès du Pontife. Les opinions modérées du cardinal, ses sentiments allemands sont une garantie, indépendamment des instructions qu'il recevra, de son attitude correcte. Ce sera une voix au chapitre lors du futur conclave. La nomination produira le meilleur effet parmi les bons catholiques allemands qu'on tient à séparer des ultramontains. Le cardinal Antonelli a été prévenu de la chose. Le cardinal Hohenlohe partira dans deux ou trois jours. Il aura lui mème à s'entendre avec le Pape pour s'assurer de son consentement. Le prince de Bismark tient à ce que nous connaissions les véritables motifs d'une décision par laquelle on n'a certainement pas en vue de nuire aux intérèts solidaires de l'Allemagne et de l'Italie. Il n'est pas dit encore que le Pape accepte. S'il demandait comme réciprocité 'l'établissement d'une nonciature à Berlin on opposerait une fin de non recevoir. En attendant cette communication doit rester tout à fait confidentielle.

478

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4222. Madrid, 25 aprile 1872, ore 21 (per. ore 1,50 del 26).

Le Roi vient de donner le commandement des provinces basques au Due de la Torre. Cette nomination a été déterminée par la nouvelle que le nombre des insurgés augmente beaucoup en Navarre.

479

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4220. Vienna, 25 aprile 1872, ore 16 (per. ore 4,20 del 26).

Andrassy vient de m'annoncer que Baron de Kiibek va ètre définitivement nommé ambassadeur auprès du Pape. S. Père a déjà répondu agréer choix. Andrassy a ajouté se flatter choix serait agréable auprès Gouvernement italien. J'ai répondu n'en pas douter.

480

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 73. Vienna, 25 aprile 1872 (per. il 28).

Siccome ebbi ad annunciarle col mio telegramma di oggi stesso (1), il Conte Andrassy da cui fui testé ricevuto alla sua solita udienza dissemi la designazione del Barone Ktibeck ad ambasciatore presso la Santa Sede essere ora definitiva, il ritardo frapposto fra l'epoca in cui corse la voce di tale designazione e la sua effettuazione essere stato causato da ragioni di convenienza verso il Santo Padre. Egli mi aggiunse quindi che il Papa a cui, a nome dell'Imperatore, era stata sottoposta la scelta fatta, aveva già risposto dichiarando di aggradirla. Conseguentemente il Conte Trauttmansdorff non tarderà a recarsi a Roma per presentare le sue lettere di richiamo, ed un paio di giorni dopo forse vi giungerà il Barone Ktibeck. Il Conte Andrassy nel darmi questa notizia soggiungevami nutrire speranza che essa sarebbe accolta con piacere dal Governo italiano, che ben conosce i sentimenti concilianti del Barone Kiibeck, e che d'altronde deve essere persuaso che il nuovo ambasciatore presso la Santa Sede, meglio al fatto di chiunque degli antecedenti tutti della situazione attuale, non solo non cercherà di creare incagli al R. Govèrno, ma farà anzi quanto da lui dipenderà per assecondarne l'azione conciliante, interpretando così meglio che non fu fatto fino ad oggi (sono sue parole) gli intendimenti del Governo Imperiale e Reale, e che d'altronde in tale preciso senso erangli già state date ben positive istruzioni.

Ringraziando il Conte Andrassy per la comunicazione fattami, mi affrettai di assicurarlo che non dubitavo il R. Governo avrebbe veduto in questa nomina una nuova prova di amicizia del Governo Austro-Ungarico verso l'Italia, la personalità del Barone Kiibeck avendo avuto campo di farsi fondatamente apprezzare e stimare durante il non breve tempo che egli fu accreditato presso il Re mio Augusto Sovrano: che d'altronde la scelta fatta acquistava maggiore importanza ancora, mercè le espressioni colle quali egli me ne accompagnava l'annuncio, le quali accentuavano il senso amichevole verso l'Italia che il Governo Imperiale intendeva pure anche annettervi. Trovai qui opportuna occasione per esprimergli 'la favorevole impressione prodotta nella opinione pubblica in Italia dalle ufficiose spiegazioni sull'incidente Schmerling pubblicate nella Rivista del Lunedì, ed in altri giornali, le quali vennero a confermare ed a fare anzi di pubblica ragione le dichiarazioni così cordialmente amichevoli per l'Italia da lui in antecedenza fattemi personalmente, dichiarazioni che erano state particolarmente gradite dall'E. V., cui non avevo mancato di comunicarle a un tempo e che pienamente corrispondono ai sentimenti dell'Italia e del R. Governo verso l'Austria-Ungheria.

(l) Cfr. n. 479.

481

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 997. Berlino, 25 aprile 1872 (per. il 30).

J'ai reçu ce matin la visite du Comte d'Arnim. II venait me faire, au nom du Prince de Bismarck, la communication suivante, que j'ai déjà résumée par mon télégramme de ce jour (1). La question a été examinée, s'il convenait de maintenir la Mission Impériale auprès du St. Siège. Un instant il s'était agi de la supprimer, mais, toute réflexion faite, le parti a été adopté de confier ce poste au Cardinal Prince de Hohenlohe, avec le titre d'Ambassadeur. Un pareil choix indique assez que ce sera là une Représentation de l'Allemagne auprès du Pontife, bien plus qu'auprès du Souverain temporel. Le caractère religieux prédomine. C'est une impulsion indirecte donnée aux autres Puissances, de suivre le meme exemple. Les opinions très modérées du Cardinal sont connues. Son absence de Rome, depuis Octobre 1870, démontre, dans une certaine mesure, qu'il ne rangeait pas parmi les chauds défenseurs du régime qui prévaut au Vatican. Ses idées politiques, favorables au nouvel ordre de choses en Allemagne, sont à ellesseules, et indépendamment des instructions qu'il recevra, le gage d'une attitude correcte. Sa nomination produira le meilleur effet parmi les bons catholiques allemands, avec lesquels le Cabinet de Berlin tient à vivre en paix, en les séparant toujours plus des ultramontains. Le Cardinal Antonelli a déjà reçu un avis préalable, par une note que lui a adressée le chargé d'affaires de Prusse. Mais c'est au Cardinal Hohenlohe, qui partira sous peu de jours, qu'il est réservé de s'entendre directement avec le Pape et de s'assurer de son consentement. Le Prince de Bismarck attachait du prix à ce que nous fussions dès-à-présent à meme, par ces explications, de connaitre la véritable portée d'une décision, qui ne saurait etre envisagée comme allant à l'encontre des intérets solidaires

de l'Allemagne et de l'Italie. S. A. était prete à m'entretenir, elle-meme, si je désirais quelques éclaircissements ultérieurs.

M. d'Arnim ajoutait que le motif de la prolongation de son séjour ici, -il partira le 27 ou le 28 pour Paris -, avait eu précisément pour but de fournir à son chef les données nécessaires, relativement aux rapports avec le St. Siège. A son avis, il n'était nullement certain que le Pape accepterait la combinaison ci-dessus, que le Cardinal Hohenlohe ft1t persona grata. Dans ce cas ces ouvertures seraient considérées comme non avenues. Si Sa Sainteté demandait, à titre de réciprocité, l'établissement d'une Nonciature à Berlin, il y serait opposé une fin de non recevoir. L'Empereur ne se soucie aucunement d'avoir un Nonce à sa Cour, et le Prince de Bismarck a dt1 s'apercevoir qu'une semblable innovation serait désapprouvée par l'opinion publique.

Des allusions ont été faites aux convenances, pour ce Pays, d'avoir une voix au chapitre lors du futur Conclave. Si l'Allemagne n'a pas le droit de veto, elle le prendrait au besoin.

J'ai prié M. d'Arnim de remercier le Prince de Bismarck de cette communication confidentielle, dont je m'empresserais de vous rendre compte. C'était là une de ces surprises, qu'il plait parfois à son chef de lancer dans le monde. Je m'appliquerais à reproduire les arguments destinés à lui donner sa véritable signification, afin que nous ne fussions pas déroutés, car il y aurait désormais au moins un manque d'équilibre à notre désavantage, dans la double représentation de l'Allemagne à Rome. Je me mettais entièrement hors de cause; je savais au reste qu'on attachait, ici au Ministère, une médiocre importance à voir augmenter le nombre des Ambassadeurs, et je comptais sur la bienveillance du Chancelier Impérial, quelque fut mon titre officiel, plus ou moins élevé. Je m'étais déjà prononcé dans ce sens vis-à-vis de V. E., dès le mois de Septembre dernier. Il n'est pas moins vrai, que le Comte Brassier aura une position inférieure à celle de son collègue, lors meme que ce dernier ne sera, pour ainsi dire, qu'un délégué pour les Affaires religieuses.

M. d'Arnim a fait à ce sujet l'observation que, auprès des Cours étrangères, où il y avait des Ambassadeurs, le Cabinet de Berlin préférait y etre représenté par des diplomates du mème rang. Et, à Rome nommément, il importe que l'Ambassadeur de l'Empire marche de pair avec celui de France.

M. d'Arnim m'a clairement laissé entrevoir que le poste de Paris ne lui était pas agréable, et qu'il avait profité de son séjour à Berlin pour poser les assises afin de succéder un jour au Comte Brassier.

Il est fortement question d'un prochain voyage de l'Impératrice à Londres.

P. S. -Ci-joint une lettre personnelle pour V. E. (1).

(l) Cfr. n. 477.

482

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Vienna, 25 aprile 1872.

Valendomi del ritorno a Roma del Corriere, vengo a ringraziarvi molto sentitamente per la Vostra gentile e così interessante lettera del 12 corrente (2) che mi fu consegnata a Pest. Sommamente gradita mi riescì l'assicuranza che vi piacque darmi, che il linguaggio da me tenuto in questi ultimi tempi ·col Conte Andrassy ebbe la vostra approvazione, e ben posso accertarvi che nulla tralascierò onde mantenermi su quella via che vedo rispondere ai vostri intendimenti.

Ho letto con particolar attenzione e piacere quanto mi scrivete sulle nostre relazioni coll'Impero Germanico, e ne fui proprio soddisfattissimo, poichè a

malgrado il mio Prussofilismo, non m'avrebbe fatto piacere saper fin d'ora l'Italia legata alla Prussia con patti scritti per ipotetiche eventualità che si possono anche scongiurar altrimenti. Ad ogni modo però, come già vi ho scritto gli evidenti segni d'amichevole solidarietà fra i due Paesi verificatisi in questi ultimi tempi, hanno prodotto qui salutarissimo effetto, e quel po' di paura che sebbene irragionevole pur si ebbe, ci sarà del pari vantaggiosa. I particolari che mi date sulla mancata visita dell'Arciduca Luigi Vittore a S. M. potranno riescirmi utili, ove qualcuno me ne parli, saprò ·cosi come rispondere. Il Conte Andrassy nulla ne sapeva poichè non me ne parlò, ma solo mi fece uno sfogo contro l'Arciduca qui avait bien besoin d'aUer se promener en Italie pour y faire des sottises, dissemi essersene !agnato coll'Imperatore il quale però come al solito declina ogni responsabilità sui membri della sua famiglia. Il lasciai dire, e risposi leggermente mostrando che da noi non si dava grand'importanza a quel genere di cose, e nessuna di sorta all'individuo. L'Imperatore fu amabilissimo meco a Pest, e ieri l'altro a Vienna dove fui invitato ad assistere ad una rivista al Suo seguito, nulla mi disse del fratello, e suppongo non me se ne farà parola; intanto vedo dai giornali che l'Arciduca Giovanni Principe di Toscana è stato ricevuto dal Santo Padre, ma nulla si dice d'una sua visita al Re, spero mi farete sapere come si son passate le cose. Leggo in questo momento in un giornale che l'Arciduca fu pur ricevuto da S. M., ma ciò non di meno mi sarebbe grato conoscer i particolari di quell'udienza onde sapermi regolar a fronte dell'Arciduca qui in Vienna. Il matrimonio dell'Arciduchessa Gisella ha dato luogo a molti commentari, poichè se lo sposo è persona d'ogni eccezion maggiore, non è però per posizione all'altezza della figlia dell'Imperatore, senza contare che è senza fortuna del tutto, immaginatevi che la sostanza riunita dei due sposi non arriverà ai 40000 fiorini di reddito annuo. Tutti si accordano però nel dire che tali sponsali furono conchiusi con tanta fretta, onde non dar tempo ad altri pretendenti poco graditi a Corte di farsi avanti, e ben m'accorgo che sulle labbra di tutti, sta n nome del Principe Tommaso, che solo davanti a me non si pronuncia. Per conto mio sono lietissimo che le cose siano andate cosi, perchè in verità temevo assai una tal idea si facesse strada alla nostra Corte, e la sua realizzazione mi sorrideva pochissimo.

Non vi ho mai parlato delle relazioni dell'Austria colla Russia, sebbene di quando in quando i giornali e recentemente anche, abbiamo accennato a malumori sparsi fra i due paesi. Speculazioni di borsa, e nient'altro. Le relazioni fra l'Austria e la Russia sono quali possono essere fra due paesi che si odiano mortalmente, ma che non ravvisano essere opportuno il momento per tradurre in fatti, i loro sentimenti. Anzi onde palliare il vero stato delle cose e tirar in lungo, le due Corti non tralasciano mai occasioni di scambiarsi le maggiori cortesie. Pel momento però e fintantochè il Governo sarà nelle mani del partito Tedesco potrà far assegno sulla Germania e non vi sarà pericolo scoppi la bufera. Ho anzi ragion di credere, che fra breve si verificherà un fatto atto a dar un'apparente momentanea smentita alle voci corse; se le mie informazioni non falliscono, i due Stati stanno per scambiar i loro rispettivi rappresentanti attualmente aventi il rango di Ministro, con Ambasciatori. La ragione d'un tal fatto, trovasi anche nella necessità per la Russia di richiamar l'attuale suo Mi

35 -Documenti diplomatici -Serie Il -Vol. III

nistro presso questa Corte, la cui pos1zwne personale si è fatta in questi ultimi tempi assai difficile. Il Signor di Novikof è persona di molto ingegno, e di grande prudenza, ma non è uomo fatto per la società di Vienna ed ancor meno lo è sua moglie. Pettegolezzi di società e di strada anche, hanno reso la posizione dei Novikof impossibile a Vienna. Onde richiamar l'attuale Inviato senza dargli uno schiaffo morale che certamente i suoi servizi non meritano, pare che a Pietroburgo si sia accolto il partito di sostituirlo con un Ambasciatore, facendo anche cosi cosa politicamente conveniente in questo momento. Per conto mio l'allontanamento di Novikof mi riescirà increscioso, poichè come dissi, è uomo molto prudente e conciliante, che ama a star nell'ombra, mentre chi lo sostituirà, difficilmente avrà gusto a rappresentar la stessa parte. La maggioranza dei miei colleghi divide in ciò la mia opinione, e so che malgré tout il Conte Andrassy è dello stesso sentimento. Ho creduto bene parlarvi un po' a lungo di quest'affare, poichè prevedo che allorchè le mie previsioni si verificheranno, i giornali non saranno avari di commenti al riguardo. Le elezioni in Boemia riuscirono favorevoli al Governo, ed il Governo acquistò con ciò nuova forza con vantaggio del paese e nostro pur anche, rafforzandosi così al potere uomini che tutti sono animati da simpatici sentimenti verso l'Italia, e coi quali non riesciranno mai ad intendersi quelli che vorrebbero darci noje. Guardando però all'avvenire, la situazione qui si fa ognor più grave, poichè essendo ornai dimostrata l'impossibilità di qualsiasi conciliazione cogli Slavi della Boemia e delle altre parti della Monarchia, il giorno in cui si verificherà la lotta colla Russia, gli Slavi tutti obbediranno a Pietroburgo, e più che problematica sarà la fedeltà dei Reg

gimenti, formati d'uomini di quella nazionalità.

Ho voluto aspettar per chiuder questa lettera d'aver visto il Conte Andrassy, ne vengo in questo momento, e mi son fatto premura di telegrafarvi (l) la nomina annunciatami di Kiibeck ad Ambasciatore presso il Santo Padre. Ho quindi esteso il rapporto più particolareggiato che oggi pur vi spedisco (2) su questa comunicazione fattami, credo però opportuno aggiungervi qui alcuni particolari aggiuntimi dal Conte Andrassy la di cui impronta confidenziale non consentiva farne menzione in un rapporto ufficiale. Il Conte Andrassy dissemi il Santo Padre non aver fatto difficoltà, acchè il Barone Kiibeck venga nominato Ambasciatore presso la sua persona, aver però detto che sperava sarebbe venuto a lui libero dalle prevenzioni che un lungo soggiorno a Firenze presso il Governo Italiano aveva potuto fargli contrarre contro la Sua persona, sciolto insomma da antecedenti vincoli. Ciò mi pare voglia dire che in fondo il Santo Padre non aggradisce molto la scelta ma che la subisce. Il Conte Andrassy però se ne applaude altamente poichè dice che nessuno come Kiibeck ancorchè si trovi accreditato presso il Vaticano, può giudicar la situazione e gl'incidenti che talvolta ne derivano con spassionata conoscenza di causa. Egli spera cosi pure, di ottenere d'ora in poi che i due rappresentanti Imperiali a Roma informino in modo concordemente uniforme il Loro Governo, e non come succedette fino ad oggi, che il rappresentante presso la Santa Sede scriveva tutto

ciò che conveniva al Vaticano si dicesse senza mai darsi pena di controllar una notizia, ed in opposizione assoluta sempre con ciò che scriveva il Ministro accreditato presso il Re. Il Conte Andrassy dtavami ad esempio il recente fatto della rissa successa fra guardie nazionali ed ex gendarmi Papalini, e dicevami che mentre Wimpfen aveva riferita la cosa spiegandola in modo naturalissimo e non dandole che l'importanza ch'essa meritava, il Kalnocki sotto l'ispirazione di chi sa chi ne aveva fatto un affar dell'altro mondo. Ciò m'ha fatto piacere mostrandomi che il Conte Wimpfen è moderato nei suoi apprezzamenti e riferisce con onestà ed esattezza. Il Conte Andrassy dissemi ancora che evidentemente il Barone Kiibeck sarebbe astretto ad usar certi riguardi nelle sue relazioni coi circoli governativi Italiani onde non eccitar suscettibilità

·al Vaticano, ch'egli sperava però che a Roma si sarebbe tenuto conto della sua special posizione, e che d'altronde anche in ciò il novello Ambasciatore avrebbe spiegato quel tatto di cui aveva sempre dato prova. Ho creduto bene riferirvi questo poichè parmi sii conveniente per l'appunto che per parte nostra nulla si faccia a suo riguardo, tanto più nel principio, che abbia per risultato di rendergli più difficili ancora i suoi primi passi al Vaticano, credo vi sii convenienza per noi la sua posizione non venga per questioni sociali pregiudicata.

Non posso poi tralasciar di dirvi, pel caso doveste incontrar il Conte Trautmansdorf durante il breve soggiorno che sarà per fare a Roma, ch'io il vidi spesso a Vienna, e che parlando meco a malgrado i suoi sentimenti ben conosciuti, tenne sempre a riguardo delle cose nostre e di Roma un linguaggio molto moderato e conciliante anche. Finalmente mi occorre rettificar una notizia che vi davo alla 2a pagina di questa lettera. Quella cioè dell'innalzamento ad Ambasciata della Legazione Russa a Vienna con reciprocità ben inteso. Andrassy mi assicurò non esserne questione di sorta, resta però ferma la molta probabilità ch'io vi dicevo del cambio di Novikof con altro Inviato.

Devo po1 ancora dirvi che il Conte Andrassy tornando sul discorso dell'Arciduca Luigi Vittore non mi fè cenno di sorta della visita ch'egli avrebbe

. accennato voler far a S. M. lasciando il suo nome al guarda portone di Pitti, ed io come di ragione non feci motto di ciò che m'avete scritto al riguardo, un tal silenzio confermandomi nell'opinione sii occorso un equivoco, e l'Arciduca non aver neppur sognato di andar a Pitti, ma ciò che v'ha di strano si è che l'Arciduca ha formalmente assicurato l'Imperatore ed il Conte Andrassy che non era passato da Roma, che la voce corsane era un canard dei giornalisti. Immediatamente dissi se l'Arciduca il nega è segno evidente che non vi è passato! Ma il Conte Andrassy dissemi che la mia fede illimitata nella parola dell'Arciduca non lo rassicurava gran fatto sulla sincerità del fratello dell'Imperatore, e che quindi avrebbe molto desiderato saper indubbiamente se vi era

o no passato. Se siete in grado d'informarmi al riguardo con certezza mi farete piacere dicendomi come stieno proprio le cose, evidentemente farò prudentissimo uso dell'informazione che mi darete.

Perdonatemi la fretta colla quale questa lettera è scritta, ma mi manca il tempo non volendo ritardar la partenza del corriere che venendo da Berlino potrebbe pur aver dispacci da portarvi che non conviene far aspettar a Vienna.

(l) -Annotazione marginale: c Consegnata •. (2) -Non pubblicata. (l) -Cfr. n. 479. (2) -Cfr. n. 481.
483

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 998. Berlino, 26 aprite 1872 (per. l' 1 maggio).

Quelques heures après avoir reçu la visite du Comte d'Arnim, (dépéche

N. 997) (1), le Prince de Bismarck me priait de passer chez lui. Il tenait à me donner, lui-meme, des explications sur une nouvelle appelée à causer quelque surprise dans le monde catholique et protestant.

• Il a été décidé non sans peine, car il a fallu vaincre bien des résistances suscitées par le parti des Jésuites à la Cour, de désigner le Cardinal Hohenlohe comme Ambassadeur d'Allemagne auprès du St. Siège. Cette Eminence est mal notée chez les ultramontains, qui le verront arriver .comme un nouveau Coriolan. Il a quitté Rome après le Concile, pour se soustraire à leurs persécutions. Il était anti-infaillibiliste. On nous accuse d'etre les ennemis de la religion catholique. Nous sommes signalés comme tels surtout dans les populations rurales. Eri choisissant pour représentant auprès du Pape un Prince de l'Eglise, nous nous donnons à nous memes un certifìcat de bonne conduite, et nous prouverons entre autres aux bons campagnards, que nous ne sommes pas aussi noirs qu'on nous dépeint, et que nous visons à vivre en paix avec les catholiques sincères, qui ne melent pas la religion à la politique.

Le Cardinal Hohenlohe semble satisfait que nous lui fournissions un lasciapassare pour rentrer à Rome; mais, comme il ne se soucie pas d'essuyer la première averse, il a désiré qu'on pressentit d'abord s'il serait persona grata. Nous l'avons fait. Jusqu'ici il n'y a pas de réponse •.

Il n'était nullement prouvé que le Pape consentit. Il doit se trouver dans un grave embarras. S'Il dit oui, Il devra braver le mécontentement d'une grave opposition. Quant au Cabinet de Berlin, il ne pourra qu'etre satisfait de voir Sa Sainteté accepter un Ambassadeur, qui ne marchera pas d'accord avec les adversaires de l'Allemagne. Bien au contraire, il sera à meme d'exercer une certaine infl.uence sur le Sacré Collège, et d'etre exactement renseigné, comme on l'était ici sous le règne de Frédéric-le-Grand. Ce Monarque recevait directement des rapports d'un Abbé. Au reste, un représentant agit en vertu de ses instructions, et, dans le cas où il s'en écarterait, la fantasmagorie disparaitrait au premier souffle de Berlin.

Si le Pape dit non, nous ferons sonner, à grand renfort de trompettes et de tambours, son refus. Les gens sensés nous dégageront de toute responsabilité. Sa Sainteté en subira les conséquences. Nous crierons sur les toits que nous ne pouvions faire mieux, que de choisir un délégué parmi les Membres du Sacré Collège • .

Dans tous les cas, nous ne modifìerons pas notre attitude à l'intérieur contre les menées de l'ultramontanisme. Nous allons répondre à l'Eveque d'Ermland; nous aurons une discussion au Reichstag, à propos des pétitions

pour et contre les Jésuites. Ma manière de voir a été pressentie, et je n'ai pas caché que mon vote leur serait défavorable •.

Le Prince de Bismarck espérait que nous ne nous méprendrions pas sur la véritable signification de cette décision, qui allait etre annoncée par Ies journaux. Le Cabinet de Berlin tenait à prendre, sans tarder, position vis-à-vis de l'opinion publique, soit que la réponse de Rome fùt affirmative, soit qu'elle fùt négative.

J'ai dit au Prince que j'avais déjà dans l'après-midi transmis à V. E. un télégramme, et un rapport (l) contenant les explications qui, dans la matinée, m'avaient été fournies en son nom par le Comte d'Arnim. Je n'ai pas dissimulé que pareille nouvelle nous prenait au dépourvu, car par trois fois j'avais écrit, d'après le langage récent de M. de Thile, que pour le moment le Cabinet de Berlin ne serait représenté que par un simple chargé d'Affaires de Prusse. Peut-etre remarquerait-on aussi dès lors une disproportion dans le rang des deux délégués Impériaux juxtaposés dans la meme capitale.

M. de Bismarck répondait qu'un Cardinal ne pouvait avoir que le titre le plus élevé dans la hiérarchie diplomatique, mais que son caractère ecclésisatique indiquait assez que ses fonctions seraient plus religieuses que politiques. L'exemple de la Prusse serait peut-etre imité par d'autres Puissances. Au reste, la question de rang n'était qu'une affaire secondaire à régler plus tard, quand on connaitrait l'impression produite par un fait, qu'il avouait etre en effet des plus surprenants. S. A. répétait qu'elle doutait fort que le PapeRoi acceptat une semblable combinaison, quelles que fussent ses sympathies personnelles pour le candidat.

• Sans parler, ajoutait S. A., de l'opposition de l'Impératrice, j'ai aussi eu à lutter pour emporter le consentement de l'Empereur. S. M. croyait de prime abord que je proposais en quelque sorte un tour de saltimbanque. Il semblerait presque aussi drole, que si nous confions à un Grand Muphti le soin de nos intérets à Constantinople. Le tour est si comique, qu'au milieu de la nuit je me suis surpris à rire tout seui de l'effet que produira cette bombe que personne n'est préparé à recevoir. Elle soulèvera beaucoup de poussière: gare aux éternuements! •.

Me trouvant en présence d'une décision et d'un fait à peu près accompli, puisqu'il ne s'agit plus que d'attendre une réponse du Pape, je n'avais, ni à encourager, ni à dissuader. Il est de fait qu'il y a là de quoi produire une certaine confusion dans les idées, pour qui ne connait pas le dessous des cartes. C'est pourquoi le Chancelier Impérial disait qu'il avait voulu nous y laisser lire, dans l'espoir que nous ne serions pas déroutés. Le public, comme de raison, ne saurait etre initié au secret. Il faudra au contraire, ainsi qu'il le déclarait, qu'il accentue, dans les journaux et à la Tribune du Reichstag, que son mobile a été celui de ménager la conciliation et la paix. Rien ne serait changé dans les relations entre nos deux Pays. Il m'a aussi dit qu'il avait entendu avec un vif intérét, par M. d'Arnim, le récit des entretiens de ce diplomate avec V. E.

(l) Cfr. n. 481.

(l) Cfr. nn. 477 e 481.

484

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 112. Madrid, 26 aprile 1872 (per. il 3 maggio).

Ainsi que j'ai eu l'honneur d'en informer hier par télégramme V. E. (1), Le Roi vient de donner le commandement des Provinces Basques au Due de La Torre, qui part aujourd'hui meme pour aller diriger en personne les opérations militaires contre les Carlistes. Il faut espérer que l'énergie et le talent bien connus du Maréchal parviendront à avoir bientot raison d'une insurrection que, pour le prestige de la Couronne, aussi bien que pour accroitre la force du Gouvernement, il importe de réprimer, d'autant plus promptement, que, d'après les nouvelles reçues hier, les bandes concentrèes en Navarre tendent à grossir dans des proportions, sinon inquiétantes, du moins inattendues. Peut-etre le Gouvernement, qui depuis longtems était prévenu des projets carlistes, aurait-il dtl masser plus de troupes sur les points menacés; mais avec les six mille hommes de renfort qu'emmène avec lui le Maréchal, cette légère omission sera bien vite réparée. La vérité est que l'armée, dont on croyait que l'effectif s'élevait à 70.000 hommes, n'était, en réalité, que de 40.000, et qu'ainsi l'on n'a pu opérer avec toute la rapidité désirable.

Dans la première séance des Cortès, qui a eu lieu hier, l'on a adopté le règlement de 1847 pour la vérification des pouvoirs, qui pourra ainsi etre terminée beaucoup plus promptement. Il a été ensuite procédé à l'élection provisoire du Président. M. Rios Rosas, l'un des hommes les plus considérables du parti libéral conservateur, a obtenu 168 voix contre 80 laissées en blanc par l'opposition; et bien que l'on ne puisse encore, avant la constitution définitive de la Chambre, fixer, d'une manière précise, le chiffre exact de la majorité gouvernementale, l'on peut, cependant, dès-à-présent affirmer qu'il ne sera pas inférieur au nombre de 100, primitivement indiqué.

P. S. Le Ministre d'Etat vient de me dire que le Gouvernement ayant appris qu'un certain nombre d'anciens Zouaves Pontificaux Belges et Français se disposaient à combattre sous le drapeau de Don Carlos et que plusieurs d'entr'eux se trouvaient déjà mèlés aux insurgés des Provinces Basques, il avait chargé les Envoyés d'Espagne à Paris et à Bruxelles de faire de sérieuses remontrances à ce sujet. Le Gouvernement n'a point encore ptl savoir d'une manière certaine si, comme on le croit, Don Carlos se trouve au milieu de ses partisans en Navarre, mais ce dont on ne doute pas, c'est qu'il y était positivement attendu.

Ce matin, à la réception de la dépeche de V. E. en date du 21 courant (Série Politique n. 14) (2) je me suis empressé d'aUer signaler à l'attention toute spéciale du Gouvernement le Prince Santambrogio, dont il y était fait mention.

M. de Blas m'a beaucoup remercié de cette communication, en ajoutant qu'il avait motif de croire qu'effectivement l'Internationale n'était ni indifférente ni étrangère à l'insurrection carliste.

(l) -Cfr. n. 478. (2) -Cfr. n. 466.
485

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AD ALESSANDRIA D'EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 179. Il Cairo, 26 aprile 1872 (per. il 5 maggio).

Come ebbi l'onore di annunziarlo a V. E. per telegrafo (1), è giunta qui una Missione Birmana diretta per l'Italia e l'Inghilterra. Essa è composta di un Inviato Straordinario, Ministro di 1° rango Mengyee Masra Laythoo, e di due Ministri di 2° rango, con numeroso seguito, e viaggia su di un Yacht reale di quel Sovrano.

Il Primo Ministro avendomi fatto sentire che avrebbe desiderato vedermi per poter prevenire V. E. della Missione che aveva a compiere presso Sua Maestà ed il R. Governo, andai a fargli visita. Trovai che non aveva un itinerario prefisso, che non sapeva dove e come dirigersi; e si mostrò molto contrariato nel sentire che il Comandante Racchia fosse sul punto di partire. Ritengo che contava rivolgersi al medesimo per essere diretto.

Credetti consigliarlo sul viaggio indicandogli di dirigersi a Brindisi, e quindi dirèttamente a Roma, ove sarebbe ricevuto dalla E. V. e di fargli prevedere che probabilmente o un funzionario speciale, o le autorità di Brindisi avrebbero avuto l'incarico di riceverlo e guidarlo.

Egli mi chiese in seguito di presentarlo al Commendator Aghemo, e da questi ebbe le stesse indicazioni sul viaggio, e l'assicurazione che il R. Governo avrebbe delegato un funzionario per riceverlo ed accompagnarlo.

L'Inviato Birmano ci ha espressa all'orientale la sua riconoscenza, ed avendo deciso di dirigersi a Brindisi si è riservato di farmi sapere il giorno della partenza pregandomi di telegrafarlo a V. E.

Ho speranza che V. E. vorrà approvare le assicurazioni date a questo personaggio sul ricevimento che troverà in Italia, riconoscendo la necessità di dover incominciare per guidarli nei loro movimenti, poiché lasciati a se stessi, non saprebbero ove rivolgersi.

Il Commendator Aghemo mi ha detto che per parte sua ne avrebbe telegrafato a Sua Maestà, e perciò l'E. V. potrà prendere un accordo con la Real Casa per mandare qualcuno ad incontrare questa Missione allorchè arriverà a Brindisi.

486

IL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI, DE FALCO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. 3041. Roma, 26 aprile 1872 (per. il 28).

Per quanto siano gravi i fatti, dai quali il Governo Francese con la nota (2) allegata a quella di V. E. del 20 corrente Gab. n. 68 (Francia) (3), è stato indotto a proporre che l'efficacia della convenzione 12 maggio 1870 stipulata tra la Francia e l'Italia venga estesa al delitto di affiliazione alla Internazionale,

nondimeno V. E. ha già potuto comprendere quali difficoltà vi si oppongano, allorchè ha soggiunto che suLl'argomento di eventuali accordi con le potenze estere intorno ai pericoli creati dalla Internazionale fu già scambiato carteggio tra codesto Ministero e queLlo deLl'Interno.

Fino a che questi accordi non siano giunti a tale da potersene (ove se ne creda il caso) formare oggetto di leggi espresse, alla cui elaborazione non potrebbe essere estraneo questo Ministero della Giustizia, V. E. ben vede che io non posso che attenermi esattamente allo stato della legislazione e delle convenzioni vigenti. La convenzione succitata tra l'Italia e la Francia enumera nell'art. 2 i crimini e i delitti per i quali i due governi si obbligano alla reciproca estradizione, e non occorre ac·cennare che l'affiliazione alla Internazionale per sè, ed in quanto non si traduca nell'uno o nell'altro de' detti crimini o delitti, non vi è nominata.

Ben è ammesso tra le Potenze che le enumerazioni de' reati nelle convenzioni di estradizione non si considerino come tassative ma come dimostrative, tranne per quelle Potenze, come il Belgio e l'Olanda, che hanno su di ciò una legge formale; e tra la Francia e l'Italia fu già in un caso estesa la convenzione con promessa di reciprocità al reato di ribellione contro la forza pubblica, benchè non indicata nell'art. 2. Ma la interpretazione estensiva non potrebbe, neppure col consenso del Governo richiesto, spingersi al punto di contraddire ad una clausola espressa del trattato, che si legge in fine del detto art. 2, la quale non è che l'espressione di un principio generalmente ricevuto:

• Dans tous les cas, dice l'art. 2, l'extradition ne pourra avoir Iieu que lorsque le fait similaire sera punissable d'après la législation du pays à qui la demande est adressée •. E nel caso occorso della estradizione concessa dal Governo Francese per ribellione alla forza pubblica, appena è necessario avvertire che trattavasi appunto di un reato ammesso ugualmente nelle due legislazioni.

Se pertanto i fatti imputabili ad affiliati all'Internazionale costituiscono uno dei reati enumerati nell'art. 2, od anche un reato non enumerato ma ammesso nella legislazione italiana, l'estradizione dovrà e potrà accordarsi secondo. i principii vigenti. Ma fuori di questi casi il Governo del Re, ad onta di ogni buon volere, non si troverebbe in grado di assecondare le domande che venissero fatte, perchè il semplice fatto di affiliazione all'Internazionale non è annoverato fra i crimini o delitti nel codice penale italiano. Epperò fino a tanto che lo stato della legislazione non venga mutato, sarebbe inefficace o superfluo lo stipulare un accordo nei sensi proposti dal Governo Francese.

(l) -Cfr. n. 474. (2) -Cfr. n. 459. (3) -Non pubblicata.
487

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA

D. s. N. Roma, 29 aprile 1872.

Giusto l'impegno preso di tener informato codesto Dicastero delle notizie successivamente raccolte in merito alla • Internazionale •, il sottoscritto si pregia di trasmettergli, qui compiegata, la copia di uno scritto contenente alcuni appunti sugli atti principali di quella Società, dalla fine dello scorso ottobre in avanti (1). Il R. Ministro a Londra, da cui proviene tale riservata comunicazione fa notare come da essa risulti l'esistenza di dissensi nella sede centrale della Società, e così pure l'avvenuto scioglimento della sua precedente organizzazione, a cui ora si tratta di farne succedere una nuova che dia diversa forma all'associazione. Soggiunge poi lo stesso R. Ministro che se finora, attesa l'assenza da Londra del suo particolare Agente e per la difficoltà di ben ordinare un servizio di informazioni segrete, furono scarse le notizie fornitegli e tenui per conseguenza le spese, gli venne promesso però che d'ora in poi gli saranno procurate indicazioni più frequenti e di maggiore importanza. Egli fa calcolo, sopratutto, di poter avere i connotati delle varie persone che principalmente occorra di saper riconoscere, -.vme pure le indicazioni sugli individui che dall'Italia corrispondono cogli Agenti della Società, e sulle loro residenze.

488

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4234. Madrid, 29 aprile 1872, ore 17 (per. ore 7,45 del 30).

Nouvelles de l'insurrection sont de plus en plus favorables au Gouvernement. Les bandes carlistes battues dans toutes les rencontres diminuent sensiblement et se dispersent. Due de la Torre doit avoir commencé aujourd'hui ses opérations en Navarre, qu'il espère avoir terminées dans 15 jours par la défaite totale des insurgés.

489

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BRUXELLES, BLANC

D. 10. Roma, 30 aprile 1872.

M. Solwyns est venu, le 24 avril, me donner lecture d'une dépèche de

S. E. le Comte D'Aspremont en date du 16, par laquelle le Ministre des Affaires Etrangères de Belgique répond aux observations contenues dans une dépeche du 1er du meme mois (2).

S. E. 'résume mes remarques dans Ies trois points suivants: peu d'empressement du Ministre Beige à défendre le Gouvernement italien contre Ies écarts de langage qui ont marqué la discussion du budget; absence de M. Solwyns de Rome, et langage hostile et violent de certains journaux belges.

Le Comte d'Aspremont fait observer, sur le 1er point qu'il est de I'essence du Gouvernement parlementaire que les orateurs usent de la plus grande Iiberté de langage, et que le Président des Assemblées politiques a seui le droit de diriger Ies débats. Il n'appartient qu'à eux d'après le Comte d'Aspremont, d'appeler les orateurs au sentiment des convenances. Sur le 2e point,

S. E. déclare que le congé accordé à M. Solwyns n'est pas une fiction, que

ce diplomate vivant depuis de longues années en Italie doit éprouver le besoin de se rendre en Belgique. Cependant, M. Solwyns doit établir sa résidence réelle à Rome; en continuant à rester à Florence tout en se rendant de temps en temps dans la capitale, le Ministre de Belgique ne se conformerait point, dorénavant aux intentions de son Gouvernement. Pour ce qui regarde les injures et les violences de langage de certains journaux belges,

S. E. le Comte d'Aspremont fait remarquer que ces abus sont les suites inévitables de la liberté de la presse. Le Gouvernement Belge déplore ces attaques violents contre les Souverains étrangers, mais une constante expérience de plus de 40 ans lui a démontré que la repression la plus efficace est celle de l'opinion publique. Les lois belges qui punissent ces offenses n'ont reçu d'application qu'à la demande des intéressés qui pourraient se plaindre à bon droit si le Gouvernement Beige donnait à ces injures, le plus souvent ignorées et sans écho, le retentissement d'un débat et d'un procès publique. S. E. déclare toutefois que l'article de la Gazette de Lymbourg, qu'elle a lu avec autant d'indignation que de dégout, a été signalé aussitòt à l'attention du Ministère Public. D'après un rapport de l'autorité judiciaire, dont lecture m'a été donnée aussi, une poursuite serait tout à fait inopportune, et ne servirait que les intérets de quelques individus qui recherchent le scandale camme un moyen de spéculation.

M. de Solwyns a sans doute rendu compte à son Gouvernement de ma conversation avec lui. Il est bon, toutefois, que vous connaissiez aussi le langage que je lui ai tenu, et je vais résumer rapidement mes observations.

Je me suis empressé d'abord de lui dire que je renonçais à demander qu'on fasse un procès à la Gazette de Lymbourg. Dans une dépeche du ler avril j'avais déclaré d'avance que, non seulement nous sommes loin de désirer des restrictions à la liberté de la presse, mais que nous supportons ses abus avec le plus grand sang froid. J'ai signalé l'article de la Gazette de Lymbourg parce que cet article ne parlait pas du Gouvernement italien, mais il faisait remonter l'insulte jusqu'à la personne meme du Roi. Or, il m'a semblé que la défense du principe monarchique imposait au Gouvernement beige le devoir de ne pas paraitre encourager par son attitude et son silence des attaques aussi ignobles. Tout le monde est d'aCicord qu'il ne faut pas multiplier les procès de presse, ni entourer de la solemnité des débats des attaques qui trouvent leur punition naturelle dans l'indifférence publique. Cependant, il est nécessaire qu'on ne puisse pas se méprendre et que d'ignobles spéculateurs de scandales ne puissent pas interpréter camme une adhésion l'apathie ou le silence du Gouvernement, or, il était à desirer que l'attitude du Ministère belge vis-à-vis de l'Italie put donner lieu à des conjectures semblables. Du moment que le Comte d'Aspremont a condamné et serait pret, je l'espère, à condamner publiquement le langage des journaux dont il s'agit, un procès de presse n'avait plus de but à mes yeux.

J'ai déclaré avec la meme franchise à M. de Solwyns que, si je prenais acte avec plaisir de l'instruction qu'on lui donne de se fixer définitivement à Rome, je ne pouvais pas me rallier complètement aux considérations de

S. E. le Comte d'Aspremont en ce qui regarde son abstention à l'occasion des débats du budget. Certes, je respecte autant que lui la liberté de la tribune et l'autorité du président des Chambres législatives; cependant, je ne croirais pas avoir rempli mes devoirs, si je gardais le silence en présence d'attaques lancés par des orateurs contre des Souverains étrangers. J'ai la ferme conviction que, ni les Chambres, ni le Président ne trouveraient mon zèle déplacé dans des pareilles circonstances, car il appartient au Ministre qui a l'honneur de veiller aux bonnes relations de son pays avec les états et les Souverains étrangers, de prendre leur défense. Le role du Président est de sauvegarder la dignité de l'Assemblée: celui du Ministre des Affaires Etrangères est d'empecher qu'on abuse de la liberté de la tribune au détriment du bon accord et du respect que tous les Gouvernements se doivent. J'ai donc le malheur de ne pas partager par cette question de convenance les appréciations de S. E. le Comte d'Aspremont, mais je me plais à espérer que cet échange d'observations ne pourra que consolider les bonnes relations entre nos deux pays.

(l) -Cfr. n. 475. allegato. (2) -Cfr. n. 434.
490

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BRUXELLES, BLANC

D. CONFIDENZIALE 11. Roma, 30 aprile 1872.

Dans la dépeche du 16 de ce mois adressée à M. de Solwyns, S. E. le Comte d'Aspremont fait allusion à des réserves faites par le Gouvernement beige à l'occasion de la translation de la capitale du Royaume d'Italie à Rome. M. de Solwyns m'a dit qu'il n'avait pas reçu la feuille dans laquelle ces réserves étaient rappelées, et qui devait Hre annexée à la dépèche dont il m'a donné lecture. Il est nécessaire que vous soyez informé, M. le Ministre, que jamais ces réserves n'ont été portées par M. Solwyns à ma connaissance et que le Gouvernement du Roi ne les aurait pas admises de la part du Gouvernement beige, pas plus que de la part de tout autre Gouvernement. Nous sommes bien loin, vous le savez, d'avoir la prétention que tout le monde soit du mème avis que nous sur certaines questions politiques. Mais tout en laissant à chaque Gouvernement la plus grande liberté d'appréciation, nous sommes en droit de demander à ceux qui veulent maintenir de bons rapports avec nous de ne pas faire des réserves qui ne pourraient que faire ressortir les points sur lesquels il y aurait entre nous et eux divergence d'opinions. Il est utile que vous soyez au fait de cette circonstance, pour éviter et, au besoin, prévenir tout malentendu.

491

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4234. Madrid, 30 aprile 1872, ore 18,40 .(per. ore 2,50 dell' 1 maggio).

Consul espagnol à Genève vient de télégraphier que don Carlos avait quitté Genève vendredi. L'on croit qu'il est en Navarre.

492

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

K 1001. Berlino, 30 aprile 1872 (per. il 5 maggio).

Ainsi que j'en avais été prévenu par le Prince de Bismarck, les journaux n'ont pas tardé à ébruiter que le Cardinal Prince Hohenlohe était désigné pour représenter l'Allemagne près le St Siège. La Gazette de Spener dit que ce fait rendra difficile aux ultramontains de soutenir qu'il existe ici une sorte d'état de guerre avec l'Eglise catholique comme telle. La Gazette de Cologne est plus explicite encore, et entre dans quelques détails intéressants. Je transmets ci-joint une traduction de cet article (1), qui porte, à ne pas s'y méprendre, une empreinte officieuse.

La National Zeitung, l'organe le plus répandu du parti libéral et qui reçoit aussi des communiqués du Ministère, fait l'observation que la pensée qui a dicté un pareil choix n'est autre, que d'établir si possible un modus vivendi entre l'Empire et le St. Siège, tout en maintenant une attitude dirigée contre l'ultramontanisme. Le Prince tire son origine d'un mariage mixte. Il jouit de la réputation d'un catholique pieux, mais d'un adversaire déclaré des Jésuites. Ce sont ceux-ci qui ont fait échouer en 1866 sa candidature, favorisée par le Cabinet de Berlin, pour l'Archeveché de Cologne. Durant le Concile, il n'exerçait pas d'influence. Ses adversaires avaient pris le dessus dans la Curie Romaine, mais son palaìs était devenu le centre de l'opposition des Prélats allemands contre les nouveaux dogmes. C'est son Secrétaire, le Prof. Friedrich, qui a publié sur l'Assemblée Oecuménique des informations qui ont fait le tour de la presse. Le Cardinal n'a pas voté lui-mème contre l'infaillibilité, et s'est également tenu en dehors du mouvement des 1;-ieux-catholiques. Il passe toujours camme contraire au Jésuitisme et comme l'ami du nouvel ordre de choses en Allemagne, au mème degré que ses deux frères ainés, l'ancien Président du Conseil des Ministres en Bavière et de Due de Ratibor.

La Gazette Nationale ajoute que le Prince de Bismarck par cette nomination assez inusitée d'un Prince de l'Eglise en qualité d'Ambassadeur près le Pape, a réalisé, quoique sous une autre forme, une pensée qu'il poursuivait relativement à l'établissement d'une Nonciature à Berlin. Il reste à savoir si, per là, on évitera une rupture entre les deux pouvoirs, et si le conflict politicoreligieux s'arrangera pacifiquement.

Les correspondants officieux font chorus dans l'assurance que, pour autant, rien ne sera changé, dans la politique allemande.

La presse catholique, ou du moins son principal organe ici la Germania, se tient sur la réserve. Elle se borne à constater que, avant mème l'agrément du Souverain Pontife, des correspondances officieuses cherchent à piacer sous un

jour suspect le caractère de l'Ambassadeur présumé. • Aucune puissance au monde ne parviendra à séparer dans la vie publique l'ultramontanisme, le Jésuitisme, du catholicisme •. La Germania n'aura ses coudées franches, qu'après avoir reçu le mot d'ordre. Suivant une opinion, émise en voie particulière par un des membres de ce parti, celui-ci flaire un piège. Il compte bien que le Pape saura parer le coup.

J'ai vu une fois encore le Comte d'Arnim le 27 de ce mois, la veille de son départ pour Paris. Il prétendait que l'on tenait ici à comprometttre le Cardinal et par conséquent à ce qu'il se mit en route pour Rome au plus tòt, avant meme de savoir si son choix serait agréé. • S'il ne l'était pas, nous serions les offensés. Il n'y aurait pas de mal à cela. Si au contraire tout marche comme sur des roulettes, nous aurons un Nonce à Rome, au lieu de l'avoir à Berlin •.

J'ai recueilli d'autres impressions. Je signalerai les principales.

Le Pape fera de nécessité vertu. Il acceptera pour conserver lui-aussi tous les dehors de la politesse. Ainsi des deux cotés on s'entiendra à la maxime, suaviter in modo -fortiter in re.

Les gens sensés penseront que c'est une mystification, mais personne n'osera le dire tout haut. Il n'y aura de content que les naYfs, et parmi ceux-ci le Cardinal de Hohenlohe. Il se fait l'illusion de croire qu'il pourra empikher le mal et faire quelque bien.

Le Chancelier Impérial est le premier à rire de son stratagème. L'essentiel c'est qu'il serve aujourd'hui à ses calculs pour enguirlander, et au besoin diviser, les catholiques. Peu lui importe, le tour une fois joué, si dans quelques semaines on s'aperçoit que le fond des choses est demeuré le meme.

La combinaison sortie de l'imagination fertile de S. A. sera la pierre de touche, si on vise à la réalité ou au simulacre d'un rapprochement avec le St. Siège.

Comme contre-courant, M. de Bismarck préparera sans doute quelque manifestation sympathique vis-à-vis de l'Italie. A ce sujet, un de mes collègues m'a demandé s'il était vrai que notre Prince Royal serait invité au bapteme de l'enfant nouvellement née de la Princesse Victoria. J'ai répondu que les affaires concernant le Cour ne passaient point par le canal de la Légation.

Il était à prévoir que la nomination du Cardinal Hohenlohe donnerait Iieu à une foule de commentaires dans des directions diamétralement opposées. V. E. connaitra à l'heure qu'il est, par mes rapports Nos 997 et 998 (1), l'interprétation qui nous en a été fournie par le Prince de Bismarck lui-meme.

Avant d'expédier ce rapport, j'ai voulu m'assurer au Ministère si, en effet, le Cardinal partait incessamment, et si dans l'intervalle il était arrivé quelque indice sur la disposition des esprits au Vatican.

M. Abeken, qui remplace M. de Thile durant un congé de deux semaines, m'a dit que jusqu'ici aucun avis n'était parvenu de Rome, mais, pour peu qu'il tardat encore, Son Eminence se mettrait en route. M. Abeken m'a exprimé, comme le Prince de Bismarck et le Comte d'Arnim, l'espoir que nous saurions

apprécier la véritable signification de la décision du Cabinet de Berlin. Les rapports entre l'Allemagne et l'Italie ne subissent par là aucune modification, et vis-à-vis du Vatican on donne clairement à entendre que, comme par le passé, on travaille ici à établir une ligne de démarcation très tranchée entre le parti des Jésuites et les catholiques. On ne prendra pas l'offensive, mais on se tiendra sur la défensive la plus sérieuse, au besoin par des mesures énergiques.

Dans huit jours commenceront les débats sur les pétitions pour et contre les Jésuites. Le rapporteur, M. Gneist, concludera à l'exclusion de cet Ordre du territoire Germanique.

P. S. -Ci-joint une pièce chiffrée. Prince Impérial remettra demain ou après demain au Ministère des Affaires Etrangères la lettre d'invitation pour bapteme-lettre qui sera immédiatement expédiée à Rome par Courrier de Cabinet. Il serait bien que V. E. m'annonce par télégraphe l'acceptation, en se réservant de m'envoyer la réponse écrite de LL.AA.RR. Prince de Bismarck se montre très satisfait de la réalisation de ce projet que s'expliquera mieux que la nomination du Cardinal Hohenlohe.

(l) Non pubblicata.

(l) Cfr. nn. 481 e 483.

493

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4235. n Cairo, l maggio 1872, ore 19,15 (per. ore 21).

Missione birmana parte domani, giungerà Brindisi 5, proseguendo Roma. Necessario persona riceverla e guidarla.

494

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. 2994. Roma, l maggio 1872 (per. il 2).

Le sono tenuto dei ragguagli favoriti sul Comitato Generale dell'Associazione Internazionale di Londra dall'ottobre in qua (1), e gradirò le ulteriori comunicazioni promesse a tale riguardo nel pregiato foglio dell'E V. (2).

Tali ragguagli rispondono nella sostanza a quelli attinti per altre vie da que

sto Ministero, che d'altro canto ha positive notizie come il predetto Comitato sia

caduto in sospetto e in discredito presso le Sezioni Italiane, le quali pare con

servino verso di esso una apparenza di subordinazione per qualche sussidio pecu

niario che ne ottengono.

(ll Cfr. n. 475, allegato.

(2) Cfr. n. 487.

495

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 75. Vienna, 2 maggio 1872 (per. il 5)

La nomina del Barone Kiibeck ad Ambasciatore presso la S. Sede veniva resa ieri di pubblica ragione dal giornale ufficiale, e ieri a sera e stamane tutti i giornali di Vienna la commentano. Il Tagblatt, giornale popolare che ha la maggior pubblicità ma non però corrispondente importanza e che sempre abbonda in senso italiano, biasima altamente tal nomina, essenzialmente dicendo che non si doveva mandare un Ambasciatore presso il Papa, mentre presso il Re d'Italia v'ha soltanto un Ministro. Il Vaterland, sebbene il partito che quel giornale rappresenta non veda di mal occhio il Barone Kiibeck che è conosciuto come fervente cattolico, dà la notizia, con poche parole, che mal celano però molto fiele. La N eue Freie Presse il periodico il più importante di Vienna vede nella nomina del novello Ambasciatore, avvenuta contemporaneamente alla designazione del Cardinale Hohenlohe ad Ambasciatore dell'Impero Germanico, un felice sintomo di amichevole accordo fra l'Austria e la Germania per l'eventualità dell'elezione d'un nuovo Papa, accordo favorevolissimo alla nuova fase in cui si vorrebbe veder entrare le relazioni fra lo Stato e la Chiesa ed a cui non può a meno di unirsi anche l'Italia.

Toccando poi della personalità del Barone Kiibeck, il giornale in sostanza dice approvar la scelta anche per questo verso, essendo il Kiibeck uno di quei vecchi diplomatici austriaci che non si scostano dalla strada che è loro tracciata e sanno obbedir sempre e fedelmente eseguire le istruzioni che loro vengono date. Tale articolo acquista ai miei occhi un'importanza tanto più grande che devo vedervi una specie di comunicato, essendo egli il riflesso degli apprezzamenti al riguardo della nomina in quistione, statimi fatti dal Conte Andrassy e di cui già ebbi a ragguagliare l'E. V. L'asserzione però ripetuta del pari da varii giornali che il Conte Andrassy intendesse nominar a quel posto un Ungherese, ma che avesse dovuto cedere ad altre influenze la credo del tutto erronea; poichè fin dai primi giorni in cui il Conte Andrassy assunse il potere, fu a mia conoscenza la sua risoluzione di destinar il Barone Kiibeck presso la Corte Vaticana invece che di affidargli l'Ambasciata presso la Sublime Porta a cui era stato preconizzato dal Conte Beust.

Nei circoli poi di questa città questa nomina non ha prodotto quasi impressione di sorta. Per gli uni essa ha poca importanza, per gli altri non è tale da accarezzare speranze ma neppur da eccitare sdegno, poichè, come dissi, ben noti essendo i sentimenti personali del Barone Kiibeck, trovasi la sua scelta nelle attuali circostanze preferibile ad altre più temibili, e ad ogni modo resta ai clericali la soddisfazione di veder nuovamente accreditato presso il Vaticano un Ambasciatore: lo che temevasi alquanto più non si verificasse.

Per conto mio credo dover ripetere che non possiamo che essere soddisfatti della scelta fatta e vedervi una novella prova del vivo desiderio del Conte An

drassy di sempre maggiormente raffermar le così cordiali relazioni esistenti fra i due paesi poichè non dubito un istante che il Barone Kiibeck, qualunque siano i sentimenti intimi del suo cuore, saprà sempre essere coscienzioso e scrupoloso interprete degli intendimenti del Conte Andrassy, il cui sincero buon volere di camminar d'accordo coll'Italia e di non procurarle imbarazzi ci è guarentito dai molti atti e più che tutto dall'alta lealtà del suo carattere.

496

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 298. Londra, 3 maggio 1872 (per. il 7 ).

Mi pregio di trasmetterle qui unita la traduzione di una lettera particolare di Lord Granville del 1° corrente, che ho ricevuto jeri sera, relativa alla interpellanza da me fattagli confidenzialmente intorno all'eventuale occupazione per parte nostra dell'Isola di Socotra, dipendentemente dal di lei dispaccio del lo giugno 1871, n. 92 Politico.

* Poichè essa è sfavorevole è da sperarsi che non sia per essere dello stesso tenore quella che sto ancora attendendo, e che ho già più volte sollecitata relativa alla occupazione di una parte della costa dell'Isola di Borneo. Veramente per quest'ultima non potrebbero esservi gli ostacoli che hanno potuto ravvisarsi per Socotra la quale si trova sulla nuova linea di navigazione tra l'Europa e i possedimenti inglesi nelle Indie pel canale di Suez * (1).

Alla prima occasione rinnoverò a Lord Granville la preghiera di una risposta su questo importante soggetto.

ALLEGATO.

GRANVILLE A CADORNA (traduzione)

Foreign Office, l maggio 1872.

Nel mese di luglio ultimo scorso, Ella mi richiedeva confidenzialmente, -ma a seconda di quanto mi parve comprendere, senza desiderare che tale interpellanza fosse considerata come ufficiale -se il Governo di S. M. potesse muovere qualche obbiezione contro l'acquisto per parte del Governo italiano dell'Isola di Socotra per usarne quale colonia penitenziaria.

*La necessità di consultare altri dipartimenti del Governo di S. M. al riguardo, richiedeva come ebbe luogo, comunicazioni alle Indie e ciò fu cagione del ritardo frapposto nel rispondere alla sua domanda, ritardo che mi è doppiamente increscioso in quanto che mi trovo nella necessità di darle una risposta sfavorevole.

Debbo dire che, con tutto il desiderio di assecondare possibilmente le viste del vostro Governo su tale soggetto, vi sono certe considerazioni le quali -secondo l'opinione del Governo Indiano che nella questione è il più direttamente interessato -renderebbero l'accomodamento cui Ella allude, poco desiderabile (undesirable), e però tale, che un assentimento non sarebbe giustificato • (2).

Io posso quindi soltanto esprimere il mio rincrescimento che il Governo di

S. M. sia nell'impossibilità di aderire al piano che il Governo italiano si era proposto.

(l) -Il brano fra asterischi è edito in S. ANGELINI, Per una col<mia nel Borneo (1870-1873), in c Rivista di studi politici internazionali •· ottobre-dicembre, 1966, p, 541, (2) -Ed. in S. ANGELINI, art. cit., p, 540,
497

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Parigi, 3 maggio 1872.

Il Signor De Olozaga, Ambasciatore di Spagna a Parigi, è venuto a rimettermi l'unita lettera del Re di Svezia per S. M. Il Re, dicendomi che le precise istruzioni da lui avute recavano che tale lettera fosse trasmessa a Roma pel canale della legazione d'Italia a Parigi. Il Re di Svezia ha probabilmente le sue ragioni per servirsi d'un canale cosi indiretto. Comunque sia, in presenza d'un desiderio cosi espresso, non ho creduto di dovermi rifiutare a quest'invio, e vi trasmetto quindi puramente e semplicemente la lettera sigillata di S. M. il Re di Svezia con preghiera di farla pervenire all'alto suo destino. La copia della lettera è pure qui unita, ed essa serve a confidenziale informazione vostra.

.ALLEGATO.

CARLO XV A VITTORIO EMANUELE

Sire,

Je viens avec confiance annoncer confidentiellement à Votre Majesté qu'il y a un projet de mariage pour moi dont la réussite me serait chère, puisqu'elle provoquerait de nouveaux liens qui m'uniraient à Votre Illustre famille.

Mais la Constitution suédoise exigeant que les Princes de la Maison Royale et Régnante ne se marient qu'avec des filles de Princes avec rang d'Altesses Sérénessimes au moins, et non avec des filles mème issues d'une famille des plus nobles, Je viens donc demanderà Votre Majesté si Elle voudrait bien faire le mariage possible pour moi avec la Comtesse Marie Krasinska, déjà alliée, par les femmes, à la dynastie de Savoie, en daignant accorder au Comte Louis Krasinsky, oncle et père adoptif de la future, le titre de Prince avec rang d'Altesse Sérénissime.

Cette demande, Sire, n'est que provisoire, vu que nous ne sommes pas vus encore; cependant j'espère à la sympathie mutuelle. Ainsi je vous prie, Sire, de tenir cette demande secrète, afin qu'elle ne s'ébruite pas; mon ministre d'Italie mème n'en sait rien. Avec votre coeur frane et loyal, vous comprendrez, Sire, que je ne veux pas ni ne peux pousser les négociations du mariage à bout, avant votre bienveillante réponse.

Pour aplanir les difficultés qui auraient pu se présenter et faciliter à Votre Majesté les services que je réclame de Sa haute bienveillance, j'ai eu recours à la gracieusété du Roi Amédée, votre fils, qui avec une charmante amabilité, a daigné conférer au Comte Louis Krasinsky la dignité de Grandesse d'Espagne de Ière classe.

Je connais trop le coeur de Votre Majesté et ses éminentes qualités, pour ne pas avoir la plus entière confiance dans la solution heureuse que le Roi daignera donner à ma demande.

Je prie Votre Majesté d'accepter l'assurance de ma bien sincère amitié.

de Votre Majesté

le bon frère et ami dévoué CHARLES

36 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

498

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4240. Berlino, 4 maggio 1872, ore 15 (per. ore 21).

Antonelli a déclaré que Pape ne pouvait pas permettre à un Cardinal d'accepter les fonctions d'Ambassadeur. Il n'y a pas de précédent d'un tel choix de la part d'une puissance non catholique. Thile dit que par cette déclaration le Vatican semble vouloir passer de la défensive à l'offensive.

499

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4241. Madrid, 4 maggio 1872, ore 19,05 (per. ore 23,07).

Don Carlos est bien positivement en Navarre où en arrivant il a pris en

personne le commandement des insurgés. L'on ne sait encore rien de positif sur bataille que l'on suppose avoir eu lieu aujourd'hui.

500

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 1002. Berlino, 4 maggio 1872 (per. il 9).

Le 30 avril, ayant rencontré le Prince de Bismarck, je lui ai demandé s'il avait des nouvelles du Vatican. Il m'a dit qu'il n'y avait encore aucune réponse, et qu'on venait de télégraphier au Chargé d'Affaires de Prusse d'insister pour connaitre les intentions du St. Siège. S. A. ajoutait que, en attendant, le cardinal Hohenlohe semblait etre, lui-meme, sous l'infl.uence de quelques forces rétardatrices: mais il y avait encore de l'espoir qu'il s'acheminerait quand meme, et dès le lendemain, vers Rome.

Il n'en a rien été. Il est évident que, après miìre réfl.exion ou "cédant à des conseils en dehors du camp officiel, il aura hésité à préjuger davantage les vues du St. Père.

Sur ces entrefaites, le bruit courait déjà hier au soir que le projet avait échoué. Ce matin, je me suis rendu au Ministère des Affaires Etrangères pour vérifier le fait. M. de Thile ne savait pas exactement si l'avis en était parvenu directement au Prince de Bismarck ou au Cardinal Hohenlohe mais il ne mettait pas en doute que le Cardinal Antonelli, ensuite de la notification du choix de l'Ambassadeur d'Allemagne et sur la demande s'il serait agréé, avait clairement laissé entendre que le Pape ne pouvait permettre à un membre cìu Sacré Collège d'accepter de semblables fonctions. Il n'y avait pas de précédent qu'une Puissance non-catholique fiìt représentée par un Prince de l'Eglise. M. de Thile croyait que, par cette attitude, le Vatican passait de la défensive à l'offensive.

Dans ces conditions, personne ici ne songera à proposer un autre candidat. II n'appartenait pas au reste au Secrétaire d'Etat de prévoir quelle serait la conduite du Cabinet de Berlin.

Je ne puis donc que me référer à mes dépeches confidentielles n. 997, 998 et 1001 (1), où le programme du Chancelier Impérial est assez nettement indiqué. Il pensera désormais avoir les coudées plus franches dans la campagne inaugurée contre l'ultramontanisme et le jésuitisme, à ses yeux, les adversaires les plus dangereux de l'Allemagne, parcequ'ils feraient cause commune avec le polonisme.

Si les journaux officieux ont applaudi au coup de surprise ménagé par le Prince de Bismarck à la Cour du Vatican, à l'embarras que devait causer à celleci, soit une acceptation, soit un refus, la presse libérale. s'est prononcée dans un sens assez défavorable. Parmi ses critiques, il s'en est produit d'aussi vives, que dans celles des Gazettes du Midi de l'Allemagne qui raisonnent dans le sens de la fraction catholique parlementaire du centre au Reichstag. En effet, le titre d'Ambassadeur semble assez incompatible, dans la hiérarchie romaine, avec la qualité de Cardinal. Dès son début, le Cardinal Fesch se heurta contre des difficultés d'étiquette. Et pour remonter plus haut, la position du Cardinal de Bernis était également fausse. Ils étaient devenus suspects à Paris, et n'en étaient pas plus aimés à Rome. A fortiori en serait il ainsi dans les rapports entre le Souverain Pontife et le représentant d'une Puissance acatholique. On cite, il est vrai, le Préla~ Bavarois Haffelin, Envoyé près le St. Siège vers 1817; mais il signa un concordat, et gagna ainsi les bonnes graces du Pape, qui le récompensa en le nommant Cardinal.

Au reste, le Prince de Bismarck s'attendait presque à un refus. Il lui sera donc moins sensible dans tous les cas, qu'au Cardinal Hohenlohe qu'on ne manquera pas à Rome d'accuser d'avoir manqué de dignité et aux devoirs de sa position, en se pretant à jouer le ròle d'un pion sur l'échiquier du Chancelier Impérial.

501

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL CONSOLE GENERALE A BEIRUTH, MACCIO'

D. 29. Roma, 5 maggio 1872.

Ricercando le cause dell'inquietudine che di tratto in tratto sommuove le popolazioni libanesi, V. S. mi accennava, sino dal febbraio scorso, il timore di cui sono comprese le popolazioni stesse di vedersi private dei privilegi che il regolamento organico dovrebbe bastare a guarantire. E tal timore, al dire di

V. S., è mantenuto dal frequente ripetersi di fatti i quali sembrano dar corpo alle supposizioni che si formano sull'intenzione della Porta di cogliere una qualsiasi occasione per affrancarsi dagli obblighi assunti negli atti internazionali che a quel regolamento hanno dato vita.

V. -S. ben sa che l'Italia, non meno delle altre potenze, ha sempre vegliato all'osservanza del regolamento organico la cui necessità, come mezzo di pacificare la regione del Libano, fu riconosciuta da tutti i Governi. Anche ultimamente nell'affare del distretto di Moassera, il Gabinetto di Roma non ha mancato di far sentire a Costantinopoli l'inopportunità di un provvedimento che suscitava gravi apprensioni fra i Libanesi. Ella sarà stata probabilmente informata da Costantinopoli che le osservazioni da noi fatte sopra questo proposito, furono accolte molto favorevolmente dalla Porta. Il Ministro di S. M. ebbe l'assicurazione che lo statu quo non sarebbe alterato e che la circoscrizione del Libano non sarebbe ristretta.

Dopo questa prova della vigilanza dei Governi interessati ad impedire le violazioni anche parziali del regolamento organico, possono sembrare meno giustificati i timori di codeste popolazioni e riesce certamente sempre più difficile lo spiegare le agitazioni incessanti che V. S. stima dover suo di segnalare al Governo di S. M.

In questo stato di cose io non ho altre istruzioni da impartirle che quella di combattere in ogni occasione le prevenzioni che si formano fra le popolazioni del Libano, esortando queste ad un più retto apprezzamento della realtà dei fatti e dell'atteggiamento dei Governi che vegliano alla conservazione dell'ordine e della tranquillità nella Montagna.

(l) -Cfr. nn. 481, 483 e 492.
502

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

(AVV)

L. P. Roma, 5 maggio 1872.

Il Conte Brassier, dopo avermi consegnata la lettera del Principe Imperiale mi disse che aveva una comunicazione da farmi che aveva ricevuto da Bismarck un dispaccio di cui non aveva istruzione di darmi lettura, ma sul quale doveva regolare il suo linguaggio. La comunicazione era press'a poco la seguente:

• Il Ministro degli Esteri d'Italia, rispondendo nella Camera a un'interpellanza, disse che i Governi cattolici si interessavano e si mostravano solleciti per l'indipendenza del Pontefice e pei sentimenti religiosi, ma che manifestavano nel tempo stesso il desiderio d'avere delle relazioni amichevoli coll'Italia. Da questa frase e soprattutto dalle parole Governi Cattolici si può dedurre che il Governo Italia crede che la legittima libertà delle funzioni spirituali del Pontefice sia indifferente al Governo Germanico. Lo si può tanto più supporre quando si osserva che la stampa governativa in Italia esprime 'l'opinione che l'attuale attitudine del Governo germanico verso il partito ultramontano è ispirata da un sentimento di ostilità verso il Cattolicismo mentre la stampa Liberale [sic] rende giustizia ai veri intendimenti della Germania. Il Governo Italiano sembra dunque dimenticare che è dalla caduta del potere temporale che data il presente conflitto in Germania. Il Governo italiano può non sentirsi molto rassicurato dei suoi futuri rapporti colla Francia, quando consideri le tendenze dell'Assemblea e la politica personale di M. Thiers e può per tale eventualità aver qualche ragione di contare sull'amicizia della Germania. La Germania potrebbe disinteressarsi nella questione e lasciar che Italia e Francia regolino fra loro le loro possibili contestazioni. Il Conte Brassier è incaricato di far presente al Ministro degli Esteri d'Italia che una semplice prova da parte del Governo tedesco di una simpatia platonica pel ristabilimento del potere temporale basterebbe a far cessare l'attuale conflitto fra il Gabinetto di Berlino ed il partito cattolico in Germania •.

Questo era il tenore della comunicazione che il Conte Brassier aveva incarico di farmi e che produrrà in Lei certamente l'istessa impressione che io provai nel riceverla.

Se preferisco scriverle, a questo proposito, una lettera particolare è perchè se dovessi rispondere alle istruzioni ricevute dal Brassier con un dispaccio ufficiale rivolto a Lei, dovrei redigere questo dispaccio nei termini richiesti per tutelare la dignità del Governo. Amo meglio considerare questo incidente come il risultato di un fortuito malinteso, benchè, a dir vero, mentre il Conte Brassier mi faceva la sua comunicazione, io non potevo a meno di chiedere a me stesso se vi poteva essere qualche calcolo segreto nascosto sotto un linguaggio che mi riusciva affatto inatteso e che non potevo spiegare a me stesso. Ho creduto dunque che nel giorno in cui avveniva fra le due famiglie regnanti di Germania e d'Italia uno scambio di dimostrazioni amichevoli di cui sentivo tutto il pregio, avessi il dovere di rispondere colla massima moderazione al Conte Brassier e di considerar veramente tutto questo come il frutto di null'altro che d'un malinteso. Dissi dunque al Conte Brassier che, perchè a una domanda di spiegazioni rivolta a un governo amico si desse una simile forma e delle conclusioni comminatorie era d'uopo che vi fossero delle ragioni serie e positive. Ora dopo d'aver ascoltato la sua comunicazione io mi chiedevo: a proposito di che ci si tiene questo linguaggio? E mi sembrava ch'esso mancasse di qualunque fondamento. Si citano due fatti: Il mio linguaggio alla Camera -gli articoli di alcuni giornali governativi.

Quanto al mio linguaggio alla Camera, diedi al Conte Brassier il resoconto ufficiale della seduta, poichè da noi non v'è un resoconto stenografico comunicato ai singoli giornali, i quali hanno dei semplici reporters e i loro resoconti delle discussioni sono sempre inesattissimi.

Un deputato dell'opposizione mi chiedeva la pubblicazione dei documenti diplomatici negli affari di Roma. Io non amo queste pubblicazioni e preferisco evitarle se appena la cosa è possibile. Ma nella nostra Camera non è molto agevole il negar queste pubblicazioni. Per non sollevar dunque una vera discussione nella Camera, e per chiudere presto l'incidente, ho creduto opportuno di unire al rifiuto qualche dichiarazione rassicurante in risposta al discorso del deputato che mi chiedeva i documenti e che giustificava la sua domanda colle voci corse di insistenti ingerenze diplomatiche esercitate da alcune potenze. Accennai dunque brevemente allo stato delle nostre relazioni estere circa Roma per mostrar ch'esso non reclamava la pubblicazione d'un libro verde: non parlai della Germania più che della Francia e dell'Austria per non sollevare appunto la discussione che volevo evitare: mi servii indifferentemente

delle parole Europa, Governi, potenze amiche. In un punto dissi i Governi cattolici. Perchè? In primo punto io non ho la pretesa d'improvvisare alla Camera delle note diplomatiche come potrebbero uscire da un'accurata redazione fatta a tavolino. Poi, quando si parla alla Camera lo si fa sotto l'impressione prodotta in sè dal discorso improvviso a cui si risponde. Il deputato a cui rispondevo aveva parlato di alcuni pastorali di Vescovi, segnatamente dell'Arcivescovo di Parigi, in cui contenevano le più strane asserzioni sui pretesi eccessi che si commettono a Roma, le più violenti accuse contro noi, e mi parve che chiedesse se la diplomazia di qualche governo era stata, nei suoi rapporti con noi, accessibile a queste esagerazioni del partito clericale. Rispondendo sotto questa impressione, dissi i Governi CattoLici perchè volevo dire che anche quei Governi che qui si poteva supporre fossero disposti ad accogliere simili dubbi e simili preoccupazioni, non avevano nelle loro comunicazioni oltrepassato i limiti che tracciavo dinanzi alla Camera e non erano andati più in là del mostrarsi solleciti verso il Pontefice pure mantenendo verso di noi un'attitudine che non aveva nulla d'ostile. Volendo rassicurare sullo stato delle nostre relazioni era naturale che facessi un'allusione più speciale alle potenze cattoliche, poichè non era intorno alle buone disposizioni della Germania che poteva esistere qualche grave dubbio od inquietudine. Non sono entrato in altre spiegazioni perchè, come le ripeto, non si trattava d'un discorso pronunciato in un'ampia discussione di politica estera, si trattava di poche parole colle quali mi conveniva di chiudere al più presto, in fine d'una seduta, il corso d'un'interpellanza cui non desideravo di dar seguito. Le mando il resoconto ufficiale qui unito. Ella leggerà le mie parole e vedrà se in esse v'è qualcosa che possa offendere una suscettibilità qualunque o formar l'oggetto d'un reclamo diplomatico. Quanto al linguaggio della stampa governativa che si pone in confronto colla stampa liberale io dovetti anzitutto declinare col Conte Brassier ogni mia responsabilità per quanto riflette la stampa. Il Conte Brassier che conosce il paese sa bene che il Ministero, e tanto meno il Ministero degli Esteri, non ha alcun giornale ufficioso, nel senso che si pone a questa parola, vale a dire il senso d'una certa dipendenza. Io non so davvero che cosa possa avere stampato qualcuno fra i giornali che si pubblicano in Italia, perchè confesso che ne leggo pochi assai. Il solo caso che mi parrebbe poter chiamar l'attenzione del Gabinetto di Berlino sarebbe quello d'una specie d'unanimità negli apprezzamenti della stampa rappresentante l'opinione d'una partito considerevole del paese. Ma anche qui parmi che non vi possa esser altro che un malinteso. Io non mi rammento d'aver letto altrove che nei giornali clericali che in Germania si fa la guerra non già al partito gesuitico ed ultramontano, ma alla religione cattolica. Se alcuno dicesse ad un italiano che all'infuori del partito clericale, l'opinione pubblica o una frazione qualunque del partito liberale nel nostro paese guarda con inquietudine all'attuale conflitto cogli ultramontani in Germania e se ne inquieta per un sentimento di cattolicismo fanatico o esagerato, io credo che costui farebbe ridere il suo interlocutore. È probabile che la stampa governativa in Italia, quando s'occupa delle questioni germaniche, non si occupi di difendere il Gabinetto di Berlino da questa accusa perchè essa fu tante volte lanciata contro noi che ci abbiamo fatto il callo e non ci occupiamo

più di ribatterla. Chi più di noi conosce l'ingiustizia di questa accusa dettata dallo spirito di partito?

Quanto alla stampa radicale, non credo che neppur essa s'occupi molto di purgarne la politica del Conte di Bismark perchè a' suoi occhi quest'accusa costituirebbe piuttosto un merito che un argomento di rimprovero, poichè una delle differenze che distinguono appunto in Italia il partito moderato dal radicale è che per noi la resistenza alle esorbitanze dei clericali non implica alcuna tendenza d'ostilità rivoluzionaria contro la Chiesa cattolica.

Vi sono delle situazioni che parlano da sè, e che valgono di più che qualche articolo di giornale fors'anche poco inteso e peggio interpretato. È chiaro e non .potrebb'essere altrimenti, che tutte le frazioni del gran partito nazionale e liberale, che la grande maggioranza del paese si sentono ·egualmente solidali nella questione di Roma che è per noi ormai una questione di sicurezza e di esistenza e che tutti sono egualmente convinti che l'attitudine del partito ultramontano in Germania, il conflitto coi clericali nemici nostri, sono fatti giovevoli alla politica italiana, perchè hanno affrancato il Governo Germanico da tutti i riguardi e da tutta la riserva a cui si credeva obbligato nei primi tempi relativamente alla questione di Roma e perchè hanno creato mercè i comuni nemici dei nuovi interessi comuni fra la Germania e l'Italia e dei nuovi vincoli per le loro relazioni presenti e future. Io credevo che il Governo Italiano il quale è venuto a Roma e l'opinione che lo sostiene potessero essere sospettati di tutto fuorchè d'esser malcontenti perchè il Governo e l'opinione pubblica della Germania si trovano in conflitto coi gesuiti e coi partigiani del potere temporale.

Io, per verità, ho la più grande ripugnanza a parlare in una discussione internazionale, tanto in bene quanto in male, dei partiti interni del mio paese. Qualche tempo fa in Grecia i partiti si distinguevano in partito russo, inglese e francese; ma noi non abbiamo il piacere d'essere la Grecia. Il Conte Brassier mi ha parlato delle simpatie per la Germania manifestate più vivamente dalla stampa italiana del partito radicale. Non mi chiedo che avverrebbe di queste simpatie quando in Francia venisse al potere qualche Gambetta, mentre il bisogno di proteggere il principio monarchico e le idee conservatrici, sarebbero in questo caso una nuova ragione per la parte moderata di avvicinamento alla Germania. Quanto alla politica del Governo, Ella sa, Signor Conte, quali sono le istruzioni che ha ricevute, esse le lasciavano molta latitudine di azione ed era questa la miglior prova che potessi darle delle nostre intenzioni, poichè le sue convinzioni relativamente ai rapporti che devono esistere fra l'Italia e la Germania sono da tutti conosciute. Ma questa politica d'intimi rapporti colla Germania noi crediamo d'interpellarla secondo le stesse intenzioni del Gabinetto di Berlino, considerandola come un pegno di sicurezza e di pace, e non intendiamo di farne la base d'una politica senza moderazione verso i nostri vicini o verso il Papato. Quanto alla Francia Ella sa qual'è la nostra attitudine. Senza esser disposti a far delle concessioni contrarie alla autonomia dei nostri interessi, noi teniamo verso di essa un contegno conciliante e improntato di buon volere, perchè questo contegno ci varrà a prevenire le complicazioni che si possono temere o varrà in ogni modo a far Si che, quando una complicazione sorga, noi ci troviamo dalla parte della ragione e ne avremo il vantaggio morale.

Quanto alla nostra condotta verso il Vaticano, ho avuto occasione di spiegare al Conte Arnim il nostro modo di vedere. Finora noi abbiamo ottenuto un risultato che pareva poco probabile si potesse ottenere. Questa poca probabilità era appunto nel passato uno degli argomenti contro l'unione di Roma all'Italia. Questo risultato è la coesistenza in Roma del Governo italiano e del Papa. L'amministrazione, le istituzioni dell'Italia funzionano in Roma e il S. Padre ha continuato a rimanervi. Noi crediamo che l'Italia abbia il dovere di far quanto ragionevolmente le si può chiedere per evitar gli imbarazzi che sorgerebbero anche per gli altri Governi da un fatto di cui non si possono esattamente misurare le conseguenze come sarebbe quello della partenza del Papa da Roma dell'asilo chiesto ed ottenuto dal Papato in Francia ed altrove. È in questo

intento che noi procediamo con tutti i riguardi compatibili colle necessità della situazione. Guadagnare del tempo in un simile affare è moltissimo. Certo noi non possiamo guarentire che il Papa non parta, ma ad ogni modo, cerchiamo di far sl che se egli si decidesse a partire, lo faccia senza che noi gliene abbiamo dato un ragionevole pretesto, senza che si possa dir che noi stessi abbiamo dato un; impulso che potevamo evitare e in modo che la responsabilità della partenza pesi sul Papa e sui suoi consiglieri e non su noi. Quando poi la nostra moderazione non valesse, quando i gesuiti che spingono il Papa a partire riescissero nel loro intento, allora la nostra attitudine muterebbe risolutamente. La partenza del Papa sarebbe da noi considerata come un tentativo estremo per fare appello a tutti i nostri nemici contro di noi. Allora ai riguardi coi quali cerchiamo ora d'evitar questo fatto succederebbero le esclusive preoccupazioni inspirateci dal bisogno di tutelare la sicurezza e l'indipendenza nazionale. Fortunatamente quella certa recrudescenza che qualche tempo fa, si era notat'a al Vaticano nei progetti di partenza si è ora calmata. Ogni progetto è aggiornato e quando giungerà l'inverno le idee di partenza saranno combattute dai pericoli che un viaggio nella stagione fredda potrebbe far correre alla vita del Papa.

Queste considerazioni io svolsi al Conte Arnim il quale mi pareva notasse una certa nostra timidità nel difendere lo stato in presenza dell'attitudine aggressiva dei clericali. Pio IX è un Papa essenzialmente religioso, s'egli vedesse intaccata la religione crederebbe suo dovere il vincere ogni ripugnanza e partire. Da questo viene il poco gusto che abbiamo a favorire in Roma ogni agitazione religiosa e ogni discussione dogmatica. Noi abbiamo dato al clericalismo il colpo più decisivo coll'abbattere il potere temporale, non si può dire che non abbiamo fatto la nostra parte. Ma appunto perchè dobbiamo mostrare che distruggendo un'istituzione politica non minacciamo la istituzione religiosa e perchè ci troviamo a Roma in contatto immediato col Papato siamo in una condizione più delicata degli altri governi e obbligati ad essere cauti e guardinghi in tutte quelle iniziative che possono toccar la questione religiosa.

Sono entrato in queste spiegazioni col Conte Brassier e ho creduto utile di riprodurle in questa lettera perchè possono servir di norma al suo linguaggio.

Dissi al Conte Brassier che mi riservavo di scrivere a Lei in risposta alla comunicazione che mi aveva fatta. Non nascosi al Conte Brassier l'impressione penosa prodotta in me da questa comunicazione e la sorpresa che ne risentivo.

Gli osservai anche che una delle ragioni per cui l'opinione pubblica in Italia era favorevole a una politica d'entente intima colla Germania era la convinzione che questa alleanza condotta dalla natura delle cose dovesse fondarsi sulla reciproca fiducia e non richiedesse alcun sacrificio delle nostre legittime suscettibilità. Io dividevo questo convincimento, ma la comunicazione che ricevevo non mi sembrava in accordo con esso.

Il Conte Brassier cercò in seguito d'attenuare questa impressione che gli esposi con molta vivacità. Mi disse che non aveva istruzione di leggermi il dispaccio, che se ne aveva riprodotto senza precauzioni il linguaggio era per pormi meglio in grado di giudicare le impressioni di Berlino e di poter spiegare il malinteso che aveva dato luogo a queste impressioni. Mi parve insomma che al Conte Brassier premesse assai di non essere in alcun modo compromesso poichè le intenzioni del Conte Brassier sono sempre eccellenti ed io non ebbi mai che a lodarmi di lui. Ma lasciando anche da parte la forma con cui questa comunicazione fu fatta, il fondo sempre rimane. Ella se ne spieghi col signor de Thile od anche col Principe di Bismarck in quel modo che Le sarà suggerito dal suo tatto e dalla sua conoscen2la degli uomini e delle cose a Berlino. Non voglio esagerar questo incidente nè compromettere gli interessi del paese tanto più che tutto questo non dovrebbe essere che un malinteso. Ma, in certi casi, non è inutile il rammentarci del principiis obsta. E quando si tratta di rapporti con un governo ch'è all'apogeo della fortuna e della potenza giova di far sentir con moderazione e con calma che la reciproca fiducia ed i reciproci riguardi sono la guarentigia delle relazioni veramente intime e durevoli.

503

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1003. Berlino, 5 maggio 1872 (per. il 9).

La nouvelle si inattendue de la nomination du Cardinal Prince Hohenlohe camme Ambassadeur de l'Empereur d'Allemagne près le Saint Siège, avait déjà été commentée de diverses manières par les journaux: en général la presse libérale l'envisageait camme un faux pas du Chancelier Impérial et elle ne s'en promettait rien de bon pour l'Empire. Le refus du Pape d'autoriser un Cardinal à assumer les fonctions d'Ambassadeur d'Allemagne, cause maintenant une impression non moins vive dans l'opinion publique: il importe de s'en rendre bien compte, car cet incident, sans étre le point de départ d'une politique qui s'était déjà bien prononcée dans ces derniers temps, marquera probablement une nouvelle phase dans la manière d'étre du Cabinet Impérial vis-à-vis du Saint Siège et des Catholiques de l'Allemagne.

Je m'empresse par conséquent de transmettre ci jodnt à V. E. la traduction d'un article qui a paru aujourd'hui à ce sujet dans le Nord Deutsche Allgemeine Zeitung (1), dont les attaches officieuses sont connues.

{l) Non pu::;;~Iica:o.

D'après ce journal, on s'est généralement mépris ici sur la portée de la nomination du Cardinal d'Hohenlohe au poste d'Ambassadeur auprès du Pape: le role d'un Agent diplomatique n'est pas de s'employer par tous les moyens auprès d'un Gouvernement étranger pour faire prévaloir un pian politique, il consiste uniquement à servir d'intermédiaire entre deux Cabinets, à etre l'organe du Gouvernement qu'il représente: -dans le cas actuel, il ne s'agissait aucunement de gagner, de diriger, de persuader le chef de l'Eglise catholique, et moins encore de mettre fin à la grande lutte du pouvoir spirituel et du pouvoir temporel, grace au talent d'un diplomate: le représentant de l'Empire devait avant tout se vouer à la tache d'empecher que le St. Père fut amené à envisager et à juger les choses de l'Allemagne sous un faux jour: on ne doit pas perdre de vue que, dans cette mission, il n'était question de rien de ce qui rentre dans le domaine de la politique étrangère: l'Ambassadeur auprès du St. Siège n'a point à s'occuper d'affaires de territoire ou d'autres intérets temporels; il a à traiter les questions dans lesquelles l'Eglise et l'Etat se trouvent en présence; et meme, ces questions ne reçoivent aucunement leur solution à Rome: elles ne dépendent pas des décisions qu'on y prend: elles doivent etre réglées en voie législative, avec le concours des Parlements: et c'est de cette manière qu'elles seront réglées: -le choix d'un bon intermédiaire aurait été dès lors bien désirable pour éviter des malentendus, des sentiments hostiles: le Pape ne l'a pas voulu: à la question qui avait été faite au Cardinal Antonelli, si la nomination qui avait eu lieu du Cardinal Hohenlohe au poste d'Ambassadeur près le St. Siège serait agréée par le St. Père, le Cardinal Secrétaire d'Etat a répondu: que le Pape ne pouvait pas permettre à un Cardinal d'assumer de telles fonctions.

Je n'ai pas besoin de reveler la portée de ces raisonnements de la Nord Deutsche Allgemeine Zeitung. Sans vouloir discuter ici l'exactitude de la définition qu'elle donne du role des Agents Diplomatiques en général, role qu'elle réduit vraiment à des proportions par trop modestes, il y a un point qui frappe: à ses yeux une Puissance étrangère ne peut conmer à son Représentant auprès du St. Siège le soin de traiter d'autres affaires que celles qui rentrent dans le domaine de la religion: la politique est complètement exclue. Elle envisage dès lors le refus du St. Père sous un jour hostile, et y répond dans les paroles que j'ai soulignées, par une quasi déclaration de guerre.

Le principal organe des libéraux, la National Zeitung, admet au contraire le bien fondé de ce refus du Pape: la loi des garanties lui reconnait la qualité de Souverain, et il a dès lors, comme tout Souverain, le droit de ne pas agréer un Ambassadeur: le Chancelier Impérial n'aurait pas agi, en 1866 par exemple, autrement que le Cardinal Antonelli maintenant, si alors l'Empereur d'Autriche avait voulu nommer son Ambassadeur à Berlin un Comte de Lippe ou de Rodelschwing: -mais la National Zeitung arrive de son coté à la meme conclusion: -il faut que l'Etat règle à lui seui ses affaires avec l'église, sans négocier avec Rome: c'est le parti qu'on avait fini par devoir adopter au Grand Duché de Bade, et on s'en est fort bien trouvé: -on doit donc se féliciter que la réponse du Cardinal Antonelli ait coupé court à l'envoi d'un Ambassadeur de l'Empire auprès du St. Siège.

La presse catholique se tient sur la réserve. La Germania son principal organe, n'a jamais touché qu'avec les gants cette affaire Hohenlohe. Avant la décision du St. Siège, elle s'en remettait à la sagesse du Vatican, en se fondant sur le principe Roma locuta, causa finita. Maintenant que la réponse du Cardinal Antonelli est signalée, elle remarque que, si la nouvelle est exacte, la question à ses yeux est vidée. Il semble cependant que c'est à présent que, bien plus que dans d'autres pays, la lutte entre l'Eglise et l'Etat se déssine sur le terrain religieux.

504

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

T. 1841. Roma, 6 maggio 1872, ore 13.

Vous pouvez annoncer que Prince et Princesse acceptent avec empressement invitation qu'on leur a adressée. Courrier du Comte Brassier apportera prochainement la réponse de S. A. R.

505

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4245. Madrid, 6 maggio 1872, ore 12,25 (per. ore 17,55).

Général Moriones a remporté hier à Oroquieta, Navarre victoire éclatante sur le gros des insurgés comptant près de 5000 hommes. L'on s'est battu jusqu'à la nuit. Il y a eu nombreux morts et blessés et 700 prisonniers. L'honneur de la journée appartient avant tout au Maréchal Serrano qui avait tout combiné. Don Carlos assistait à la bataille mais il a su s'échapper.

506

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 116. Madrid, 6 maggio 1872 (per. il 12).

Je m'empresse de venir confirmer à V. E. ce que j'ai eu l'honneur de Lui mander hier par télégraphe (l) sur la déroute complète qu'a subie à Oroquieta, sur la frontière de Navarre, le gros des forces carlistes s'élevant à cinq mille

hommes et auquella présence de Don Carlos est venue donner un caractère tout à fait significatif. Le plan si habilement conçu par le Maréchal Serrano d'entourer de toute part les insurgés, de manière à les obliger à accepter la bataille, a parfaitement réussi, et c'est au moment où, pour éviter le combat, ils se disposaient à passer dans la province de Guipuzcoa, qu'ils ont été abordés et culbutés par la division du Général Moriones qui comptait à peine trois mille hommes.

V. E. trouvera ci-joint le texte des télégrammes adressés dans la journée d'hier au Ministre de la Guerre, et où sont consignés sommairement tous les détails qui se rapportent à cette importante victoire. L'impression qu'elle a produite ici a été immense et ne peut qu'avoir un résultat des plus favorables pour la marche du Gouvernement. De toute manière, l'on peut dès à présent regarder l'insurrection comme vaincue, et les quelques bandes isolées qui pourront encore parcourir certaines provinces, en apprenant la défaite du corps principal des insurgés dirigé en personne par le Prétendant, comprendront certainement qu'elles n'ont plus raison d'ètre, et se disperseront d'elles mèmes. C'est ainsi qu'est appelée à finir cette tentative aussi coupable qu'insensée et qui, par la réprobation générale qu'elle a soulevée, est venue prouver une fois de plus aux Carlistes que bien positivement le pays ne veut pas d'eux.

Quant au Prince, cause déjà de tant de désastres se terminant inévitablement par une défaite, il s'est réfugié précipitamment en France. La seule explication que l'on puisse donner à son arrivée en Navarre, où l'attendait une si prompte déroute, c'est qu'après avoir poussé tant de ses partisans à se faire tuer ou prendre la route de l'exil, son honneur militaire, bien plus que sa volonté, dit-on, l'obligeait à se montrer, au moins pour quelques instants, au milieu d'eux.

Une circonstance que je ne dois pas oublier de signaler à l'attention de V. E., c'est que, malgré ses protestations les plus formelles, le Gouvernement français, soit par un manque de forces suffisantes, soit par suite de sympathies secrètes de la part de ses agents, n'a pas exercé aux frontières toute la surveillance que l'on était en droit d'en attendre. C'est ainsi que le Sous-Préfet de Bayonne, connu pour ses opinions légitimistes, a fermé les jeux sur le passage de Don Carlos qui a pénétré en Navarre par Vera.

P. S. -Aussitòt après la réception de la dépèche de V. E. en date du 20 Avril -Série Politique N. 15 (1), je me suis empressé de signaler à l'attention du Gouvernement le Sieur Grillo, dont il y était fait mention. Cet individu, d'origine piémontaise, exerçant depuis longtemps la profession de tailleur à Madrid, était déjà connu pour ses opinions avancées et soumis à la surveillance de la police.

A peine l'Empereur d'Autriche a-t-il su l'arrivée de Don Carlos en Navarre, qu'Il a immédiatement fait télégraphier à son Ministre ici en le chargeant de demander en Son nom au Roi de lui faire gràce de la vie dans le cas où il viendrait à ètre fait prisonnier. S. M. s'est empressée d'accéder au désir de l'Empereur en donnant des ordres en conséquence.

(l) Cfr. n. 505.

(l) Non pubblicato

507

IL VICE CONSOLE A BUCAREST, GLORIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 364. Bucarest, 7 maggio 1872 (per. il 16).

Le feste pasquali sono finite e finora nulla è ancora avvenuto contro gli Israeliti. Simile risultato è dovuto all'energia mostrata dal Governo negli ordini perentori dati ai Prefetti delle città le più minacciate. Ciò sempre più dimostra che in questo paese nulla o quasi nulla avviene quando il Governo spiega tutta la sua forza. E questa forza ed energia fu dal presente Gabinetto impiegata in seguito alla nota collettiva di cui inviai copia all'E. V. col mio rapporto n .... (1).

Non abituato a simili proteste questo ministero se ne offese da principio, e tentò di farla da noi ritirare, ma nello stesso tempo capì che, dopo ciò, ove fossero avvenuti nuovi torbidi, la sua posizione sarebbe stata seriamente compromessa all'estero; tutto fu quindi impiegato perchè gli avvenimenti non dessero ragione alle nostre previsioni, onde poterei dire che ci siamo ingannati. Il nostro scopo quindi fu ottenuto, e gli Israeliti cominciano nuovamente a riprender fiducia.

Altro risultato della nostra nota fu la grazia che S. A. accordò ieri l'altro al Rabbino e ad un altro dei condannati in seguito ad un rapporto del Ministro ad interim della Giustizia Signor Costaforo, rapporto che mi riservo di inviare tra breve in traduzione all'E. V.

L'Agente di Francia propose vagamente di complimentare il Gabinetto per questo fatto, e credo che ci riunirà tutti per discutere la cosa. Quanto a me parmi che se la grazia accordata immediatamente avrebbe dovuto risparmiarci il disaggradevole passo di protestar collettivamente, non debba ora spingerei a ringraziare il Governo Rumeno di una decisione che, eminentemente giusta fu quasi a lui strappata dai nostri reclami e dall'opinione pubblica dell'Europa.

Ciò malgrado, non mi pronuncio ora categoricamente su questo affare, ed aspetto la riunione che, come dissi, si terrà forse in proposito.

508

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Vienna, 7 maggio 1872.

Ho un'occasione per l'Italia, e me ne valgo per mandarvi qualche piccola notizia. Vi ringrazio !)el telegramma col quale gentilmente vi piacque rispondere alla domanda da me fattavi relativamente alla visita dell'Arciduca Giovanni a

s. -M. ed ai Reali Principi. Informato così, le cose esservi passate benissimo, mi feci premura di chieder un'udienza a S. A. L che ancora non conoscevo. Essa mi venne subito accordata, e devo dire che fui meravigliato dell'intelligenza e coltura di quel giovane Principe; ma più di tutto dei suoi nobilissimi sentimenti, così simpatici pel Re, per la famiglia Reale, e per l'Italia, ed in particolare dei suoi apprezzamenti sulle cose nostre. Insomma parevami proprio di sognar sentendolo parlar un linguaggio così poco in armonia coi sentimenti della famiglia tutta a cui appartiene. Quel dì stesso poi, che era appunto il giorno in cui mia moglie riceve, venne a fargli visita, dicendo esser venuto per ringraziar della cortesia da me usatagli, e davanti ai diplomatici ed altri li presenti, parlò dell'Italia e delle impressioni riportatene, come l'aveva fatto .con me al mattino, in modo da far trasecolar gli astanti che più non sapevano se eran svegli oppur se sognavano. Seppi di poi che questo giovane Principe è noto per i suoi sentimenti liberali, ed al tempo stesso gode di molta stima perchè ha un'istruzione non comune. Ho creduto opportuno riferirvi tutto ciò; poichè pur facendo la parte dell'età giovanile, della nobiltà di sentire, e dei forti studi fatti, parvemi sempre vi fosse qualche cosa d'inesplicabile nella condotta di quell'Arciduca, che così accentuatamente rompe senza riguardi colle tradizioni della sua famiglia, e spiega tal e tanta indipendenza di carattere. Où veut-il en venir? Credo nol sappia neppure lui, ma certo è che cosi non andrà in lungo, ed evidentemente un avvenire ben infelice lo aspetta, compreso quello pur possibile di salire in uno di quei poco invidiabili troni, che di quando in quando si fanno vacanti. Per conto mio intanto mi terrò d'or in poi sulla riserva, onde non eccitar sospetti qui, e neppur incoraggiar idee inattuabili. Presentemente l'Arciduca sta per lasciar Vienna dovendo raggiungere il suo Reggimento in Gallizia dove ritengo il lascieranno più lungamente possibile. Il Brioschi lasciò Vienna parmi abbastanza soddisfatto dei concerti presi col Direttor Generale dell'Esposizione, e la ragionevole condiscendenza da lui spiegata fece del pari qui buonissima impressione. Sarà ora per farsi a Roma la nomina della commission Reale, spero si tralascerà per ora dal mettervi a capo il Principe Umberto, la cosa potrà farsi

più tardi, e meglio come già vi ho scritto. La vostra risposta all'interpellanza relativa alla pubblicazione dei documenti diplomatici, ha fatto qui a quanto mi si è detto eccellente impressione, fu sottoposto all'Imperatore il dispaccio di Wimpfen che la riferiva. Ottima impressione pure, ha prodotto la risposta di Minghetti al rimbambito Michelini, a me poi ha fatto tanto più piacere, poichè venne a confermar ciò che io avevo detto a proposito del discorso Schmerling, assicurando che se nel nostro Parlamento vi fosse stato chi per avventura lasciasse sfuggir parole meno amichevoli verso l'Austria, non sarebbe stato come a Vienna il silenzio la risposta. A proposito di Wimpfen vi sarei grato se in una delle vostre future lettere mi diceste come siete contenti dei vostri rapporti seco Lui. Già un pajo di volte Andrassy tastò meco il terreno al riguardo, ma schivai l'argomento, non sapendo affatto che rispondere. Tal riserva assoluta ove non ne fosse il caso, potrebbe però esser mal interpretata, quindi se crederete dirmi qualche cosa in proposito mi farete piacere.

Ha fatto qui un certo senso, che il Principe Federico Carlo, al suo ritorno dall'Italia e dall'Oriente abbia passato alle porte di Vienna senza venir a

salutarvi l'Imperatore. Si è pretestato la fretta del ritorno, le imminenti manovre etc. etc., ma l'effetto è stato cattivo, sebben in fondo la sua astensione non sii stata spiacevole: poichè après tout, i Prussiani sono cordialmente odiati qui, ed in particolare vi è inviso il Principe Federico Carlo, questi non lo ignora e quindi astrazion fatta anche da ogni ragion politica, non può aver piacere di venir a Vienna. Da alcuni giorni tornò a galla qui la voce dell'alleanza ItaloPrussiana, ed anzi affermasi con insistenza un patto fra i due Stati esser stato testè sottoscritto. Nella vostra ultima lettera trovai tutti ,gli elementi necessari per guidarmi nelle risposte che potrei esser in caso di far al riguardo, quindi non m'occor altro. Non avendo oggi di più nè di meglio da riferirvi, faccio punto, raffermandovi...

(l) -Manca.
509

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4250. Costantinopoli, 8 maggio 1872, ore 16,05.

Général Ignatieff et moi par échange de notes avec la Sublime Porte avons obtenu toutes les améliorations désirables au protocole qui accorde droit de propriété aux étrangers. Général Ignatieff est autorisé a faire adhésion. Je prie

V. E. de me dire si je puis en faire autant, comme il est urgent dans l'intéret de nos nationaux.

510

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI MINISTRI A LONDRA, CADORNA, E A VIENNA, DI ROBILANT

D. 34. Roma, 9 maggio 1872.

Trasmetto qui unita copia a V. E. di alcuni documenti diplomatici riflettenti la situazione presente del Libano ed i pericoli che essa potrebbe offrire alla tranquillità di quella parte dell'Impero ottomano, pericoli segnalati nel carteggio del R. console in Beiruth più particolarmente nei rapporti del 25 marzo u. s. (1).

Quel R. Agente mentre segnala il fatto dell'inquietudine che di tratto in tratto regna fra le popolazioni libanesi, ne attribuisce la causa al timore che invade spesse volte quelle popolazioni di vedersi private dei privilegi che sotto la guarentigia delle potenze la Porta ha loro riconosciuto.

Io desidero sapere se in questi ultimi tempi il Governo presso il quale

V. S. è accreditata abbia avuto occasione d'occuparsi degli affari del Libano e sopratutto se sia pervenuto a notizia di codesto Governo che la Porta mediti di

revocare in tutto od in parte le concessioni contenute nel regolamento organico. L'opinione che il Governo italiano ebbe già opportunità di manifestare nel senso dell'osservanza di quel regolamento come mezzo per mantenere la tranquillità nel Libano non avrebbe potuto certamente modificarsi in seguito delle informazioni trasmessegli dal suo agente in Beiruth. Epperò noi sentiremmo con viva soddisfazione che anche codesto Governo divide un tal nostro modo di vedere.

(l) Non pubblicati.

511

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 118. Madrid, 9 maggio 1872 (per. il 14).

La soumission spontanée de trois mille Carlistes à Estella (Navarre) dont je me suis empressé d'informer par mon télégramme d'hier (l) V. E., est venue porter le dernier coup à l'insurrection qui, déjà mortellement frappée à Oroquieta, se trouve aujourd'hui réduite à la plus complète impuissance. Cet heureux événement a paru d'une telle importance au Gouvernement qu'il a cru devoir en faire l'objet d'une communication officielle aux différents Chefs de mission à Madrid. La Note se terminait en disant que le Prétendant était en France.

Jusqu'à présent le Gouvernement Espagnol n'avait jamais fait part à la diplomatie étrangère des incidents de sa politique quelque graves qu'il pussent etre. L'innovation introduite aujourd'hui est donc des plus significatives et prouve tout le prix qu'attache le Gouvernement Espagnol à ce que les Cabinets Etrangers soient bien convaincus que l'insurrection est arrivée à sa fin.

P. S. -Je me permets de joindre une lettre pour le Due de Monteleone en priant V. E. de la lui faire parvenir (2).

512

IL CONSOLE GENERALE A BEIRUT, MACCIO', AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 158. Beirut, 9 maggio 1872 (per. il 28).

La lettura che ho fatto dei documenti che l'E. V. si è degnata trasmettermi fino al N° 8 inclusivo, dell'Incartamento 27. III relativi alla quistione del diritto delli Stranieri di possedere beni stabili nell'Impero Ottomano, non ha sostanzialmente modificate le opinioni, che io ebbi l'onore di manifestare a codesto R0 Ministero col mio rapporto del 23 Aprile 1869 N. 59 di questa serie.

Sarà forse la conseguenza delle speciali condizioni in cui si trova il paese in cui risiedo, nel quale può coscienziosamente dirsi che i Tribunali e le Autorità sono giunte ad un grado di corruzione incredibile, ma più vi rifletto, e meno scorgo la convenienza di seguire nello stato delle cose l'esempio datoci da altre Nazioni.

La Colonia italiana di Costantinopoli può ben desiderare il contrario; può anche supporsi che la Banca !talo Levantina concordi nello stesso parere : ciò nondimeno io riconosco come eminentemente saggie le osservazioni contenute nel dispaccio dell'E. V. al Signor Conte Barbolani in data del 30 Marzo ultimo (l) e non so trovare nella limitata mia intelligenza alcun argomento basato su considerazioni di ordine superiore, che possa ragionevolmente contrapporvisi.

O che io m'inganno, o l'interesse stesso dei nostri connazionali di Pera, non è coSì rilevante quanto essi medesimi lo dichiarano. In un paese ove i fabbricati sono esposti a tanti rischi, ed ove il danaro speso in acquisti di beni immobili rende circa il 5 %, non par naturale che si voglia appunto a quelli destinarlo, mentre impiegato in altro modo può produrre il frutto legale del 12 % e talvolta anche di più.

La Banca Levantina poi se vuole operare mutui con garanzie sopra stabili lo potrà ugualmente, tanto se trovinsi in possesso di nazionali che di stranieri; anzi è da credersi che in qualunque ipotesi non sarà mai coi primi che concluderà la maggior parte di simili affari.

Una quistione di tale importanza non può considerarsi dal punto di vista delli effetti, che la sua soluzione arrecherà a quel solo gruppo di interessati, che dimora nella Capitale dell'Impero. lvi forse le cose procedono in modo assai soddisfacente e non se ne temono inconvenienti gravi. Ma nelle provincie, ed in Siria in ispecie, ove i Tribunali altro oggi non sono che pubblici uffizj di vendita della giustizia al maggiore offerente con una impudenza di cui varj anni addietro, quando la Turchia non passava ancora per civilizzata, non si ebbe mai l'esempio, sarebbe correre un gran rischio affidando ad essi la tutela dei diritti dei cittadini, ed alle autorità politiche una più ampia giurisdizione sulle loro persone.

Io non ho del resto che a riferirmi alla esperienza fatta da sudditi di altre Nazioni per dedurne a cosa possono attendersi quelli di Sua Maestà. Basta che stranieri posseggano un fondo qualunque perchè debbano lagnarsi di continue avanie. Le imposte sono sempre stabilite a carico loro in una proporzione maggiore che per gli indigeni; i coltivatori che per astio vogliono distrarsi dai lavori rurali, sono esposti ad ogni specie di vessazioni nei momenti in cui la loro opera è più necessaria; su di essi si fanno pesare esclusivamente le prestazioni personali richieste dalle autorità delle provincie, e sotto mille pretesti inviasi nei fondi stranieri la forza pubblica, la quale ognuno sa come si contenga da pertutto ove entra.

Inoltre ora che mentre in grazia delle manifeste tendenze reazionarie e

fanatiche dell'Amministrazione, i confinanti indigeni di quelle proprietà si per

37 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

mettono di invaderle e di guastarne i prodotti, il Governo sorge a contestare i diritti di coloro a cui egli medesimo vendeva qualche anno indietro dei terreni; fa sorgere pretendenti a rivendicarli coll'ajuto di falsi titoli e di più falsi testimoni, e riduce i miseri possessori ad aver bisogno di ricorrere ogni momento al Console del Governo rispettivo per essere tutelati dalla sua protezione. Conosco fra gli altri il caso di un suddito Austro-Ungarico, il Signor Dott. Calozdy, il quale avendo avuto la poco felice inspirazione di comperare dei terreni messi all'incanto dal Governo presso Sayda non ne potè mai godere tranquillamente, e più volte lo stesso Valy della provincia glieli avrebbe tolti senza l'attivo intervento dell'Autorità Consolare.

Se in confronto di queste osservazioni io esamino tanto il progetto di nota Russa del 6 Gennaio 1872, sulla base della quale si ripresero in Costantinopoli i negoziati relativi a sì importante argomento, quanto i rilievi contenuti nella lettera del Signor Barbolani del 18 febbraio seguente, trovo che quand'anche tutte le concessioni progettate si ottenessero, non sarebbe ancora sufficiente all'uopo.

L'inconveniente della inammissibilità dei testimonj Cristiani nei giudizi davanti al Mekkemé è stato troppo bene dall'E. V. rilevato perchè io debba insistervi maggiormente. Ma se la Sublime Porta pure escludendo la formula di sudditi più favoriti non ne proponesse altra la quale nella sua applicazione assicuri effetti equivalenti, non so scorgere come il ritardo, che ne risulterebbe alla firma del protocollo, sia tal danno da consigliare che si passi oltre a sì importante garanzia.

Quantunque la Nota Russa si estenda assai in spiegazioni circa ai fallimenti ed alle successioni non vi trovo ben definito il principio, che secondo me ha una reale importanza, quello cioè che nei giudizi relativi agli uni ed alle altre, nei quali venga ordinata dai Tribunali del Regno, o da quelli dei RR. Con

solati la vendita di uno stabile posseduto da italiani l'autorità locale debba limitarsi alla sola parte esecutiva senza avere alcun diritto di riprendere in esame il merito della quistione, meno il caso di beni Wacouj, che per la legge stessa della loro costituzione sono soggetti ad un regime speciale.

Ricorderò infatti come notai a questo riguardo nel mio indicato rapporto, che bisognava premunirsi contro il pericolo che un fallito in virtù della legge locale si sottragga alla vendita dello stabile in cui dimora colla famiglia, e che la espropriazione resti impedita quando l'espropriato non faccia personalmente e verbalmente davanti al Mekkemé la dichiarazione di voler alienare il fondo, senza di che la trasmissione al compratore non può aver luogo.

Inoltre io considero sempre della massima importanza la pubblicazione anticipata di quel Regolamento, pel quale nel protocollo francese si dettero alla Sublime Porta pieni poteri, destinato a determinare il modo di agire della polizia locale verso gli stranieri dimoranti in località distanti più di nove ore dalla residenza di un Agente Consolare. Io temo grandemente che il Governo Ottomano si riserbi a quando tutte le Potenze avranno aderito al Protocollo per redigere il Regolamento di cui si tratta, ed allora vi inserisca le disposizioni le meno conformi ai privilegj ed immunità di cui godono gli stranieri nell'Impero; per cui se anche non voglia insistersi per conoscere fin d'ora il suo contenuto, giudicherei prudente che con una clausola speciale fosse riserbata la cooperazione delle Missioni estere nell'elaborarlo, o quanto meno stabilito che non si metterebbe in vigore senza il loro assentimento.

Ben saggia ed importante riconosco la precauzione di dimandare che sieno pubblicate nel loro testo ed in qualche lingua europea le leggi da applicarsi in materia di giudizj risguardanti beni stabili. È da sperarsi che la Sublime Porta non si rifiuterà a riempire questa lacuna, la quale costituisce un grande inconveniente anche nei casi di altra natura, nei quali i Tribunali invocano sempre la legge, e non si può mai controllarne efficacemente il tenore, perchè non ne esistono traduzioni in lingue conosciute dagli stranieri.

(l) -Non pubblicato. (2) -Annotazione marginale: c Ritirata •.

(l) Cfr. n. 429.

513

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI

D. CONFIDENZIALE 66. Roma, 10 maggio 1872.

La comunicazione del Governo Portoghese intorno al futuro conclave trasmessami da V. S. col rapporto del 28 febbraio (l) fu da noi sottoposto a quell'accurato esame che la sua importanza richiedeva. Essendo ora ella in procinto di ritornare a Lisbona, il Governo di S. M. l'incarica di esprimere al signor Andrades Corvo i più sentiti ringraziamenti per l'iniziativa da lui presa di uno scambio di idee di cui l'Italia concordemente col Portogallo apprezza e riconosce la pratica, reciproca utilità. Per corrispondere alla prova di confidenza dataci dal Gabinetto di Lisbona, furono da noi riassunte in un memoriale confidenziale, qui unito, le principali idee che ci si affacciarono nel considerare al punto di vista delle circostanze presenti, la grave eventualità dell'elezione del futuro Papa. Ella leggerà quel documento al signor Andrades Corvo e potrà anche consegnargliene una copia se egli manifesta il desiderio di possederla. Ma nel ciò fare, V. S. dovrà insistere sul carattere strettamente confidenziale della nostra comunicazione, richiesto dall'indole stessa dell'argomento delicato al quale la medesima si riferisce. La comunicazione che V. S. farà al signor Andrades Corvo dovrà inoltre essere accompagnata da due particolari avvertenze. Ella dirà cioè al Ministro degli Affari Esteri di S. M. che nel nostro memoriale ci siamo collocati unicamente sul terreno della politica pratica, ricercando e segnalando ciò che a noi sembra utilmente effettuabile piuttosto che le cose teoricamente desiderabili. E quindi ella farà notare a S. E. che, collocati sopra questo terreno, noi saremo ognora disposti ad esaminare quegli altri concetti più vantaggiosi che da uno scambio di idee con altri Governi potrebbero emergere. In breve, le opinioni manifestate nel memoriale in discorso non costituiscono per il Governo italiano un impegno a seguire una determinata linea di condotta. Esse sono il frutto dell'esame da noi fatto della quistione in relazione con le circostanze presenti

le quali qualora subissero cambiamenti o modificazioni sensibili, influirebbero naturalmente sulle future nostre risoluzioni.

ALLEGATO.

MÉMOIRE CONFIDENTIEL

Roma, 10 maggio 1872.

Il est heureux pour l'Italie que la vacance du S. Siège n'ait pas compliqué jusqu'à présent la situation nouvelle que des événements récents ont fait à la Papauté. L'état de santé du S. Père et la longévité de la famille Mastai nous font espérer que de Iongues années encore nous séparent de l'époque d'un Conclave. Si cet espoir n'es:t pas déçu, les passions auront eu le temps de se calmer, les esprits sincèrement religieux auront pu s'éclairer sur les conditions actuelles de Rome. Dans quelques années il n'y aura plus à craindre que des tendances factieuses viennent meler les éléments mondains à une élection dans laquelle les intérets supérieurs de la religion ont seuls le droit de prévaloir.

On conçoit néanmoins que les Gouvernements se préoccupent dès à présent d'une éventualité que nous espérons encore très éloignée.

Dans quel sens devra s'exercer alors l'influence des Gouvernements?

Nous nous proposons d'examiner sommairement cette question au point de vue général des intérets de l'Europe. Ce ne sera qu'en passant, que nous ferons mention des circonstances particulières de l'Italie, et des devoirs tout spéciaux que ces circonstances imposent au Gouvernement du Roi.

Il suffit de jeter un coup d'oeil sur l'histoire des vingt dernières années pour se convaincre qu'une tache bien rude a été imposée à la génération actuelle. Aux questions politiques les plus difficiles, sont venus s'ajouter successivement les problèmes sociaux les plus compliqués, les plus ardentes controverses religieuses. En meme temps que l'édifice politique chancelait sur ses bases, que le centre d'équilibre subissait les plus fortes oscillations, l'ordre social était mis en question. A la révolte audacieuse contre tout principe d'autorité, nous avons vu opposer la revendication de l'unité théocratique des pouvoirs. La civilisation menacée d'un còté par les passions de la démagogie et du socialisme, a été de l'autre, accusée d'hérésie et frappée des censures de l'Eglise. Obligés de se défendre à la fois contre deux forces, qui visent également à etre cosmopolites, les -Gouvernements doivent désirer, à notre avis, que le Conclave ne vienne, par un choix regrettable, ajouter encore d'autres éléments de désordre à ceux qui existent déjà. L'apaisement des passions est en un mot le premier besoin actuel du monde, aussi bien au point de vue politique, qu'au point de vue social. Après des secousses aussi violentes, un sentiment bien nature! de lassitude fait désirer aux populations d'etre rassurées contre le retour des agitations religieuses. Le choix d'un Pape conciliant et modéré faisant entendre du haut de la Chaire de S. Pierre non le Iangage de la théologie scolastique, mais celui de l'Evangile, retrempant son autorité morale dans un appel incessant à ces vertus de la douceur et de l'abnégation qui ont été les armes toutes puissantes du Christ, serait un immense bienfait pour les peuples comme pour les Gouvernements. En présence des travaux de la science critique, on ne réussirait pas sans danger à renouveler les discussions théologiques du bas empire mais il y a un langage qui trouvera toujours accueil dans les esprits les plus cultivés, comme dans les classes les plus dénuées d'instruction; ce sont les paroles qui venant du coeur vont directement au coeur des fidèles. Que ce langage retentisse encore une fois du haut du Vatican et la foi sincère éclairée se trouvera ranimée.

Il serait inutile de s'appesantir sur ces considérations dont la justesse nous parait évidente. Tous les Gouvernements seront d'accord pour désirer l'élection d'un homme doux, modéré, conciliant. Les hommes qui ont particulièrement à coeur les intérets et l'avenir de la papauté, auront surtout à la préserver des dangers que la guerre imprudemment déclarée à la civilisation fait courir au catholicisme. Un illustre homme d'Etat faisait, il y a quelques années, l'énumération des libertés politiques nécessaires à la France; on peut dire de meme qu'il est un certain nombre de libertés spirituelles qui sont indispensables à tout peuple moderne. La papauté s'est suicidée comme institution politique en s'obstinant à repousser tout principe de réforme, en se faisant une gioire d'ètre le type des Gouvernements de l'ancien régime. La Papauté, meme comme institution religieuse ne conservera son empire sur les fidèles, qu'en les mettant à meme de suivre les préceptes de la morale religieuse sans rejeter la science et ses exigences légitimes. L'élection du nouveau Pape doit donc etre une oeuvre de paix: paix entre l es Gouvernements', paix entre l'Eglise et l'Etat, entre la science et l'Evangile.

Désigner le but, c'est indiquer les moyens. Nous n'ignorons pas que des hommes ayant dans PEglise une grande autorité ont exprimé le voeu que l'élection du nouveau Pape soit faite autrement que par les voies canoniques traditionnelles. On a mis en avant l'utilité qu'il y aurait à déférer au Concile le choix du Souverain Pontife. Quelques uns ont pensé qu'on devrait avant I'élection du nouveau Pape oompléter le Sacré Collège par l'adjonction des Eveques les plus éminents de la catholicité, dans le but de donner à I'Assemblée un caractère plus universel. D'autres ont demandé que I'élément laYque intervint directement dans l'élection. Nous sommes loin de méconnaitre les bonnes intentions des hommes qui ont émis ces opinions. Nous savons qu'on peut invoquer les précédents des Conciles de Baie et de Constance; mais nous sommes d'avis qu'il serait dangereux de ne pas suivre cette fois encore les procédés consacrés par la tradition. C'est sur la tradition en effet que repose l'autorité du Saint Siège; il faut soigneusement éviter d'amoindrir son prestige mora! par des changements qui lui seraient imposés et qu'on n'aurait pas eu le temps de murir. Certes on peut désirer que le nouveau Pape, par la convocation d'un nouveau Concile, introduise dans I'organisation du Gouvernement de l'Eglise, voire meme dans I'élection des successeurs de St. Pierre, Ies améliorations qui peuvent etre reconnues nécessaires. Mais il serait périlleux, à notre avis, de vouloir imposer d'une main hative à l'Eglise universelle une transformation pour laquelle l'oeuvre de tout un long pontificat pourrait à peine suffire. Car on ne peut se bercer de l'espoir que ces déviations des usages reçus obtiennent immédiatement l'adhésion universelle. Or, il faut éviter de semer de nouveaux germes de discorde, si on veut parvenir à I'apaisement des esprits.

Des motifs analogues nous font penser que les Gouvernements devraient déjouer par Ieur attitude, certaines combinaisons dont on a vaguement parlé. On dit que des influences s'agitent autour de Pie IX pour obtenir de lui une bulle autorisant une dérogation aux solennités habituelles du Conclave, et contenant en quelque sorte, et d'une manière indirecte, la désignation d'un successeur. Les conséquences d'une semblable dérogation aux formes reçues seraient très graves. Une élection faite à la hate, dans le but évident de prévenir I'arrivée des Cardinaux, qui n'ont pas à Rome leur résidence habituelle, ne saurait, de nos jours, assurer au nouveau Pontife I'obéissance des fidèles. Les discussions ardentes que le nouveau dogme de I'infaillibilité a fait surgir, pourraient bien se renouveler à l'occasion de l'élection du nouveau Pape. Toute déviation aux formes canoniques ne pourrait que diminuer l'autorité du nouveau successeur de St. Pierre, meme aux yeux de cette partie des fidèles qui ne demande qu'à continuer à reconnaitre son pouvoir. Quant aux autres, ils trouveraient probablement, dans une irrégularité aussi grave, des arguments puissants pour continuer la lutte et propager la révolte. C'est un devoir pour les Gouvernements qui, tout en ayant à coeur les intérets religieux, désirent prévenir des nouveaux troubles, de faire clairement entrevoir que rien n'excuserait à leurs yeux les procédés auxquels nous venons de faire allusion. Ne doivent-ils pas empecher d'avance que l'élection du Pape soit faite seulement par les Cardinaux qui se trouvent actuellement à Rome et dont le nombre est à présent fort restreint? Jamais il n'a été plus nécessaire de veiller à I'exécution des bulles de Alexandre Hl et de Grégoire X, établissant un délai de dix jours entre la mort du Pape et l'élection de son successeur, et fixant une majorité des deux tiers des Cardinaux comme le minimum nécessaire pour la validité, car jamais il n'a été plus à désirer o.ue toutes les nations appartenant à la grande famille catholique soient représentées au C:onclave.

Mais les Cardinaux pourront-ils se réunir à Rome? Nous répondrons à cette question en demandant à notre tour s'il serait possible de réunir le Conclave ailleurs. On peut, sans crainte de lancer des accusations téméraires, supposer que la cOterie qui a cherché à plusieurs reprises d'obliger le Saint Père à quitter Rome, se propose surtout d'empecher que le Conclave se réunisse de nouveau au Vatican. Mais les memes difficultés que le St. Père aurait rencontré s'il s'était décidé à partir de Rome, empecheraient la réunion du Sacré Collège dans une autre ville. Dans l'état d'animosité que les derniers événements politiques ont laissé après eux, il n'est guère probable que les Cardinaux Allemands consentent à se réunir en France. Réciproquement les Français ne se rendraient pas en Allemagne. D'ailleurs, seulement pour le choix d'un autre lieu de réunion, il faudrait entamer de longues négociations qui feraient perdre un temps considérable et prolongeraient la vacanee du Saint Siège. En admettant meme qu'on parvienne à s'entendre pour une autre ville que Rome, les suites d'une élection faite dans des conditions aussi anormales, se feraient immédiatement sentir. Le nouveau Pape étant éveque de Rome devrait tàcher naturellement de rentrer dans son diocèse. Son retour aurait la valeur d'une renonciation explicite à toute revendication du pouvoir temporel. Or, quelque désirable que soit à nos yeux cette renonciation, nous ne nous faisons pas l'illusion de croire qu'elle puisse etre le premier acte du nouveau Pontife. Il est malheureusement beaucoup plus probable que le meme parti qui aurait réussi à faire convoquer le Conclave ailleurs, empecherait le nouveau Pape de rentrer à Rome, et tàcherait de faire de lui le centre de machinations politiques et d'intrigues plus ou moins couvertes. Tout espoir de réussir dans un nouveau Pontifìcat à apaiser les passions, à renforcer le principe d'autorité par un accord de la religion et des Gouvernements libéraux, serait évidemment déçu. Les querelles religieuses continueraient de plus en plus, et l'unité du monde catholique se trouverait de plus en plus menacée.

Nous ne pensons pas que des Gouvernements sages puissent s'exposer à des éventualités de cette nature. Imposer au nouveau Pape la redoutable alternative que nous venons d'indiquer, c'est ébranler dans ses fondements la vénérable institution du Pontificat. Elu à Rome, le nouveau Pape ne sera obligé ni de reconnaitre immédiatement le nouvel ordre de choses ni de s'engager dans une lutte stérile et funeste pour le combattre. L'expérience nous prouve qu'il est plus facile obtenir de la Papauté un acquiescement tacite à des faits accomplis, qu'une renonciation explicite.

Dans Quelle ville du monde les Cardinaux réunis en Conclave seraient-ils plus libres qu'à Rome? Dans quel autre endroit pourraient-ils jouir plus complètement de la souveraineté toute personnelle qui leur était attribuée pendant l'interrègne? On sait, en effet, que par les bulles nombreuses qui règlent les formes du Conclave, les pouvoirs des Cardinaux ont été réduits tellement, que en réalité le Conclave avait à peine l'autorité nécessaire pour le maintien de l'ordre. Pendant tout le moyen age, la mort du Pape a été le signal de l'anarchie la plus complète: les prisons s'ouvraient pour laisser libres les malfaiteurs, le peuple se sentait délivré de toute police, de toute juridiction: c'était une sorte de carnaval, funesté souvent par des combats dans les rues, animé surtout par les gageures qu'on faisait pour tel ou tel des candidats au St. Siège. Si un tel genre de liberté n'était pas incompatible avec les délibérations de l'Auguste Assemblée, comment pourrait l'etre la liberté dont Rome jouit à présent? D'après les bulles, le C'onclave doit se réunir dans le palais meme où le Pape est mort. C'est donc au Vatican que, selon toute probabilité, l'élection doit avoir lieu. C'est au Vatican d'ailleurs que le Conclave s'est réuni en 1303, en 1378, enfin de 1455 jusqu'à 1823 le Conclave a toujours siégé au Vatican. Les Suisses et les Gardes palatines qui sont actuellement à la disposition de Pie IX suffiraient complètement à la garde du Palais. Le Gouvernement du Roi veillerait de son còté au maintien de l'ordre dans la ville, sans que les mesures de sureté publique qu'il prendrait, puissent empecher le Maréchal du Conclave de remplir ses fonctions et d'exercer sa surveillance. Les art. 3, 6, 7, 8, 10, 14 de la loi des garanties ont pourvu d'avance à tout ce qu'exigent la sécurité, la dignité, la complète indépendance du Sacré Collège. Cette loi a été loyalement exécutée par le Gouvernement dans toutes les dispositions qui ne réclamaient pas le concour,s du St. Siège. Les deux années qui se sont passées depuis l'annexion de Rome à l'Italie, ont démontré que l'Eglise peut fonctionner en toute liberté dans la Capitale de l'ltalie. La liste des cérémonies religieuses extraordinaires et des députations reçues par le Pape librement, et dans lesquelles les catholiques de toutes les parties du monde ont pu exprimer librement leurs pensées les plus hostiles à l'Italie, serait fort longue et curieuse à consulter. L'expérience a meme démontré le peu de progrès fait par les idées de conciliation au milieu des personnages de la Cour Pontificale. Il est notoire que c'est au coeur pieux, à l'intelligence élevée du St. Père lui meme que sont dues les rares concessions que l'on a fait quelquefois pour éviter des conflits avec l'autorité civile. Il serait puéril de supposer que les éminents personnages qui sont revetus de la pourpre romaine, subissent, en se réunissant à Rome, l'influence du Gouvernement italien. Nous ne nous faisons donc pas l'illusion de croire probable l'élection d'un Pape qui ait le courage de mettre dans son programme la conciliation explicite avec l'Italie. Aussi le Gouvernement du Roi s'abstiendra-t-il de désigner des candidats, il se bornera à exprimer l'espoir que le nouveau Pape soit tel que l'exigent, non seulement la situation particulière de l'Italie, mais celle de l'Europe et du Monde catholique.

L'Auguste Assemblée des Princes de l'Eglise est en effet composée de personnages ayant trop d'expérience et d'autorité pour subir les influences immédiates du milieu qui entourerait leur réunion. Il est infiniment plus à craindre que la tendance opposée se fasse sentir d'une manière trop exclusive.

Le prochain Conclave se réunira dans des circonstances tout à fait nouvelles. Lorsque l'Espagne, l'Autriche, la France avaient intéret à ce que le successeur de St. Pierre fUt favorable à leur politique en Italie, il pouvait y avoir au Conclave un parti espagnol, autrichien ou français. Maintenant la rivalité entre les puissances représentées au Conclave serait sans objet, un accord entre elles est devenu plus facile. Autant qu'on peut le conjecturer, les cardinaux se rangeront en deux catégories; les uns s'acharnant derrière l'ombre du pouvoir temporel, ne revant que la lutte incessante contre l'Italie. Les autres résignés à accepter l'état actuel des choses, sans cependant ,avoir le courage de donner à la séparation des pouvoirs une adhésion franche et explicite. De meme, dans les sphères des questions religieuses, deux partis se formeront. L'un voudra continuer la guerre déclarée à la Société et à toutes ses libertés nécessaires: développer et appliquer les dogmes nouvellement proclamés, et s'appuyer exclusivement sur I'ordre des jésuites. L'autre parti se composera des hommes pieux qui sont convaincus que la religion doit rester en dehors des luttes de l!a politique, et qu'aucune des fornìes de Gouvernement n'est incompatible avec l'esprit de l'Evangile.

Nous nous permettons d'énoncer l'espoir que les Gouvernements exerceront leur influence légitime au Sacré Collège dans le sens de la conciliation politique et religieuse. Nous sommes effrayés des conséquences que le cihoix d'un homme violent et emporté pourrait avoir pour l'avenir de l'Europe. Car il n'y aurait pas seulement à redouter des complications politiques: l'unité meme du monde catholique pourrait courir les plus grands dangers.

Nous avons essayé de démontrer dans les considérations précédentes que le premier besoin de l'Europe actuelle est l'apaisement des passions politiques et religieuses, que pour ne pas surexciter ces passions il faut, dans l'événtualité d'une vacance du Saint Siège s'attacher à observer fidèlement les formes établies par les bulles et par la tradition pour l'élection du successeur de St. Pierre. Il serait donc utile de déjouer les intrigues aY'ant pour but d'amener, soit une élection hative, soit une translocation du Conclave. De meme il serait sage de renvoyer à un accord ultérieur, entre la Papauté et le prochain ConcHe les réformes qui peuvent paraitre désirables. En émettant ces opinions, le Gouvernement du Roi ne fait que rester conséquent avec lui meme. Ayant proclamé nettement la séparation des pouvoirs, il s'est toujours soigneusement abstenu d'émettre son opinion dans les matières spirituelles, car il est convaincu qu'aucune tentative de réforme ne saurait etre féconde et légitime, si elle ne se produit dans l'Eglise elle meme et en dehors de toute influence politique.

C'est le pouvoir temporel qui a fait du St. Siège une institution solidaire des efforts et des tendances réactionnaires. La suppression du pouvoir temporel doit, dans du temps, produire ses effets bienfaisants, non seulement en Italie, mais aussi dans tous les Etats de l'Europe. Rien dans l'Evangile n'autorise le parti réactionnaire à se faire, en quelque sorte, de la religion catholique un manopole et une machine de guerre. Au contraire le développement de la liberté politique ne peut que rendre plus vive cette conscience de la responsabilité morale qui est la source de tout sentiment religieux. Si les Gouvernements pénétrés de ces vérités, font usage des moyens légitimes d'action qui sont à leur disposition pour qu'un homme doux, modéré, conciliant, occupe à la vacance prochaine, la chaire de St. Pierre, il sera infiniment plus facile de surmonter heureusement la crise actuelle, car il sera possible enfin de grouper en un faisceau, pour la défense de l'ordre social, toutes les hautes infl.uences de la religion et de la sagesse politique.

(l) Cfr. n. 376.

514

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 77. Vienna, 10 maggio 1872 (per. il 13).

Il Principe Ypsilanti, Ministro di Grecia presso questa Corte, testè tornato a Vienna dopo un'assenza di circa un mese, vi trovava istruzioni del suo Governo relativamente all'affare del Laurium, e ieri davane verbale comunicazione al Ministro degli Affari Esteri. Il Conte Andrassy da cui ero ricevuto poco dopo, si faceva premura di riferirmi sostanzialmente la conversazione avuta al riguardo, che a mia volta mi faccio doverosa premura di portare a conoscenza dell'E. V.

Il Principe Ypsilanti cominciò col dire essere incaricato dal suo Governo di ringraziare il Governo Imperiale per l'azione mediatrice da esso accettata nella quistione del Laurium, e di assicurarlo che il Governo Ellenico era pronto ad accoglierla come già era stato fatto dai Governi di Francia e d'Italia. Non poter però tacere il Gabinetto di Atene subordinare qualsiasi mediazione alla preventiva accettazione del principio che la decisione del litigio esistente fra il Governo Greco e la Compagnia concessionaria deHe M,iniere del Laurium dovesse essere deferita ai Tribunali ordinari greci, salvo il caso che la Compagnia amasse meglio trovarne la soluzione intendendosi direttamente con esso Governo! Tale comunicazione non potè a meno di recare alquanta meraviglia al Conte Andrassy, che prima di entrare nel merito della questione volle tosto rilevare, come con suo rincrescimento dovesse constatare che ad Atene come precedentemente a Parigi i suoi intendimenti fossero stati fraintesi. Egli ripetè al Principe Ypsilanti non avere egli mai inteso accettare a nome del Governo Imperiale l'incarico di mediatore fra la Grecia, la Francia e l'Italia nella presente quistione, ma solo avere accettato di impiegare la sua azione conciliatrice allo scopo di aiutare le tre potenze a trovare d'accordo un mezzo di mediazione atto di comun consenso a definire il litigio (vedi i miei rapporti N. 54 delli 19 gennaio e N. 61 dell'8 marzo) (1). Non sapersi dare ragione dell'equivoco occorso, ma tenere a rettificarlo in modo ben preciso, affinchè rimanesse accertato che il Governo Imperiale eliminava per sè in modo assoluto l'incarico di

mediatore. Entrando poi a parlare della seconda parte della comunicazione fattagli dal Principe Ypsilanti, non nascondevagli che il punto di partenza assoluto da cui il Governo di Atene dichiarava intendere si dovesse prendere le mosse per arrivare alla desiderata soluzione era tale da rendere impossibile anche la sola azione conciliatrice, poichè se questa avesse potuto esercitarsi nel suggerire alle parti un mezzo pratico arbitrale di troncare la questione, questo più non potevasi trovare allorchè da una delle parti facevasi del dissenso una indeclinabile questione di principio. Il Conte Andrassy nel ciò comunicarmi, non nascondevami la poco favorevole impressione prodotta in lui da questo modo di procedere del Governo Greco, che ben potei convincermi affievolisce sempre maggiormente nel suo animo l'intendimento di immischiarsi in questo affare. Per conto mio ringraziando il Conte Andrassy per la fattami comunicazione dissigli dividere pienamente i suoi apprezzamenti sulle più che dubbie intenzioni conciliative dimostrate dal Governo Ellenico, ed essere persuaso che il Governo del Mio Augusto Sovr&no, meno che mai sarebbe disposto ad accettare oggi come punto di partenza per arrivare ad una soluzione il principio preso a base dal Gabinetto di Atene, dopo i fatti da me segnalati con apposita Nota al Governo Imperiale e Reale (in seguito al dispaccio di V. E. del 1° aprile u. s.

N. 29) (1), i quali troppo chiaramente dimostravano la poco buona fede di quel govP.rno, la sua intenzione anzi di sottoporre al giudizio dei Tribunali dati di fatto sulla quistione, privi di qualsiasi guarantigia legale.

Non saprei poi chiudere questo rapporto senza sottoporre all'E. V. il mio particolare apprezzamento sulla riserva somma che il Conte Andrassy mostra ognor maggiormente voler serbare in questa vertenza; e questo si è che questo uomo di Stato dacchè ha assunto nelle sue mani l'indirizzo della politica estera della Monarchia si è fatto uno speciale studio di eliminare gli attriti del suo paese colla Russia e di allontanare almeno, se possibile non è fare di più, la scadenza di un'assoluta rottura fra i due Stati. Dal che ne deriva che egli, per quanto gli è possibile, senza trascurare assoluti interessi AustroUngarici, disinteressa l'azione del suo paese da quistioni in cui potrebbe incontrare dall'opposta parte la mano della Russia. Un tale fatto si constata attualmente nella assoluta astensione dell'Austria nella quistione fra la Serbia e la Turchia pel piccolo Swornick, come parmi di constatarlo pure nell'affare del Laurium.

(l) Il primo non è pubblicato; per il secondo cfr. n. 392.

515

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 182. Costantinopoli, 10 maggio 1872 (per. il17).

Non ho ancora intrattenuto V. E. sulla nuova fase che subisce l'importante questione delle Strade ferrate dell'Impero ottomano, perchè attendeva per far ciò che i negoziati intavolati dal Signor Hirsch, qui venuto espressamente,

avessero avuto una soluzione definitiva. I giornali sonosi affrettati a dar per conchiusa la retrocessione ma io so che fino a questo momento nulla è stato

sottoscritto, sebbene l'accordo fra le due parti siasi già stabilito sui punti essenziali.

Se V. E. si compiacerà tener presente quanto ho avuto l'onore di riferirLe sul sistema inaugurato dal nuovo Gran Vizir non si meraviglierà punto che egli sia di opinione che le concessioni fatte dal suo predecessore al Signor Hirsch per la costruzione della grande rete di strade ferrate che dovrebbero congiungere Costantinopoli all'Europa per la Bosnia e per la Croazia Austriaca riesca troppo onerosa alle finanze dell'Impero. Ed infatti l'onere sarebbe gravosissimo perchè le condizioni stipulate sono assai dure pel Governo Ottomano.

D'altra parte il concessionario Signor de Hirsch incominciava a preoccuparsi dello stato del mercato finanziario ed a temere, e forse con ragione, che l'esito della nuova emissione a farsi, non avrebbe corrisposto alle sue aspettative, visto che anche quelle fatte in più favorevoli condizioni, non ebbero un assai felice risultamento.

Dietro questi dati era facile supporre che fra le due parti l'accordo sarebbesi facilmente stabilito.

Si è quindi convenuto che invece de' 2700 kilometri che sarebbe obbligato a costruire, il Signor Hirsch si limiterà a compiere alle stesse condizioni convenute nel contratto primitivo que' tronchi che sono stati da lui dati in appalto e che ascendono a Kilometri 1200. Il Signor Hirsch ne assumerà l'esercizio, la cui durata da 90 è ridotta ad anni 50 e rinunzia alla proprietà delle mine e delle foreste che col precedente contratto eragli stata accordata.

I tronchi principali da compiersi sono: l 0 quello da Salonicco a Uskub, che è costruito dalla Società Italiana Bariola e C.ia, la quale ha ottenuto anche l'appalto per la costruzione di altri 100 Kilometri che da Uskub debbono andare sino alla frontiera della Bosnia. 2° Il tronco da Adrianopoli ad Enos che mette in comunicazione l'interno della Rumelia con un porto del mar di Marmara onde facilitarvi lo sbocco de' cereali. 3o quello da Costantinopoli ad Adrianopoli. Questi due tronchi sono dati in appalto alla Società Vitalis e C.ia.

Vuolsi che quando la retrocessione sia un fatto compiuto, il Governo Ottomano sia disposto ad intraprendere la costruzione del tronco da Uskub alla frontiera di Serbia e quello da Adrianopoli a Roustchouk per Choumla, che ascenderebbero entrambi a circa 400 Kilometri. Con questi due tronchi la Turchia metterebbesi in comunicazione da una parte con la Serbia e dall'altra con le vie ferrate della Rumania se si costruisce, come sperasi il gran ponte sul Danubio tra Roustchouk e Giurgevo. Per tal modo verrebbe essa a rannodarsi puranco alle strade ferrate di Europa e con una spesa assai minore.

Se mettendo da bando le considerazioni economiche si dovesse riguardare la operazione dal lato politico, non si ha dubbio che essa segna un trionfo della influenza russa sulla austriaca. Molti anzi l'attribuiscono del tutto alla pressione del Generale Ignatieff; ma io senza andare tant'oltre mi limito a prendere nota del fatto che ei se ne mostra contentissimo ed approva pienamente le risoluzioni prese dal Governo della S. Porta. La Russia non può non vedere con piacere che tra l'Austria e la Turchia siavi soluzione di continuità e che la Bosnia segua a non presentare un facile e commodo passaggio ad un esercito Austro-Ungarico.

(l) Non pubblicato.

516

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(AVV)

L. P. Roma, 11 maggio 1872.

Mi approfitto per scrivervi della partenza per Parigi del Senatore Cannizzaro. Desidero informarvi di un fatto di cui il Signor Thiers e il Signor Remusat potrebbero forse tenervi parola o intorno a cui potreste un giorno o l'altro credere opportuno di dare qualche spiegazione. Il fatto in sè stesso non è molto importante, ma esso tocca a un argomento che, in Francia è un po' delicato, quello dei nostri rapporti colla Germania. Non ho creduto necessario con voi e nel nostro carteggio, di smentire le voci corse, qualche tempo fa, su un trattato o su degli accordi conchiusi fra la Germania e l'Italia. Voi conoscete a pieno il grande interesse che avevamo, nelle condizioni attuali d'Europa e in vista della questione pontificia sulla quale le sorti del nostro paese sono tanto impegnate, di ristabilire colla Germania quei buoni rapporti che potevano parere alquanto scossi dopo l'ultima guerra. Dalla parte del Gabinetto di Berlino ci si facevano conoscere le istesse intenzioni. Le circostanze, d'altronde, erano favorevoli. Il conflitto col partito clericale e coi fautori del potere temporale, naturali nemici dell'Italia, creava fra i due paesi la solidarietà di un interesse comune. D'altronde credo che questo riavvicinamento dell'Italia e della Germania e le voci esagerate corse in proposito non abbiano esercitato una cattiva influenza sulla stessa attitudine della Francia verso l'Italia, richiamando l'opinione francese a meglio apprezzare la realtà della situazione, provandole che, all'occorrenza, non saremmo rimasti isolati e mostrandole quali potevano essere le conseguenze, dannose per gli interessi della politica francese, d'una condotta che poteva mantenere in Italia delle vive diffidenze e delle legittime

inquietudini. Ma se questa situazione era, a così esprimermi, condotta dalla forza stessa delle cose, essa non bastava a giustificare le combinazioni di cui l'opinione francese pareva preoccuparsi per qualche tempo. I trattati, gli accordi formali, a scadenza illimitata e per eventualità incerte, hanno sempre molti inconvenienti e per lo più, non durano e non valgono più di quello che possono valere e durare gli interessi reciproci e l'impero delle circostanze. L'Italia non può desiderare altro che la pace e una situazione europea tranquilla, è questo oggi

il bisogno dell'Italia e di tutta l'Europa, ora delle combinazioni particolari fra alcune potenze desterebbero le diffidenze e i timori, e sarebbero per gli altri governi un argomento piuttosto d'inquietudine che di fiducia. Di più l'Italia non può nutrire progetti minacciosi contro alcuno, essa non chiede che d'essere lasciata in pace e tranquilla. Non poteva dunque entrare nei nostri desideri di legare fin d'ora con patti scritti la nostra libertà d'azione in vista di eventualità che si possono anche scongiurare altrimenti. Il modo migliore e più semplice per prevenire queste eventualità è quello di mantenere le relazioni fra l'Italia e la Francia sulla base di una reciproca e amichevole fiducia. Voi sapete che, per quanto ci riguarda, è questa la nostra sincera intenzione. Il Governo francese comprenderà certo l'interesse che noi abbiamo di coltivare i nostri rapporti coll'Europa in vista specialmente della situazione delicata creataci dagli Affari di Roma, ma, nello stesso tempo, esso può confidare che noi non crediamo di avere alcuna ragione, a meno che non ci spinga la cura stessa della nostra difesa, per entrare in combinazioni ostili alla Francia e di cui la Francia possa, a buon diritto lagnarsi.

Ciò detto, vengo al fatto di cui desideravo prevenirvi.

Voi sapete che, da lungo tempo, fra il Principe di Piemonte e il Principe Ereditario di Prussia esistono delle buone relazioni personali. Essi si erano più volte incontrati e il Principe di Prussia venne espressamente in Italia per assistere al matrimonio del Principe Umberto. Questa visita sua non fu mai restituita. Nell'estate del 1870, poco prima che scoppiasse la guerra, il Principe di Prussia aveva fatto conoscere la sua intenzione di pregare il Principe Umberto di voler essere padrino d'un figlio che aveva avuto, in quei giorni dalla Principessa sua moglie. Il Principe Umberto era stato reso consapevole di questa intenzione. Scoppiò allora l'incidente Hohenzollern. Il Principe di Prussia credette allora, in quelle circostanze, e per un delicato riguardo verso il Principe e l'Italia, di non dar seguito all'invito e noi fummo grati di questo riguardo, poichè un atto qualunque poteva acquistare un significato speciale verso la Francia mentre stava per scoppiare il conflitto fra essa e la Germania.

Non molti giorni sono la Principessa di Prussia, come avrete veduto dai giornali, diede alla luce una bambina. Il Principe Imperiale credette cortese di far rivivere l'invito, ora che erano cessate le circostanze che lo avevano fatto sospendere la prima volta. Egli scrisse al Principe Umberto una lettera gentilissima per pregarlo di voler essere padrino e la Principessa Margherita madrina del neonato. Secondo l'uso anche lo Imperatore e l'Imperatrice del Brasile ebbero lo stesso invito. Il Principe Imperiale, avendo saputo che i medici avevano ordinato per quest'estate alla Principessa Margherita, una cura abbastanza protratta d'acque in Germania, cura che sarà poi seguita nell'autunno da un viaggio e da un soggiorno per tutto l'inverno in Egitto o a Madera, esprime vivamente nella sua lettera il desiderio che il Principe e la Principessa assistano personalmente alla cerimonia. Voi comprendete che un invito fatto in questi termini, coi precedenti che vi ho indicati, non poteva essere accolto che con pari cortesia. Nulla avrebbe giustificato un diverso modo d'agire.

Può darsi che quando questo invito sarà noto, e non tarderà ad esserlo, esso apra di nuovo l'adito a commentarii e a interpretazioni insussistenti. Ho voluto dunque prevenirvene, perchè, all'occorrenza, possiate spiegarvi in proposito. Il viaggio dei nostri Principi, in seguito all'invito ricevuto, indica certo l'attitudine amichevole del Governo Germanico verso di noi e le buone relazioni fra le due famiglie Regnanti, ma esso non è un fatto che alteri la situazione attuale quale voi la conoscete e quale ve l'ho in questa lettera indicata.

P. S. -Il viaggio ed il battesimo avranno luogo nella prima settimana di Giugno. Finora non ne ho ancora parlato a Fournier.

517

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1005. Berlino, 11 maggio 1872 (per. il 15).

M. de Derenthal s'était borné à envoyer par le télégraphe un extrait de la réponse du Cardinal Secrétaire d'Etat, relativement au choix du Cardinal Hohenlohe en qualité d'Ambassadeur d'Allemagne près le St. Siège. Le Chargé d'Affaires Impérial se réservait de transmettre le texte, par un courrier de Cabinet qui allait etre expédié par le Comte Brassier de St. Simon. Le Prince de Bismarck impatient de ces retards, donna l'ordre a M. de Derenthal de télégraphier in extensum le contenu de ce document.

M. de Thile a bien voulu m'en donner communication conjìdentielle. Je joins ici cette copie.

M. de Thile ne se rendait pas compte de la véritable signification des mots

• anche per le attuali circostanze della Santa Sede •. P eut-etre se réfèrent-ils à la question du pouvoir temporel, ou aux rapports qui existent maintenant entre l'Allemagne et la Curie romaine.

La presse officieuse continue ses commentaires, sur le refus d'accepter la nomination d'un Cardinal. Elle tient à peu près le meme langage que le journal la Correspondance Provinciale, dont l'article aura été reproduit par les feuilles étrangères, ce qui me dispense d'en faire la traduction. L'une et l'autre développent cette idée, à savoir que le Gouvernement Impérial reconnait avec regret que, en repoussant le choix de l'Empereur, choix empreint d'une véritable conciliation, on n'attache pas au Vatican le meme prix que ce Souverain à de bonnes rélations réciproques.

518

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

D. 133. Roma, 13 maggio 1872.

Col rapporto del 6 marzo u. s. (l) V. E. rendeami conto d'un colloquio avuto con Lord Granville circa la riforma giudiziaria da introdursi a Tunisi e mi trasmetteva l'annuncio di una prossima comunicazione dell'opinione che il Governo di S. M. il Re (2) si sarebbe formata intorno questo affare dopo aver udito H parere, da tempo notevole già domandato ai consultori della Corona.

Le informazioni del R. Agente e Console Generale a Tunisi recano che,

non solamente conveniente, ma necessaria sia ormai divenuta una riforma nel

l'ordinamento dei giudizi per le cause miste, imperocchè finora la giustizia fra

indigeni e stranieri era unicamente amministrata dal Bey in persona o da un suo delegato speciale. Ma quel R. Agente desidera avere istruzioni relativamente al progetto di riforma per poter associarsi ai suoi colleghi d'Inghilterra e di Francia nelle trattative che il Governo del Bey ha intavolate. Ora io non potrei dare le istruzioni domandatemi dal Signor Pinna prima di aver ricevuto le informazioni promesse a V. E. da Lord Granville, epperciò io la prego, Signor Ministro, di voler ricordare a S. E. tutta l'importanza che noi annettiamo ad avere prontamente notizia delle risoluzioni alle quali il Governo della Regina si sarà definitivamente appigliato.

(l) -Cfr. n. 389. (2) -Sic, evidentemente per regina.
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IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 78. Vienna, 13 maggio 1872 (per. il 16).

I giornali di qui come quelli di tutta Europa continuando a commentare il rifiuto fatto dal Santo Padre di ricevere quale Ambasciatore di Germania il Cardinale Hohenlohe e parecchi giornali d'Italia avendo trovato in tale incidente argomento a trattare la quistione della convenienza che vi sarebbe a che la Rappresentanza estera presso il Pontefice fosse affidata ad ecclesiastici invece che a laici, credo opportuno ritornare sulla recente nomina del Barone Kiibeck, e comunicare all'E. V. le nuove e maggiori informazioni da me avute in proposito.

Non mi risulta vi sia stato scambio di idee di sorta fra i Gabinetti di Berlino e di Vienna in ordine alla scelta a farsi dei nuovi Ambasciatori presso il Vaticano; nondimeno so che effettivamente la questione di surrogare il Conte di Trauttmandsdorf con un dignitario della Chiesa fu pure ventilata a Vienna, ed il candidato a tale posto non mancava, poichè Monsignor Haynald, Arcivescovo di Kalocza (Ungheria) aveva in ogni maniera lasciato capire che un tale incarico sarebbegli riuscito grato. È fuori di dubbio che questo prelato avrebbe avuto molti dei requisiti richiesti per coprire tale carica, essendo uomo di molto ingegno, di grande dottrina, di carattere pieghevole e di molta ambizione.

Che tutto ciò sia potei convincermi di persona avendo fatta la sua conoscenza recentemente a Pest. Devo però dire che da più di un personaggio autorevole fui avvertito essere egli uomo la cui sincerità lascia molto a desiderare, per non dire di più. Come tale è conosciuto dal conte Andrassy che certamente non sarebbe stato disposto a servirsi di lui. Ma più ancora che una questione di persona fu una quistione di massima che fece assolutamente scartare l'idea della scelta di un ecclesiastico. Prima di tutto si aveva qui la persuasione quasi assoluta che il Santo Padre non avrebbe accettato un prete, e quindi si ravvisava inutile farne la proposta avendosi ferma intenzione di essere rappresentati presso di lui da un ambasciatore essenzialmente per l'evenienza dell'elezione di un successore. Ma un'altra ragione avevasi ancora per scartare la scelta di un prelato, e questa si era che ammesso il caso che essa fosse stata aggradita dal Santo Padre, il Governo vedeva in tale modo di rappresentanza un pericolo serio per la sua politica. II Conte Andrassy non avrebbe mai trovato in un ecclesiastico la stessa obbedienza cieca alle sue istruzioni che può ripromettersi da un laico, ed inoltre, pericolo più grave ancora un ecclesiastico sarebbe mezzo diretto molto più facile per la Corte del Vaticano di far pervenire a quella di Vienna all'insaputa del Governo informazioni di sua convenienza e suggerimenti anche che ad una Corte altamente cattolica e devota alla Santa Sede quale è questa, avrebbero potuto assumere anche il carattere di ordini! Quest'ultima ragione era talmente evidente e perentoria che fu generalmente capita qui, e quindi neppure nelle file del partito liberale che ama vedere la politica dell'Austria camminare di conserva con quella della Germania, fu fatto appunto al Conte Andrassy di non avere in questa circostanza battuto la via stessa che il Principe di Bismarck.

Dalle considerazioni sovra espresse parmi emerga chiaramente una nuova conferma della convenienza per l'Italia che io credevo esprimere nel mio rapporto delli 2 corrente (1), della scelta fatta dal Governo Imperiale del Barone Ki.ibeck ad Ambasciatore presso la Santa Sede.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1007. Berlino, 15 maggio 1872 (per. il 19).

Une des conséquences directes de l'incident Hohenlohe, dont j'ai suivi les diverses phases dans ma correspondance avec V. E., devait etre, d'après l'opinion générale, la suppression de la mission Impériale près le St. Siège: l'occasion devait s'en présenter tout naturellement lors de la discussion au Reichstag du budget de l'Empire pour l'année 1873, dont les N°8 19 et 20 fixent le traitement des deux Ministres d'Allemagne à Rome.

Pour qui connait cependant les habitudes de l'homme d'Etat qui dirige en maitre la politique de ce pays, il n'était pas probable que le Prince de Bismarck voulftt se preter à une mesure aussi radicale, qui aurait fermé la porte à toute combinaison à venir. Le bon accord et l'entente que la suite des événements a établis entre lui et la majorité libérale du Reichstag, lui permettent, nommément sur le terrain de la politique étrangère, de régler selon ses convenances le sens et la portée des motions de ses anciens adversaires.

C'est dans la séance d'hier, que le Reichstag a ouvert la discussion du budget pour l'année 1873, en commençant par celui du Département des Affaires Etrangères M. de Benningsen a pris la parole sur les N°8 19 et 20 précités, en disant que la Commission s'était posé la question de savoir si les fonds alloués à la Légation Impériale près le St. Siège devaient etre maintenus au budget, mais qu'elle avait résolu de ne pas en proposer la radiation, en partant du principe qu'il n'appartient guère au Reichstag de réclamer la suppression d'une Légation,

aussi longtemps que le Gouvernement Impérial jugeait utile de la maintenir. Il aurait cependant salué avec joie une telle mesure, d'accord en cela non seulement avec ses amis politiques, mais avec beaucoup de membres du Parlement; et il en a développé les raisons. D'abord l'incident Hohenlohe. On ne peut etre favorable au maintien d'un Ministre près le St. Siège, qui vient de repousser une tentative de conciliation, le choix d'un membre meme du Sacré Collège pour ce poste: • et la manière avec laquelle cette nomination, une telle avance, a été repoussée, a quelque chose de blessant, non seulement pour le Gouvernement Impérial, non seulement pour celui qui dirige notre politique étrangère; non, ce refus, cette offense va plus loin, contre le Chef meme de l'Empire •. Ces paroles ont soulevé une tempete de protestations au centre catholique, et il a fallu quelque temps avant que M. de Bennigsen put continuer à exposer les motifs du voeu qu'il avait émis. Depuis que le Royaume d'Italie a pris possession des Etats Pontifìcaux, le Ministre de l'Empire ne peut etre accrédité qu'auprès du Chef de l'Eglise Romaine: or, si l'an réflechit aux suites qu'ont eues pour d'autres Pays de telles missions diplomatiques, qui leur ont valu des traités et des concordats féconds en conflits acharnés entre l'Etat et l'Eglise, on ne saurait vraiment pas etre tentés par l'exemple: les Gouvernements Allemands, et plus spécialement celui de l'Empire, auront bientòt le devoir de tracer les limites de droit entre l'Etat et l'Eglise, de maintenir la paix entre les diverses confessions, et de prendre les mesures qu'il faudra pour protéger leurs sujets contre les abus et la violence, de quelque còté qu'ils viennent: c'est un droit que l'Etat ne peut se laisser arracher des mains, aujourd'hui surtout que l'Eglise proclame les principes les plus en opposition avec son administration, sa constitution et ses lois: en Allemagne, la compétence du Gouvernement de l'Empire s'étend déjà à plusieurs points sur ce terrain, mais sur d'autres il appartient encore pour le moment à chacun des Gouvernements confédérés de régler ses questions confessionnelles; aussi longtemps qu'un tel état de choses durera, et avec lui une différence de droit religieux en Allemagne, il faut empecher les malentendus, les désaccords, s'appliquer à éviter qu'on rentre dans la malheureuse ornière des traités et des concordats, si quelqu'un des Gouvernements allemands pouvait vouloir utiliser dans ce but le poste près le St. Siège: quant à nous, nous voulons résolument décliner cette voie, nous en appelons uniquement à la Constitution et aux lois pour résoudre les questions religieuses: c'est une tàche difficile pour celui qui dirige notre politique, mais il peut compter sur la confìance et l'appui du Reichstag: cette attitude, a terminé M. de Bennigsen, que nous devons garder en présence de questions, qui camme celle-ci ne peuvent etre sainement appréciées que dans les régions où aboutissent tous les fìls de notre politique étrangère, tout ce qui touche aux intérets de l'Allemagne vis-à-vis des autres Puissances, spirituelles et temporelles, cette attitude m'a conseillé de ne pas demander pour le moment la suppression des fonds pour un poste près le St. Siège, et d'attendre que le Gouvernement de l'Empire le reconnaisse lui-meme camme superflu, maintenant ou dans l'avenir.

Le Prince de Bismarck a remercié M. de Bennigsen d'avo'ir ainsi formulé sa motion, de ne pas avoir demandé la suppression des fonds pour le poste près le St. Siège: car une mission à l'étranger, meme sans avoir à protéger les sujets

de son Gouvernement, est utile comme intermédiaire entre ce dernier et le Cabinet auprès duquel elle est accréditée. Or, aucun Monarque étranger n'est appelé à exercer en Allemagne autant de droits que le Souverain Pontife, droits qui touchent à la Souveraineté et qui n'impliquent aucune responsabilité constitutionnelle. Aussi, le Prince de Bismarck attache-t-il une grande importance à la manière dont I'Allemagne doit régler ses rapports diplomatiques avec le St. Siège. II ne croit guère qu'un Ministre de l'Empire, réussirait jamais, surtout avec Ies idées qui règnent actuellement dans l'Eglise catholique, à exercer une influence, à amener un changement dans l'attitude de Sa Sainteté vis-à-vis des choses de ce monde: il croit encore moins, après la proclamation des derniers dogmes catholiques, qu'un Etat puisse conclure avec le St. Siège un concordat, sans abdiquer jusqu'à un certain point; ce que l'Empire de l'Allemagne ne saurait accepter: • car, Messieurs, soyez quant à cela sans crainte, nous n'irons à Canossa, ni politiquement ni religieusement • -sans rechercher sur qui en retombe la faute, on doit reconnaitre que la paix confessionnelle est troublée en Allemagne: !es Gouvernements Allemands cherchent, avec tous les égards dus aux catholiques, comme aux protestants, d'amener une meilleure situation: mais il est difficile qu'on y parvienne autrement que par voie Iégislative, et meme au moyen d'une législation de l'Empire comme tel, que dans l'opinion du Prince Bismarck, les Gouvernements allemands finiront par devoir demander au Reichstag. Dans cette phase, il faudra plus que jamais ménager autant que possible les susceptibilités des uns et des autres, procéder avec ménagement, et il aurait beaucoup importé dans un te! but que le St. Père fiìt exactement renseigné sur l'état des choses en Allemagne: le Prince de Bismarck croit que les faux rapports, !es insinuations, dont on a entouré Sa Sainteté dans ces derniers temps, n'ont pas été une des moindres causes des troubles confessionnels de l'Allemagne; il espérait que l'envoi d'un Ambassadeur, le choix d'un Prince de l'Eglise, jouissant de la confiance des deux Souverains, sincère, autorisé, conciliant par ses opinions et par son attitude, aurait rapproché le Gouvernement Impérial du St. Siège, aurait convaincu Sa Sainteté qu'à Berlin on n'est pas ce qu'un cercle intime de Cardinaux s'applique à faire croire: le Prince de Bismarck a blamé à ce propos Ies craintes manifestées par les Evangéliques et par les Iibéraux au sujet de la nomination du Cardinal Hohenlohe, et il a fait valoir à cet égard les memes arguments que j'ai signalés à V. E. dans mon rapport du 5 Mai (1), comme ayant paru dans la Nord Deutsche Allgemeine Zeitung, le lendemain du jour où l'on apprit ici le refus du St. Siège: dès lors le Chancelier Impérial déplorait que le Pape eut sèchement refusé l'Ambassadeur de l'Empire: il est d'usage en effet que le Souverain qui nomme un Ambassadeur demande au Souverain auquel il veut l'envoyer s'il agrée le choix, mais ce choix et la nomination sont naturellement un fait accompli, et si le second refuse, c'est comme s'il disait au premier, tu as mal fait: le Prince de Bismarck est depuis 10 ans Ministre des Affaires Etrangères, et se trouve dans la haute politique depuis

38 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

21 ans: c'est le premier cas de ce genre qu'il voit se vérifier. Il arrive qu'on reconnaisse comme désirable le rappel d'un Ministre étranger, qu'on a vu à l'reuvre pendant des années entières: c'est alors entre Souverains, confidentiellement et particulièrement, qu'on exprime le désir de le voir rappeler. Mais c'est là autre chose que de refuser une personne que l'on vient seulement de nommer. Le Prince de Bismarck déplore profondément ce refus du St. Père, mais il ne faut pas traduire le regret en susceptibilité, parceque le Gouvernement doit prouver aux Catholiques de l'Allemagne qu'il ne se lasse pas de chercher par tous les moyens à arriver à la conciliation, à ramener la paix confessionnelle dans le pays. Il ne se laissera donc pas décourager et il continuera à agir auprès de S. M. pour qu'on trouve un Ministre de l'Empire à envoyer auprès du Pape, un Ministre qui jouisse des deux còtés d'une confiance, sinon égale, au moins suffisante pour remplir sa mission. Je ne puis cependant pas cacher, qu'une

telle téìche est rendue bien plus difficile par ce qui est arrivé.

Ces deux discours résument tout ce que le Cabinet de Berlin veut déduire de l'incident relatif au Cardinal de Hohenlohe, au sujet duquel le Prince de Bismarck a décrit aux yeux du Reichstag l'étre Ambassadeur ou Envoyé comme un vase, qui n'a toute sa valeur que lorsqu'il est rempli des instructions de son Souverain: bien entendu que ce vase doit etre de bonne qualité, afin que, comme on dit des anciens cristaux, il ne puisse contenir du poison ou du fiel, sans qu'il y apparaisse.

La suite de la discussion à laquelle ont prit part aussi les orateurs du centre catholique, s'est adressée en grande partie à la personne meme du Cardinal Hohenlohe.

M. le Dr. Windhorst, catholique, s'est récrié contre le Chancelier Impérial: on ne pouvait porter cette question à la tribune sans mettre sous les yeux du Reichstag toutes les pièces qui s'y réfèrent, à moins de vouloir laisser qu'on parle et qu'on vote sous l'impression des articles des journaux; le Cardinal Hohenlohe a quitté Rome le 22 Septembre 1870, sans qu'il résulte que le Pape l'y ait autorisé, et il est resté depuis lors en Allemagne, on ne sait trop pourquoi, et il serait curieux de connaitre les raisons qui autorisent à affirmer qu'il est au nombre des intimes de Sa Sainteté: M. Windhorst a relevé ensuite l'incompatibilité des fonctions de membre du Sacré Collège et d'Ambassadeur d'une Puissance étrangère, et il a soutenu contre M. de Bennigsen l'utilité des concordats pour la paix confessionnelle: quant aux procédés du St. Siège dans l'affaire Hohenlohe, il a demandé comment il se faisait que, contrairement à l'usage de traiter ces sortes de choses dans le plus grand secret avant d'etre bien assuré qu'il ne faudra pas les démentir, on les ait cette fois publiées tout de suite, officiellement et officieusement: c'est là une politique dont les mouvants ne sont connus que de ceux qui en tiennent tous les fils dans la main, et peut-etre aussi de M. de Bennigsen.

Le Prince de Bismarck lui a répondu que le choix et la nomination du Prince de Hohenlohe exigeaient deux réponses du Pape, l'une à Sa Majesté, l'autre au Cardinal, dont les doubles fonctions n'auraient rien eu d'incompatible, car par exemple Richelieu et Mazarin se sont trouvés mélés à bien des conflits politico-religieux, quoique Ministres et Cardinaux: mais la réponse au Cardinal Hohenlohe, le refus de l'autorisation d'accepter le poste d'Ambassadeur, est arrivée à Berlin bien avant la réponse à Sa Majesté: ce n'est qu'après en avoir été convaincu, que 5 ou 8 jours plus tard le Prince de Bismarck a demandé ce qu'on répondait à l'Empereur. un ne saurait reprocher au Cabinet de Berlin une indiscrétion calculée: on peut prouver, pièces en main, que la Curie Romaine a parlé la première, qu'elle n'a point fait un secret du refus du St. Père, et qu'elle en a parlé de suite aux Ministres étrangers auprès du St. Siège; il y a des indices qu'elle n'a méme pas gardé ce secret vis-à-vis de la presse. Le Prince de Bismarck, en répondant au Dr. Windhorst, s'est encore prononcé contre les Concordats: il a dit que, du moment entre autres, où des ecclésiastiques prétendent qu'il y a telle loi du pays qui ne sauraient les lier, il faut maintenir par tous les moyens la pleine Souveraineté de l'Etat.

Le Prince de Hohenlohe, ancien Président du Ministère Bavarois, a relevé, en réponse aux accusations de MM. Windhorst et Reichensperger, que le Cardinal son frère avait quitté Rome après la prise de cette ville, qu'il était depuis lors resté en Allemagne, probablement parce qu'il ne trouvait pas dans la ville éternelle une situation conforme à sa capacité et à ses désirs, et que, en tout cas, il s'en était éloigné et il était resté loin de Rome avec le consentement du St. Père.

Le Dr. Li:iwe proposa, comme il l'avait fait lors de la discussion du budget

de l'Empire pour l'année 1872, la suppression du fond alloué à la mission Impé

riale auprès du St. Siège: mais sa proposition fut rejetée à grande majorité.

La séance d'hier a fourni au Prince de Bismarck l'occasion de montrer le

Gouvernement Impérial toujours soucieux, quand meme, de maintenir de bons

rapports avec le Saint Siège, de respecter les droits des catholiques, comme tels,

de ramener en Allemagne la paix entre les diverses confessions, et le Saint Siège

résolument opposé à toute conciliation avec le nouvel Empire.

(l) Cfr. n. 495.

(l) Cfr. n. 503.

521

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4258. Parigi, 16 maggio 1872, ore 18,25 (per. ore 21,25).

M. de Rémusat était informé du projet du voyage du Prince Humbert que je lui ai expliqué dans le sens de votre lettre. Il trouve tout nature! que le Prince se rende à cette invitation. Il réconnait que les journaux ne manqueront pas de commenter ce fait dans un sens peu favorable aux rapports entre l'Italie et la France, mais il pense qu'il y aurait peut etre remède à cette situation si à l'occasion du prochain voyage de M. Thiers à Lyon pour l'exposition le Prince lui méme revenant d'Allemagne ou à défaut du Prince quelque Ministre du Roi vint en France.

522

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 79. Vienna, 17 maggio 1872 (per. il 20).

Conseguentemente agli ordini espressimi dall'E. V. col suo dispaccio del 9 corrente n. 34 (l) presente serie, essendomi recato jeri alla consueta settimanale udienza del Conte Andrassy feci cadere il discorso sugli affari del Libano, ed espressi a S. E. il desiderio significatomi dall'E. V., di sapere se in questi ultimi tempi il Gabinetto di Vienna aveva avuta occasione di occuparsi degli affari di quel paese. A tale mia domanda il Conte Andrassy rispose negativamente, dimostrandomi però il desiderio che meglio chiarissi di che si trattasse: ciò che feci immantinente in base alle informazioni datemi da codesto Ministero colla comunicazione dei documenti sulla situazione presente del Libano, che andavano annessi al precitato dispaccio.

Approfittai dell'occasione per porre in rilievo gli apprezzamenti al riguardo del Governo del Re, Mio Augusto Sovrano, insistendo sulla convenienza per quanti desiderano evitare complicazioni in Oriente, di vigilare a che non vengano in modo alcuno nè revocate nè modificate le concessioni contenute nel regolamento organico del 1861. Il Conte Andrassy mi ripeté non aver ricevute dagli Agenti Imperiali in Oriente informazioni analoghe a quelle avute dal Governo italiano e mi dichiarò senza esitanza dividere al riguardo della conservazione dello statu quo al Libano il modo di vedere dell'E. V.; credette però al tempo stesso dovermi far sentire che il Governo Austro-Ungarico non sarebbe stato disposto ad associarsi sin d'ora ad altre Potenze, allo scopo di esercitare azione qualsiasi presso la Sublime Porta in ordine a quella questione che presenta pochissimo interesse per la Monarchia, soggiungendomi che già troppi sono gli attriti del Gabinetto di Vienna con quello di Costantinopoli in conseguenza di interessi diretti, per volersi impicciare in affari in cui l'Austria-Ungheria non può avere che interessi molto relativi. Ringraziando il nobil Conte per la dichiarazione che si era compiaciuto farmi del suo modo di vedere, conforme a quello della E. V. al riguardo della questione di cui aveva avuto l'onore di intrattenerlo, m'affrettai a mia volta a dichiarargli che ciò rispondeva pienamente alle mie istruzioni, non avendo avuto altro incarico dall'E. V. all'infuori di quello di presentire il suo modo di vedere sulla questione.

Ritengo probabile che il Conte Andrassy, assunte maggiori informazioni in proposito, ritorni egli stesso sull'argomento altra volta, ed ove ciò si verifichi continuerò, salvo riceva dall'E. V. nuove istruzioni a mantenermi nella stessa riserva. La conversazione cosi posta sulle questioni orientali, si venne a parlare di quella della Chiesa bulgara, al cui riguardo il Conte Andrassy mostrassi meco molto più esplicito; egli ne ripete l'origine dall'azione del Generale Ignatief, che nei risultati oltrepassò lo scopo; egli ritiene imminente lo scisma assoluto nella

Chiesa Greca scismatica, e ravvisa un tal fatto sommamente vantaggioso all'interesse generale Europeo, poichè esso avrebbe per conseguenza di notevolmente affievolire l'influenza russa in Oriente, fattavisi in questi ultimi tempi preponderante. Nel ciò dirmi egli mostravami vedere là un interesse diretto per l'Austria-Ungheria, e lasciavami capire abbastanza chiaramente anche che avrebbe fatto ogni sforzo per rafforzare il dualismo nato, mostrandomi pure il desiderio che l'Italia si associasse a tale linea di condotta. Mancando assolutamente di istruzioni al riguardo, non ho d'uopo di dire all'E. V. che lasciai cadere il discorso, astenendomi da qualunque apprezzamento anche solo personale. Rimetto al parere dell'E. V. l'opportunità di far scandagliare dal Conte Barbolani, le istruzioni ricevute al riguardo dal Conte Ludolf.

(l) Cfr. n. 510.

523

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 185. Costantinopoli, 17 maggio 1872 (per. il 24).

Ricevetti l'ossequiato dispaccio dei 30 dello scorso marzo segnato dal n. 111 di serie politica (l) col quale V. E. si è compiaciuta impartirmi ulteriori istruzioni in ordine al grave argomento del Diritto che la legge ottomana delli 7 Sepher 1283, ha riconosciuto alli stranieri di acquistare e possedere beni mobili in Turchia.

Com'era da prevedersi il Governo della Sublime Porta si è risolutamente rifiutato ad ammettere che vi sia nell'Impero differenza tra suddito e suddito e per conseguenza a consentire al chiesto trattamento di sudditi più favoriti a quelli stranieri che diventino proprietarii di beni immobili.

In quanto alla testimonianza di Cristiani davanti ai Tribunali Turchi, il Governo Ottomano ha dichiarato che gli sarebbe impossibile senza urtar di fronte troppo radicati pregiudizi, ammetterla e sanzionarla in un atto pubblico, ma ci ha fatto intendere in via confidenziale che mercè la creazione di nuovi tribunali, i quali senza distruggere quelli già esistenti ab antiquo, verrebbero man mano a sostituirsi ai medesimi, si sarebbe raggiunto il desiderato scopo, quello cioè di vedere sparire su questo rapporto anche ogni cagione di disuguaglianza tra i sudditi musulmani ed i non musulmani. Infatti è già da qualche tempo che il Governo della Sublime Porta si occupa della importante quistione della riorganizzazione giudiziaria, ma sia a causa dei continuati cambiamenti verificatisi nelle persone preposte a tal bisogno, sia per la naturale lentezza onde sono improntati tutti i provvedimenti del Governo Ottomano, ben .poco cammino si è fatto finora in questa via.

Fortunatamente il Governo Ottomano si è mostrato più arrendevole sul punto di non minore importanza, relativo alla trasmissione della proprietà ed

ha consentito ad ammettere che lo straniero possa disporre per testamento e per donazione de' suoi beni stabili secondo le prescrizioni delle leggi del suo paese. Nel solo caso di morte ab intestato la successione sarebbe regolata secondo le leggi ottomane.

Ha pure consentito il Governo della Sublime Porta a riconoscere che nel caso in cui beni stabili facciano parte dell'asse di uno straniero dichiarato in istato di fallimento, il tribunale Consolare sia competente a pronunziare anche su quei beni, dovendosi il tribunale Ottomano limitare ad eseguire per quella parte, la sentenza pronunziata da Magistrato estero.

La Sublime Porta mostravasi da ultimo pronta a riconfermare la dichiarazione di voler fermo lo statuto personale dello straniero e mantenute puranche illese le immunità risultanti dalla sua nazionalità, in conformità delle vigenti capitolazioni.

Ottenuti questi favorevoli risultamenti, il Generale Ignatiew opinò che fosse opportuno di spedir la nota tal quale era stata da lui compilata. Io gli feci osservare che sarebbe stato almeno conveniente di aggiungere un paragrafo relativo alla non esecuzione dell'articolo della legge sui Vakoufs che concede la trasmissione della proprietà agli eredi indiretti. Ma il Generale Ignatiew, temendo che questa inserzione non fosse causa di nuovi indugi, e premuroso qual era di aver nelle mani un documento in cui fossero consegnate le ottenute concessioni fu fermo nel suo primo proponimento ed io, per non disgiungere la mia dalla sua azione e seguire fedelmente le raccomandazioni che mi venivano fatte a tal uopo da V. E. nel mentovato Dispaccio mi decisi a conformarmi ai suoi desiderii, indirizzando a Server Pacha una Nota identica e conforme al progetto che ho avuto l'onore d'inviare a codesto Ministero col mio Rapporto di questa Serie di N. 171 delli 15 marzo scorso (1).

Fu convenuto intanto fra il Generale Ignatiew e me che prevedendo che Server Pacha non avrebbe ammesso la qualifica di sudditi più favoriti, per la ragione che non esistono differenze di sorta nell'Impero Ottomano tra suddito e suddito, noi avremmo in una seconda comunicazione preso atto di questa dichiarazione per valercene alla occorrenza. D'altronde siccome dal Governo Ottomano negavasi, durante il corso delle trattative, che l'articolo sopra mentovato della legge sui Wakoufs non fosse applicato, fu pur convenuto che si sarebbero fatte su questo punto le debite riserve nella nostra risposta.

E siccome il Generale Ignatiew mi dichiarava che se la Sublime Porta mantenevasi fedele alle fatte promesse, egli era autorizzato a dichiarare nella medesima risposta che era pronto a fare atto di adesione al protocollo, così mi rivolsi per telegrafo a V. E. per chiederle di autorizzarmi a fare il simigliante. Mi era però impossibile di darle per telegrafo tutti i necessarii ragguagli e dovetti !imitarmi ad assicurarla di essersi ottenuti tutti i desiderabili e possibili miglioramenti.

Sono ora in grado di trasmettere a V. E. la risposta datami dalla Sublime Porta che è identica a quella indirizzata al Generale Ignatiew, meno in un punto solo, quello cioè che riguarda la questione della nazionalità, per la quale havvi,

come l'E. V. ben conosce, tra la Sublime Porta e la Russia una Convenzione speciale. E siccome questa legge sulla nazionalità non è stata mai da noi nè da altri ammessa nè riconosciuta, così sarei di avviso che nella risposta da darsi, dovrei prendere atto della dichiarazione susseguente, che la donna Ottomana sposata ad un italiano diventi suddita italiana, ma rinnovar le proteste più esplicite contro l'anzidetta legge.

Come vedrà V. E. la Sublime Porta, sebbene si studii nella sua risposta di mostrar che in apparenza non faccia nuove concessioni, pure mantiene in fondo gl'impegni assunti durante le trattative.

Io aspetterò però per rispondere, le definitive istruzioni dell'E. V.; ma è mio debito farle conoscere che il Generale Ignatiew dovendo partire tra poco in congedo, è deciso a fare senz'altro atto di adesione al protocollo.

(l) Cfr. n. 429.

(l) Cfr. n. 405.

524

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 186. Costantinopoli, 17 maggio 1872 (per. il 24).

Partiva ieri l'altro da qui per Messina e Napoli il Generale di Pralormo lieto e soddisfatto dell'accoglienza ricevuta dal Governo della Sublime Porta.

Martedì scorso il Gran Vizir volle dare nella sua villa di Bebeck un pranzo in onore di lui, a cui fece anche l'onore d'invitar me, il 1° Segretario ed il lo Interprete di questa R. Legazione. Assistevano al pranzo tutti gli alti funzionari di Stato e di Corte, ma nessun rappresentante di altra estera Potenza.

Dopo il desinare, Server Pacha mostrandosi espansivo più dell'usato mi disse che sir Henry Elliot aveagli recato assicurazioni delle buone disposizioni che aveva scorto in Roma nelle alte sfere del Governo verso la Turchia. Ei se ne compiaceva altamente perchè trovava che l'Italia e la Turchia dovevano avere identici interessi e dover essere quindi animate di reciproci sensi di benevolenza. Soggiunse, ma raccomandandomi il maggior segreto, che l'Inghilterra lavorava in questo momento per formare una lega con la Germania, l'Austria e l'Italia da servir di barriera ai possibili progetti ambiziosi di altre potenze che potrebbero essere interessate a turbar la pace di Europa, specialmente in Oriente, e sperar che questo concerto delle quattro potenze sia fra poco un fatto compiuto.

lo mi tenni nelle mie risposte, come ben V. E. può immaginare su' generali ed affatto ignaro di tal progetto. Parlai per contrario di relazioni commerciali più intime da stabilire fra l'Italia e la Turchia, e dissi a S. E. che il Governo ottomano nello intento di favorirle dovrebbe avere il coraggio di risolvere una volta la questione del porto di Kleck, e profittare della risoluzione del contratto con Hirsch per protendere la strada ferrata da Salonicco a Vallona o a Durazzo, rimpetto cioè alle nostre coste.

Server Pacha volle dinanzi a me parlare di questi due argomenti al Gran Vizir che mi pare si pronunziasse favorevolmente. Non so però se i fatti corrisponderanno alle parole.

È mio debito intanto far conoscere a V. E. che Sir Henry Elliot, che è venuto a vedermi dopo il suo ritorno da Brindisi, non mi ha punto parlato della ideata nuova quadruplice alleanza. Solo mi è sembrato più che mai geloso della influenza russa e deciso a combatterla a tutta oltranza.

525

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. Berlino, 17 maggio 1872.

J'ai été tout aussi étonné que vous en apprenant, par votre lettre du 5 Mai (1), la communication qui vous avait été faite par le Comte Brassier.

Je n'ai pas manqué d'en parler à M. de Thile. Je lui ai lu votre lettre, en omettant ou en modifiant ce qui aurait pu compromettre le Comte Brassier. J'étais bien aise de laisser entendre qu'il n'existait pas chez nous une distinction de partis, comme en Grèce, -de réduire à sa juste valeur l'argument que la presse radicale en Italie manifestait plus de sympathie pour l'Allemagne, que nos journaux libéraux, ou prétendus officieux, -je tenais surtout à faire comprendre, comme vous le dites fort bien, que la confiance et les égards réciproques constituent la garantie de relations vraiment sincères et durables.

J'avais été, de mon còté aussi, péniblement surpris.

Pourquoi ne m'avait-on pas pressenti, avant d'expédier une semblable instruction au Ministre de l'Empire à Rome? Je n'eusse pas hésité à déconseiller la démarche, en expliquant moi-meme, le discours de V. E. en main, qu'il avait été mal interpreté, et que, à moins de vouloir jouer sur les mots, il ne pourrait donner lieu à aucune critique, et moins encore à quelques allusions de nature à blesser notre susceptibilité de Puissance, ne traitant que d'égal à égal avec les autres Gouvernements. Pareil langage d'ailleurs formait une dissonance avec celui qui m'avait été tenu par le Chancelier Impérial en plus d'une occasion. Quelle est ma raison d'etre dans ce poste? La confiance qu'on me témoigne simultanément à Rome et à Berlin, pour entretenir et développer les meilleurs rapports entre les deux Pays.

Or, si le Comte Brassier souffie le froid quand je souffie le chaud, ce contraste pourrait faire révoquer en doute mes assurances, basés cependant sur les déclarations qui m'ont été faites par le Chancelier Impérial, aussi bien que par le Secrétaire d'Etat. Il y a là évidemment un malentendu, qui sera expliqué. On devait assez connaitre mon caractère, pour etre convaincu que je prierais

Mon Auguste Souverain et Son Gouvernement de me rappeler, le jour où il me serait prouvé que mes efforts pour faire ici le bien, avec vérité et avec dignité, ne sont pas secondés dans la meme mesure par le Cabinet Impérial. En donnant cet avertissement, je me suis exprimé avec le plus grand calme.

M. de Thile a cherché, comme le Comte Brassier, à atténuer notre impression. Il y avait là en effet un malentendu, aujourd'hui complètement effacé, et qui, s'il ne l'était déjà, le serait par la franchise de votre langage et de vos observations, dont il me chargeait de vous remereier. II ne fallait pas exagerer cet incident. Il avait lu votre discours. Il était régrettable que les compte-rendus officiels de nos Chambres ne fussent publiés, que plusieurs jours après les séances. Quant au dicton, principiis obsta, par lequel vous terminiez votre lettre, il n'y a pas, dit-il, • de principium, et je proteste contre toute intention de notre part, de menaces meme indirectes. Nous n'en faisons usage, que vis-à-vis de nos adversaires, et non envers nos amis les Italiens •.

J'ai répliqué que cette réponse serait bien accueillie à Rome, mais que elle n'aurait toute sa valeur, que si le Prince de Bismarck y ajoutait, lui-meme, un post-scriptum.

Le Secrétaire d'Etat me promettait de faire son possible pour me contenter, lors meme que ce ne fùt pas chose facile, au moment où S. A. passait son temps au Reichstag et se disposait à prendre un congé.

M. de Thile m'a fait appeler hier, pour me dire qu'il avait rapporté notre entretien au Prince de Bismarck. Le Chancelier s'était prononcé dans les sens dont je vous ai rendu compte le meme jour, en profitant de l'occasion d'un courrier de Cabinet Prussien. S. A. a ajouté, qu'il ignorait si le Comte Brassier avait peut-étre commis quelque maladresse dans son exposé, mais, ce dont nous pouvions etre certains, c'est que la dépeche transmise à ce diplomate n'avait été dictée que par le véritable interet que nous porte ce Gouvernement. Elle a été écrite con amore sans arrière pensée comminatoire.

•-Nous allons en donner, disait encore S. A., la meilleure preuve. Le Comte de Launay a pressenti le Général de Roon (dépeche de V. E. Affari in genere, N. -1003, du 20 Avril échu) (1), pour savoir si des officiers étrangers peuvent etre admis à preter service temporaine dans l'armée prussienne. Le Ministre de la Guerre m'a consulté. Je lui ai répondu que rien ne s'opposerait à ce que pareille permission fùt accordée à des officiers italiens, et que j'attacherais un grand prix à ce que ce projet se réalisat •.

Je ne sais si, par la dépeche précitée, nous avions en effet l'intention d'entrer dans cette voie, ou si nous ne demandions qu',une déclaration en principe, et à un point de vue général. Quand le Ministre de la Guerre de Prusse m'a interpellé sur ce point, je n'ai pas été à meme de me prononcer. Quoiqu'il en soit, les dispositions manifestées dans cette circonstance ne sont pas moins un témoignage de confiance. Le Général de Roon s'est réservé de m'écrire à ce sujet.

Malgré les assurances du Prince de Bismarck, d'avoir agi sans arrière pensée, il est parfaitement admissible qu'il y ait eu quelque calcul. Si des boutades

lui sont familières dans la conversation, il est assez maitre de sa piume pour ne pas se les permettre, malgré l'irritabilité de ses nerfs, quand il diete ses dépèches. Il a voulu peut-ètre se faire un mérite auprès de Son Souverain, en s'attribuant vis-à-vis de nous, pour la protection de l'indépendance spirituelle du Pape, une part égale à celle des Gouvernements catholiques. D'un autre còté, il sentira parfaitement que les idées dominantes au Vatican sont irréconciliables avec la politique du Cabinet de Berlin. Nous avons donc les coudées assez franches de ce còté. Il nous aura envoyé un avertissement, pour que sous ce rapport nous ne croyons pas que nous pouvons voler de nos propres ailes et nous rapprocher, plus qu'il ne conviendrait, de nos voisins. Mais il est trop fin diplomate, trop soucieux des convenances de son Pays, pour jouer le cas échéant le ròle d'indifférence, si jamais la France menaçait notre intégrité territoriale, ou mème si cette Puissance voulait reprendre sur nous son ancien ascendant. Malgré l'incident auquel se rapporte votre lettre, la situation reste la mème avec toutes ses nécessités. Si les ménagements pour le pouvoir spirituel du St. Siège trouvent un partisan, par raison d'Etat, chez le Chancelier Impérial, ce n'est pas là entre nous une cause de désunion, mais d'un rapprochement plus intime, car c'est un nouvel encouragement pour nous à persister dans la voie de la modération. En effet, la sagesse de ce système, comme vous le faisiez ressortir le 14 Mai dans votre discours à la Chambre, est reconnue par les Gouvernements catholiques, aussi bien que par les Gouvernements non-catholiques. J'ai cité à M. de Thile ce passage, reproduit par l'Agence télégraf>hique.

S'il faut d'ailleurs un indice très marquant que la situation n'a pas varié, je m'en réfère à une conversation que j'ai eue hier au soir avec l'Empereur, à un bal chez un de ses Ministres.

Après avoir reçu votre télégramme du 6 Mai (1), j'avais écrit au Prince de Bismarck pour lui annoncer, ainsi qu'au Comte d'Eulenburg, que nos Princes acceptaient l'invitation au baptème. Voici ce que j'écrivais: • Berlin, 6 Mai 1872. Mon Prince, D'après un télégramme que je reçois de Rome, LL. AA. RR. le Prince et la Princesse de Piémont acceptent avec un véritable empressement l'aimable invitation, qui Leur a été adressée par une lettre récente de Monseigneur le Prince Impérial d'Allemagne, Prince Royal de Prusse. Un prochain courrier apportera la réponse écrite de S. A. R. le Prince de Piémont. En attendant, je ne veux pas tarder, mon Prince, à vous transmettre cet avis. Je ne doute pas que vous partagerez nos sentiments, et que, comme nous, vous vous applaudirez de tout ce qui peut contribuer à prouver et à consolider toujours davantage les bons rapports qui existent entre les deux Cours, leurs Gouvernements et les deux Nations. Je saisis très volontiers cette occasion, etc. •.

S. M. m'a dit qu'Elle avait eu sous les yeux ma lettre, et qu'Elle partageait les sentiments dont je m'étais rendu l'organe. J'ai répondu que la solidarité de nos intérèts était un gage de paix pour l'Europe. J'espérais que les efforts de nos adversaires communs ne parviendraient pas à faire une trouée dans ces excellents rapports.

S. -M. se plut à ajouter: • lors méme que nos Etats ne soient pas limitrophes, une fois déjà nous avons été des alliés; au besoin, nous pourrions l'étre une seconde fois •.

Il me parait que l'ensemble de ces détails est assez satisfaisant. L'incident Brassier aura servi du moins à s'expliquer nettement, et, si on a voulu nous adresser un memento, la réponse ne laissait rien à désirer. Les bons comptes font les bons amis. Nous ne perdrons jamais rien à laisser entendre que nous sommes de taille à ne rien sacrifier de nos légitimes susceptibilités, méme vis-à-vis de celui auquel les événements des dérnières années ont donné la position de primus inter pares.

(l) Cfr. n. 502.

(l) Non pubblicata.

(l) -Cfr. n. 504.
526

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Parigi, 18 maggio 1872.

Ebbi jeri l'occasione d'intrattenermi con M. de Remusat ed ho creduto utile, confovmemente del resto alle vostre istruzioni (1), di spiegargli le circostanze e le ragioni dell'invito e del viaggio a Berlino del Principe e della Principessa di Piemonte. Il Signor de Remusat era già stato informato di questo progetto dal Signor Fournier. Egli mi disse che non metteva punto in dubbio quanto gli era stato riferito intorno a questo viaggio per parte vostra sia col mezzo del s1gnor Fournier, sia col mio mezzo, e che trovava naturale che l'invito del principe Imperiale di Prussia fosse stato accettato. Dal lato del Governo francese non v'è quindi luogo, nè vi potrebbe essere, ad alcuna osservazione ed il Signor de Remusat si mostrò pienamente rassicurato dalla sincera spiegazione che gli ho dato in vostro nome. Ma in quanto si riferisce ai commenti che la stampa francese ed estera non mancherà di fare a proposito di questo viaggio, il Signor de Remusat non è egualmente rassicurato e teme che questi commenti esercitino sull'opinione pubblica in Francia un'impressione sfavorevole ai buoni rapporti fra i nostri due paesi. Per attenuare una tale impressione, il Signor de Remusat pensa che gioverebbe, se il Principe Umberto dopo la visita a Berlino venisse in Francia a visitare p. e. l'esposizione di Lione che si apre fra breve e che sarà pure visitata dal Signor Thiers. Ma la visita a Lione del Presidente della Repubblica avrà luogo, credo, prima che il Principe Umberto possa essere di ritorno dalla Germania. L'epoca della visita presidenziale non è però ancora fissata, ed il Signor de Remusat mi promise di farmela conoscere, quando la cosa

sarà decisa. A difetto del Principe uno o più Ministri del Re, p. e. voi e Sella ed anche il Ministro del Commercio potrebbero utilmente scegliere quest'occasione per restituire la visita di Remusat e di Lefranc. Qualche cosa in questo senso parmi debba essere fatto. Oramai nessuno può accusarci di soverchia arrendevolezza e d'eccessiva deferenza verso la Francia. Per contro un atto che attesti pubblicamente quello che è, cioè che le vostre relazioni col Governo francese sono buone, non può essere considerato che come une démarche de bon goùt. Chiamo su quest'idea la vostra attenzione. Credo poter rispondere d'una buona accoglienza sia del Principe sia dei Ministri per parte del Signor Thiers e del Governo francese, e d'un'attitudine conveniente per parte della popolazione.

(l) Cfr. n. 516.

527

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

D. 135. Roma, 22 maggio 1872.

Il Ministro d'Inghilterra mi ha informato che il suo Governo desidera conoscere se quello del Re sia disposto ad associarsi agli altri Governi delle Potenze segnatarie delle stipulazioni relative ai Principati Danubiani, per esercitare un'azione collettiva presso il Governo di Bukarest allo scopo di provocare, da parte del medesimo, le misure necessarie a tutelare la vita e le proprietà delle popolazioni israelitiche, sì gravemente oltraggiate, anche in questi ultimi tempi, in vari punti del territorio di quello Stato.

Affinchè l'E. V. si trovi in grado di fornire al Governo britannico le occorrenti notizie su tale oggetto, mi pregio di portare a di lei cognizione che il Rappresentante di S. M. a Bukarest aveva già ricevuto in parecchie occasioni invariabile istruzione di agire, in ogni circostanza, in favore della tolleranza religiosa e quindi del rispetto per le persone e per gli averi degli israeliti. Allorquando poi mi fu partecipata la proposta del Governo inglese di accordarsi per far presentare collettivi avvertimenti al Governo dei Principati per impedire che le violenze contro gli Israeliti si rinnovassero, come temevasi, in occasione delle feste per la Pasqua, mi affrettai a telegrafare al Rappresentante di S. M. che si associasse a tutte quelle pratiche di cui il Rappresentante della Gran Bretagna fosse per prendere l'iniziativa onde conseguire lo scopo umanitario di una seria ed efficace tutela a favore di quella parte della popolazione rumena.

In base a questi fatti, che d'altronde ebbi occasione, recentemente, di annunziare pubblicamente alla Camera dei deputati, l'E. V. potrà, ne son certo, facilmente convincere il Governo britannico delle concordi disposizioni di quello del Re in merito all'oggetto sopraindicato.

528

IL MINISTRO AD ATENE, MIGLIORATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 61. Atene, 23 maggio 1872 (per. il 29).

Mi lusingo di poter annunciare a V. E. che la vertenza del Laurium sta per avviarsi alla sua soluzione. Sembra che gli ultimi ufficii da me fatti d'accordo col Marchese di Cazauz presso il Presidente del Consiglio abbiano prodotto una profonda impressione nell'animo di questi Ministri. L'accondiscendenza da me dimostrata nell'accettare la dichiarazione che l'ultima disposizione ministeriale, con la quale si notificava alla Società l'inibizione di utilizzare le scorie miste alle terre metallifere, dovea considerarsi come una misura provvisoria, ha prodotto eccellenti effetti; poichè, sebbene io sia stato il primo ad opinare che non conveniva lo insistere soverchiamente per la sospensione provvisoria di essa, alla cui opinione s'acconciava piuttosto il Marchese di Cazauz, ottenevo eziandio l'adesione del mio Collega di Francia; mentre non volendo lasciar sussistere alcun dubbio sul perfetto nostro accordo, io dichiarava al Presidente del Consiglio che mi sarei associato all'opinione contraria ove la Società stessa avesse preferito quel terreno.

Da sabbato scorso ebbero già luogo due conferenze tra il Ministro delle Finanze ed i rappresentanti della Compagnia del Laurium. Pare che il Ministero stia studiando due progetti di soluzione, quello cioè della compera, e quello dell'istituzione d'una società cui sarebbero cointeressati il Governo ed il pubblico alla cui disposizione verrebbe lasciata una parte delle azioni che si emetterebbero per costituire il capitale sociale.

Sino ad oggi le promesse ed assicurazioni che ricevo da varie parti vanno d'accordo a farmi convinto che appena terminata la verifica dei poteri, il Ministero presenterà alla Camera un progetto di legge per far approvare la Convenzione che prima di quella epoca sarà firmata tra il Governo e la Società.

Se in questo frattempo V. E. volesse degnarsi di autorizzarmi a poter fare una gita a Costantinopoli, mi assenterei da Atene per una diecina di giorni. Le sarei gratissimo, Signor Ministro, se volesse compiacersi di farmene notificare l'avviso per telegrafo.

529

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4267. Madrid, 25 maggio 1872, ore 11,45 (per. ore 17,35).

Le Due de la Torre a télégraphié hier au soir que tous les chefs carlistes s'étaient présentés pour faire soumission et il allait établir les lieux où il devraient consigner les armes. C'est Topete qui comme mandataire du Due de la Torre va former avec les éléments de la majorité actuelle nouveau cabinet dont il aura la présidence intérinaire jusqu'à l'arrivée du Due de la Torre.

530

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 129. Madrid, 25 maggio 1872 (per. il 31).

Ainsi que je me suis empressé de le télégraphier ce matin à V. E. (1), les chefs de l'insurrection carliste sont venus demander l'indulto au Maréchal Serrano qui, en accueillant leur soumission, a dù désigner les localités où devraient etre consignées les armes des insurgés. C'est le Maréchal lui-meme qui a annoncé hier soir cette heureuse nouvelle au Roi, en meme temps qu'il priait Sa Majesté de vouloir bien confier à M. Topete le soin de former le nouveau Cabinet dont ce dernier aura la Présidence jusqu'au prochain retour du Maréchal à Madrid. Le fait de la pacification des provinces insurgées est arrivé fort à propos pour détendre la situation qu'était venue encore compliquer la crise ministérielle: d'un autre còté, la manière dont s'accomplit cette pacificatian ne peut que satisfaire l'opinion publique qui, déjà inquiète du temps d'arret qu'avaient subi les opérations militaires (par suite sans doute des négociations entre le Maréchal et les Chefs Carlistes), commençait à craindre que la lutte ne se prolongeat beaucoup plus longtemps qu'on ne l'avait cru dans le principe. D'après ce que l'on croit les mouvements tournants du Maréchal de la Torre en Biscaye avaient eu pour résultat d'enserrer l'insurrection camme dans un cercle de fer; et ce n'est qu'après avoir reconnu l'impossibilité absolue de se défendre que les chefs carlistes se sont décidés à présenter leur soumission. Toute la préoccupation se porte maintenant sur la formation du nouveau Cabinet qui, pour avoir quelque chance de stabilité, devra nécessairement se reconstituer avec les éléments de la majorité actuelle, telle qu'elle est sortie des dernières élections. Les différents partis de l'opposition font leurs plus grands efforts pour tacher de séparer les deux grandes fractions de cette majorité, dont la désunion amènerait de nouveau une situation sans issue. Mais le choix qu'avec beaucoup de discernement S. M. a fait du Maréchal Serrano pour ètre le Chef du nouveau Cabinet, et les pourparlers qui se sont déjà établis entre les hommes qui appuyaient le précédent Ministère, prouvent que tout en faisant peut étre une part plus large à l'Union Libérale, la fraction importante des Progressistes modérés sera convenablement représentée dans la nouvelle

administration, et qu'ainsi les ambitions légitimes des deux partis seront équitablement satisfaites.

531

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 130. Madrid, 26 maggio 1872 (per. il 31).

Le nouveau Ministère dont la formation avait été confiée à M. Topete se trouve aujourd'hui constitué de la manière suivante:

M. Topete -Marine et Présidence jusqu'au retour du Due de la Torre qui alors prendra la Présidence du Conseil et le portefeuille de la Guerre;

M. -Ulloa -Ministre des Affaires Etrangères; M. -Groizard -Grace et Justice; M. -Ayala -Ultramar; M. -Balaguer -Fomento; M. -Elduayen -Finances; M. -Candau -Intérieur.

Le Cabinet composé entièrement d'hommes appartenants à la majorité parlementaire, répond pleinement d'autre part à l'idée du maintien de la fusion entre les deux grandes fractions qui la composaient, et peut avec bien plus de certitude etre sflr à l'avance de l'appui qui n'a du reste pas fait défaut au Cabinet Sagasta. Bien plus, la Présidence du Conseil confiée au Maréchal Serrano, en donnant un certain caractère militaire à la nouvelle administration, flattera l'armée, en mème temps qu'elle permettra d'imprimer plus d'énergie à l'action gouvernementale. De toute manière, au point de vue politique comme à celui des affaires, le choix ne pouvait etre plus heureux, et a été accepté avec une grande faveur par la majorité.

Toute la question désormais est de maintenir avec fermeté l'union des deux fractions parlementaires sans laquelle il n'y a pas de Gouvernement possible, et qui précisement à cause de la force compacte qu'elle représente, va devenir l'objet des plus violentes attaques de la part de l'opposition pour essayer de la diviser.

Bien que le télégramme adressé à Sa Majesté par le Due de La Torre donnat comme certaine la soumission des insurgés, la Gazette de ce matin se tait sur cet événement d'une si haute importance. Peut-etre les derniers accords pour la remise des armes ne sont-ils pas encore complètement terminés; peut-etre aussi a-t-on voulu laisser au nouveau Cabinet l'honneur comme la satisfaction de l'annoncer le premier aux Cortès.

(l) -Cfr. n. 529.
532

IL MINISTRO DELLA MARINA, RIBOTY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. CONFIDENZIALE 15485/33. Roma, 26 maggio 1872 (per. il 26).

In riguardo alla lettera confidenziale N. 45 (Registro Inghilterra) trasmessa da codesto Ministero, e nell'attesa delle ulteriori informazioni che sia verbalmente al suo passaggio per Roma, sia per iscritto, potrà fornire il Comandante Racchia, le accludo un brano del rapporto rimesso da lui al Ministero in data 20 Marzo 1870 da Batavia, ove si trovava al Comando della R. Piro Corvetta

• Principessa Clotilde •.

Da questo la S. V. può rilevare che le pretese del Torrey così rinnovate a un lungo intervallo di tempo, danno a credere fondate le idee espresse dal Comandante Racchia circa la poca attendibilità probabile dei diritti del suddetto Torrey, e sulla possibilità di venire, qualora il Governo di S. M. avesse intenzioni sopra uno stabilimento colà, ad una definizione di questa questione con una somma di denaro.

.ALLEGATO.

RACCHIA A RIBOTY

N. 308 . Batavia, 20 marzo 1870.

... Esaminando però col Governatore di Labuan le condizioni attuali di Borneo e particolarmente il trattato conchiuso coll'Inghilterra dal Sultano di Bruni mi avvidi che assolutamente convenivami di non differire ad altra epoca di fare i passi necessari onde assicurare presso il Sultano di Bruni la priorità del Governo Italiano nella domanda di cessione di parte del suo territorio. A ciò fare tanto ero spinto dacché avea potuto in Hong-Kong fare conoscenza di un americano certo Torey, il quale dicendosi possessore di molto denaro e protetto dal Governo degli Stati Uniti, era riuscito a farsi cedere dal Sultano di Bruni per lo spazio di dieci anni tutto il vasto territorio che si estende dalla foce del fiume Kimams, poche miglia al Nord di Labuan, sino alla baia di Maludu cioè all'estremità settentrionale dell'isola di Borneo; insomma la parte la più bella e la più sana e fertile di tutta l'isola di Borneo, e in cui trovasi il vasto e sicuro Golfo di Gaja, e ciò contro un pagamento annuo di circa 9 mila dollari.

Il Sultano di Bruni senza darsi la pena di accertarsi chi fosse il Torey e di quali mezzi realmente disponesse, tale era la necessità in cui trovavasi di avere del denaro, che accondiscese alle domande del Torey, e gli diede facoltà di occupare ed altrimenti valersi di quel territorio.

Il Torey ottenuto che ebbe in debita forma una cessione simile ne informò il Governo degli Stah Uniti, dichiarandosi disposto a cedere al medesimo tutti i suoi diritti su tale territorio, naturalmente dietro pagamento d'una data somma che gli avrebbe servito per pagare il Sultano di Bruni, realizzando inoltre a suo profitto un largo benefizio. Ma il Gabinetto di Washington non volle entrare in trattative col Torey dichiarando inoltre non avere nessuna intenzione di occupare parte dell'Isola di Borneo, politica del resto a cui sembra siensi decisi di attenersi i Presidenti di quella Repubblica, intendendo essi limitare le loro conquiste territoriali al Continente Americano ed isole adiacenti.

In allora il Torey si adoperò per costituire una Società collo scopo di procurarsi del capitale onde trasportare dei Coolies Chinesi nel territorio acquistato in Borneo e sviluppandovi qualche industria paterne ricavare del denaro.

Ma anche questa impresa gli fallì completamente, siccome mancante di capitali e di credito; ciò nonostante egli pomposamente continua a dirsi il possessore della maggior parte di Borneo proprio, a farsi chiamare Radjach e conservare presso di sé un'apparenza di funzionari a lui sottoposti, per es. un segretario privato, un ajutante di campo, ecc., ma tutti avventurieri al pari di lui, senza mezzi di sussistenza e poco favorevolmente conosciuti per i loro antecedenti.

Avendo il Torey saputo, mentre io stava in Hong-Kong lo scorso gennajo, c:he dovevo partire per visitare l'Isola di Borneo, egli venne a visitarmi e dal modo in cui mi parlò sembrava disposto a cedere al Governo Italiano la concessione territoriale avuta dal Sultano di Bruni: naturalmente le sue domande sarebbero state ben esagerate giacchè egli considerava quello un buon affare. Io però mi guardai bene di dargli la benché minima speranza a tal proposito, assicurandolo anzi che il Governo di S. M. non avea nessunissima intenzione di avere una parte qualunque del territorio di Borneo, persuaso che avrei potuto ottenere ciò che desideravo a condizioni assai più vantaggiose direttamente dal Sultano di Bruni coll'appoggio del Governatore di Labuan, anziché dal Torey.

Intanto questo Signore che da cinque anni tiene una cosi importante concessione di territorio dal Sultano di Bruni ancora non pagò a questi un solo dollaro, per cui questi nella conterenza con lui avuta ebbe a dirmi che egli intendeva rotto ogni contratto col Torey perché questo non avea adempiuto agli impegni contratti.

Un tale stato di cose tornava a mio grande vantaggio, né mancai di profittarne.

La vasta isola di Borneo trovasi per i quattro quinti sotto la dominazione olandese, le residenze di Pontianah e Banjer Massen nonché la sottoresidenza di Hoth abbracciano nella loro estensione presso che tutta quella vasta isola, né è a dirsi che l'occupazione olandese sia nominale o che si limiti soltanto alla costa, che anzi come io ebbi campo ad osservare nell'escursione fatta sul fiume Haponas, la sovranità dell'Olanda su quest'isola è solidamente assicurata ed appoggiata a forze militari e navali distribuite su tutti i punti principali sino al centro stesso dell'isola.

Di territorio nominalmente indipendente in Borneo non resta che quello del Sultano di Bruni che estendesi dalla estremità sud di Borneo proprio sino alla frontiera di Sarawak, giacché sulla piccola parte che rimane della costa N. E. di Borneo pretende dominare il Sultano dell'Arcipelago di Sorloo.

Ciò premesso risulta evidentemente che si era soltanto nel territorio sottoposto al Sultano di Bruni che io doveva specialmente portare la mia attenzione per vedere se vi si trovasse qualche punto che in base alle istruzioni trasmessemi da cotesto Superior Dicastero io potessi procurare di ottenere e questo si fu appunto ciò che cercai di fare durante il mio soggiorno a Labuan.

Avendo però chiesto di leggere il trattato stato conchiuso dall'Inghilterra col Sultano di Bruni, in virtù del auale l'Inghilterra si assicurò il possesso dell'Isola di Labuan, vi trovai inserito sotto il N. X il seguente importante articolo:

• -Essendo a desiderarsi che i sudditi Britannici abbiano qualche porto ove possano mettere in carena e riparare le loro navi e ove possano depositare le loro provviste e mercanzie che potranno essere necessarie pel proseguimento del loro Commercio nei domini di Borneo, S. A. il Sultano per questo mezzo conferma la cessione già da lui stata spontaneamente fatta nel 1845 dell'isola di Labuan (seguono i limiti geografici della cessione) da essere posseduta in perpetuità e Sovranità da S. -M. Britannica e di Lei successori, ed affine di evitare occasioni di conflitto che potrebbero sorgere, S. A. il Sultano s'impegna a non fare qualunque altra simile cessione sia di un'isola o qualunque specie di stabilimento sulla terraferma in nessuna parte dei suoi domini a qualunque altra nazione, sudditi o cittadini della stessa, senza il consenso di S. M. Britannica •.

Evidentemente qualunque concessione io avessi ottenuta dal Sultano di Bruni sarebbe stata nulla se non fosse rivestita dal consenso del Governo Inglese: non esitai perciò confidenzialmente a cercare di conoscere dal Governatore di Labuan quale accoglimento avrebbe ricevuto presso il Gabinetto di S. Giacomo la notizia che il Governo Italiano avrebbe desiderato anzi intavolato trattative presso il Governo di Bruni per ottenere dal Sultano la cessione di una parte del suo territorio per stabilire una colonia penitenziaria. Il Governatore di Labuan ex membro del Parlamento Inglese (che vi godeva molta riputazione) non esitò ad assicurarmi essere sua opinione che il Governo Inglese avrebbe visto di buonissimo occhio un tale passo per parte del Governo Italiano, ed egli personalmente non avrebbe certamente omesso di vivamente consigliare il Governo Inglese ad essere favorevole a qualunque trattativa che io avrei intavolata al proposito suddetto col Sultano di Bruni, ed anzi esortavami ad abboccarmi col medesimo al più presto possibile, persuaso che mediante una leggera somma di denaro Egli sarebbe ben lieto di poter fare cessione al Governo Italiano di parte dei suoi territori e disfarsi

cosi del Signor Torey...

La -lettera è scritta in malese e la ritengo un prezioso documento per il paese nostro e foriera di un felice avvenire per il nostro Commercio coll'estremo Oriente. Un nuovo importante documento riceverò dal Sultano di Bruni, quando mi recherò a Labuan, spero nel prossimo maggio, documento che egli formalmente mi promise, e si è un'obbligazione sua di offrire al Governo Italiano la cessione o fitto di tutto il vasto territorio o parte del medesimo stato concesso al Signor Torey, appena il Sultano di Bruni possederà documenti e prove che il Torey non è in caso di adempiere agli obblighi contratti...

39 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

533

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

Roma, 27 maggio 1872.

D. 136.

Trasmetto qui uniti a V. E. due progetti di protocollo relativi alla giurisdizione consolare in Tripoli di Barberia. Quello • sub lettera A • mi è stato letto dal Signor Paget il quale aveva incarico dal suo Governo di chiedermene l'accettazione. Risposi all'Inviato britannico che qualora la Francia e l'Inghilterra si fossero messe d'accordo per proporre alla Turchia quel protocollo, la nostra accettazione era già preventivamente assicurata dalle più volte ripetutE' mie dichiarazioni. Ma posteriormente alla visita del Signor Paget io ricevetti quella del Signor Fournier il quale aveva egli pure incarico dal suo Governo di parlarmi _della vertenza di Tripoli. L'Inviato Francese lasciò in mie mani tanto il testo del protocollo surriferito quanto un altro testo (lettera B) che figura come un emendamento della Francia alla proposizione della Gran Bretagna.

Il confronto dei due testi basta per farci accorti che le espressioni usate

in quello della Francia sono più precise e meglio corrispondono così alla reale

situazione delle cose come al desiderio ripetutamente da noi espresso di non

pregiudicare nell'accomodamento della vertenza di Tripoli altre quistioni ben

più gravi ed importanti. Dissi dunque al Signor Fournier che l'Italia dava la

preferenza al testo preparato dalla Francia e che io sperava che tanto la Turchia

che l'Inghilterra lo avrebbero accettato.

Ella dunque, Signor Ministro, potrà dire a Lord Granville che l'opinione del Governo italiano si riassume in ciò che segue: Noi siamo pronti a firmare il testo inglese sempre che la Francia si decida a sottoscriverlo con noi. Diamo però la preferenza al testo francese e desidereremmo che l'Inghilterra e la Turchia lo accettassero esse pure.

534

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 386. Roma, 27 maggio 1872.

Gli ultimi rapporti di Atene mi hanno portato l'annuncio che la società del Laurium più non potendo superare le difficoltà d'ogni specie frapposte dall'amministrazione greca, all'esercizio dei lavori, ha dovuto sospendere anche la fusione delle scorie, ossia anche di quella materia metallifera che senza ombra di dubbio è compresa nella concessione fatta alla compagnia. L'amministratore di questa ultima ha deposto alla Legazione italiana una formale protesta per i danni che naturalmente derivano da tale risoluzione. A quest'ora il Governo francese sarà informato al pari di noi dell'accaduto. Il rappresentante della repubblica in Grecia avrà certamente sottoposto al giudizio del suo Governo

le circostanze di fatto che hanno poco a poco condotto le cose al punto dove ora si trovano. La prego, signor Ministro, di dire al signor di Rémusat che a nostro avviso quelle circostanze spiegano bastantemente la necessità in cui si è trovata la società italo-francese di sospendere i lavori. Ora ai rilevantissimi danni che quella società ha sofferto finora, si aggiungerà anche il lucro cessante, rendendosi cosi sempre più difficile, anche al punto di vista finanziario, la sistemazione di quella vertenza. Sono convinto che il signor di Rémusat converrà con noi della necessità di far fare a questo affare un passo decisivo verso la soluzione, forse già da troppo tempo aspettata dalla buona volontà del gabinetto di Atene. Se non si sapesse che il Governo francese è in procinto di mandare un titolare definitivo alla sua Legazione in Grecia, io avrei proposto al signor di Rémusat di dare istruzione ai rappresentanti d'Italia e di Francia in Grecia di rinnovare, sotto forma d'una nota identica, la domanda d'arbitrato per la quistione del Laurium, ed, in caso di risposta non soddisfacente, io avrei proposto di sospendere le relazioni diplomatiche con un Governo che si dimostra così noncurante di mantenere dei buoni rapporti con l'Italia e con la Francia.

Un'insinuazione in questo senso mi pare potrebbe essere fatta da V. S. nei suoi colloqui con codesto Ministro per gli affari esteri al quale io la prego di dire con insistenza che è necessar.io che i due Governi considerino quali passi loro restano a fare in presenza dell'inesplicabile contegno assunto dalla Grecia in questa vertenza.

Il signor Fournier manca d'istruzioni per trattare con noi di questo negozio. Egli non mi ha mai potuto esprimere un'opinione in proposito. È dunque a Parigi e direttamente con il signor di Rémusat che bisogna prendere le intelligenze necessarie. Ed io prego V. S. di adoperarsi a questo scopo con tutta sollecitudine.

535

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4274. Pietroburgo, 27 maggio 1872, ore 19 (per. ore 24).

Ambassadeur allemand pour que j'en réfère a V. E. vient de m'entretenir de la proposition faite par l'Angleterre d'une démarche collective concernant le traitement des Israelites en Roumanie et basée sur l'art. relatif du Traité de · '58. Gortchakoff a observé à l'Ambassadeur qu'une semblable démarche faite à briì.le pourpoint aurait un caractère comminatoire qui pourrait nuire au Gouvernement du Prince Charles et qu'il lui semble préférable que l'Angleterre demande d'abord au Gouvernement Roumain des explications sur les intentions à l'égard des Israelites et qu'après, l'opportunité d'une démarche collective pourrait se présenter. Ambassadeur allemand qui a référé à Berlin partage cette manière de voir. Sur mon observation que peut-ètre les explications que donnerait le Gouvernement Roumain rendraient inutile la collectivité d'une démarche, Ambassadeur m'a dit que c'était probable et qu'il était désirable

d'éviter des complications au Prince Charles déjà chancelant et que Russie avait intérèt au maintien du statu quo.

536

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4276. Berlino, 28 maggio 1872, ore 16,45 (per. ore 21).

LL. AA. RR. Prince et Princesse de Piémont sont arrivées en ce moment, après heureux voyage; elles ont été reçues avec honneurs militaires.

S. M. l'Empereur et S. A. I. le Prince Royal s'étaient rendus à la gare et ont reçu la Princesse et le Prince de Piémont de la manière la plus cordiale et distinctive.

537

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. CONFIDENZIALE 253. Roma, 29 maggio 1872.

S. E. le Comte Brassier de S. Simon a bien voulu me donner dernièrement connaissance d'une dépeche confìdentielle de S. A. le Prince de Bismarck qui porte la date du 14 mai. Le Chancelier de l'Empire Allemand, après avoir constaté que rien, pour le moment, ne fait craindre qu'une vacance du S. Siège soit prochaine, expose les considérations qui feraient désirer que les Gouvernements ne soient pas pris au dépourvu par cette éventualité. Parmi les observations développées dans cette dépèche, j'ai remarqué surtout celles relatives à l'extrème importance que tous les Gouvernements doivent attacher à la régularité de l'élection du successeur de St. Pierre. Il faut éviter, déclare justement S. A. que les Gouvernements aient des motifs pour se refuser à reconnaitre le nouveau Pape. Le droit d'exclusion appartenant à certaines puissances, n'a pas pu toujours etre exercé en temps pour prévenir certains choix. Cependant, si ce droit était reconnu dans les Conclaves précédents, combien plus précieux est devenu ce droit, après les dogmes récemment proclamés! Par suite de ces dogmes les éveques ont perdu tout ce qui leur restait d'indépendance vis-à-vis du S. t Siège: ils sont devenus des employés du Pape. Chaque Gouvernement se trouve ainsi directement placé, dans son territoire, en présence d'une autorité étrangère qui exerce par l'entremise de sa hiérarchie une autorité et des droits considérables. L'influence que le choix du Sacré Collège pourra exercer étant ainsi devenue, d'après S. A. le Chancelier, plus grande encore, qu'elle n'a été auparavant, il serait convenable que les Gouvernements concertent dès à présent leur attitude. Le Comte Brassier a été par conséquent chargé de me demander si le Gouvernement du Roi serait pret à entrer dans un échange d'idées confìdentiel sur ce sujet important.

J'ai prié le Ministre d'Allemagne de remercier S. A. de cette communication, et je me suis empressé de lui dire que je partageais complètement ses vues sur l'opportunité de sa proposition. J'ai ajouté que l'attention du Gouvernement dont j'ai l'honneur de faire part s'était déjà portée sur l'éventualité à laquelle on faisait allusion. Mais notre situation vis-à-vis du S.t Siège étant toute spéciale, et à quelques égards fort délicate, nous n'avions pas cru convenable de prendre l'initiative, et nous avions préféré ne pas sortir jusqu'à présent de la réserve qui nous est habituelle dans ces sortes de questions. Cette réserve ne m'empecherait pas du reste, de me preter avec plaisir à l'échange d'idées proposé par le Prince de Bismarck, et pour lequel je laisse naturellement à

S. A. le choix des moyens. Je ne doute pas que le Comte Brassier n'ait déjà porté ma réponse à la connaissance du Cabinet de Berlin. Je vous prie néanmoins,

M. le Comte, de répéter encore à S. A. le Chancelier, ou à S. E. M. de Thile, que je suis pret à recevoir les communications ultérieures du Gouvernement de S. M. l'Empereur avec lequel je désire vivement marcher d'accord dans les questions que l'éventualité d'une vacance du S. Siège fera nécessairement surgir.

J'ajouterai, pour votre information personnelle, que le Gouvernement portugais a déjà fait à plusieurs reprises des démarches analogues auprès du Gouvernement du Roi. Ne pouvant répondre d'une manière évasive aux instances amicales du Cabinet de Lisbonne, j'ai exposé dans le mémoire confidentiel dont je vous envoie la copie, la solution que d'après mes vues actuelles, il serait désirable de donner au problème soulevé par le Conclave. Je souligne les mots: d'après

mes vues actuelles car le mémoire dont il s'agit ne prétend pas préjuger définitivement la solution de questions aussi difficiles. Je désire donc que vous vous borniez, M. le Comte, à provoquer de la part du Prince de Bismarck la communi

cation à laquelle il semble avoir voulu frayer la voie par la dépeche du 14 mai. Je tiens infiniment à connaitre les idées du Cabinet de Berlin au sujet du prochain Conclave, et je ne voudrais pas, par une communication prématurée de celles qui sont exposées dans le Mémoire ci-joint (1), m'exposer au danger de n'avoir qu'une information incomplète des pensées du Chancelier. Je crois toutefois utile que vous connaissiez dès à présent le point de vue du Gouvernement du Roi, et que vous puissiez trouver, le cas échéant, dans le mémoire ci-joint les éléments d'une conversation utile et intéressante. Je fais donc appel au tact qui vous est habituel, M. le Comte, et je vous prie de ne livrer le mémoire ci-joint à votre éminent interlocuteur, que dans le cas où vous le verriez dès le commencement disposé à entrer dans l'ordre d'idées pratique qui a été développé par moi.

538

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 82. Vienna, 31 maggio 1872 (per. il 4 giugno).

Il Conte Andrassy riferendosi alla conversazione meco avuta quindici giorni fa relativamente ai Cristiani dell'Oriente, dicevami jeri esservi un'altra questione da noi non toccata, che pur doveva interessare l'Italia, ed essere quella

degli Armeni Cattolici; e soggiungevami, il Nunzio Apostolico essersi a lui rivolto, come parimenti erasi fatto presso altre Potenze dai rispettivi Nunzi per incarico del Santo Padre, onde ottenere il concorso degli Stati cattolici, affinchè tale questione venga appianata conformente agli intendimenti del Vaticano. Il Conte Andrassy, entrando nel merito della questione, dicevami ravvisare nello scisma a cui la contesa tra gli Hassounisti e Antihassounisti ha dato luogo, un pericolo non lieve: poichè esso avrebbe per conseguenza di gettare i dissidenti nelle braccia della Ortodossia Greca per la quale gli Armeni hanno molta simpatia, tanto per analogia di culto, come anche per una quasi assoluta conformità di liturgia: ed il loro esempio potrebbe essere seguito anche da buona parte degli attuali Hassounisti, ciò che verrebbe, aumentandosi singolarmente i seguaci della Ortodossia Greca in Oriente, ad accrescere sempre più l'influenza russa in quei paesi. Che vi sia una forte tendenza allo scisma fra i Cattolici Armeni, e precisamente una loro non lieve inclinazione ad avvicinarsi alla Chiesa Ortodossa, risulta anche a me da informazione ch'io ebbi in questi giorni da Venezia, dove quella comunità Armena di chiarissima fama, comincia a non dissimulare affatto le sue tendenze in tale senso.

Ritenendo però per conto mio sia questo un affare a cui l'Italia non può avere un diretto interesse, e sembrandomi d'altronde poco probabile che il Santo Padre voglia annoverarci fra le Potenze Cattoliche a cui dirigerà i suoi uffizj, lasciai parlare il mio nobile interlocutore astenendomi dal dimostrare impressioni di sorta; senonchè il Conte Andrassy soggiungevami che i rappresentanti di Francia, e di Austria a Costantinopoli, preoccupati della questione, erano caduti d'accordo, il solo mezzo efficace al giorno d'oggi per soffocarla essere che il Papa ritirasse la bolla • Reversurum • che vi aveva data origine, e restituisse così alla Chiesa Cattolica-armena i suoi antichi privilegi, facendo in tale modo scomparire la causa prima dello scisma, e dicevami dividere egli intieramente tale opinione, ed avere anzi date istruzioni in conseguenza al Barone Kiibeck, affinchè agisse in tale senso presso il Vaticano, e chiudeva finalmente il suo dire col domandarmi cosa ne pensassi. A fronte di tale diretta interpellanza credetti non dovere tacergli la mia impressione personale, e tosto gli risposi sembrare anche a me che il rimedio suggerito dai rappresentanti di Austria e di Francia a Costantinopoli sarebbe .stato il solo efficace; che però non lo credeva pratico, poichè il mio personale convincimento si era che mai il Papa si sarebbe piegato a ritirare la bolla • Reversurum •, seguendo in ciò l'esempio di molti suoi predecessori, i quali mostrarono amare meglio gli scismi che ritirare le bolle che li avevano causati.

La conversazione finì così su questo argomento e si parlò d'altro, senza ch'io avessi a dire se ne avrei ragguagliato o no l'E. V.; siccome però potrebbe darsi il caso mi si riparlasse di questa questione, sarei grato all'E. V. se volesse indicarmi l'attitudine che dovrei tenere verificandosi tale eventualità.

(l) Cfr. n. 513, allegato.

539

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1859. Parigi, l giugno 1872 (per. il 4).

Jeri ho ricevuto il dispaccio di Serie politica n. 386 che l'E. V. mi fece l'onore di scrivermi il 27 maggio scorso (l) e che si riferisce alla questione delle miniere del Laurium. Mi recai il giorno stesso da S. E. il Signor di Rémusat a cui esposi a nome del R. Governo la necessità e l'urgenza per l'Italia e per la Francia di far fare un passo decisivo nel senso della soluzione a questa questione già da così lungo tempo pendente. A tale scopo proposi al Signor di Rémusat, in conformità delle direzioni datemi dall'E. V., che fosse data istruzione ai Rappresentanti d'Italia e di Francia in Atene di rinnovare con nota identica diretta al Gabinetto Ellenico la domanda d'arbitrato. Ho toccato nel mio colloquio col Ministro francese degli affari esteri, sotto forma d'insinuazione, dell'eventualità di una interruzione dei rapporti diplomatici fra l'Italia e la Francia dall'un lato e la Grecia dall'altro, come misura possibile nel caso di un rifiuto opposto dal Gabinetto Ellenico alla proposta di arbitrato. Ma ho specialmente insistito sulla necessità d'avvisare d'accordo fra i due Governi di Francia e d'Italia ai passi che rimangono a fare per indurre il Governo greco ad una equa soluzione della vertenza. Il Signor di Rémusat mi rispose che conveniva pienamente con noi sulla necessità di provocare d'accordo una soluzione presso il Gabinetto d'Atene. Ma la misura eventuale di un'interruzione dei rapporti diplomatici è considerata dal Signor di Rémusat con una certa titubanza. Egli pensa che una tale misura, ove rimanga isolata e senz'altra sanzione, non sia per avventura inefficace, e sia per contro allo stato presente eccessiva, laddove essa debba essere seguita, come converrebbe, da atti coercitivi, contro i quali la Grecia sembra fino a un certo punto difesa dalla sua propria debolezza. L'interruzione dei rapporti diplomatici, secondo il giudizio del Signor di Rémusat, al quale inclinerebbe anche il mio personale avviso, lascierebbe la Compagnia italo-francese in piena balia dell'arbitrio delle Autorità elleniche a cui la presenza delle Legazioni d'Italia e di Francia è pur sempre un utile freno. In conclusione il Ministro francese degli affari esteri, allo stato delle cose, accetta la proposta di far presentare in forma identica dalle due Legazioni una nuova domanda d'arbitrato. Il Signor Ferry, nuovo Ministro di Francia in Grecia, deve partire fra otto giorni pel suo posto ed avrà per istruzione, secondo che mi disse il Signor di Rémusat, di concertarsi col Marchese Migliorati per redigere d'accordo e presentare questa domanda. Il Signor di Rémusat attenderà la risposta del Governo greco ed i relativi rapporti del nuovo Ministro francese in Atene per esaminare d'accordo con noi il quid agendum nel caso di un rifiuto del Gabinetto d'Atene. Il Signor Ferry ch'è venuto oggi a vedermi sembra disposto ad agire con fermezza e mi disse che agirebbe in pieno accordo coll'Inviato di S. M. Egli si propone anzi, rendendosi per la via di Brindisi ad Atene, di passare per Roma,

nel quale caso egli avrebbe l'onore di presentarsi all'E. V. munito di una mia lettera d'introduzione.

(l~ Cfr. n. 534.

540

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AD ALESSANDRIA D'EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

D. 180. Alessandria, l giugno 1872 (per. il 9).

Dopo sì lunghe aspettative e tentativi non equivoci per far abbandonare il progetto della riforma giudiziaria, finalmente la Porta ha accordata al Vicerè l'autorizzazione di poter introdurre in Egitto il progetto a cui avea aderito l'ex Gran Vizir Alì Pascià, e consentito dalle Potenze.

Ha fatto soltanto osservare che le leggi non possono emanare che dal potere Sovrano, e che Sua Altezza deve riconoscere di non potersi applicare in Egitto delle leggi straniere all'Impero.

Questa osservazione è fatta in termini generali, ed il Vicerè ha risposto per telegramma, anche in termini generali, che non ha mai avute queste intenzioni e che i nuovi codici sono basati su principi ammessi, riconosciuti e in vigore nel Vicereame.

Dalla Porta gli è stato chiesto di fare questa dichiarazione per nota ufficiale, la quale è già partita.

Quest'insinuazione della Porta fatta sotto forma di osservazione, ed in termini generali, fa molto temere, arguendo dal passato che al momento di mettere in esecuzione il progetto, non voglia interpretare questa riserva come un diritto di rivedere, studiare, e determinare i nuovi codici, invece di dare ad essi una sanzione generale.

Se ciò avesse a succedere l'attuazione di quella riforma tanto necessaria per gli interessi e del paese, e degli stranieri, andrebbe incontro a non piccole difficoltà, poichè se la Porta avesse questo segreto intendimento, intenderebbe introdurre delle leggi che non potrebbero essere accettate nè dall'Egitto nè dalle Potenze.

Il progetto della riforma, con il consenso della Porta, è stato sottomesso allo studio delle Potenze, ed anche i nuovi codici. Le Potenze, quale più quale meno esplicitamente, tutte però hanno approvato e consentito alla riforma, ed ai codici, su cui quella è basata, riconoscendoli consentanei a quei principi generali che regolano la società in tutti i paesi civilizzati. Nel dare questo consenso al Governo egiziano, le Potenze, per rispetto dell'autorità sovrana del Sultano, lo subordinarono alla sola condizione di dover ottenere dalla Porta l'autorizzazione, la sanzione per introdurla in Egitto.

A fronte di questi fatti compiuti, e compiuti dall'accordo delle Potenze, col

consenso della Porta, potrebbe ora questa affacciare la pretesa di studiare e

rifare nuovi codici a modo suo? Io non lo credo.

Le Potenze hanno acconsentito alla riforma giudiziaria, perchè è stato loro

offerto di studiare e creare insieme col Governo egiziano l'organizzazione dei

nuovi tribunali, e la nuova legislatura.

I patti convenuti tra le Potenze e l'Egitto, dalla Porta autorizzati, sono stati eseguiti. Non potrebbe ora la Porta sottrarsi a quei patti, e voler fare da sè, e distruggere molte di quelle garanzie che sono per le Potenze condizioni sine qua non per accordare al Governo egiziano la giurisdizione sui propri nazionali.

L'obbligo imposto al Vicerè è stato soltanto per mantenere intatta l'alta sovranità della Porta; ma non è possibile che le Potenze abbino inteso che l'autorizzazione e la sanzione della Porta dovesse limitarsi al solo progetto dell'organizzazione dei tribunali, e lasciare all'arbitrio della Porta d'imporci una legislatura, parte essenziale della riforma, che rimettesse in pieno esercizio i precetti del Corano. Il progetto studiato e accettato dalle Potenze non è una parte, ma il tutto di una riforma, sicchè la sanzione della Porta deve abbracciare questo tutto, che è divenuto fatto compiuto per la adesione delle Potenze.

Si deve inoltre considerare che il Vicerè all'osservazione, forse insidiosa, della Porta, ha risposto il vero dicendo che non ha avuto mai intenzione d'introdurre leggi straniere, e che i nuovi codici sono basati su principi ammessi, riconosciuti ed in vigore nel Vicereame. In Egitto esiste per uso, per consuetudine, per abusi, se si vuole, una legislatura che non è certo uniforme a quella del resto dell'Impero, e che costituisce un jure egiziano, e la Porta ha avute non dubbie pruove che tutte le Potenze lo considerano come un diritto acquisito e consentito, al quale non rinunzierebbero mai, se si volesse far ricadere l'Egitto sotto le leggi che regolano il resto dell'Impero. I nuovi codici proposti da S. A. non introducono leggi nuove; ma coordinano, modificano quelle che già esistono. La riforma radicale è nell'argomento dei tribunali, e nella giurisdizione unica che si sostituisce a quella di diecisette giurisdizioni.

Si dee poi ricordare che il Viceré, in virtù di un firmano della Porta è autorizzato di modificare le leggi secondo la necessità e le esigenze del paese.

Nel dubbio che la Porta possa affacciare queste pretese, S. A. il Vicerè mi ha interessato di pregare l'E. V., che gli ha prestato un sì potente concorso in questa questione, di volere per mezzo del R. Ministro a Costantinopoli usare quei mezzi e quegli argomenti che crederà opportuni, per consigliare e premurare la Porta ad accordare un'autorizzazione, una sanzione generale alla riforma in tutto il suo insieme, e non creare nuove difficoltà volendo particolarizzarla.

Se questi timori non avranno ragione d'essere, e che da Costantinopoli giungesse alla dichiarazione del Vicerè una risposta sempre in termini generali e non equivoci, il Governo egiziano dirigerebbe a tutti i rappresentanti esteri una circolare per annunziare l'autorizzazione ricevuta, e richiedere il concorso dei rispettivi Governi, nei termini del progetto consentito, per la scelta dei Magistrati. Quindi sarebbe suo pensiero di riunire in ottobre la Commissione per dar l'ultima mano all'opera, ed impiantare la riforma.

Non mancherebbero degli incidenti, ma ora sarebbe superfluo spaziare in previsioni, e l'E. V. saprà adottare quei mezzi che crederà efficaci perchè passino dissiparsi quei pericoli che si temono da Costantinopoli, e perchè prevalghino le sue opinioni in una questione per noi così importante.

541

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4282. Costantinopoli, 2 giugno 1872, ore 13 (per. ore 19).

Il est avéré à présent que le Gouvernement Ottoman, dans la solution donnée au différ·end arméno-catholique, a outrepassé les limites du droit et de la liberté de conscience, car il exigeait des votants pour l'élection du patriarche la déclaration préalable de renonciation à la Bulle Reversurus pour tout ce qu'elle contient, meme en matière purement spirituelle. J'ai dit hier à Server Pacha que le Gouvernement Ottoman s'était fourvoyé en violentant les consciences car par le seul fait de la participation à l'élection, les droits du pouvoir civil étaient sauvegardés. Ma déclaration lui a fait grande impression, et il m'a dit que pour le moment on ne pensait pas à enlever l'église aux hassounistes, ce qui a calmé beaucoup leur irritation.

J'ai dit à Server Pacha que je n'avais pas d'instructions, mais que j'étais sur de l'approbation de V. E., lorsque je défendais le principe de la liberté de conscience.

542

IL COMANDANTE RACCHIA AL MINISTRO DELLA MARINA, RIBOTY

R. CONFIDENZIALE S. n. Napoli, 2 giugno 1872.

Allorquando nel mese di Gennaio 1870 mi accingevo a muovere da HongKong colla R. Corvetta • Principessa Clotilde • per un viaggio di esplorazione lungo le coste di Borneo, mi si presentava a bordo quasi alla vigilia della partenza un certo Torey suddito americano accompagnato da un'altra persona se non sbaglio oriundo tedesco, per nome Lessler domandando di parlarmi. Ammesso il primo alla mia presenza egli tenne meco una lunga conversazione, il cui scopo si fu il seguente:

Sapendo, come io stavo per fare vela per la costa di Borneo, avendo egli avuto cessione dal Sultano di Bruni di buona parte della costa N.O. di questa isola, cioè delle parti conosciute sotto il nome di Ambong e Maroodu, mi offriva lettere di raccomandazione per i suoi agenti in quei territori; lettere di cui io mostrai nessun desiderio di avere, ma che alla fine accettai per compiacergli. Egli aggiunse quindi che qualora il Governo Italiano avesse desiderato di occupare quei territorii o parte dei medesimi, egli era disposto a venire a trattative a tal riguardo. Io gli risposi che il Governo Italiano non aveva nessuna intenzione di acquistare per ora territorii lungo la costa di Borneo, ma che io dovevo veleggiare lungo quei lidi semplicemente per scopi scientifici ed idrografici. Dopo ciò il Torey ritiravasi, nè più ebbi occasione di rivederlo. * Intanto non mancai di procurarmi tosto in Hong-Kong presso molte persone influenti delle informazioni a proposito del Torey e venni a sapere come di fatti egli aveva per qualche tempo soggiornato sulla costa di Borneo, e che spacciandosi per Agente del Governo degli Stati Uniti d'America e rappresentante di una importante Società commerciale Americana, era riuscito a carpire dal Sultano di Bruni la cessione dei territori di Ambong e Moroodu dietro obbligazione in iscritto di un annuo fitto, che sembrami fosse stato convenuto nella somma di circa novemila dollari. Seppi però eziandio che siccome tanto il Governo degli Stati Uniti quanto la Compagnia Commerciale americana mai fecero passo alcuno da giustificare le asserzioni del Torey, ne nacque in ognuno il convincimento che il Torey non fosse se non uno dei tanti avventurieri che in più occasioni riuscirono a sorprendere la buona fede di non pochi fra i Sultani e Rajahs di quei paesi * (l): ed in vero ad accettare siffatta opinione uno era ben anco indotto dallo aspetto tanto del Torey e del suo cosi detto Segretario privato od ajutante di campo, come dal genere di vita che menavano in Hong-Kong, sconosciuti a tutti.

Giunto all'ancoraggio di Labuan (costa N.O. di Borneo) dopo averne esplorato i principali punti che ne giacciono al Nord e precisamente le vicinanze della vasta zona di Moroodu e poi quella più piccola di Ambong ottenni una udienza dal Sultano di Bruni, a cui assistevano parecchi miei ufficiali di bordo. In questa circostanza io faceva a nome del Governo Italiano domanda al Sultano di Bruni di cessione di parte del suo territorio nei dintorni della baia di Gaya compreso l'uso di questa baia, per scopo commerciale. Come risulta dai documenti non che dai rapporti che io stesso trasmisi a codesto Superior Dicastero, il Sultano di Bruni si mostrò disposto a farmi tali concessioni alle seguenti condizioni: in primo luogo che vi fosse il consenso del Governo Inglese, in secondo luogo che si prendessero accordi colla Borneo Coal Company, la quale aveva acquistato il dritto di poter lavorare anche le miniere di carbone che si trovavano nelle adiacenze della baia sunnominata.

Il Sultano di Bruni non tralasciava poi di farmi cenno della temporanea cessione di parte dei suoi territori stata fatta al Torey, ma soggiunse che siccome questi mai aveva soddisfatto agli obblighi che si era assunti, egli era in pieno diritto di considerare come rotte, le trattative con esso lui intavolate, ma che in ogni circostanza era bene che la cosa fosse stata prima definita.

* A me risulta poi che per quante sollecitudini il Torey avesse fatte onde indurre il Governo degli Stati Uniti di America a volere occupare il territorio in questione di cui il Torey come naturale era dispostissimo a sbarazzarsene, il detto Governo sempre vi si rifiutò * (2).

Riferendomi pertanto anche ai miei rapporti antecedenti io ritengo di ben poco valore le proteste fatte dal Torey, di cui codesto Superior Dicastero volle gentilmente darmene copia, giacchè a meno che il più volte ripetuto Torey abbia soddisfatto ai suoi impegni verso il Sultano di Bruni, del che ho ragione di dubitare, da questi si potrebbe senza difficoltà revocare ed annullare ogni precedente trattativa e stipulazione fatta col Torey, sicchè a questo non rimarrebbe più motivo alcuno per accampare diritti di sovranità sui territorii di cui sopra

si tenne parola; tanto più che la cessione di quei terreni gli fu fatta per un periodo di tempo abbastanza ristretto.

Io non ebbi campo di poter conoscere esattamente il contratto a cui addivenne il Torey col Sultano di Bruni; ciò che posso affermare in modo positivo si è che il Sultano di Bruni in presenza anche del Segretario del Governatore Inglese di' Labuan, in allora certo Pope Hennessy, mi disse e ripetè più volte che siccome il Torey non aveva sodisfatto a nessuno degli impegni ed obblighi che erasi assunti, egli potea di fatti ritenersi svincolato da ogni impegno verso del Torey; mi accorsi però che avrebbe anzi tutto desiderato che io fossi venuto direttamente ad una transazione col Torey, ciò che non mi credetti autorizzato di fare.

II sunominato Governatore Inglese di Labuan ebbe più volte a dirmi che egli aveva ragione di credere il Torey un intrigante avventuriero, e che mai avesse avuto incarichi di sorta nè dal Governo Americano, nè dalla Compagnia Commerciale Americana di cui potei persuadermi s'ignorava la esistenza tanto ad Hong-Kong come a Singapore ed a Labuan stesso.

* Il Torey come naturale cerca ora di fare un affare; ben felice se per cederei i suoi diritti sui territori avuti con incredibile facilità dal Sultano di Bruni, riuscirà ad intascare i denari che egli avrebbe dovuto anzitutto sborsare al credulo Sultano di Bruni.

Comunque è mia opinione che questo non costituirà mai per noi un ostacolo alle ulteriori trattative che si avesse la intenzione d'intavolare col Sultano di Bruni; ed a peggio andare con ben poco denaro si riuscirebbe facilmente a soddisfare il Torey ed a farlo tacere.

L'avere il Torey ottenuto di far vidimare la sua protesta dal Console Americano in Hong-Kong e fattone conservare copia negli Archivi di quel Consolato, non è un fatto che abbia neppure grande importanza * (1), giacchè quando il Sultano di Bruni intimasse al Torey di sodisfare ai suoi impegni entro un determinato periodo di tempo, trascorso il quale egli riterrebbe come nullo e non avvenuto il contratto passatosi fra di loro, il Torey, che so certo non avere nessun appoggio, non potrebbe più in nessun modo impedire al Sultano di Bruni di disporre dei suoi territori con chi meglio gli aggradirebbe; soltanto ci incontrerebbe sempre l'obbligo di prendere in tal caso accordi col Governo Inglese.

Ora a rompere ogni trattativa col Torey il Sultano di Bruni sarebbe assai disposto, purchè fosse sicuro che il Governo Italiano sarebbe deciso a venire seco lui a definitivi e stabili accordi, relativamente ad occupazione di parte dei suoi territori. In simile caso, come non omisi di farne cenno a tempo debito, rimarrebbero tuttavia a prendersi accordi colla Compagnia che si assunse il lavoro delle miniere del carbone sulla costa N.O. di Borneo, accordi però che secondo informazioni da me desunte sin dal 1870, tanto a Labuan che a Singapore, facilmente si stabilirebbero.

Ecco quanto, Signor Ministro, io posso risponderle a proposito del contenuto del suo pregiato foglio confidenziale N. 15485/33 politico in data 26 scorso maggio.

(1 l II brano fra asterischi è edito in S. ANGELINI, art. cit., p. 547.

(l) -Il brano fra asterischi è edito in S. ANGELINI, art. cit., pp. 546-547. (2) -Il brano fra asterischi è edito in S. ANGELINI, art. cit., p. 547.
543

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. 117. Roma, 3 giugno 1872.

Mi è pervenuta un'istanza del Reverendo D. A. Kabis Procuratore del Vicariato Apostolico dei Copti cattolici in Egitto, nella quale è esposto:

Che le Chiese del Vicariato, per essere state servite da missionari latini, unitamente ai sacerdoti indigeni copti, hanno goduto in altri tempi la protezione della Repubblica Veneta, sostituita poscia da quella dell'Austria;

che le Chiese stesse essendosi ora moltiplicate, parecchie di esse sono tenute esclusivamente dal clero copto senza alcuna ingerenza dei P. P. Missionari;

che il Vicariato avendo chiesto all'Austria di estendere la sua protezione anche a queste ultime Chiese, il Consolato austro-ungherese in Egitto dichiarò che la protezione del suo governo era accordata unicamente, ed in via indiretta, per riguardo ai missionari latini addetti ad alcune Chiese copte, e non poteva per conseguenza applicarsi colà donde l'elemento latino è escluso.

Il Padre Kabis chiude la sua istanza invocando la protezione del Governo italiano sulle Chiese copte di cui si tratta, ed esprime la speranza che tale protezione abbia poscia ad estendersi su quelle che verranno in seguito abbandonate dai P. P. Missionari o che saranno innalzate in avvenire.

Ho comunicato l'istanza del Padre Kabis al R. Console Generale in Egitto, per ottenere da lui le occorrenti notizie sulle condizioni attuali del clero e delle Chiese copte. Nello stesso tempo, credo utile di porre la S. V. al fatto delle circostanze suesposte, acciocchè Ella abbia campo di farmi conoscere il suo modo di vedere sulla quistione implicata nella domanda in discorso.

544

IL CONSOLE GENERALE A SERAJEVO, DURIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4286. Serajevo, 4 giugno 1872, ore 22 (per. ore 16,50 del 5).

Je crois de mon devoir de prévenir V. E. que l'Erzegovine cesse de faire partie du Vilajet de Bosnie.

545

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 302. Londra, 4 giugno 1872 (per. L' 8).

Mi pregio di accusarle ricevuta del dispaccio in data 22 maggio prossimo passato, n. 135, Serie Politica (1), relativo all'azione dal Governo del Re eserci

tata a tutela della vita e della proprietà degli Ebrei nei Principati Danubiani. Ringraziandola di questa comunièazione, mi reco a dovere di assicurarla che uniformerò le spiegazioni che mi occorresse di fornire a questo Governo, alle istruzioni nel prelodato dispaccio contenute.

(l) Cfr. n. 527.

546

IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI. VISCONTI VENOSTA

R. 125. Washington, 5 giugno 1872 (per. il 22).

Credo mio dovere di ragguagliare l'E. V. che questa Camera dei Rappresentanti in una delle ultime sedute prese in considerazione ed approvò senza discussione la seguente mozione proposta dal Signor Cox:

• Risolto di richiedere rispettosamente il Presidente degli Stati Uniti di unirsi al Governo d'Italia nel protestare contro li trattamenti intolleranti e crudeli inflitti agli Israeliti nella Romania •.

Nè credo il Governo si rifiuterà d'agire in conformità del desiderio espresso dalla Camera.

547

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Parigi, 5 giugno 1872.

Eccovi i ràgguagli che m'avete chiesto e che ho potuto procurarmi. Altre

informazioni più speciali relative al Conte K. mi furono promesse, e ve le

manderò appena le avrò.

Monseigneur De la Tour d'Auvergne, arcivescovo di Bourges m'ha doman

dato una raccomandazione per le vostre dogane. Egli deve recarsi a Roma fra 5 o

6 giorni. Ignoro lo scopo del suo viaggio. Ma ve lo segnalo per ogni buon fine.

Nè il Signor Thiers nè il Signor de Remusat furono offuscati del viaggio del

Principe Umberto. Non mi fu mostrato il menomo segno di cattivo umore.

Anche la stampa tiene a questi riguardi un linguaggio più moderat9 di quanto

m'aspettava. Pel caso in cui voi e qualche altro ministro, vi decideste a venire

a visitare l'esposizione di Lione, vi prego d'avvertirmene in tempo. Il Signor

Thiers non ha finora rinunciato ad andarvi, ma non s'è ancora deciso a fissare

l'epoca di questa corsa, se la farà.

Non mi si parlò finora, nè dal Signor Thiers, nè dal Signor de Remusat, nè

da altre persone ufficiali dell'incidente Hennessy.

Nella previsione che il Signor de Remusat mi parli dell'eventualità della vacanza della Sede Pontificia, sarebbe utile che io avessi una lista dei cardinali papabili, e fra questi di quelli che si presumono.. più concilianti. Se potete far compilare questa lista e mandarmela, essa mi servirà d'argomento e di base per indagare il modo di vedere eventuale del Governo francese sopra un fatto che può sopraggiungere all'improvviso.

548

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Vienna, 3-5 giugno 1872.

Sebbene non abbia notizie d'importanza a scrivervi, pur non voglio lasciar partir il Marchese Torregiani che fa ritorno a Firenze senza valermi di tal buona occasione per porgervi alcune piccole informazioni particolari, necessario complemento al mio carteggio ufficiale.

Il viaggio dei Reali Principi a Berlino ha fatto qui molta impressione, i miei colleghi non cessano dal farmi questioni suggestive, e la stampa se ne occupa non poco. Il sentimento che domina qui a riguardo delle nostre marcatamente buone relazioni colla Germania, continua come di ragione ad esser quello dell'inquietudine, poichè si teme accordi ai quali non solo l'Austria rimarrebbe estranea, ma di cui potrebbe finir per pagar le spese. Il giornalismo liberale vorrebbe veder fatti che provassero che l'Austria pure è su di un egual piede di buon'amicizia coll'Italia, ma simili fatti non si producono, ed anzi circostanze estranee alla politica non li rendono possibili per ora. Il Conte Andrassy dicevami pochi giorni fa, essere spiacevole che la morte dell'Arciduchessa Sofia abbia posto ostacolo a che i nostri Principi al loro ritorno da Berlino visitassero Vienna, volendo così !asciarmi capire che se non fosse stato di tal luttuoso avvenimento, l'Imperatore avrebbe rivolto Loro un invito in proposito. Credetti dover pigliar ciò come una frase e nulla più, e tagliai corto, poichè son ben persuaso ch'egli non parlava per incarico avutone. D'altronde poi non m'avrebbe niente affatto piaciuto un siffatto invito. È mio avviso che i nostri Principi dovranno soltanto venir a Vienna, allorchè l'opinione pubblica qui, avrà fatto abbastanza altamente sentir i suoi desideri da farsi sicuri che essi vi saranno accolti come devono esserlo. Il giorno in cui il Conte Andrassy avrà il convincimento che neppur per l'Esposizione il Principe Umberto non verrà senza che gli venga fatto uno speciale invito direttamente dalla Corte, egli saprà vincere la resistenza della famiglia Imperiale, e l'invito si farà. Ove non agissimo cosi, e mostrassimo che ci contentiamo dell'invito circolare che sarà per esser diretto a tutte le Corti, io non rispondo affatto del ricevimento che il Principe avrebbe qui, ed anzi son persuaso che gli sgarbi non gli mancherebbero, tanto per parte del maggior numero dei membri della famiglia

Imperiale, quanto per parte dell'alta Società di Vienna. Chiedo venia se insisto su questo argomento, ma ritengo adempir in ciò un preciso dover mio, e ben posso accertarvi che non m'inganno nei miei apprezzamenti.

Vi telegrafai sembrarmi conveniente i nostri Principi toccando il territorio Austriaco chiedessero notizie dell'Arciduchessa Sofia a chi presentavasi a loro per complimentarli a nome dell'Imperatore. Non sembravami indispensabile il Re facesse lui stesso un atto di special cortesia in quella circostanza, ma poichè volle farlo, indirizzandomi il telegramma col quale esprimendo il suo cordoglio ordinavami di mandargli notizie, non ne fui spiacente, poichè parvemi ciò atto generoso e ben degno del nobil carattere del Re. Dopo un tal primo passo, devo confessar che ritenevo indispensabile tosto dopo il decesso dell'Arciduchessa, che S. M. o per mezzo mio, o del Conte Wimpfen, o direttamente all'Imperatore avesse telegraficamente espresso le sue condoglianze, mi sono astenuto dal suggerirlo per rispettosa convenienza, voglio però sperar che qualche cosa si sia fatto.

A proposito della morte dell'Arciduchessa, assicurasi che l'Imperatore sotto l'impressione del grave dolore accenni a tendenze viè maggiormente clericali, si afferma anche la Madre al letto di morte aver richiesto dal figlio e dal nipotino formali impegni a riguardo dei Gesuiti e in altre questioni anche. Difficile è saper qualche cosa di preciso su tutto ciò, e per conto mio non so darci grande importanza; è possibile che pel momento le idee religiose abbiano il predominio nell'animo del Sovrano, ma gli interessi veri del Paese non tarderanno però a prevalere almeno nei suoi atti. Tanto più che gli affari qui vanno poco bene, la discordia è ovunque, e la fede nell'avvenire in nessuno! Più che mai ritengo che se le buone relazioni coll'Austria possono esserci vantaggiose, il suo mal volere però venendosi a verificare, non ci potrebbe esser pericoloso. D'altronde poi pochissimi sono quelli in questo paese che non sentano, che l'Austria ha infinitamente più bisogno della nostra amicizia, che non noi della sua. Intanto il Conte Andrassy, travasi colla morte dell'Arciduchessa sbarazzato dalla più potente influenza a lui contraria che esistesse a Corte, e se procederà con cautela ed accortezza com'ebbe a far sino ad oggi, la sua posizione si rafforzerà ancora, del che dovremmo esser lieti poichè egli ci è sinceramente amico.

In un mio rapporto ufficiale di jer l'altro (l) vi riferivo una mia conversazione col Conte Andrassy relativa alla questione del Laurium, ed adempivo scrupolosamente all'incarico assuntomi di riferirvi ciò che il Conte mi aveva detto in proposito.

Stando le cose come vi scrissi parrebbe che la questione abbia fatto un passo, e vi sii una possibilità di trovarvi una soluzione qui; non posso però nascondervi che la mia impressione si è che la risoluzione di tal intricata questione non bisogna aspettarsela a Vienna. Il Marchese di Banneville cominciò col pregiudicar le trattative col noto equivoco che dettagliatamente vi spiegai. Il Go

verno Greco mostrassi poco disposto ad accettar l'intromissione del Gabinetto Austriaco, ritardando soverchiamente a dar istruzioni al Principe Ypsilanti, e dandole finalmente, il fece in modo così evasivo, che l'Inviato Greco pur volendo mostrar il suo personal buon volere, avanzò e ritirò parole, fece frasi, insomma finì per imbrogliar la questione in modo che il Conte Andrassy che la studiò solo molto superficialmente crede ora di averne trovato il bandolo, mentre forse non fu mai così lontano dall'averlo nelle mani. Di ciò dovetti persuadermi dopo un colloquio che io ebbi col Principe Ypsilanti venuto appositamente a trovarmi per spiegarmi ciò che aveva detto al Conte Andrassy, per rettificare ciò che riteneva mi fosse stato da lui detto. Insomma non è possibile veder un affare plus mal emmanché. Comincio a credere che in fondo non sarebbe dispiaciuto al Conte Andrassy l'adempier la parte di paciere in questo negozio, ma non voleva assumerne l'incarico senza esser ben certo di riuscire. Forse egli crede oggi di esser a buon punto, ma è mio avviso si sbagli, salvo che il Gabinetto di Atene muti sentimento e sii proprio disposto a finirla; dando allora istruzioni concilianti e ben precise al suo rappresentante qui, forse si riuscirebbe a dilucidare i passati equivoci, ed essenzialmente ad evitarne dei nuovi. Per conto mio ho la coscienza di essermi mantenuto a cavallo della questione, e di avervi sempre riferito con scrupolosa esattezza tutto ciò che mi veniva detto, tenendomi lontano dagli equivoci non prendendo cioè lucciole per lanterne.

Si segue qui l'andamento degli affari in Spagna con molta attenzione, e devo anche dire con nessuna simpatia pel Re Amedeo tanto nei circoli di Corte come in quelli dell'Aristocrazia, anzi devo dire con special malvolere la cui origine deve essenzialmente ripetersi dall'esser egli Principe di Casa Savoia! Le simpatie qui sono pel Principe delle Asturie attualmente in educazione all'Istituto Teresiano di questa città. L'impresa di Don Carlo, fu tenuta fin dal primo momento anche a Corte come una pazzia, e Io stesso ex Duca di Modena credette dover esprimere simil apprezzamento sugli atti del suo nipote al Conte Andrassy, negando recisamente d'aver guarentito l'imprestito ciò che invece fu fatto a quanto si assicura dal Conte di Chambord. Intanto il Duca di Montpensier che si trova qui presso la sorella Duchessa di Coburgo mostra con affettazione di essersi rallié alla causa del nipote, visitando quasi giornalmente Don Alfonso. Non ho d'uopo di dirvi che in ordine agli affari di Spagna mi tengo in una prudente riserva sempre, non nascondendo certamente le nostre troppo naturali simpatie per la persona del Re, ma evitando di dimostrar soverchio interesse per cose che non ci riguardano direttamente. Devo però aggiungere che nessuno mai alla mia presenza disse cosa in proposito che non mi sarebbe stato piacevole il sentire. Il povero Ministro di Spagna non ne può dir altrettanto, a quanto riferivami uno degli scorsi giorni.

Pel momento null'altro ho da riferirvi che possa interessarvi...

5 giugno 1872.

P. S. -Il Marchese Torrigiani differì la sua partenza, e quindi avendo voluto affidar questa lettera ad altra persona sicura, ne dovetti ritardar alquanto la spedizione.

40 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

(l) Non pubblicato.

549

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 274. Pietroburgo, R giugno 1872 (per. il 15).

Mi recai quest'oggi dal Generale Timascheff, Ministro dell'Interno, per conferire con lui relativamente alla firma della Convenzione Postale fra l'Italia e la Russia ed egli approfittò della circostanza per domandarmi se avessi osservato nei giornali l'annuncio di certi negoziati intavolati fra l'Italia, la Francia e l'Austria, concernenti il candidato pel Papato in previsione della morte del Santo Padre.

Il Ministro insistette sull'interesse comune delle Potenze alla scelta di un candidato à idées larges, e congiunse la sua opinione con quella da me espressa che tal modo di vedere si accordava colla politica russa in Polonia.

Non facendo mistero di trattative fra il Governo e l'emigrazione polacca, egli mi disse che dappoichè l'esito della guerra fra la Germania e la Francia aveva annientate le aspirazioni nazionali polacche, l'emigrazione polacca si mostrava più docile e ch'egli riceveva ogni giorno domande di emigrati desiderosi di far ritorno in patria, ma che l'ostacolo principale agli sforzi concilianti del Governo russo stava nel giungere a distaccare nella Polonia stessa come a Roma (ave influivano certi emigrati polacchi) l'idea religiosa dall'idea politica.

Il Ministro soggiunse che il Governo russo aveva indicato la sua intenzione di sostenere tal principio quando propose a Roma un Vescovo tedesco fra quelli che furono recentemente nominati in Polonia.

550

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(AVV)

Roma, 9 giugno 1872.

L. P.

Poichè il viaggio del Presidente della Repubblica a Lione non è ancora deciso, ho il tempo per scambiare con voi qualche idea intorno al progetto del quale mi avete scritto.

Io considero come soddisfacente per noi il risultato morale ottenuto col viaggio del Principe Umberto a Berlino, considerandolo nell'insieme della nostra situazione politica. L'impressione prodotta da questo viaggio non poteva certo

essere gradevole in Francia, ma esso ci è utile a Vienna e a Pietroburgo. A Vienna soprattutto esso viene in appoggio alla politica del Conte Andrassy contro le influenze clericali e della Corte e ci gioverà per evitarci delle molestie diplomatiche nelle questioni che ancora ci rimangono da affrontare, come quella delle corporazioni monastiche e della mano morta a Roma. Ora delle molestie di questo genere ci creerebbero senza dubbio delle grosse difficoltà parlamentari. Lo stato delle nostre relazioni con Berlino sarà pel Gabinetto di Vienna una ragione perentoria per porre un grande interesse alle relazioni amichevoli coll'Italia, procedere verso di noi coi maggiori riguardi e per declinare d'associarsi a qualche azione diplomatica alla quale, per avventura, il Governo francese potrebbe pensare se trovasse per compagna una grande potenza cattolica. In Francia stessa l'impressione prodotta dal viaggio del Principe Umberto fu forse meno cattiva di quello che poteva aspettarsi. Il Governo del Signor Thiers è parmi, persuaso, che questo viaggio non ha un significato e non avrà dei risultati ostili alla Francia. La stampa ha tenuto un linguaggio più temperato di quello che poteva credersi, se non fosse stato un infelice articolo del Bien public che

qui produsse una assai cattiva impressione.

Se fosse stato possibile togliere ogni ambiguità ai rapporti della politica

francese verso l'Italia e trovare in essi delle esplicite guarentigie per l'avve

nire, non ci sarebbe stato nulla di meglio e noi avremmo inteso innanzi tutto a

ottenere questo risultato. Ma ciò non è, almeno per ora, concesso dalla forza delle

cose e daHe condiZJioni attuali della Francia e del suo Governo. E ciò essendo,

credo che valga meglio al prestigio dell'Italia l'affermare una politica che,

senza essere ostile alla Francia e serbando impregiudicato l'avvenire, mostra di

aver procurato, occorrendo, una solida base alla nostra situazione internazionale,

che lo impiegare ogni nostra politica estera esclusivamente in una serie di pic

cole concessioni quasi sempre ignorate e presto dimenticate.

Il viaggio del Principe Umberto mi sembra dunque che abbia avuto per

noi più vantaggi che inconvenienti.

Ora il Signor di Remusat vi diceva che, per attenuare l'impressione sfavo

revole che il viaggio del Principe poteva produrre sulla opinione francese,

sarebbe stato utile che il Governo italiano cogliesse qualche occasione per fare

una pubblica manifestazione dei nostri buoni rapporti e dei nostri sentimenti

amichevoli verso la Francia. Parve, a questo proposito, che una occasione potesse

essere offerta da un imminente viaggio del Signor Thiers a Lione per visitarvi

l'esposizione industriale.

Per parte mia e dei miei colleghi posso dirvi che noi ci associamo in prin

cipio all'idea di qualche atto che attesti le buone relazioni dei due governi; un

tale pensiero non può sollevare da parte nostra alcuna abbiezione e anzi risponde

ai nostri desiderii.

Ma perchè simili atti possano dare i risultati che si desiderano è necessario

anzi tutto che l'occasione si presenti opportuna e spontanea, che essa non appaia

cercata e sforzata e che le disposizioni dello spirito pubblico, da una parte e

dall'altra, favoriscano e coadiuvino le intenzioni del Governi.

Sotto questo punto di vista, vi confesso che preferirei che avessimo un maggior tempo dinnanzi a noi, preferirei condurre più spontanea che non appaia l'esposizione di Lione, un'altra occasione in modo soprattutto che la manifestazione amichevole verso la Francia non sembri e non pigli l'aspetto quasi di un rimedio o di un'ammenda onorevole al viaggio del Principe a Berlino. Preferirei che le due cose apparissero separate. Altrimenti si corre il pericolo di compromettere i vantaggi ottenuti da una parte senza poi ottenere un compenso equivalente dall'altra, cosa che avviene di solito quando non si è disposti a prendere un atto politico, almeno per il momento, qual'è colla sua somma d'utili e di inconvenienti. Se si stabilisse una correlazione immediata fra i due fatti temerei un po' che avessimo l'aria di correre da un lato a rimediare quanto abbiamo fatto dall'altro, e di accendere, come volgarmente si dice, una candela al diavolo e l'altra a S. Antonio. L'opinione pubblica è sempre sensibile a questa sorta di apparenze e se essa non ci assecondasse, come certamente ci asseconderebbe in condizioni migliori, la manifestazione avverrebbe un poco, a così esprimermi, nel vuoto e il suo utile ne sarebbe compromesso. Inoltre, è noto che nè il Governo, nè il pubblico francese si troverebbero ora in grado di fare qualche cosa che corrispondesse alla spontaneità e alle manifestazioni simpatiche di quanto avvenne a Berlino e temo anche un po' pel buon successo della cosa, l'effetto di un confronto necessario, ma troppo immediato e vicino.

Non faccio che esporvi degli scrupoli che voi apprezzerete. Mi avete telegrafato che il viaggio del Signor Thiers a Lione non è ancora deciso. Gli scrupoli che vi ho esposti mi inducono a credere che non sia il caso di esercitare noi stessi un'azione diretta o indiretta per determinarlo a questo viaggio, qualora egli non ci si determinasse altrimenti. Per noi, oggi, sarebbe piuttosto un imbarazzo che un'occasione propizia. D'altronde parmi, da quanto dicono i giornali, che l'esposizione di Lione non sia molto riuscita e che, quindi, non costituisca un fatto industriale abbastanza importante perchè, destando un interesse al di fuori spieghi naturalmente un concorso ufficiale da parte d'altri Governi. Noi non abbiamo punto modificata la nostra intenzione di seguire rispetto alla Francia una politica di riguardi, e di relazioni amichevoli. Rassicurare l'Italia circa i suoi rapporti futuri colla Francia mediante delle prove dirette di reciproco buon volere da parte dei due Governi e delle due nazioni, è sempre lo scopo al quale intenderei di preferenza. Ma appunto in questo interesse che mi sta grandemente a cuore, amerei meglio aspettare dal tempo una occasione più favorevole che permetta tanto al Governo italiano quanto al francese di dare a una manifestazione amichevole un significato più franco ed esplicito. Ma il Signor Thiers potrebbe decidersi a recarsi a Lione per ragioni proprie e, in

questo caso, bisognerebbe fare qualche cosa. Voi mi parlate di un viaggio a Lione di alcuni Ministri politici. A questo progetto comincia ad esservi una difficoltà materiale. Il Parlamento è aperto e discute i bilanci, i due bilanci del Ministero delle Finanze verranno gli ultimi. Poi la discussione dei bilanci ricomincierà al Senato. Mi pare dunque difficile

che per un mese ancora ci sia dato di poterei allontanare da Roma. Inoltre l'invio, in questo caso, di Ministri politici, del Ministro, per esempio, degli Affari Esteri, non mi sembra conforme alla circostanza di cui si tratta.

Al viaggio del Principe a Berlino noi abbiamo conservato rigorosamente il carattere d'uno scambio di cortesie personali fra le due Corti. Nessun uomo politico accompagnò il Principe Umberto e lo stesso Signor di Bismarck non si mosse da Varzin per rE;!carsi a Berlino. Tutto compreso, mi parrebbe più naturale in questo caso che il Re, saputo che il Presidente della Repubblica si reca a Lione gli mandasse il suo primo Aiutante di Campo per recargli il Collare dell'Annunziata.

Vogliate dirmi il vostro avviso in proposito e anche, se lo credete necessario, per telegrafo.

P. S. -Insisterò ancora presso Sella per l'affare del Palazzo della Legazione e vi scriverò.

1

Lo stato di salute del Papa è una continua altalena di bene e di male. L'età, gli acciacchi del suo fisico possono determinarne la fine in poche ore, quando anche apparentemente non siavi ragione a temerla prossima. Il medico, il frate assistente lo guardano attentamente in ispecie nei giorni che travasi urtato di nervi o per eccesso di rabbia o per mutamento di temperatura. Tutto considerato, sarà difficile che superi il futuro inverno perche, [è] in codesta stagione che è più sofferente. Ciò che lo sostiene sopratutto si è la noncuranza sull'attualità delle cose; per altro v'ha momenti in cui il pensiero della morte lo impressiona alquanto e allora ricorre ai purgativi. In Vaticano lo si circonda di cure perchè dalla prolungata esistenza di lui dipendono le speranze di restaurazione negli uni e l'interesse materiale quotidiano negli altri. Considerata la sua disposizione ai deliquii, ogni lieve indisposizione è cagione d'a:Uarme che s'ingigantisce per esagerate relazioni. Breve: il suo stato di salute è oggi quel ch'era un anno o due fa. Ieri era di cattivo umore, giallastro, irrequieto, indisposto, oggi per contrario è allegro, lepido, pieno di vita. Il suo vitto è parco e sano, si mette molta cura a custodirlo dalle impressioni dell'aria per evitare attacchi di catarro, che, a detta del medico, potrebbe anche produrre una soffocazione.

11

Esiste la BoHa del Conclave, anzi ve ne hanno due, date nel 1870. Una poco innanzi all'apertura del Concilio, quando si paventò che il Papa potesse finir da un giorno all'altro, sia per le fatiche delle Conferenze preparatorie del Concilio, sia pei rigori dell'inverno che s'avanzava, sia perchè la superstizione del non videbit annos Petri preoccupava gli animi. Si volle con essa ovviare alle pretese, che durante il Concilio, avessero potuto affacciarsi sulla vacanza della chiesa raccolta nei Vescovi dell'orbe cattolico. Ond'è che la detta Bolla esclude l'episcopato dalla elezione del Papa se questi muoia durante il ConcHio, anzi dichiara che la morte del Papa è tal fatto che de jure sospende il Concilio e quindi i Vescovi sarebbero licenziati durante i novendiali.

L'Altra Bolla fu redatta quando, caduto il Governo temporale, nella perplessità se il Papa dovesse o no abbandonare Roma, si volle provvedere alla vacanza potendo questa verificarsi in circostanze difficili e gravi.

Prima dell'estensione di detta Bolla furono chiamati in consiglio segreto i Cardinali più partigiani del dominio temporale e posta la questione della vacanza e della nuova elezione fu risoluta all'unanimità con questa disposizione inserta quindi nella Bolla che «Avvenendo la sede vacante in tempi borrascosi il Conclave debba riunirsi senza le forme richieste dalle costituzioni apostoliche, e dove si richieda l'urgenza per l'elezione non si facciano i novendiali, ma spirato appena il Papa, i Cardinali presenti in Curia nominino presente cadavere il successore o per acclamazione o con un solo scrutinio».

Unitamente a questa Bolla che conservasi segnata dal Gran Cancelliere con protocollo al Segretario dei Brevi, vi ha con voto speciale di Pio IX designato il suo successore, ma è un semplice voto, il quale per avverarsi avrebbe mestieri del pieno consenso dei Cardinali liberamente espresso, vietando più Bolle apostoliche qualunque pressione sulla elezione. I nomi che si ritiene siano indicati in quel voto son: Pane bianco, Patrizi, Clarelli.

ALLEGATO Il.

NOTE A CONSULTER

Quel est l'endroit ou doit se réunir le Conclave?

De règle générale, le C'onclave doit etre convoqué et se réunir dans le palais

où est mort le Pape auquel on doit élire un successeur.

Telle est la loi établie au ConcHe général de Lyon par Grégoire X. En effet,

ce Pape étant mort en Janvier 1276 à Arezzo au palais épiscopal de cette ville,

c'est dans ce palais que fut élu Innocent V son successeur.

Après la mort de Nicolas V en 1455 on commença à tenir les conclaves dans

le palais du Vatican et cette tradition fut suivie jusqu'au sièele actuel à l'exception

seulement de l'élection de Pie VII faite à Venise en 1800. Ainsi, pendant les trois

siècles qui ont formé la période la plus brillante de la Papauté meme en ce qui

regarde le gouvernement temporel, les Conclaves ont toujours été tenus au Vatican.

Moroni, à l'artide conclave de son dictionnaire (vol. XV. p. 295 de l'édition de

Venise) dit textuellement:

• Bien que les C'ardinaux puissent choisir dans Rome pour se réunir en conclave tout autre endroit qui leur pariìt convenable, toutefois, jugeant préférable le palais du Vatican, habité par les Papes, et dans lequel beaucoup d'entre eux sont morts, ils se sont servis de ce palais, surtout par suite de ses grandes dtmentions et aussi pour sa contiguité à la basilique de St. Pierre, où le Pape nouveau reçoit la troisième adoration et où il est sacré et couronné.

Le Conclave occupait tout le premier étage du palais et comprenait toute la partie de l'édifice qui de la loge dite de la bénédiction ou portique supérieur de l'église et des deux grands escaliers (scala regia e ducale) s'étendait jusqu'aux salles dites dei paramenti et des congrégations. Les scrutins avaient lieu dans la Chapelle Sixtine et on érigeait dans la Chapelle Pauline six autels où l'on disait la messe .... Les cellules étaient en bois, larges 15 palmi et longues 18 avec une hauteur proportionnée.... etc. •.

Ce n'est qu'en 1823 qu'on commença à tenir des Conclaves au Quirinal. La raison qu'en donne Moroni est que l'on avait cru remarquer que le plus souvent c'était en été que l'éventualité de cette réunion se présentait et que le Quirinal était plus aéré que le Vatican, quoique ce palais soit, mème en été aussi sain que l'autre.

On crut aussi qu'il y aurait moins de dépenses à faire et qu'on aurait évité d'ériger des cellules en bois, car le •long corridor qui va de la piace vers la Porta Pia permettait d'y établir des appartements tout préparés pour les Cardinaux. En effet, on sait que plusieurs fois il a été question de batir expressément dans le Vatican de petits appartements pour le conclave. On assume que le Bernini avait conçu le projet d'élever au dessus de la grande colonnade qui entoure la place de St. Pierre des appartements pour ·le Conclave. La canonica et le seminario di S. Pietro, deux grands édifices qui, bien qu'ils ne soient pas compris dans l'enceinte du Vatican, s'élèvent tout près de l'Eglise de St. Pierre et du palais, pourraient servir au besoin pour les appartements des Cardinaux et pour éviter la construction des cellules en bois.

'D'autres édifices à Rome, dans l'hypothèse qu'on ne veuille pas se servir du Vatican, pourraient aussi ètre consacrés au conclave. Tel serait le palais de Latran près de la basilique de St. Jean, qui est aussi compris dans les édifices réservés au Pape. C:ependant, nous croyons que la force des choses et le désir d'éviter au nouveau Pape la nécessité de traverser publiquement la ville avec son cortège pour se rendre au Vatican, doit faire préférer ce dernier palais pour le siège du Conclave. Le Vatican contient 20 cours, 208 escaliers grands et petits, 4422 chambres, en dehors des terrasses et galéries. La surface est de 1151 pieds sur 767, etc.

Quoiqu'il en soit, il suffit de constater que pendant quatre siècles environ, les conclaves ont été tenus au Vatican, qui n'a jamais paru trop petit pour cette solennité. Quatre Conclaves seulement ont été tenus au Quirinal, ceux de Pie VIII, de Léon XII, de Grégoire XVI et du Pape actuel Pie IX, qui d'ailleurs à partir de 1848 n'a plus habité à Rome que le Vatican.

On trouve des descriptions détaillées des conclaves tenus au Vatican dans Moroni (l. cit.) dans Labilla (Nuova ed esatta pianta del conclave Vaticano con le funzioni e cerimonie per la elezione del Pont. Papa Olemente XIV, etc. dans les mémoires de Cancellieri (Notizie storiche delle stazioni e dei siti diversi in cui sono stati tenuti i conclavi nella città di Roma. Roma 1823).

Nous empruntons à un livre imprimé à Cologne en 1703 et ayant pour titre:

• Histoire des conclaves depuis Clément V jusqu'à présent •, des renseignements curieux sur les préparatifs qu'on faisait au Vatican pour le Conclave. Nous donnons aussi un fac-simile du plan du conclave tel qu'il se trouve à la première page de ce livre et un plan des édifices composant l'immense quartier ou assemblage de palais comprenant le Vatican, l'église de St. Pierre, la Canonica, et le seminaire de St. Pierre.

Il dépend des Cardinaux de concerter après la mort du Pape, en quel endroit ils se renfermeront et le conclave n'est attaché à aucun lieu particulier. Néanmoins, depuis quelque temps, le palais de St. Pierre qu'on appelle autrement le Vatican sert à cela (V. le plan du Conclave) et c'est en effet le lieu le plus commode à cause de sa grandeur et de sa majesté, de la facilité à le garder, de l'abondance des eaux et de ses grandes cours et galeries, de la grande piace qui est devant et enfin pour la commodité de l'adoration du Pape, qui se fait à St. Pierre. Outre que les funérailles du Pape se faisant dans cette église, il est beaucoup plus aisé aux Cardinaux de passer en procession de l'église au Vatican. Ainsi Ies Cardinaux ne mettent plus en délibération, que par formalité en quel lieu on tiendra le conclave. On batit dans les appartements du Vatican autant de petites chambres ou cellules qu'il y a de Cardinaux, qui les tirent au sort, chacune étant marquée de son numéro, ce qui fait que bien souvent deux Cardinaux de faction contraire sont l'un proche de l'autre. Les cellules se font d'as de sapin, durant les neuf jours destinés aux obsèques du Pape défunt, pendant lequel chacun peut aller voir leur structure et leur situation. La disposition du lieu où se tient le conclave est assez curieuse. Il occupe une partie du Vatican et commençant depuis la loge où l'on donne la bénédiction, qui est au milieu de la face du portai! de St. Pierre, continue en tournant sur la main gauche (v.la fig.). Toutes les chambres sont sur une meme ligne et à un meme étage, ainsi que les constitutions apostoliques l'ordonnent. Il a plusieurs salles et plusieurs corridors. Ces salles sont si vastes et les chambres si étroites, qu'une seule salle contiendra quelquefois six chambres pour les Cardinaux et autant pour les conclavistes. On ne laisse quelqu'une entre deux pour faire du feu, parce que celles des Cardinaux n'ont point des cheminées. Si c'est en été, elles ont vue sur la Cour et sur le jardin du Vatican. En hiver, toutes les fenetres en sont murées, à la réserve du panneau d'en haut, ce qui les rend obscures. Elles sont meublées modestement d'une serge verte et chaque Cardinal fait mettre ses armes sur la porte.

Les Cardinaux promus par le Pape défunt ont des habits d'un violet enfoncé et font couvrir les cellules d'une étoffe de la meme couleur. Les officiers du conclave font serment de n'en pas revéler les secrets etc.

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 3912. Roma, 11 giugno 1872.

V. E. avrà senza meno rilevato dai fogli pubblici la descrizione della solenne inaugurazione compiutasi il 4 corrente mese a Magenta del monumento destinato a raccogliere e conservare i resti mortali dei caduti nella memoranda battaglia colà combattuta il 4 Giugno 1859.

Assistevano a tale funzione, oltre tutte le Autorità civili e militari della Provincia, alcuni Senatori e Deputati e molta ufficialità dell'Esercito, anche tutti i Consoli Esteri colà residenti, nonchè il Colonnello De La Haye dell'Ambasciata Francese, ed una folla immensa.

Senonchè mentre in quella solenne cerimonia gli oratori del Clero, del Governo, dell'Esercito, della stampa e della Cittadinanza avrebbero concordemente ed affettuosamente proclamato la gratitudine dell'Italia per la fraterna e valida cooperazione della Francia, il Console di quella Nazione ed il Colonnello De La Haye sarebbero rimasti impassibilmente silenziosi.

Siffatto contegno dei Rappresentanti Francesi in mezzo alla commozione generale per quella funzione, rispettata sin'anco dalla stampa la più scapigliata, avrebbe, a quanto mi si assicura, destato in tutti gli astanti un profondo senso di stupore, e vuolsi ne rimanesse sorpreso e confuso anche il Console d'Austria, dal momento che si sarebbe astenuto di leggere il discorso che, dicesi, tenesse all'uopo in pronto.

Inoltre ora se ne parlerebbe a Milano soprattutto, non esclusi i luoghi di pubblico ritrovo, ed in generale il silenzio francese, sarebbe poco benevolmente interpretato, e fatto segno di motteggi, di che pare abbia dovuto accorgersi anche il Colonnello De La Haye, il quale per la dimestichezza già incontrata, durante il non breve tempo che dimorò in Milano nel 1859 e 1860, sarebbe stato soggetto nei saloni aristocratici agli epigrammi delle varie Signore alle quali erasi recato a rendere visita.

Tanto ho creduto non inopportuno di partecipare ad ogni buon fine, per notizia alla E. V.

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IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 86. Vienna, 11 giugno 1872 (per. il 14).

Sebbene dal 15 scorso marzo (rapporto n. 64) (l) non abbia più avuto occasione di riferire all'E. V. cosa qualsiasi relativa agli intendimenti del Governo Imperiale e Reale in ordine alla questione dell'Internazionale che l'iniziativa della Spagna aveva fatto oggetto di nuovi studj, non ho però mancato di occuparmene, ma non fui in grado di concretare cosa positiva in proposito, la questione essendo trattata a Vienna ed a Pest in modo indipendente. L'annunzio però dato in questi giorni dai giornali di una prossima riunione a Berlino di rappresentanti dell'Austria-Ungheria e della Germania che avrebbe per l'appunto per iscopo la quistione dell'Internazionale, mi diede propizia occasione di interpellare particolarmente persona del Ministero in posizione da conoscere con certezza gli intendimenti di questo Governo, ed il potei tanto più fare che avendo ricevuto stamane l'incartamento 44 -11 dei documenti diplomatici trasmessimi da codesto Ministero, mi trovavo in grado di parlare sulla quistione nel senso delle vedute del R. Governo. Or bene ecco come stanno le cose.

Rimasti senza seguito i primi tentativi fatti dopo il convegno di Gastein per stabilire uno scambio pratico di idee sul modo di guarantirsi dai conati dell'Internazionale, i Governi di Austria e Germania ripigliarono in considerazione il grave argomento, allorchè trattassi di rispondere alla entratura Spagnuola, e decisero fin d'allora che allorchè sarebbero pronti tutti i materiali che devono servire di base ad una ampia discussione al riguardo, si sarebbe riunita in Berlino una Conferenza fra i Rappresentanti dei due Stati, con mandato larghissimo, inteso però solo a sviscerare la questione, ed al più a proporre modificazioni da fare ai Codici Penali dei due Stati onde l'Internazionale nei suoi affigliati o nei fatti delittuosi da essa commessi venisse colpita dalla legge. La Germania delegò quattro membri a rappresentarla a tale Conferenza, e quattro pure ne delegherà l'Austria-Ungheria dei quali due per la Cisleitania e due pel Regno di Ungheria. Questi ultimi due devono giungere a Vienna al fine della corrente settimana, ed al loro arrivo terranno conferenze preliminari coi due Cisleitani onde mettersi d'accordo sulle comuni idee che dovranno svolgere in seno alle conferenze di Berlino, e quindi sarà soltanto allorchè saranno riusciti ad un

accordo perfetto fra di loro che muoveranno per la Capitale della Germania; locchè, come V. E. ben vede, dà luogo a ritenere che la Conferenza di Berlino ritarderà ancora alquanto a riunirsi. Dalle informazioni da me avute risultami che gli Ungheresi sieno per conto loro disposti ad introdurre nella loro Legislazione disposizioni penali pel solo fatto della affigliazione dell'Internazionale mentre i Cisleitani sembrano poco disposti ad entrare in un ordine di idee che come accentuava le N eue Freie Presse pochi giorni fa, accenna ad un regresso delle idee liberali verso i principj del 1815.

Sarà mia cura tenermi informato delle risultanze della Conferenza preparatoria di Vienna, e di ragguagliarne l'E. V., mentre le informazioni più precise sulla quistione, non mancherà di mandarle il Ministro del Re a Berlino, meglio di me in grado di averle perchè trovantesi sopra luogo.

Credo ancora dovere aggiungere essermi stato assicurato che la Russia la quale un momento aveva accennato a volere intervenire a quella conferenza, finì per dichiarare di astenersene, il pericolo per Lei essendo ancora abbastanza lontano.

(l) Non pubblicato.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 1015. Dresda, 11 giugno 1872 (per. il 17).

Par ma dépeche N. 1011 (1), j'ai transmis à V. E. la traduction d'un article du journal ministériel -Norddeutsche Allgemeine Zeitung -sur la visite de nos Princes. Pour ne laisser subsister dans mon esprit aucun doute sur l'origine entièrement officieuse de cet article, le Secrétaire d'Etat m'a envoyé un numéro de la Correspondance de Berlin, qui en contenait la traduction française. Depuis 1866, il n'a jamais été écrit rien de plus significatif. Les forces militaires de l'Allemagne veillent à la sùreté du territoire germanique. • Elles sont pretes, au besoin, à porter secours aux amis et voisins, qui partagent son zèle et ses soins pour la paix du monde. Le rétablissement des Etats Pontificaux ne serait possible aujourd'hui que par des armes étrangères. Contre un tel danger l'Italie saurait se prémunir. Elle trouverait en Allemagne son allié nature!. Là où les intérets du présent et de l'avenir sont si étroitement liés, il n'est besoin d'aucun traité. Les sympathies des peuples, la communauté des intérets bien compris, uniront les deux Etats plus fortement que ne pourraient le faire les traités ».

D'autres organes de la presse officieuse, notamment la Correspondance Pro

vinciale, ont également parlé des relations d'intimité et de confiance qui existent

entre les deux nations. La presse libérale ne pouvait que faire écho. La Ger

mania, porte-voix du parti catholique (fraction du centre), s'est tue jusqu'ici:

dans tous les cas, il lui serait malaisé de piacer un mot de critique quelconque

sur le Prince Humbert et la Princesse Marguerite. Ils ont assisté l'un et l'autre,

le jour de la Fete-Dieu et le Dimanche suivant, à la Messe dans l'Eglise Parois

siale de S.te Hedwige, et lui ont remis un don de 1.000 francs. La Princesse

Marguerite a visité en détail, et en adressant une parole gracieuse et consolante à bon nombre de malades, l'Hòpital catholique et deux autres établissements de bienfaisance, placés sous le patronage de l'Impératrice et de la Reine Douairière. Une aumòne de 800 francs a été laissée à chacun de ces établissements, et en outre S.A.R. a souscrit pour 400 francs au Grand Hòpital de Bethanien. Ayant appris qu'il existait aussi à Berlin une école d'orphelines, tenue par des Ursulines, S.A.R. lui a fait remettre une somme égale de 800 francs.

Le succès a été complet sur toute la ligne. L'Empereur l'a clairement laissé entendre au Prince de Piémont: • Je n'ai pas besoin de former de voeux pour votre Père, pour Vous et pour votre nation. Les deux Pays ont désormais une tàche mutuelle et commune. Ils forment une méme chose •.

Vis-à-vis de moi S.M.I. a été également très explicite. Je lui disais que je venais d'écrire a V. E. un rapport se terminant par ces mots: • la visite de nos Princes est la meilleur pierre d'assise pour l'avenir •. • C'est très bien! •.

• Votre Majesté m'autorise-t-elle à mander à mon Gouvernement que telle est sa manière de voir? •. • Certainement! Vous pouvez aussi dire à Votre Roi, de ma rpart, que j'apprécie en vous le diplomate qui a toujours écrit la vérité et a su prévoir les événements. Cette visite est une date historique. C'est un gage, pour le présent et pour l'avenir. Je suis siìr d'avance que, de votre còté, vous ne nuirez pas aux conséquences utiles d'une semblable rencontre •.

J'ai rapporté cet entretien au Prince Impérial, qui y applaudissait de grand coeur, car ses sympathies nous étaient acquises et connues.

Je ne me fais aucun scrupule de rapporter, en ce qui me concerne, le langage de Sa Majesté, car d'une part, s'il fait honneur à cette Légation où chacun travaille avec zèle et dans la mesure de ses forces, et, d'autre part, s'il y a du mérite, il revient du premier chef à V. E., dont je m'applique à suivre les instructions.

Dans le cours des différents entretiens que j'ai eus avec S. M., je me suis tenu dans la stricte limite convenue lors de mon dernier séjour à Rome et confirmée par vos lettres subséquentes. J'avais déjà amené avec le Prince de Bismarck les choses au point désiré. La confiance, un instant à tort ou à raison ébranlée, ensuite des événements de 1870-1871, est aujourd'hui rétablie, et renforcée par la visite de nos Princes. La nomination du Prince Humbert comme chef du 1er régiment des Hussards de Cassel, en est, à elle seule, un éclatant témoignage. Il m'eiìt été facile de piacer le mot alliance; je m'en suis abstenu. Je n'en avais pas l'ordre. Et d'ailleurs il est plus digne, à mon avis, de ne pas se lier hic et nunc, quand il n'y a pas de motif urgent. L'essentiel pour nous est de pouvoir compter sur le Cabinet de Berlin, dans les éventualités nettement indiquées par l'article précité de la Norddeutsche Allgemeine Zeitung. Soit dit entre parenthèse, cet article dénote assez que, si le Prince de Bismarck était retenu à Varzin par l'état de sa santé, son esprit était présent à Berlin, et que le mot d'ordre venait du Chancelier de l'Empire. J'ai prié M. de Thile de lui en exprimer ma reconnaissance, en meme temps que je l'engageais, au nom du Prince Humbert, à etre auprès de M. de Bismarck l'interprète de Ses regrets, de ne pas avoir eu l'occasion de toucher la main à l'homme d'Etat et à son Collègue dans l'Ordre de l'Annonciade.

Bref, les portes nous sont ouvertes le jour où il nous conviendra d'y entrer, soit pour contribuer à assurer le maintien de la paix en Europe, soit pour repousser d'injustes attaques de la France. En attendant, ce qui vient de se passer est un sérieux avertissement pour cette dernière Puissance. Si jamais elle nourrissait l'illusion d'un appui quelconque de notre còté pour une rescousse, cette Husion est décidément écartée. C'est encore là une garantie de plus pour la tranquillité générale. Je dimi davantage, c'est un service que nous avons rendu à la France, en la mettant indirectement en garde contre toute idée de revanche, car, livrée à ses propres forces, elle irait nouvellement au devant d'une défaite.

Je n'ai pas besoin d'ajouter que, si les dispositions en Allemagne ne sauraient etre meilleures à notre égard, il importe que, à notre tour, procédés et attitude politique continuent à étre à l'unisson. Confiance pour confiance, préférence pour l'Allemagne, ce qui ne comporte nullement que nous devions sacrifier un iota de notre dignité et de notre indépendance. Marchons d'un commun accord, en nous épaulant les uns et les autres, pour la conservation de la paix, et pour la sauvegarde de nos convenances mutuelles.

L'Empereur a bien voulu m'exprimer aussi combien Il avait été satisfait de la fete que j'avais offerte à nos Princes dans les salons de la Légation, puisque la présence de LL.AA.RR. lui avait permis, selon l'étiquette, ainsi qu'aux membres de Sa Famille, d'y prendre part.

(l) Non pubblicata.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 1016. Dresda, 11 giugno 1872 (per. il17).

J'ai rencontré à Dresde Madame la Grande Duchesse Marie, qui sans trop de préambules a engagé la conversation sur la visite de nos Princes à Berlin. Elle n'hésitait pas à exprimer combien Elle avait été péniblement affectée de cette visite et des démonstrations d'amitié échangées entre les deux Cours. Si Elle avait eu l'occasion de voir Notre Auguste Souverain, Elle aurait cherché à Le détourner de donner suite à ses intentions à cet égard. • Depuis 1866, et surtout depuis les derniers événements de 1870-1871, si les rapports n'ont pas cessé d'etre amicaux entre l'Allemagne et la Russie, il y avait eu cependant des nuances, notées par notre diplomatie. Si jamais une guerre éclatait entre les deux Pays, vous vous rangeriez du còté de l'Allemagne •.

J'ai respectueusement fait observer à S.A.I., que je ne partageais pas cette manière d'apprécier les choses. La présence de nos Princes en Prusse, les attentions sans nombre dont Ils avaient été entourés, les courtoisies échangées d'une manière si cordiale constituaient au contraire, à mes yeux, une garantie pour le maintien de la paix. J'avais rapporté de mon séjour de deux années à St. Pétersbourg l'impression que du vivant au moins de l'Empereur Alexandre, aucun conflit sérieux n'était à redouter entre les deux Puissances du Nord. Or, le Tsar, son Frère, était d'un age où Il pouvait compter sur un long règne encore. Je savais au reste que, à Rome, on considérait la Russie et l'Allemagne comme les amis naturels de l'Italie.

S.A.I. prétendait que le maintien des bonnes relations entre les deux Nations voisines, était bien plutòt subordonné à la durée de la vie de l'Empereur Guillaume, de beaucoup l'ainé du Tsar. « Son successeur a sans doute d'excellentes qualités, mais son caractère est faible, il subit trop l'infl.uence de Sa Femme, qui nous déteste ».

J'ai répondu, que savais de la meilleure source que le Prince Impérial d'Allemagne avait la guerre en horreur, et qu'il déclarait déjà que, de son consentement, son Pays ne prendrait les armes, que pour se défendre si jamais on attaquait son territoire.

Je ne sais trop quelle portée il convient de donner au langage d'une Princesse, depuis plusieurs mois absente de son Pays. Il faut faire dans tous les cas une assez large part à Ses sympathies assez notoires pour la France.

Dans une de mes courses récentes à Potsdam, j'ai fait route avec l'Ambassadeur Britannique, Lord Odo Russe!. Sans m'interpeller directement, j'ai parfaitement vu qu'il était à l'affut pour découvrir le fin mot du voyage du Prince Humbert et de la Princesse Marguerite. Il a méme négligemment laissé tomber le mot alliance. Je me suis très nettement expliqué sur le caractère essentiellement pacifìque de la visite, amenée tout naturellement par la gracieuse invitation du Prince Impérial et de la Princesse Victoria, Fille de S. M. Britannique. Notre programme politique n'était autre que de nous ménager avec l'Angleterre et avec l'Allemagne les meilleurs rapports, au profìt de la tranquillité générale, un des objectifs les plus essentiels de tous les Gouvernements sensés.

L'Ambassadeur de France a observé une grande réserve. Fervent catholique,

il s'est borné à émettre quelques doutes, qu'il m'a été facile de combattre, sur

la question s'il était bien admissible que nos Princes tinssent sur les fonts bap

tismaux un enfant voué à la confession évangélique.

Il aura pu se persuader depuis lors, que l'exemple de l'Empereur et de l'Impératrice du Brésil, et surtout du Roi et de la Reine de Saxe, également parrains et marraines du méme enfant, écartait tout scrupule des ames les plus timorées.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL

T. 1857. Roma, 13 giugno 1872, ore 15.

Déchiffrez vous-méme.

J'ai communiqué au Roi qui est à Florence vos télégrammes. Nous serions disposés dans le cas où vous jugeriez que la situation l'exige à envoyer un batiment marchand italien de la compagnie Rubattino dans un port à désigner, et qui se tiendrait à la disposition de la famille royale et en communication avec vous. Dites-moi quel serait à votre avis le port à préférer. Pour le moment ne parlez pas au Roi ni à personne de ce projet. Tenez-moi au courant de la situation.

557

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4299. Madrid, 13 giugno 1872, ore l.

Le Roi ayant refusé suspension des garanties constitutionnelles le Ministère a donné sa démission qui a été acceptée. S. M. a télégraphié à Espartero pour former le cabinet. Le danger immédiat d'une émeute est écarté mais la situation n'en est pas moins remplie de périls.

558

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4300. Madrid, 13 giugno 1872, ore 2,30 (per. ore 14,15).

Espartero a refusé à cause de son grand age. Le Roi n'a plus qu'à s'adresser aux radicaux pour formation du Cabinet. Serrano et son parti sont extrèmement irrités.

559

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4304. Vienna, 13 giugno 1872, ore 17,15 (per. ore 22).

Andrassy m'a confirmé nouvelle de la visite à Berlin cet automne de l'Empereur d'Autriche. Je lui ai dit ne pas douter que cela sera vu en Italie avec grande satisfaction comme une garantie des bons rapports entre l'Autriche et l'Italie. Il m'a répondu qu'au meme point de vue il avait envisagé aussi la visite du Prince Humbert à Berlin et l'accueil qui lui avait été fait.

560

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA

D. s. N. Roma, 14 giugno 1872.

Il Ministro del Re a Madrid ha informato il sottoscritto di aver saputo da quel Governo che Garibaldi sarebbe alla testa di una cospirazione avente per iscopo di tentare un movimento repubblicano nel mezzodì della Spagna che degli arruolamenti marittimi si facevano o si dovevano fare nella riviera di Genova, nelle vicinanze di Napoli e Palermo e che le persone incaricate di mantenere le intelligenze con i repubblicani spagnoli sono il Duca Pasqua e Carosio. I viaggi di costoro erano già stati segnalati all'attenzione dell'autorità in !spagna.

Il Ministro d'Italia a Madrid ha promesso di trasmettere le notizie sovra riferite al R. Governo epperciò il sottoscritto le comunica a codesto Ministero che alle medesime più direttamente può interessarsi.

561

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4306. Madrid, 14 giugno 1872, ore 7,30 (per. ore 13).

Ministère radica! est formé sous la présidence Zorrilla avec Martos, Ministre des Affaires Etrangères. Grande démonstration populaire aura lieu aujourd'hui pour témoigner satisfaction au Roi.

562

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 284. Vienna, 14 giugno 1872 (per. il 17).

Il conte Andrassy da cui mi recavo ieri al suo ordinario ricevimento, dopo aver parlato meco di varie cose che formarono oggetto di altri miei rapporti all'E. V., dissemi aver visto che il R. Governo per organo del Presidente del Consiglio si era impegnato d'innanzi al Parlamento a presentare ancora durante l'attuale sessione, lo schema di legge relativo alle corporazioni religiose in Roma; ed entrando così in materia sull'argomento senza però concretare idee precise in proposito, insisteva in termini generali sulla convenienza per l'Italia, di fare anche a questo riguardo una posizione abbastanza indipendente al Papa nel supremo reggimento della chiesa cattolica, da tacitare le coscienze e da togliere ogni ultimo pretesto ad ingerenze straniere negli affari nostri, a reclami contro la cessazione del potere temporale. Egli soggiungevami, dover essere io troppo persuaso dei suoi simpatici sentimenti verso l'Italia, perchè potessi avere il menomo dubbio sulle intenzioni che lo spingevano a ritornare su questo argomento. L'Italia, egli dicevami, ha un interesse maggiore di conservare il Papa a Roma, è fuori d'ogni probabilità che l'accordo riesca a stabilirsi con Pio IX, ma col suo successore la cosa potrebbe andare altrimenti tanto più che l'Italia e l'Austria potrebbero anche fin d'ora concertarsi sul candidato a cui darebbero il loro appoggio, candidato che si troverebbe ove si potesse dargli guarentigie di indipendenza con formali impegni relativamente alla conservazione delle corporazioni religiose in Roma.

Riferire tutto ciò che mi disse in appoggio alla sua tesi il conte Andrassy, sarebbemi difficile; poichè ben vedevasi che egli trattava quell'argomento a

malincuore, quindi i suoi ragionamenti non correvano sempre perfettamente. Volle insinuarmi che in questa questione l'Austria era migliore consigliera della Prussia, poichè dicevami il sistema che segue il Principe di Bismarck in Germania nella difesa dei diritti dello stato contro la chiesa non può che inasprir la lotta, ed aver per conseguenza di dare nuova e maggior forza ancora al Vaticano. E qui credette a proposito contrapporre a tale politica, quella che sta seguendo in questo momento il Gabinetto di Vienna di marcata concilia

zione cioè con quella parte dell'Episcopato e del clero che dà attualmente un condizionato appoggio al Governo, contro al partito federalista. Questa conclusione chiariva all'evidenza ai miei occhi la ragione di questo nuovo attacco sulla questione delle corporazioni religiose che il Governo imperiale credeva doverci rivolgere, e non perdendo di vista .tale nodo della quistione mi accinsi a rifiutare la maggior parte degli argomenti svoltimi dal nobile conte, senza neppure io entrare nei particolari della questione. Dissigli: il Governo italiano essere fermamente risoluto sempre a mantenere colla massima lealtà l'impegno assuntosi di serbare al Pontefice illeso il pieno e libero esercizio della sua sovranità spirituale, desiderare vivamente che il Papa continui a risiedere in Roma, essersi sempre dimostrato disposto, ed esserlo tuttora, a fare in ogni emergenza tutto il possibile per raggiungere tali scopi; entro i limiti ben inteso, consentiti dal diritto e dall'interesse interno dello stato che evidentemente non si potevano oltrepassare. In quanto a togliere l'ultimo pretesto ad ingerenze straniere negli affari nostri, non posso dividere, gli dissi, la vostra opinione. Chi cerca pretesti per immischiarsi negli affari nostri col Vaticano, non ne mancherà mai, poichè il vero obbiettivo di tale partito, si è il ristabilimento della Sovranità temporale del Papa, e non la sua indipendenza spirituale che largamente gli è guarentita. Chi spinge i governi a muovere reclami, non intende che guadagnar tempo, onde arrivare al giorno in cui la forza non faccia difetto per attaccarci. Meglio dunque che affaticarci a disarmare chi cerca pretesti, si è di metterei in misura di difenderci il giorno in cui dai cavillosi attacchi si passerà all'aggressione, e ciò il facciamo. Ben capisco, mi rispose il conte Andrassy, voi trovate che la maggior vostra sicurezza dovete trovarla nella forza, io credo invece che essa stia nella giustizia e nel diritto. Al che io risposi che il suo parere non escludeva il mio, poichè se io accennava doversi affidare la nostra salvaguardia a ciò che egli chiamava la :forza, intendeva però, come prima mi era chiaramente spiegato, che essa non fosse disgiunta mai dalla giustizia e dal diritto, anzi che dovesse esserne la conseguenza.

Credetti poscia non dover dissimulare al nobile conte ben capire le influenze varie che spingevano il Governo Imperiale a ritornare su questa quistione, e non farmi illusione di sorta sulla loro potenza, mentre del pari era convinto della piena sua lealtà nell'assicurarmi dei suoi sentimenti altamente amichevoli per l'Italia, persuasione anzi che, mi era grato accertarlo, era pienamente divisa dal mio Augusto Sovrano e dal suo governo. E gli dissi poi anche a meglio precisare il mio apprezzamento sulle preaccennate influenze che non poteva pienamente dividere il suo modo di vedere sul miglior mezzo per tacitare il partito clericale. Badate, gli dissi, che è di lui come delle acque che bagnano la regione del Kars, le quali allorchè nascondendosi nelle viscere della terra

41 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

accennano a voler sparire emergono più tardi su di un altro punto, accresciute e con nuova e maggior forza. La discussione così portata su quistioni interne di questa monarchia più non si ripresentò l'occasione di tornare sul primitivo argomento, ed il conte di Andrassy avendomi ripetuto come sempre, le più formali assicuranze del leale ed amichevole buon volere dell'Austria-Ungheria, del suo Governo, e dell'Imperatore per l'Italia presi commiato. Riterrei però conveniente fossi tenuto a giorno, all'epoca in cui si compilerà la proposta di legge in quistione, dello spirito preciso a cui essa si informa, onde poter preparare opportunamente il terreno ed evitare che la Francia, appoggiandosi sul partito clericale di qui, abbastanza forte ed inkaprendente nelle alte sfere, possa far prevalere le sue vedute a corte e quindi nelle regioni governative, ed ottenga così di stabilire un accordo, che se non temibile poichè avremo per noi l'appoggio del partito liberale tedesco ed ungherese di gran lunga il più forte, pure ci potrebbe dar noia.

563

IL MINISTRO A BUENOS AIRES, DELLA CROCE DI DOJOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 156. Buenos Aires, 14 giugno 1872 (per. il 20 Luglio).

Nell'intento di rialzare il prestigio della nostra Rappresentanza al Paraguay, accedendo alle istanze che mi venivano mosse dal R. Agente consolare dell'Assunzione sulla necessità che un R. Legno da guerra si mostrasse in quelle acque, diedi ordine al Comandante della R. Cannoniera • Confienza • che da molto tempo già trovavasi a Corrientes, dove la tranquillità era completa, di recarsi al Paraguay e di soffermarsi alcuni giorni all'Assunzione.

Dalla qui unita copia di un rapporto del R. Agente consolare all'Assunzione l'E. V. scorgerà quale accoglienza sia stata fatta a quel R. Legno.

Io sono convinto che delle dimostrazioni di simpatia e di rispetto sì largamente offerte al Comandante della • Confienza •, il merito principale debba attribuirsi al nostro Agente consolare, il quale per la sua posizione e per l'influenza di cui meritamente gode tra le Autorità, si Paraguaye che Brasiliane, ha saputo conciliarsi la stima e la considerazione di tutti.

Crederei dunque in questa occasione mancare al mio dovere, se non segnalassi all'attenzione speciale di V. E. questo nostro connazionale il quale ha già reso non pochi servizi al R. Governo, e saprà spero nell'affare delle reclama;zioni italiane pei fatti del settembre del 1870 [V. il mio rapporto N.... (l) di questa Serie), condurre le cose ad un componimento egualmente soddisfacente per il Governo del Re e per gli interessati.

Il Signor Becchi si rende poi anche continuamente benemerito per la celerità e lo zelo col quale egli fornisce costantemente a questa R. Legazione tutte le indicazioni e le informazioni d'ordine pubblico e privato che gli vengono richieste, e che niuno ad eccezione di lui, nelle condizioni attuali del Paraguay, potrebbe fornire si esattamente.

Certo se il Ministero credesse di non potere addivenire alla nomina di un Console di carriera per l'Assunzione, a malgrado della sua qualità di Parroco, il Becchi sarebbe sempre il solo su cui potrebbe cadere la scelta per un Console di 2" categoria.

ALLEGATO.

BECCHI A DELLA CROCE DI DOJOLA

Assunzione, l giugno 1872.

Il giorno 24 del passato, alla sera, giunse a questo posto il Cavalier Marra, Comandante della Cannoniera • Confienza •, e mi inviò la lettera da V. E. direttagli per mio recapito, con data delli 10 del mese di maggio u. s., eguale in sostanza ad altra che colla stessa data già io aveva ricevuto da cotesta Legazione.

Il giorno seguente gli feci la visita ufficiale che fu corrisposta il giorno 26.

Non ostante il piccolo numero dei cann'Oni di detto bastimento, accettando il mio povero consiglio, fece i saluti di etichetta alla città, come alla squadra brasiliana. Una cannoniera senza cannonate non fa il suo effetto, Signor Ministro, in questi paesi dove le idee politiche germogliano appena, l'immaginazione pesa più che il calcolo nelle bilancie governative e popolari.

L'effetto dell'arrivo della nostra bandiera armata in queste acque fu magnifico; la colonia tripudiò d'allegria ed il Governo diede al nostro Comandante le più manifeste prove di rispetto e rordialità. Il giorno 27, facemmo una visita privata al Presidente della Repubblica, in seguito al Ministro degli Affari Esteri e finalmente al Governo riunito. Due giorni dopo, il 29, il Presidente, accompagnato dal Ministro Esteri restituì a bordo la visita al Signor Marra che gli ripetè le cannonate di usanza.

L'accoglienza fatta al nostro Comandante, non poteva essere più simpatica. Il Presidente gli offrì il palco del Governo nel Teatro dove intervenne con noi ed i Ministri avant'ieri, e dove interverrà anche domani, giorno anniversario del nostro Statuto nazionale; in questa occasi'One sarà suonata la marcia reale in ossequio alla nostra bandiera.

Il Presidente offerse pure una passeggiata di ricreo col Signor Comandante sulla via ferrea fino al Paraguay. E finalmente ripeto a V. E. che la condotta di questo Governo verso il Signor Marra, non poteva essere nè più cordiale, nè più rispettosa.

Quello che si vorrebbe, Signor Ministro, si è che queste visite armate alla

nostra Colonia fossero frequenti e non così brevi. Su un paese semiselvaggio come

questo, è di una utilità indefinibile la presenza di una cannoniera (1}.

(l) Manca.

564

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 142. Madrid, 15 giugno 1872 (per. il 21).

Par ma dépeche télégraphique d'hier matin (2), j'ai eu l'honneur d'informer

V. E. de la formation du nouveau Cabinet radica! qui se trouve composé de la

manière suivante: Présidence et Intérieur -Zorrilla. Guerre et Présidence intérinaire -Général Cordova.

(ll Annotazione marginale : • Comunicare per iscritto a Peiroleri •.

Affaires Etrangères -Martos.

Gvace et Justice -Montero Rios.

Marine -Béranger.

Finances -Ruiz Gomez.

Fomento -Echegaray.

Ultramar -Gasset.

Jusqu'à présent l'on n'a pu déterminer M. Zorrilla à accepter, mais une

députation à la tete de laquelle se trouvent deux Ministres est partie aujour

d'hui pour la résidence où il se trouve, et l'on a tout lieu de croire qu'il ne

résistera pas à cette démonstration. La présence de M. Zorrilla dans le nouveau

Cabinet est une nécessité absolue, et tempérera ce que la nomination de MM.

Echagaray et Gasset (rédacteur en chef de l'Impartial) avait de par trop dé

mocratique et révolutionnaire.

Hier le Président intérinaire du Conseil a lu aux deux Chambres le Décret

de suspension des séances qui sera bientòt suivi du Décret de dissolution pour

procéder à de nouvelles élections. L'on pense que les Chambres pourront se

réunir le 15 Septembre et qu'ainsi l'on se conformera aux prescriptions de la

Constitution qui exige que chaque année les Cortès siègent pendant quatre

mois. Quant au budget qui, par suite de la chute du Ministère, n'a pu etre

voté, il se reglera par Décrets Royaux jusqu'à la convocation des nouveaux

pouvoirs législatifs.

L'opinion publique, quoique par des motifs bien différents, est encore toute entière sous l'émotion profonde que lui a causée la retraite si inattendue du Ministère Serrano. Tandis que le parti démocratique témoignait hier soir sa joie par une démonstration populaire qui est allée se terminer sous les fenetres du Palais, les anciens membres de la majorité des Cortès et du Sénat se réunissaient au nombre de plus de 240 pour s'entendre sur la marche à suivre par le parti libéral-conservateur dans des circonstances aussi graves. Après les explications données sur la crise par le Maréchal Serrano et des discours empreints d'une très grande irritation contre le refus opposé par Sa Majesté à suivre la majorité dans la voie qu'elle s'était crue obligée d'adopter, il a été décidé que le parti resterait uni dans la meme pensée politique et combattrait à outrance le nouveau Ministère.

Le parti libéral-conservateur, est, au reste, d'autant plus allarmé pour l'avenir du pays et de la dynastie, que dans l'impossibilité absolue de gouverner seul, le nouveau pouvoir va se trouver nécessairement obligé de s'appuyer sur le parti républicain, et il est fortement à craindre que cette espèce d'alliance tacite n'entraine une série de mesures, de dispositions et de mutations dans l'administration qui ne s'inspireront certainement pas des principes monarchiques. L'on fait à ce sujet les prévisions les plus inquiétantes: Seulement l'on oublie un peu trop que si le Roi avait consenti à la suspension des garanties constitutionnelles que le Ministère lui demandait, il fallait s'attendre à un mouvement radica! républicain qui, parti de Madrid, aurait probablement éclaté dans d'autres villes et qui co'incidant avec une recrudescence de l'insurrection carliste dans le Nord aurait mis la Dynastie et Son Gouvernement dans une situation extrèmement périlleuse. Lorsqu'un Gouvernement se décide à créer une situation de force, il faut qu'il soit sur de réussir et, d'après le langage du Ministre de la Guerre, l'on était loin d'avoir une pareille confiance.

Tout ce que l'on peut dire, au milieu de la confusion et de l'émotion générales, c'est que, comme j'ai eu soin d'en informer V. F.., le danger immédiat est écarté, et que jusqu'à ce que la réunion du nouveau Parlement amène de nouvelles luttes et de nouvelles difficultés, il va se produire un temps d'arrèt sans que, pour cela, le fond de la question d'avenir se soit le moins du monde modifié et bien moins encore amélioré.

565. L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AD ALESSANDRIA D'EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

D. 182. Alessandria, 15 giugno 1872 (per. il 24).

In continuazione al mio rapporto di questa Serie N. 180 (l) ho l'onore di rimettere all'E. V. una copia della lettera del Vicerè al Gran Vizir in risposta alle riserve che la Porta ha prese autorizzando l'introduzione della riforma giudiziaria in Egitto.

S. A. persuaso che per corrispondenza sarebbe difficile ottenere che la Porta recedesse dalle sue pretese si è determinato recarsi a Costantinopoli e partirà il 22 corrente conducendo seco Nubar Pascià e il Ministro delle Finanze.

La reggenza è affidata al Principe Ereditario S. A. Tewfik Pascià e l'interim degli affari esteri a S. E. Cherif Pascià. Il Khedivè ha grandi speranze di riuscire se non gli manca l'appoggio delle Potenze e ne avrebbe la convinzione se potesse aver la fortuna che per la questione giudiziaria egiziana si stabilisse un accordo fra l'Italia, l'Inghilterra, e la Francia, come si è verificato nella stessa questione di Tripoli. Egli conta principalmente sul concorso valevole che l'E. V. gli ha sempre prestato in questa importante questione, sulla simpatia del R. Governo e sugli interessi comuni dell'Italia e dell'Egitto. Sua Altezza rinnova all' E. V. le sue istanti preghiere perchè gli sia concesso tutto l'appoggio del R. Governo.

Egli è persuaso che il R. Ministro a Costantinopoli potrebbe agire molto in di lui favore presso i suoi Colleghi di Francia e di Inghilterra, per far nascere quell'accordo tra essi, contro il quale non potrebbero resistere le strane pretese della Porta, riferite nel mio rapporto N. 180.

Per questa speranza S. A. mi ha dato in questi giorni non dubbie prove di volersi accattivare la particolare benevolenza di V. E., accordando speciale considerazione ai nostri interessi nazionali, comprendendo esser questo l'unico mezzo per mantenere quell'armonia di relazioni tra i due Governi per ottenere quel concorso valevole e disinteressato che possono essergli tanto utili in tutte le questioni che tendono a far entrare l'Egitto nel consorzio dei paesi civili.

Oso sperare che l'E. V. si benignerà di dare a quel R. Ministro delle istruzioni onde possa mostrare a S. A. l'interesse che il R. Governo prende alla riuscita di una riforma in sostanza più utile per gli stranieri che per gli Egiziani.

(2) Cfr. n. 561.

(l) Cfr. n. 540.

566

ATTILIO FILOSINI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

[Roma], 16 giugno 1872.

Accludo nella presente un foglio, che contiene alcune cose della giornata ed accompagnando il medesimo con molti e molti rispetti...

.ALLEGATO.

16 giugno 1872

l. Al Vaticano nell'atto, che :::ono disgustati pel risultato della causa dell'uccisione di un gendarme Pontificio godono dal medesimo, perchè ha dato occasione di elaborare una ben lunga partecipazione del fatto ai Nunzi della S. Sede presso i vari governi e specialmente a quello di Francia e Austria con ingiunzione di manifestare il tutto ai governi presso i quali sono essi accreditati; da questo fatto vuolsi dedurre, che il S. Padre non è libero, che le guarentigie sono inutili, che si è stabilito potersi impunemente uccidere gendarmi pontifici inermi senza incorrere in alcuna pena e per conseguenza anche altri del Vaticano poco volendoci coll'influenza del Governo a far comparire una provocazione od uccisione senza animo deliberato di uccidere, attaccano a secondo del solito il governo Italiano e le istituzioni del medesimo di debolezza e di connivenza col partito come essi chiamano della rivoluzione: eguali doglianze nelle consuete rispettive udienze saranno fatte ai membri del corpo diplomatico accreditati presso la Santa Sede. Monsignor Nardi poi e il De Merode hanno scritto coi più tetri colori agli organi clericali dell'estero perchè cantino la stessa canzone.

2. -Non si creda punto a ciò che si dice da alcuni giornali e da alcune persone che si dicono ben informate e cioè: che il S. Padre abbia emessa una boHa od altro atto col quale privi le potenze cattoliche del diritto di esclusiva nel futuro conclave; il foglio d'istruzioni riservato del quale si parlò a voce dato dal Papa per l'occasione dell'elezione del suo successore e tenuto ancora celato ha dato luogo a molte dicerie e supposizioni fra le quali quella della privazione del diritto di cui sopra, diritto sul quale nulla potrebbe dirsi ·in precedenza, mentre i soli elettori riuniti in Conclave ed in fratione panis potrebbero dir qualche cosa sul medesimo; in questi giorni è stata riservatamente fatta e consegnata una bolla dal S. Padre la quale avrà anche potuto dar luogo all'antecedente diceria ma la bolla porta soltanto la conferma più esplicita e dettagliata di quella già fatta e consegnata da qualche tempo con la quale si davano facoltà al S. Collegio di derogare alle formalità del Conclave e di poter fare il Papa anche presente cadavere col numero dei Cardinali presenti in curia e ciò nel solo caso in cui il bisogno lo richiedesse; questo il solito giro del partito ultra del S. Collegio, dei Patrizi cioè, Capalti e degli Antonelli per avere un mezzo onde fare il Papa senza l'intervento dei Cardinali esteri, con che si verrebbe ad avere un papa quasi fatto sul tamburo e tumultuariamente, nel cui caso verrebbe ad essere escluso di fatto il diritto di esclusiva delle potenze cattoliche; ma ciò non avverrà sicuramente e lo scrivente può assicurare da tutto ciò che è disposto che il futuro conclave sarà fatto colla maggiore ponderazione e non sarà sì corto da poter dar luogo alle sorprese che sogna il partito della più spinta reazione onde avere un papa a suo modo. 3. -Seguitano per la Spagna partenze da Roma di alcuni giovani per rinforzare le file del partito repubblicano colà esistente; il partito Carlista si va aumentando e dovrà esservi una levata di scudi anche del partito alfonsista mentre si sono fatte pratiche presso il Vaticano onde si scriva in favore di Don Alfonso figlio d'Isabella a qualche Vescovo su di che il Vaticano non intende ancora sbilanciarsi; le simpatie del Cardinale Antonelli sono per Don Alfonso essendosi sbilanciato col

dire che la giusta causa sta per lui e che Carlo VII non ha diritto a·l trono di Spagna stante l'abolizione della legge salica, quale abolizione da altri anche più spinti del Cardinale e non aventi aderenze coll'ex regina Isabella e colla madre Cristina dicesi di niun valore pel modo e nelle circostanze colle quali venne fatta.

4. Si è parlato di ciò che S. E. il Signor Ministro disse e desiderava in caso di morte che Dio tenga lontano di altri Deputati e per non incomodare di soverchio

S. E. dovendosi dallo scrivente fra qualche giorno far conoscere cosa di qualche entità si dirà a voce la medesima al signor Conte Artom ed allora si dirà anche ciò che si dovrà fare nel caso di morte di cui sopra onde ottenere assoluzione del .cadavere nel senso che si desidera.

567

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL

T. 1860. Roma, 18 giugno 1872, ore 16,15.

Je vous prie de me dire si M. Zorrilla a accepté et comment il envisage la situation. Je vous prierais aussi de mieux expliquer le sens des derniers mots de votre dépèche politique du 11 . .A!u besoin je pourrais vous envoyer un courrier.

568

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1019. Berlino, 18 giugno 1872 (per. il 22).

M. de Thile a bien voulu me donner lecture aujourd'hui d'un télégramme récemment expédié par le Chargé d'Affaires de Prusse près le Saint Siège. Il résulte de ce télégramme que le Cardinal Antonelli fait remettre aux puissances la copie d'une lettre adressée par le Pape à Son Eminence, et dans laquelle Sa Sainteté parle d'une menace de notre part de supprimer tous les ordres religieux à Rome.

Toute conciliation étant impossible avec notre Ministère, le Cardinal Secrétaire d'Etat insiste dans sa lettre d'accompagnement pour que les Puissances .s'intéressent au maintien de l'indépendance du St. Siège.

M. de Thile m'a demandé s'il était parvenu à ma connaissance quelque nauveau fait qui expliquat une semblable démarche. J'ai répondu qu'en effet, depuis plusieurs mois, une loi relative aux couvents avait été annoncée à nos Chambres, mais que jusqu'ici la présentation en avait été ajournée, le Gouvernement ne voulant rien précipiter en matière de cette importance, et cela malgré les attaques dont il a été l'objet de la part de ceux qui lui reprochent d'agir avec trop de lenteur et trop de ménagements.

M. de Thile exprimait quelque surprise que pareille communication fùt :aussi envoyée au Cabinet de Berlin, au moment où le Reichstag vote et renforce meme les mesures qui lui sont proposées pour assurer gain de cause au pouvoir civil dans ses conflits avec l'Eglise. Il est évident que ce Gouvernement ne nous créera pas des embarras; aussi n'ai-je pas cru nécessaire de m'informer si, et dans quel sens, on répondrait d'ici à la note du Cardinal Antonelli.

Je transmettrai demain un rapport sur les débats du Reichstag relativement à l'ordre des Jésuites, V. E. verra par les discours pour et contre que la Iutte prend chaque jour de plus vastes proportions.

569

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4311. Madrid, 19 giugno 1872, ore 17,15 (per. ore 22,15).

Après beaucoup d'instances Zorilla a accepté et dirige en ce moment le gouvernement. La situation d'aujourd'hui n'est plus celle du 11 où la suspension des garanties constitutionnelles aurait certainement causé une insurrection. L'arrivée d'un Ministère radica! a écarté aujourd'hui ce danger, mais le fond de la question dynastique est resté le meme et c'est au point de vue d'un conseil à faire parvenir au Roi dans de graves circonstances se reproduisant si souvent que je parlais de l'examen à faire de la situation par le gouvernement italien. Inutile convoquer courrier.

570

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. P. RISERVATA 4109. Roma, 19 giugno 1872 (per. il 22).

Per quelle comunicazioni in via diplomatica che l'E. V. credesse opportuno di disporre, mi pregio significarle che da notizie pervenute testè a questo Ministero, risulterebbe che il Ricciotti Garibaldi avrebbe ricevuto una lettera dal noto Castellar, relativamente ai progetti d'insurrezione del partito repubblicano spagnuolo.

Stimo mio dovere di portare quanto precede a conoscenza della E. V., quantunque sia da ritenersi che ogni accordo per far accorrere in !spagna gente italiana di parte repubblicana sia stato per ora sospeso.

571

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A BUENOS AIRES, DELLA CROCE DI DOJOLA

D. 41. Roma, 20 giugno 1872.

Dalle informazioni trasmessemi da codesta R. Legazione informazioni per le quali offro a V. S. le più sentite grazie, risulta ormai chiaramente che l'attuale Governo della Repubblica Argentina ha spinto così lontano la sua preoccupazione di non ammettere nelle relazioni coi Governi europei ciò che questi non ammetterebbero in casa loro, che più di una volta egli ha preteso negare la legittimità delle azioni delle estere rappresentanze in quelle cose nelle quali tutte le nazioni le ammettono. Di siffatta tendenza a creare dei limiti arbitrari alla azione della Legazione italiana in Buenos Ayres, si ebbe un esempio troppo manifesto nell'occasione del censimento dei nostri connazionali dimoranti nel territorio argentino, perchè si possa lasciar passare inosservata la singolare dottrina emessa da codesto signor Ministro degli Affari Esteri a tale riguardo.

La nota che egli ha indirizzato a V. S. in risposta alla domanda fattagli di facilitare mediante il concorso dell'autorità locale, le operazioni di censimento di cui erano stati incaricati i Consolati italiani, dimostra che codesto signor Ministro supponeva che la facoltà di fare il censimento anche degli stranieri di una determinata nazionalità, sia unicamente riservata al Governo dello stato nel quale quegli stranieri dimorano.

V. S. ha ben fatto di non replicare per nota alla comunicazione di codesto Ministro degli Affari Esteri. Riuscirebbe superfluo anche ora di continuare una discussione sopra questo oggetto. Ma non sarà però inutile che V. S. presenti al signor V. Teyedor, la lista qui unita dalla quale appare come gli Stati europei, ai quali le nostre legazioni hanno fatto la domanda stessa che V. S. ha rivolto alla Repubblica Argentina, abbiano altrimenti risposto che non lo fece codesto Governo. Io desidero che V. S. accompagni semplicemente la presentazione di questa lista con pochissime parole dalle quali risulti che il Governo di S. M. avendo preso cognizione della nota del signor Peyedar in data 16 febbraio 1872, ha commesso a V. S. l'incarico di consegnare a S. E. la lista su indicata acciocchè apparisse palesemente che la domanda fatta alla Repubblica Argentina per ottenerne l'appoggio nella formazione del censimento degl'italiani non eccedeva il limite ordinario di ciò che le Nazioni praticano fra di loro per effetto di quella cortesia che forma il complemento del diritto delle genti. Nella stessa occasione ella dirà al signor Peyedar che le operazioni di censimento della popolazione italiana sono da ripetersi ogni decennio così avendo stabilito presso di noi, ad imitazione dei principali stati, una apposita legge approvata l'anno passato dal Parlamento.

572

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1010/306. Londra, 20 giugno 1872 (per. il 24).

Ho l'onore di accusarle ricevuta del dispaccio del 27 Maggio p. p. N. 136 Politico (l) relativo alle trattative per modificazioni alla giurisdizione Consolare in Tripoli. Questo dispaccio conteneva un protocollo segnato A (progetto del Governo Britannico) ed altro protocollo segnato B (emendamento del Governo francese al predetto protocollo Britannico) i quali sono i medesimi di cui aveva

l'onore di mandarle copia col mio Rapporto del 28 Maggio N. 301 di questa Serie (1).

Avendo avuto occasione d'incontrare il Signor Gavard, Incaricato d'Affari della Francia, il quale mi aveva qui intrattenuto di quest'affare all'intento di conoscere le intenzioni del Governo del Re e di procedere meco d'accordo, io credetti opportuno di prevenirlo in conformità del medesimo di Lei Dispaccio delle istruzioni che aveva ricevute da V. E. e della risposta ch'Ella aveva già data al Signor Fournier.

In una conversazione che ebbi poscia col Signor Conte Granville il giorno 13 del corrente mese, gli esposi il contenuto nel predetto di Lei dispaccio facendogli notare le differenze che eranvi fra i due progetti di protocollo esprimendogli la preferenza che Ella dava alla redazione francese e riassumendo la mia comunicazione in ciò che noi eravamo pronti a firmare il testo inglese semprechè la Francia si decidesse a sottoscriverlo con noi; che però davamo la preferenza al testo francese e che desidereremmo che l'Inghilterra e la Turchia lo accettassero.

Dalla risposta avuta da Lord Granville venni fatto accorto che egli non conosceva ancora il testo degli emendamenti espressi dal Governo della Repubblica francese nel suddetto protocollo B. Però Sua Signoria accolse la predetta comunicazione, mi assicurò che se ne sarebbe preoccupato e che avrebbe preso in attenta considerazione ciò che io gli aveva esposto.

S. S. si è poscia spontaneamente preoccupata del fatto che forse per lo passato non era intervenuto ad ogni volta uno scambio diretto di idee e di comunicazioni fra di Lui e V. E. Perciò senza che io vi avessi data alcuna ragione mi soggiunse colla consueta sua cortesia che se precedentemente egli non aveva fatto al Governo del Re tutte le comunicazioni relative a questo affare ciò era avvenuto perchè egli era nell'opinione che l'intenzione nostra fosse di non prender parte alla discussione, ma che d'ora in avanti si sarebbe affrettato di fare al Governo Italiano tutte le comunicazioni che egli avrebbe avuto l'occasione di fare al Governo francese.

Le acchiudo il pro-memoria di questa conversazione che, secondo il solito, ho rimesso a Lord Granville a sua richiesta.

Il fatto che erami risultato che la comunicazione del protocollo B. non era ancora stata fatta dall'Ambasciata francese a Lord Granville e le relazioni che in prima io aveva avute coll'Incaricato d'Affari francese mi fecero sentire la stretta convenienza di recarmi tosto all'Ambasciata francese per informare del passo da me fatto il Signor Conte d'Harcourt sebbene gli affari siano tuttora spediti dall'Incaricato d'Affari, non avendo ancora il Signor Conte potuto presentare le sue credenziali. Ebbi poscia occasione di parlarne anche col Signor Gavard.

Il Signor Conte accolse con piacere la mia comunicazione e non essendo in allora sufficientemente informato di questo affare venne da me nel successivo giorno per ringraziarmi e per dirmi che il progetto B. sopra indicato sarebbe stato tosto comunicato a Lord Granville.

(l) Cfr. n. 533.

(l) Non pubblicato.

573

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 308. Londra, 20 giugno 1872 (per. il 24).

In risposta al di Lei dispaccio del 22 Maggio p. p. n. 135 Politico (l) di cui già ebbi ad accusarle ricevuta, relativo all'invito fattoLe per parte di questo Governo di unirsi alle Potenze segnatarie delle stipulazioni relative ai Principati Danubiani per la protezione della vita e degli averi degli Israeliti in quel paese, mi pregio di parteciparLe quanto segue.

In una conversazione che ebbi con Lord Granville il 13 corrente mese avendogli esposto ciò che si contiene nel prelodato di Lei dispaccio, Sua Signoria mi espresse la sua soddisfazione del pieno accordo che esisteva fra i due Governi su questo soggetto.

Le trasmetto copia del promemoria (2) di questa conversazione come l'ho consegnata a Lord Granville a seconda del suo desiderio.

574

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 4163. Roma, 21 giugno 1872 (per. il 23).

Facendo seguito al foglio contrassegnato (3), Le comunico i seguenti ragguagli ottenuti ulteriormente sulla partecipazione del partito avanzato in Italia alla insurrezione spagnuola.

Ricciotti Garibaldi scrisse testè al noto Castellar per convincerlo della necessità di sospendere la partenza di volontari italiani per la Spagna, e ciò a cagione della formazione del ministero Zorilla, che si considera l'ultimo tentativo fatto dal Re Amedeo per iscongiurare la rivoluzione che si ritiene prossima a scoppiare.

Il Castelar avrebbe poi informato il Ricciotti medesimo che la caduta della monarchia spagnuola avverrebbe prima della metà di Luglio p. v., che molti Carlisti appoggeranno il moto mentre già fin d'ora in tutte le città spagnuole si organizzano nuclei di volontari.

(l) -Cfr. n. 527. (2) -Non pubblicato. (3) -Si tratta del n. 4109 del 19 giugno (cfr. n. 570).
575

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 196. Terapia, 21 giugno 1872 (per. il 28).

Rispondo senza indugio all'ossequiato dispaccio degli 5 giugno, di serie politica n. 117 (1), col quale V. E. nel farmi conoscere che le comunità copte cattoliche hanno di recente reclamato la protezione del Governo del Re, m'invita ad emettere un parere su tale proposito.

Le dette comunità espongono, a fondamento della loro domanda, che godevano ne' tempi andati della protezione della Repubblica Veneta.

Io però dovrei a dir vero dubitar molto della esattezza di tale assertiva, dappoichè qui non ci ha esempio di protezione spiegata da un Governo estero sopra comunità religiose composte da sudditi ottomani. Le comunità religiose poste sotto la protezione della Francia in Oriente son tutte estere, composte esclusivamente di religiosi esteri e formano il così detto clero latino. Nè gli ArmenoCattolici, nè i Maroniti, nè i Melchiti godono della protezione di una Potenza straniera; nè la Sublime Porta l'ammetterebbe.

I trattati infatti dai quali la Francia desume il diritto di protezione su tutte le chiese e corporazioni religiose dell'Impero parlano soltanto di chiese e corporazioni estere.

Potrebbe stare che in Egitto a causa delle condizioni eccezionali in cui quel paese si è trovato di fronte all'Impero, sia stato derogato a questi principi e la protezione della Repubblica Veneta sui copti sia stata nei secoli scorsi ammessa

o tollerata in vista specialmente della promiscuità e della convivenza dei PP. Missionarj latini coi sacerdoti copti.

Ma io dubito forte che ora tanto il Governo Egiziano come quello Alto Sovrano, si presterebbero a far rivivere ed a riconoscere questo diritto nei legittimi successori dell'illustre Repubblica.

La ripulsa del resto che il Vicariato Apostolico de' copti ha ricevuto da parte del Governo Austriaco, e i motivi soprattutto su cui essa è fondata, dimostrano chiaro abbastanza che l'Impero Austro-Ungarico non si crede in diritto di proteggere le corporazioni religiose composte esclusivamente di sudditi otto

mani.

576

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Vienna, 21 giugno 1872.

Vidi ieri il Conte Andrassy il quale prendendo occasione della lettera del Papa al Cardinale Antonelli, che a quanto dicevami avevagli prodotto spiac::7ole senso (a quanto almeno poteva giudicarne dal sunto telegrafico dato dai

giornali) ritornava con nuova maggior insistenza sulla questione delle corporazioni religiose. Non credo del caso farvi un rapporto ufficiale su questa nostra conversazione: lo poichè essa rivestì un carattere più particolare che altro, 2° poichè proprio, idee concrete non mi furono svolte. Tengo però a constatarvi il fatto, che l'insistenza in quella questione :liu qui più viva che mai in questo momento. Non posso disconoscere che le idee propugnate oggi dal Conte Andrassy sono le stesse che egli emetteva fin dalla prima volta in cui ebbe a discorrer meco sull'argomento in questione, ma parmi dover constatar oggi, un'insistenza, alquanto acre anche, che non traspariva prima. Di tal stato di cose non accagiona direttamente il Conte Andrassy, ma certo si è che egli non si sente abbastanza forte per resistere alla pressione che gli viene dall'alto.

Ripetutamente il Ministro insistette meco sull'assoluta necessità che gli ordini Religiosi a Roma, senza far distinzione fra di essi, conservino le loro proprietà nello statu quo. Io ho respinto nel modo più risoluto una tal soluzione della questione, dicendogli però sempre che ciò era il mio particolar modo di vedere, ma egli senza confutar la mia argomentazione continuò ad insistere sulle sue idee, facendomi anche jntraveder ch'egli ravvisava non solo possibile ma probabile, il partito clericale prendesse il sopravvento in Europa, ove il Papa fossr cacciato da Roma dai provvedimenti che il Governo Italiano fosse per prendere sulla grave questione in discorso, e mostravami temer in tal caso pericoli seri per noi. Non credetti dover mostrar d'apprezzar tutta la portata di ciò che il mio interlocutore dicevami, risposi però in modo da fargli capire che non dividevo le sue apprensioni, e che ad ogni modo, non paventavo affatto le conseguenze che egli faceva balenar ai miei occhi. Voltando allora egli discorso, dicevami, • ce qui vaudrait mieux que tout, ce serait que vous laissiez tranquils les ordres religieux, et que nous nous mettions d'accord sur le choix du successeur de Pie IX, car nous avons absolument des intérets identiques à cet égard •. Sebbene quest'entratura mi fosse fatta per la seconda volta, credetti dover mostrar non attaccarvi importanza, e chiesigli con contegno indifferente, se il Conte Wimpfen avesse mai toccato quest'argomento con Voi. Fino ad ora non risposemi, bisogna però che gli scriva di farlo; su ciò il discorso cadde, e non vi si ritornò più sopra. Ad ogni buon fine ho creduto bene prevenirvi di ciò. Per conto mio da quanto il Commendator Minghetti ebbe a dirmi sull'argomento, ho potuto formarmi un criterio sufficiente da non far falsa strada nel caso si venisse a parlar meco su questa questione in un modo un po' più esplicito. Ritornando sulla questione delle corporazioni religiose, è mio avviso ci convenga mostrar i denti senza ritardo, altrimenti non eviteremo noje anche serie. La lettera del Papa promuoverà evidentemente una levée de boucliers dei circoli cattolici in Austria, ed il Governo farà delle promesse se avrà la speranza di poter esercitar con successo una pressione su di noi. Se invece il Conte Andrassy acquisterà il convincimento, che oltre a certi limiti siam decisi a non andare, non si comprometterà con promesse senza uscita, poichè a niun conto vorrebbesi brouiLler con noi, mentre siamo in cosi cordiali relazioni colla Germania. Non credereste potermi far un dispaccio ostensibile sulla questione, prendendo come punto di partenza le conversazioni da me avute col Conte Andrassy, od anche la recente lettera del Papa? L'essenziale a mio avviso sarebbe, che io potessi far vedere che il linguaggio energico da me tenuto, non è soltanto l'espressione dei miei

sentimenti, ma che è quello degli intendimenti del governo. In quanto alla questione dello scambio di vedute sulla successione al Trono Pontificale, come avete potuto vedere, evitai d'entrarci, onde spinger il Conte, se realmente è intenzionato a concertarsi con noi, a far far un passo diretto ed esplicito verso di voi dal Conte Wimpfen. Il Commendatore Minghetti non ha ancora potuto veder il Conte Andrassy che fu assente sino a ieri, ma ritengo il vedrà oggi, e ne son lieto, poichè ha potuto constatar che il linguaggio da me tenuto fin qui, è pienamente conforme a quello che terrà Lui.

Credo opportuno d'informarvi che il 15 Luglio il Conte Andrassy andrà in campagna in Ungheria, e non farà ritorno a Vienna se non ai primi di settembre per accompagnar l'Imperatore a Berlino, e che poscia si recherà a Pesth per le Delegazioni; dal che ne conseguo che dopo il 15 Luglio non avrò per molto tempo che difficilmente occasione di vederlo.

(l) Cfr. n. 543

577

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4313. Lisbona, 22 giugno 1872 (per. ore 1,15 del 23).

On vient de recevoir ICI des informations de Rome d'une manière toute particulière mais positive, que le Pape a signé le 10 courant une Bulle secrète qui a été enfermée dans un cahier en or où l'on garde les dispositions dernières du Pontife. Dans cette Bulle Sa Sainteté engage le Sacré Collège à faire l'élection de son successeur très rapidement et d'élire le Cardinal Panebianco étant le plus digne, indépendant et le plus attaché à l'Eglise. Les memes informations portent que ce Cardinal est le plus fanatique et que les Puissances catholiques doivent opposer son élection par tous les moyens. On m'assure que le S. Père absolument ne veut pas admettre le droit de veto des puissances y ayant droU, ni compléter avant de mourir le Sacré Collège de ses nombreuses vacances.

578

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 89. Vienna, 22 giugno 1872 (per. il 25).

Non sapendo se codesto R. Ministero è abbonato al Fremden Blatt, giornale di qui, di cui sono note le relazioni col Ministero Imperiale per gli Affari Esteri, mi pregio trasmettere qui unito a V. E. un articolo di quel periodico che si occupa degli affari di Roma. L'articolo ha speciale importanza, avendo io potuto constatare che l'ordine di idee in esso svolto, ed il modo di trattare l'argomento corrispondono pressochè esattamente agli intendimenti del Conte Andrassy.

Sarò grato a V. E. di volermi indicare i giornali austro-ungarici ai quali è abbonato il R. Ministero onde potermi regolare sull'invio di qualche più interessante pubblicazione.

ALLEGATO.

(Traduzione)

Il Papa Pio IX non si può adattare al nuovo stato di c~se, sebbene fra non guarì si celebrerà il secondo anniversario della caduta del suo potere temporale. Con una perseveranza degna di miglior causa, il Papa rinnova i suoi infondati reclami, contro il modo d'agire del governo italiano contro la Sede apostolica, modo d'agire approvato, come dovrebbero già sapere i signori del Vaticano, dalle principali potenze d'Europa. I governi ai quali si appella il Papa, non hanno la menoma ragione d'interporsi, finchè il governo italiano non oltrepassa i limiti impostigli. Quando il Vaticano potrà con fondamento lamentarsi che il governo italiano impedisce il capo della chiesa cattolica nell'esercizio del suo ufficio, oppure che gli manchi dei dovuti riguardi, allora le Potenze europee si troverebbero autorizzate ad intervenire in favore del Papa e rammentare al governo italiano l'esecuzione di obblighi da lui assunti in faccia all'Europa intera. Fino ad ora però i Gabinetti non ebbero l'occasione di constatare alcuna mancanza per parte del governo italiano verso la Sedia pontificia che avrebbe dato origine a reclami fondati. Al contrario il Vaticano non ha risparmiato occasioni per dimostrare i suoi sentimenti ostili verso l'Italia, il Re ed i suoi consiglieri, e si deve solo alla moderazione degli uomini di Stato italiani se furono evitati conflitti. Nessun Governo europeo potrà rimproverare a quello italiano, l'esercizio di alcuni diritti regaliani, come la sorveglianza e l'opportuna restrizione degli organi religiosi e simili, giacchè ognuno pretende per sè a simile indipendenza e libertà.

Per queste ragioni verrà pure posta agli atti dai gabinetti la recente lettera di querela del Papa al Cardinale Antonelli. Non dice ai Gesuiti, che dominano al Vaticano, d'invocare il soccorso di quegli Stati, contro i quali combattono ad un tempo con tutti i mezzi. Chi, come essi, è tanto temerario, di mettere al bando e scagliare l'anatema contro quelle potenze, che non si vogliono sottoporre agli ordini di Roma, non si può ·lamentare se queste potenze adoperano il loro buon diritto, ed antepongono i loro interessi a quelli di Roma. Anche se le querele sulla oppressione del Papa fossero, locchè non sono, fondate, nessun individuo, sano di mente, potrebbe pretendere che le potenze europee si debbano interessare in favore delle cose del Papa, finchè il Vaticano sarà il quartiere generale di quei fanatici che conducono ed organizzano la lotta della gerarchia ecclesiastica contro la potestà civile, e che tendono ovunque di atterrare lo Stato, e di arrestare la forza degli organi dello Stato, mediante provocazioni delle masse. Còoloro che ora portano la battuta al Vaticano, non hanno diritto di scagliarsi in nome della libertà di coscienza contro il governo italiano, essi che con tutti i mezzi si oppongono alle tendenze liberali dei popoli, e che esercitano tutta la loro influenza per impedire il trionfo della libertà di coscienza. L'insussistenza delle querele, aggiunta al carattere ben noto dei querelanti, legittima i governi europei di passare all'ordine del giorno sulla lettera del Papa.

Se le potenze portano la loro attenzione su Roma, ciò fanno per un'altra ragione, anzichè per esaminare le querele del Papa, e farle oggetto d'una azione. Per non essere sorpresi dagli avvenimenti, devono le potenze europee prendere provvedimenti per la futura elezione del Pontefice. Secondo notizie unanimi che vengono da Roma la salute del Papa non sarebbe così fiorente, come vogliono far credere i gesuiti, i quali non lo perdono mai d'occhio, per essere sempre parati al momento opportuno. Anche l'alta età del Papa, che ha già oltrepassato gli anni di regno di Pietro, rende necessario di considerare una eventualità, che non deve trovare im

preparate le Potenze. Se anche non è possibile un diretto intervento nella scelta

del Papa, l'attitudine però delle principali potenze, può avere un significato decisivo.

Giustamente osservò un giornale della Germania del Nord non potersi supporre un Papa non riconosciuto dalle Potenze principali e più influenti. Ma queste hanno un vivissimo interesse d'impedire al partito predominante al Vaticano, d'imporre un uomo del loro colore come capo della Chiesa. Se si vuole una soluzione pacifica dei molti conflitti, impegnati da essa con tutti gli Stati per le sue idee estreme, se si desidera possibile ulteriormente una azione armonica dei due fattori, è necessario che un uomo di opinioni moderate e concilianti prenda il governo della Chiesa il quale abbia la necessaria cognizione dei bisogni e degli interessi degli Stati e dei popoli, il quale cessi dalla lotta senza scopo contro forze preponderanti, ed abbandoni la via malaugurata battuta dal suo predecessore.

Gli Stati i quali hanno il maggior interesse perchè la scelta cada sopra una tale individualità sono l'Austria, la Germania e l'Italia. L'accordo fra questi tre Stati sopra l'importante questione, sollevata recentemente a Berlino, è tanto più facile, in quanto che la identità della loro situazione verso il Vaticano li porta necessariamente ad un'azione comune. L'Austria, la Germania e l'Italia sono onorate al presente di tutto lo speciale odio del partito estremo clericale, e devono, a tutela della loro sicurezza, operare in modo d'impedire l'abuso del potere che il Papa vuole esercitare sulle coscienze cattoliche. Come in altre grandi questioni politiche estere così anche in questa s'incontrano gli interessi delle tre Potenze della Europa centrale, che sembrano chiamate a procedere severamente, nella prossima elezione del Pontefice, secondo principi stabiliti di comune accordo.

579

IL MINISTRO A L'AJA, BERTINATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 62. L'Aja, 22 giugno 1872 (per. il 26).

Alcuni giorni or sono lessi in varii giornali un articolo tolto dall'Univers di Parigi, che in occasione del 26° anniversario del Pontificato di Pio IX, S. M. il Re dei Paesi Bassi aveva diretto al Papa una lettera di chiarificazione nella quale esprimeva il dispiacere di aver dovuto, in seguito al voto della Camera dei Deputati, sopprimere la Legazione Neerlandese presso il Vaticano.

Benchè io sappia quanto spirito di invenzione posseggano alcuni giornalisti, e quale scopo si siano prefissi quelli che si chiamano sostenitori del Papa-Re, scopo cui mirarono con tutti i mezzi a loro disposizione, tuttavia avendo avuto ieri l'altro occasione di abboccarmi col Barone di Gericke, gliene tenni parola, avvertendolo che gli parlavo di tal cosa incidentalmente, e senza che mi fosse mai venuta dall'E. V. osservazione alcuna in proposito.

Questo Ministro degli Affari Esteri non esitò a negare nel modo il più assoluto l'esistenza di una lettera Reale qualunque, diretta al Sommo Pontefice, all'infuori di quella, inviata già da qualche tempo, con la quale, nelle solite formule, Sua Maestà annunciava al Santo Padre la fine della missione del Signor Duchàtel.

Il Barone di Gedcke mi soggiunse che egli pure aveva letto l'articolo dell'Univers, come aveva letto eziandio in altri giornali che il Signor Heldewier aveva chiesto al Pontefice un'udienza speciale, che gli fu negata.

Ambedue le asserzioni dei giornali, mi disse il Ministro, sono assolutamente infondate, la prima perchè, per ammetterla, bisognerebbe credere che Sua Maestà si fosse servita di mezzi privati per fare giungere la sua lettera, e, mi disse sorridendo, vous savez que cela n'est guère dans ses habitudes.

La seconda asserzione poi è egualmente erronea, soggiunse il Barone di Gericke, giacchè il Signor Heldewier non ebbe mai comunicazione di sorta da fare nè al Papa, nè al Cardinale Antonelli.

Persuaso che V. E. cui queste dicerie di giornali avversi all'Italia, non hanno potuto sfuggire, ne abbia già fatto il conto che meritano, tuttavia credetti di non lasciar passare l'occasione di tenerne parola col Barone di Gericke, perchè vi poteva essere una lontana apparenza di verità nel fatto che questi difese la Missione neerlandese presso il Vaticano, nella discussione del bilancio del Ministero degli Affari Esteri alla seconda Camera degli Stati Generali.

Finora la crisi ministeriale non ha scioglimento veruno, nè si prevede quali potranno essere i successori degli attuali Ministri, i quali conservano i rispettivi portafogli sino alla fine di Luglio.

Il Re ha bensì fatto chiamare varii uomini politici dell'uno e dell'altro partito, ma nessuno, a quanto si sa, volle finora incaricarsi di formare il Ministero.

Nel mio colloquio che ebbi ieri l'altro col Barone di Gericke, gli dissi, che, se la voce pubblica era veritiera, io dovevo complimentarlo sull'incarico datogli dal Suo Sovrano di formare il nuovo Gabinetto. Il sullodato Barone mi rispose che la crisi attuale aveva certamente più volte formato oggetto di conversazione col Re; ma che egli non è mai stato incaricato di veruna simile missione; che anzi aveva saputo da terze persone che Sua Maestà aveva fatto chiamare un membro della prima Camera degli Stati Generali, con animo di affidargli la cura della nuova Amministrazione, ma che questi scusossene per ragioni di famiglia.

Posso del resto assicurare V. E. che la crisi ministeriale non dà al Paese la benchè menoma preoccupazione; i giornali stessi non ne parlano più, o ben di rado; e molti vanno dicendo che l'Olanda può passarsi del lusso di un Ministero.

Non so se il paese dovrà un giorno felicitarsi o no di tanta indifferenza politica; ma tale è il carattere di questo popolo, e bisogna pur dire che nell'andamento della cosa pubblica nessuno s'accorge che il Ministero abbia rassegnato le sue dimissioni, e non abbia che una vita di alcune settimane.

Ignoro se possa interessare l'E. V. che io La informi sulle probabilità che gli stessi uomini rimarranno al potere, con qualche mutamento parziale, ovvero su quanto si vuole da altri che un Ministero così ricomposto sarebbe di breve durata, per cui val meglio chiamare al potere uomini del partito conservatore; tutte queste sono voci di persone, che sperano quello che desiderano, ed io credo, quanto mi diceva il Barone di Gericke, che non solo nulla è ancor fatto, ma che non si sa, neppure in alto luogo, ciò che si dovrà fare.

42 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

580

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Parigi, 22 giugno 1872.

Ho tentato di sapere dal signor de Olozaga che cosa egli pensasse dell'ultima crisi spagnuola e specialmente dei sentimenti del Maresciallo Serrano. Olozaga mi disse che aveva ricevuto una lettera di Serrano dopo la di lui uscita dal Ministero e che gli sembrava vedere da questa lettera che il Maresciallo non serbava nessun sentimento d'irritazione contro il Re Amedeo. La lettera era scritta con molta calma e con espressioni convenientissime. Se il Maresciallo fosse stato sotto l'impero d'un sentimento ostile o d'irritazione, secondo il signor de Olozaga, la lettera avrebbe subito qualche traccia del suo stato d'animo. Olozaga crede che Serrano ha dovuto essere stato consultato ed avvisato particolarmente dal Re, prima che questi prendesse la deliberazione di formare il Gabinetto Zorilla. Ma questa non è che un'induzione di Olozaga il quale continua, non solo a non disperar della situazione, ma a vederla abbastanza colorata in roseo. Tale non è l'impressione d'un uomo d'affari, di cui mi è comunicata una lettera che vi mando qui unita in copia. Ma voi dovete sapere a quest'ora come vanno precisamente le cose a Madrid. Qui in Francia l'opinione generale è sfavorevole al Re Amedeo. Repubblicani, legittimisti, Orleanisti, Bonapartisti, ognuno per ragioni diverse, sono sfavorevoli alla nuova dinastia. Tutti sono avversi, tranne il Signor Thiers e il suo Governo, i quali non hanno nulla a guadagnare dall'impianto della repubblica a Madrid o da una ristorazione Borbonica. Difatti la condotta del Governo francese verso l'attuale Governo di Spagna, a testimonianza del Signor de Olozaga, fu e continua ad essere favorevole e

benevola.

581

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI

D. 31. Roma, 23 giugno 1872.

Ho preso in attenta considerazione la proposta di V. S. relativa al conferimento di una decorazione italiana a S. A. il Principe Milan. La maggior età di questo principe incominciando il 22 del mese di agosto prossimo, pare a me che il Re, potrebbe cogliere questa prossima occasione per conferire a S. A. il Gran Cordone dei SS. Maurizio e Lazzaro. Non vedrei ragione sufficiente per far precedere di alcuni giorni questo atto di cortesia alla data sovraindicata. Forse bisognerà ch'io Le mandi una nuova lettera per il Principe consimile a

quella ch'Ella ha già presentato ai Signori Reggenti. In tal caso la presentazione della lettera e della decorazione potrebbe farsi in uno stesso tempo. Prego V. S. di dirmi se l'esecuzione di questo progetto non incontrerà nessuna difficoltà acciocchè io possa prendere in tempo le occorrenti disposizioni.

582

IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4315. Vienna, 23 giugno 1872, ore 14 (per. ore 20).

J'ai parlé hier au soir de la lettre du Pape avec Andrassy qui s'est abstenu de s'exprimer catégoriquement sans cependant me cacher peu favorable impression qu'elle a produit sur lui. Il a insisté sur espoir que cela n'ait pas pour conséquence de modifier intentions du Gouvernement italien sur les corporations religieuses, qu'il dit avoir confiance seront justes et modérées, en somme il me semble que l'impression produite par la lettre sur Andrassy est plutòt à notre avantage, car son langage hier avec moi n'avait plus la pointe d'aigreur des jours passés, et était au contraire très amicai vis-à-vis de l'Italie. Pour mon compte, j'ai insinué que les puissances catholiques pourraient grandement aider action modératrice du Gouvernement italien sur l'opinion publique en montrant par leur silence à l'égard de la lettre du Pape, ne pas etre disposés à répondre à qui leur s'est adressé.

583

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1025. Berlino, 23 giugno 1872 (per. il 27).

Ayant eu l'occasion de rencontrer avant hier l'Empereur à un raout, je Lui ai dit que le Prince et la Princesse de Piémont, n'avaient cessé durant leur séjour à Dresde de s'exprimer avec un sentiment de profonde reconnaissance sur l'accueil aussi courtois que cordial qu'Ils avaient reçu à la Cour de Prusse.

S. M. a répondu que LL.AA.RR. avaient conquis les suffrages unanimes; Monseigneur le Prince Humbert Lui avait adressé de Miinich un télégramme qui avait produit sur son esprit la meilleure impression. S. M. devant se rendre sous peu de jours à Ems, à quelques heures de Schwalbach, ne renonçait pas à l'espoir de saluer une fois encore Madame la Princesse Marguerite.

J'ai dit aussi qu'une dépeche de V. E. (n. 254) me chargeait de témoigner la gratitude de mon Auguste Souverain, de son Gouvernement et du pays entier, pour les sympathies et la splendide hospitalité que nos Princes avaient trouvée en

Prusse. L'Empereur m'a laissé comprendre qu'Il était sensible à un pareil témoi

gnage. Il n'avait eu au reste qu'à laisser libre cours à l'amitié sincère qu'il por

tait à notre famille Royale et à l'Italie. S. M. avait aussi appris avec satisfac

tion que l'opinion publique de part et d'autre s'était prononcée dans un sens,

qui ne laissait aucun doute sur les intérets mutuels et convergents des deux

nations. Si la presse Française s'est permise des critiques, elle n'a certes pas fait

preuve de tact. Sa mauvaise humeur commence déjà à percer à propos de la

visite de l'Empereur d'Autriche, annoncée pour les premiers jours de Septembre.

Il n'y a pas lieu de se préoccuper de ces manifestations, au moins mala

droites. Le voyage de nos Princes, comme celui prochain de l'Empereur Fran

çois-Joseph, constituent en effet deux solides garanties pour le maintien de la

paix européenne.

Je ne pouvais qu'abonder dans cet ordre d'idées.

584

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1027. Berlino, 23 giugno 1872 (per. il 27 ).

J'ai demandé hier au Secrétaire d'Etat à quel point étaient arrivées les conférences des hautes fonctionnaires jurisconsultes, réunis à Berlin, relativement aux meilleurs moyens de combattre l'influence si pernicieuse de l'Internationale.

Il m'a dit qu'une commission avait été en effet réunie par les soins du Ministère des Travaux Publics, du Commerce et de l'Industrie, mais que ses travaux, jusqu'à ce jour, avaient été assez incomplets. Cette commission avait, il est vrai, élaboré un mémoire, mais sans conclusion très pratique. On n'est pas encore assez avancé dans l'étude de la question, pour qu'on puisse formuler déjà des résolutions. Il ne s'agit encore que de réunir les matériaux, et de fixer les points de vue, qui serviront de guide dans les travaux communs ultérieurs. Plus tard, des délégués autrichiens se réuniront ici à des commissaires allemands, pour se concerter au mieux des intérets de la Société menacée par les menées d'une ligue aussi dangereuse. Du reste, si j'ai bien compris M. de Thile, il ne s'agirait pas dans ces pourparlers de poser de nouvelles théories, ni de la solution de la question sociale sur le terrain des principes, mais de proposer dans la limite du possible des moyens préventifs.

Nous sommes donc bien éloignés encore du but à atteindre; il est meme presque à douter que la solution du problème fasse un véritable progrès. Tant que le niveau de la moralité publique ne se sera pas élevé, la meilleure garantie restera toujours celle de sévir avec énergie contre les abus, qui se commettent par les ouvriers aussi bien que par le patrons.

585

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI,

D. 119. Roma, 24 giugno 1872.

Le informazioni contenute nei Rapporti di V. S. in data 27 maggio e 1° giugno (n. 189, 190) (l) sulla questione degli Armeni Cattolici di Turchia mi riuscirono molto interessanti.

Il grave dissidio religioso che mantiene in agitazione una parte considerevole della popolazione cattolica dell'Oriente costituisce un fatto che merita di essere attentamente studiato tanto nel presente quanto nelle conseguenze future. Se ne preoccupano alcuni Gabinetti europei e non al solo punto di vista religioso, ed i passi che essi fanno a Costantinopoli servono ad un tempo gli interessi della Santa Sede e le particolari loro viste politiche.

L'Italia che certamente non è indifferente a tutto ciò che può essere causa di perturbazioni in Oriente, deve però andar molto cauta tutte le volte che i suoi passi benchè dettati da altri sentimenti potrebbero essere interpretati come un appoggio diretto od indiretto ad una politica di influenza nella quale essa intende rimanere estranea. Le dissenzioni esistenti nella Chiesa Armena sono per la loro indole religiosa un affare nel quale il Governo italiano non può pronunciarsi. La nostra azione si restringe a raccomandare alla Porta la più larga applicazione dei principi della libertà religiosa, posti dal diritto pubblico della Turchia sotto la salvaguardia delle potenze.

Le ultime notizie da Lei trasmessemi portano che la Sublime Porta studiava dei temperamenti per conciliare gli interessi gravemente compromessi di coloro che non vollero partecipare all'elezione del nuovo Patriarca. Pare anzi che si ventilasse il progetto di una separazione formale della Comunità Armeno-cattolica sotto due patriarcati distinti. Sopra questa od altra soluzione che voglia darsi alla vertenza in discorso io non vedo l'opportunità che il Governo italiano abbia da pronunciarsi. La nostra riserva, abbastanza giustificata dalle particolari nostre circostanze non può dispiacere a nessuno, mentre qualunque soluzione che salvi il principio della libertà e della tolleranza religiosa, ci deve sembrare ugualmente buona.

Io mi lusingo che la Sublime Porta procedendo cautamente eviterà di offendere quel ·tutelare principio e che così mancherà a noi probabilmente altra occasione di intervenire in questo affare.

(l) Non pubblicati, ma cfr. n. 541.

586

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL

D. RISERVATO 20. Roma, 24 giugno 1872.

I rapporti di Serie Politica ch'Ella mi ha indirizzato sotto varie date e compresi fra i n. 134 fino a 143 inclusi mi sono regolarmente pervenuti. S. M. il Re essendo assente dalla capitale, gli ho trasmesso quelli fra i rapporti di V. S. che maggiormente potevano interessarla.

Ella può ben immaginarsi con quanta attenzione si segue in Italia il succedersi degli avvenimenti di Spagna. Non è solo il Governo ma il paese e la stampa che prendono il più vivo interesse alle notizie che giungono dalla Spagna. La prego adunque a continuare a tenermi al corrente di ciò che succede anche telegraficamente.

Troverà qui unite copie di alcuni rapporti sulle mene degli agitatori italiani che mantengono relazioni cogli uomini di stesso colore in !spagna. Ella farà però di queste comunicazioni l'uso prudente che le circostanze potranno consigliarle.

587

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 1028. Berlino, 24 giugno 1872 (per. il 5 luglio).

Avant hier j'ai donné lecture à M. de Thile de la première partie de la dépeche confidentielle, du 29 Mai échu, n. 215 (1), concernant votre entretien avec le Comte Brassier de St. Simon, sur l'éventualité d'une vacance du St. Siège. Le compte-rendu de ce diplomate n'était pas encore parvenu au Cabinet de Berlin.

Le Secrétaire d'Etat m'a dit combien il était satisfait d'apprendre que nous avions fait bon accueil à la proposition d'entrer dans un échange d'idées sur cette importante question. De toutes les réponses reçues des Puissances auprès desquelles le terrain avait été sondé, la notre était la meilleure.

L'Angleterre visait à se désintéresser. La Russie se tenait sur la réserve. Le Comte Andrassy, au nom de l'Autriche-Hongrie, s'était tout d'abord et verbalement prononcé d'une manière favorable, mais n'avait plus dès lors donné signe de vie. En Espagne, les Ministres son absorbés par les complications intérieures, chaque jour plus menaçantes. En Belgique, le Représentant de l'Allemagne avait été laissé juge de l'opportunité d'interpeller le Gouvernement. En présence d'un Ministère du parti catholique, M. de Balan avait préferé s'abstenir.

Vis à vis de la France, le Cabinet de Berlin n'avait pas cru à propos de faire une démarche quelconque.

Il sera donc particulièrement agréable au Chancelier Impérial, d'apprendre que nous sommes disposés à nous preter à l'échange d'idées, dont il a ouvert la voie parsa dépèche confidentielle du 14 mai. Avis lui en sera donné à Varzin, et j'ai invité M. de Thile à nous faire connaitre, de la manière qui lui semblera la mieux appropriée, les vues ultérieures de son chef relativement au prochain conclave.

D'après l'opinion personnelle de mon interlocuteur, il serait assez malaisé de se concerter d'une manière utile et pratique, car il y aurait lieu de supposer qu'une Bulle, déjà signée par Pie IX, préscrirait, sans tenir compte des forma1ités d'usage, de procéder à l'élection, praesente cadavere, par les Cardinaux qui se trouveraient alors réunis à Rome.

J'ai cherché un instant à engager une discussion sérieuse, dans le but de découvrir entre autres la pensée intime du Prince de Bismarck. Je me suis aperçu que le Secrétaire d'Etat se dérobait à cette tentative, peut-ètre parcequ'il n'avait point encore les instructions nécessaires. Je n'ai dès lors plus eu la tentation d'argumenter selon le Mémoire annexé à la dépeche de V. E., et moins encore d'en communiquer le texte. C'est là en effet une affaire trop délicate, nous avons ici par devers nous un partner trop habile, pour ne pas le mettre en demeure de démasquer le premier son jeu, avant d'abattre le nòtre. Un de ses amis au Reichstag, M. de Frankenberg, a ouvertement déclaré que le meilleur remède contre les confiits surgis entre l'Eglise et l'Etat, serait le choix d'un Pape d'origine allemande. Est-ce que tel serait le calcul de Son Altesse? S'il a cherché récemment à dresser un piédestal au Cardinal de Hohenlohe, ne visait-il pas surtout à lui ménager une influence plus marquée au futur Conclave? Qui sait meme si on n'irait pas jusqu'à préparer sa candidature à la tiare? Ou je me trompe fort, ou nous ne devrions pas en pareille occurrence emboiter le meme pas. Chacun accorde au Prince de Hohenlohe toutes les vertus du prètre et de l'honnete homme. Mais il ne parait pas réunir en lui les qualités requises pour occuper la chaire de St. Pierre. Il est d'un caractère très maniable et d'un esprit sans grande élévation. Dans ces conditions, il serait exposé à devenir bientòt l'instrument docile, et mème aveugle, de ceux qui auraient aidé à le porter au pouvoir, et de sa famille connue par son dévouement aux intérets exclusifs de l'Allemagne. Un tel choix ne saurait convenir à l'Europe, et nommément à l'Italie. Nos intérets seraient mieux sauvegardés avec un Pape appartenant à notre nationalité, s'appliquant à concilier au besoin la modération avec la fermeté vis-à-vis de l'étranger, sachant, sinon adopter,-ce qui serait trop prétendre de sa part,les faits accomplis, du moins s'y adapter graduellement, et laissant au cours nature! des choses, d'amener peu à peu une entente tacite en tout ce qui ne tient pas strictement au dogme et à la morale.

J'en conclus que, tout en témoignant de la confiance vis-à-vis du Cabinet de Berlin, dont nous avons à conserver les sympathies, pour tant de motifs sur lesquels il serait superflu de rappeler votre attention, nous devons en meme temps, pour ce qui touche au St. Siège, marcher avec beaucoup de circonspection, de crainte de faire fausse route. Des considérations politiques élémentaires, -en faisant meme abstraction des principes religieux, -nous conseillent d'une part d'écarter les chances d'un schisme, et d'autre part de ne rien négliger pour établir sur des bases acceptables une entente entre l'Italie et la Papauté.

En attendant, le mot d'ordre est évidemment donné à la presse allemande, d'initier les esprits aux graves questions qui se rattachent au choix d'un nouveau Pape. La Norddeutsche Zeitung, dans son N. du 20 Juin, a ouvert le feu en combattant avec vivacité la Voce della Libertà (1), qui dénie aux Gouvernements tout droit d'immixtion. La feuille officieuse invoque des arguments analogues à ceux allégués dans la dépeche susmentionnée du Prince de Bismarck. Elle soutient que l'Etat est parfaitement autorisé à exiger de l'élection et de l'élu des garanties morales et matérielles, pour prévenir l'abus possible de l'omnipotence attribuée au S. Siège par les derniers décrets du Vatican, qui ont asservi l'Episcopat, et fait des Eveques des simples fonctionnaires d'un pouvoir étranger et absolu. D'autres organes de la presse ont suivi l'exemple. Je signalerai, entre autres, la Gazette de Cologne, la National Zeitung, et la Gazette de Spener. Elles donnent leur assentiment aux vues exposées par le chef de file. La Gazette d'Augsburg a également publié des articles sur le sujet.

(l) Cfr. n. 537, che porta però il numero 253.

588

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT

Roma, 25 giugno 1872.

D. 28.

Ho letto con molta attenzione il di Lei rapporto 31 maggio circa la quistione degli Armeno-Cattolici (2). Nella supposizione che il conte Andrassy possa altra volta portare, come ha fatto, la conversazione con V. S. sopra quest'argomento, Ella mi ha chiesto quale contegno tenere per corrispondere alle viste del Governo di S. M.

A questo proposito, potrà esserle utile anzitutto di conoscere per sommi capi in quali circostanze l'Italia ebbe ad occuparsi della vertenza che tiene divisa in due frazioni la Chiesa Armeno-Cattolica.

Nel dicembre 1870, allorchè si ignorava ancora a qual Partito la Sublime Porta sarebbesi attenuta relativamente all'applicazione della Bolla Reversurus, nell'elezione del patriarca armeno, alcuni vescovi di quel rito appartenenti alla frazione contraria a Monsignor Hassoun mi scrissero una lettera lagnandosi del contegno ad essi ostile che dicevano aver preso l'Inviato Italiano in Turchia. Meravigliavansi quei prelati di siffatto contegno che essi affermavano contrario ai principi altamente professati e seguiti dall'Italia nelle quistioni religiose.

Risposi allora a quelle lagnanze, che del resto mancavano di fondamento, col ripetere al conte Barbolani le istruzioni dalle quali non si era mai dipartito. E quelle istruzioni ricordavano che se l'Italia non vedeva con occhi indifferenti le vicissitudini della Chiesa Orientale, doveva però considerare le discussioni nate fra gli Armeni come cose poste fuori della cerchia degli affari sui quali il Governo italiano può pronunciarsi. L'azione di questo dovea restringersi a raccomandare alla Sublime Porta la più larga applicazione dei principii naturali di libertà religiosa che il diritto pubblico della Turchia pone sotto la salvaguardia delle potenze.

Un'altra volta io ebbi occasione di dare istruzioni al conte Barbolani sopra quest'oggetto, e ciò in epoca assai più recente.

Fra le cause delle temute agitazioni del Libano delle quali V. S. ebbe incarico di far parola al conte Andrassy mi era stata segnalata anche la disposizione data dalla Porta di far consegnare ad alcuni sacerdoti antihassounisti un seminario armeno situato nella montagna ed occupato da preti che seguivano le parti del Patriarca riconosciuto dalla S. Sede. I rapporti del R. Console a Beirut mi avvisavano che questi ultimi, risoluti di cedere soltanto alla forza, avrebbero probabilmente trovato appoggio negli abitanti cristiani del Libano; intanto si erano rivolti anche al Consolato italiano, chiedendo s'interponesse per evitare le violenze. Rinnovai in questa circostanza al R. Ministro a Costantinopoli ed al console di S. M. in Beirut le istruzioni sopra riferite. Trattandosi però di cristiani dimoranti nel Libano, pei quali la libertà religiosa è posta sotto la speciale tutela delle potenze, tutela riconosciuta in appositi speciali atti diplomatici, aggiunsi a quelle prime istruzioni che il R. Rappresentante ed il console, dovessero adoperarsi per proteggere le persone appartenenti ai due partiti e più particolarmente per impedire che nel Libano nascessero disordini per causa di religione. Il caso preveduto non si è per ora avverato, ed è sperabile che i funzionari della S. Porta avranno prudenza bastante per non dar motivo a disordini nelle popolazioni libanesi.

Intanto, a Costantinopoli si procedette nel maggio scorso, all'elezione di un patriarca in luogo di Monsignor Hassoun che la Porta avea dichiarato di non voler assolutamente riconoscere.

Risulta dalle relazioni della R. Legazione in Turchia al Ministro, che erano state fatte pratiche di conciliazione fra i due partiti, ma che per ultimo riusciva eletto Monsignor Kerpelieu, uno dei prelati incorsi nelle censure ecclesiastiche lanciate da Roma. La Porta avendo ricevuto il nuovo eletto ufficialmente come patriarca armeno cattolico, tutti coloro che, appartenendo a quella confessione non volevano far atto di resistenza agli ordini del Vaticano, si trovavano per il fatto dell'avvenuta nomina, privi della naturale protezione dai Patriarcati cristiani esercitata mediante la giurisdizione loro consentita negli ordinamenti amministrativi e giudiziari dell'Impero Ottomano. Erano rimaste senza effetto tutte le pratiche dei rappresentanti di Francia e d'Austria per impedire che le cose giungessero a questo punto.

Il Ministro d'Italia, mantenendosi nei limiti delle sue istruzioni, non avea stimato di potersi associare ai passi dell'ambasciatore francese e del ministro austro-ungarico. Precedentemente all'elezione del nuovo patriarca, il contegno del conte Barbolani si era ispirato unicamente a quel sentimento di riserva che ci deve guidare in simili quistioni. Senonchè, dopo che l'elezione era già un fatto compiuto, e già solennemente riconosciuto dalla S. Porta, quel R. Rappresentante venne a sapere che il Governo ottomano avea imposto la condizione a tutti gli armeni, che si erano presentati per prender parte all'elezione del Patriarca, di firmare un atto con cui dichiaravano non riconoscere la Bolla Reversurus. Alcuni notabili della parte Hassounista eransi presentati al Gran Vizir prima dell'elezione, ed aveangli fatto notare che essi facevano atto di rispetto per i diritti della potestà civile, prendendo parte alla votazione contrariamente alle prescrizioni della Bolla suddetta ma nel tempo stesso lo pregavano di considerare che quella bolla non riferivasi unicamente alla forma dell'elezione dei dignitari ecclesiastici, ma comprendeva disposizioni di disciplina spirituale ed ecclesiastica per le quali non era possibile disconoscere l'autorità della S. Sede.

Il Gran Vizir non avendo accolto favorevolmente queste osservazioni, gli armeni che non aveano voluto firmare la dichiarazione che loro si domandava, si riunirono separatamente, e scelsero un Patriarca che la Porta non ha voluto riconoscere.

In quest'ultimo incidente sembrò al Ministro del Re in Costantinopoli di ravvisare un motivo sufficiente per far sentire alla Porta il suo modo di vedere. I principii della libertà religiosa parendogli violati dalla pretesa del Gran Vizir di far firmare una dichiarazione esplicita contraria ad una bolla pontificia il signor Barbolani ne parlò francamente a Server Pascià e gli disse che così comportandosi il Governo ottomano più non !imitavasi a difendere le prerogative dello Stato, ma pretendeva esercitare una vera pressione, una violenza sulle coscienze individuali.

Le ultime notizie ricevute qui da Costantinopoli portano che la Sublime Porta cercava dei temperamenti per conciliare gli interessi civili gravemente compromessi di coloro che erano rimasti fedeli al partito del patriarca Hassoun. Pare anzi che si stesse esaminando se fosse possibile sanzionare in diritto la separazione esistente in fatto, nella Confessione cattolico-armena, mediante il riconoscimento di due patriarchi.

Sopra questa od altra soluzione che possa darsi alla vertenza in discorso, io non vedo l'opportunità che il Governo italiano abbia a pronunziarsi. Qualunque soluzione che salvi il principio della libertà e della tolleranza religiosa ci sembra egualmente buona.

Le cose fin qui esposte permettono a V. S. di formarsi un concetto preciso delle disposizioni dell'Italia relativamente a quest'affare, al quale noi non avremo probabilmente più occasione d'intervenire, se, come lo speriamo, la Porta Ottomana, procedendo cautamente, eviterà di offendere i principi di libertà religiosa, in nome dei quali soltanto noi crediamo poter fare sentire la nostra voce in questa vertenza.

(l) -La parola • Libertà • è stata corretta a matita in • Verità», probabilmente dagli uffici del Ministero. (2) -Cfr. n. 538.
589

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 1029. Berlino, 25 giugno 1872 (per. il 5 Luglio).

Le Prince Gortchacow, en se rendant à Wiesbaden, a passé quarante huit heures à Berlin. Je l'ai vu deux fois.

Il m'a fait compliment à propos de la visite de nos Princes, visite qu'il envisageait, lui aussi, comme un gage de plus de la conservation de la paix. Ayant fait, de mon còté, une allusion dans le meme sens, sur l'entrevue qui aurait lieu dans deux mois entre les Souverains d'Allemagne et d'Autriche, il ne me contredit point. A l'encontre des hommes d'Etat français, il a trop de finesse, de tact et de dignité, pour ne pas savoir réprimer le mouvement de mauvaise humeur, qui doit lui causer un événement qui prouve d'une façon incontestable que les relations entre les deux Puissances voisines de la Russie sont des plus amicales. Il affectait meme une grande quiétude d'esprit, en déclarant qu'il avait obtenu un congé de quelques mois, précisément parceque l'horizon politique était sans nuages, au moins pour ce qui concerne son Pays.

• On prétend, il est vrai, que la question d'Orient fera surtout les frais de l'entretien des deux Empereurs. On va meme jusqu'à parler d'une alliance qui comprendrait aussi la Turquie. Si nous avions besoin d'etre rassurés à cet égard, nous le serions pleinement. Le Sultan est convaincu maintenant que nous sommes son meilleur ami. Dès lors, il ne se preterait pas aux combinaisons fantaisistes dirigées contre nous •.

Parlant ensuite de la France, le Chancelier du Tsar ne voulait rien prophétiser. Il lui semblait pourtant qu'on ne s'aventurerait pas trop, en affirmant que cette Puissance, aussitòt qu'elle aurait reconstitué ses forces, s'engagerait dans une nouvelle lutte. Ce n'était donc qu'une question de temps. • Dans ce cas, nous nous tiendrions probablement, comme en 1870-1871, en dehors du conflit. Nos intérets nous conseillent, autant que possible, de ne pas nous laisser distraire du travail incessant, grace auquel nous nous transformons et nous développons de jour en jour, et qui est à nos yeux le plus sùr gage de notre grandeur et de notre prospérité •.

Quant à l'Italie, il s'est montré satisfait de ses rapports avec notre Gouvernement et avec notre Représentant à St. Pétersboul'g.

Je l'ai mis sur la voie de s'expliquer aussi sur les ouvertures confidentielles, faites par le Cabinet de Berlin à la Russie comme à nous, relativement à l'éventualité d'une vacance du St. Siège. Il m'a dit que le Prince de Bismarck avait indiqué certains moyens de peser sur le Conclave: avertissement que les Puissances ne reconnaitraient pas un Pape qui n'offrirait pas les garanties requises: -déclaration que l'Episcopat, lui-meme, ne saurait accepter la position très amoindrie qui lui a été faite par les derniers décrets du Vatican. Il conviendrait, d'après le Chancelier russe, de se rendre compte au préalable, s'il serait pratiquement possible d'exercer une salutaire influence sur les membres

du Conclave. Comment réagirait-on contre le fait accompli d'une élection? Quel est le criterium pour juger de la régularité de la procédure? Comment exiger du Successeur de St. Pierre une sorte de rétractation des nouvelles doctrines?

M. de Thile, interpellé sur ces points, n'avait donné que des réponses incomplètes ou évasives. Dans ces conditions, le Cabinet de St. Pétersbourg observera une certaine réserve. Il estime que c'est dans leur législation intérieure, que les Gouvernements devraient chercher des garanties, plutòt que dans une participation aux opérations du Conclave, participation dont l'efficacité ne serait rien moins que prouvée et qui présenterait plus d'un inconvénient. Il s'était borné, pour le moment, à prier le Cabinet de Berlin de lui communiquer les réponses que ses propositions recevraient de la part des Puissances auxquelles il s'était également adressé. Si on est bien renseigné à St. Pétersbourg, ces réponses jusqu'ici n'ont pas été très explicites. Ce sera pour le Prince de Bismarck un argument pour procéder avec plus de calme.

En attendant, le Prince Gortchacow ne pouvait s'empecher d'établir une comparaison entre les rapports si satisfaisants qui existaient avant 1870-1871 entre l'Eglise catholique et l'Etat, et l'agitation actuelle des esprits. L'ancienne législation était réputée comme un modèle à suivre. Il n'avait pas dépendu de S. A. que les memes lois fussent implantées en Russie, et que les Eveques, entre autres, y eussent pleine liberté de correspondre avec leur chef spirituel, sauf à servir avec sévérité, s'ils dépassaient la limite de leur compétence. Ce qui se passe en Allemagne donne raison à ceux qui soutiennent, que tout ce qui touche de près ou de loin aux affaires religieuses doit etre traité avec une grande modération. La passion est toujours une conseillère dangereuse.

On ne s'éloignerait peut-etre pas trop de la vérité, en tirant du langage du Prince Gortchacow cette déduction, qu'il n'est pas mécontent des embarras de la Prusse, devenue trop puissante dans le concert européen. Il ne lui tendra la main pour l'aider dans ses complications, que dans la juste mesure, et pour sauver les apparences. D'un autre còté, la Russie à été si souvent en butte à l'accusation de persécuter les catholiques, qu'elle ne doit pas voir de mauvais ceil son voisin encourir, à tort ou à raison, le méme reproche. Il entrera dans ses calculs, de se poser, vis-à-vis de ses sujets polonais, comme étant en définitive le moins dur des copartageants de l'ancien Royaume. C'est là un jeu dangereux, car, du jour où le Prince de Bismarck démelerait de telles arrière-pensées, il est désormais assez fort pour les contrecarrer et pour susciter de graves diffi.cultés à la Russie. En attendant, les dehors sont parfaitement sauvegardés, mais il convient de prendre note de ces symptòmes, qui sont autant de présages pour l'avenir. Les relations entre les deux Puissances du Nord pourraient en effet perdre beaucoup de leur intimité, après un changement de règne, solt ici, soit à St. Pétersbourg. C'st pourquoi, par mesure de sage prévoyance, l'Allemagne dépense des sommes considérables pour fortifier sa frontière de l'Est. Pour le moment, il n'y a aucun revirement très sensible à craindre. Le Tsar professe une vive sympathie pour son oncle, et une profonde admiration pour le Prince de Bismarck.

J'ai aussi parlé de l'Internationale. Le Prince Gortchacow était autorisé à traiter ce sujet dans l'audience qui lui a été accordée par l'Empereur Guillaume.

Le Tsar y attachait la plus grande importance, lors méme qu'Il se crut assez à l'abri de la contagion dans Son propre Pays, et en tout cas bien davantage que l'Allemagne, où cette Association faisait des progrès si notables. Le Prince Gortchacow a exprimé le désir de recevoir, en temps et lieu, communication du résultat des conférences prochaines entre les délégués allemands et autrichiens, pour se prévaloir de ces études, si elles présentaient des moyens pratiques pour combattre le mal d'une manière préventive. Quant aux moyens répressifs, on peut-etre sur que la Russie serait impitoyable contre les agissements de l'Internationale, si celle-ci portait atteinte aux lois de l'Empire.

590

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 146. Madrid, 26 giugno 1872 (per. l' 1 luglio).

La fraction du parti Alphonsiste qui se méfie du Due de Montpensier et ne veut à aucun prix l'ingérence de ce Prince dans les affaires d'Espagne, vient de lancer, à son tour, un manifeste dans lequel, en invoquant la Constitution de 1845 qui fixe à quatorze ans la majorité de l'héritier du tròne, il déclare que toute infraction à cette règle fondamentale constituerait une atteinte au principe monarchique en méme temps qu'un amoindrissement des droits du Prince Alphonse. Ce Manifeste, qui, il est vrai, n'est que l'expression de l'infime minorité du parti, prouve que dans le camp alphonsiste comme dans tous les autres, l'on ne peut parvenir à s'entendre.

Le Comité directeur du parti républicain à Barcelone, qui passe pour étre le plus remuant d'Espagne, a éprouvé également le besoin d'affirmer, dans un document public, des principes politiques tout en affectant une certaine bienveillance pour le nouveau Ministère radica!. Ces témoignages de sympathie ont été relevés avec une grande vivacité par la presse libérale conservatrice qui y a vu une nouvelle preuve non équivoque des liens qui unissent secrètement les Radicaux aux Républicains.

Au milieu de ces manifestations des différents partis, le nouveau Cabinet poursuit sans relache le remaniement complet du personnel dans les administrations tant civiles que militaires. Le travail est presqu'entièrement terminé, et l'on peut dire que jamais changement ne s'est opéré dans des proportions aussi colossales. L'armée seule qui compte fort peu de Radicaux n'a pu étre aussi profondément remuée faute d'éléments suffisants dans les Cadres de réserve; mais ce qui a pu se faire a été fait, surtout dans les hauts commandements, et l'on compte sur les Volontaires de la Liberté pour maintenir l'équilibre dans les forces du pays. A Madrid, où ces derniers ont remplacé la troupe que l'on a envoyé combattre les Carlistes, une pareille disposition n'a pas de grands inconvénients, puisque l'esprit du corps est presque entièrement Radica!; mais dans les grandes villes de province où l'élement républicain domine, le Ministère craint de donner des armes à de futurs adversaires; et, par suite, l'idée primitive

d'armer la nation a été, sinon abandonnée, du moins sensiblement ralentie dans son application immédiate.

L'on annonce pour demain, sous forme de circulaire aux Gouverneurs de Provinces, le manifeste du nouveau Cabinet qui sera un véritable programme de sa politique.

Enfin l'ancienne majorité parlementaire, qui a bien positivement résolu de ne pas prendre part aux prochaines élections, se propose de lancer une espèce de Manifeste à la Nation ayant un véritable caractère de protestation contre ce qui vient de se passer.

Je ne manquarai pas de transmettre a V. E. les deux documents qui vont dessiner d'une manière très nette l'attitude du Gouvernement camme celle de ses adversaires.

Demain, m'assure-t-on, paraitra le Décret de dissolution des Cortès, fixant les élections au 15 Aoùt et la convocation des nouvelles Cortès au commencement de Septembre.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 1030. Berlino, 26 giugno 1872 (per. il 5 luglio).

La combinaison ministérielle qui a prévalu à Madrid ensuite de la retraite du Maréchal Serrano, n'offrirait, au dire du Représentant d'Espagne à Berlin, aucune garantie pour la dynastie du Roi Amédée. La fusion à été vainement essayée entre les partis monarchistes. Les expédients ont succédé aux expédients et le Gouvernement se trouve aujourd'hui entre les mains d'une fraction nouvelle, qui ne fera que hater la décomposition. La situation marche vers un dénouement logique, vers une catastrophe, si on ne se hate pas de remonter la pente.

A ce propos, M. de Rascon m'a communiqué très confidentiellement ce détail, qu'il tenait d'un homme d'Etat, qui jouissait d'une grande considération dans son Pays. Il lui avait écrit dans une lettre particulière, qu'il paraissait que le Prince de Bismarck n'était pas étranger aux difficultés suscitées à la nouvelle dynastie.

M. de Rascon avait passé en revue tous ses souvenirs, pour s'assurer si réellement il y avait des faits à charge contre le Chancelier Impérial, mais il se trouvait très perplexe pour prononcer un jugement.

D'une part, il n'y avait jamais eu un désistement très explicite de la candidature Hohenzollern, candidature prise et reprise trois fois dans l'intervalle de Mars 1869 à Juin 1870. S'il y a eu renonciation au nom du Prince Antoine, celui-ci n'a cédé qu'à des injonctions formelles; père et fils seraient disposés à revenir, le cas échéant sur cet acte, d'autant plus que le Roi de Prusse a formellement décliné d'engager l'avenir. On sait d'ailleurs à Madrid, aussi bien qu'à Rome, avec quelle lenteur, pour ne pas dire plus, on s'est prononcé ici,

quand il s'est agi du choix d'un de nos Princes. On pourrait également citer

certain incident, dont j'ai rendu compte, au sujet du Baron de Canitz, qui avait

gravement manqué aux convenances vis-à-vis du Roi et de la Reine, et qui en

définitive n'a reçu aucun désaveu. Ce mème diplomate avait demandé dans ces

derniers temps un congé, qui lui a été refusé, comme si on tenait, malgré son

incapacité notoire, à le laisser à son poste, pour exécuter aveuglement des

instructions éventuelles, si une crise venait à éclater prochainement.

D'autre part, le Prince de Bismarck s'était exprimé, en maintes circonstances, de la manière la plus favorable au nouvel ordre des choses en Espagne. • Ayant une attitude sympathique vis-à-vis du Roi d'Italie, le Cabinet de Berlin ne saurait avoir d'autres sentiments pour son Auguste Fils sur le tròne espagnol •. Il formait donc les meilleurs vrex pour cette Nation et pour le Souverain librement élu. Mais les combinaisons du Chancelier sont si multiples, son canevas est si étendu, qu'on pourrait peut-ètre se demander si en effet il n'aurait pas surgi dans son esprit quelque projet, qui justifierait, au moins dans une certaine mesure, les allusions ci-dessus mentionnées.

J'ai présenté les observations suivantes à M. de Rascon.

Le Prince de Bismarck est sans doute un grand sceptique, un homme d'Etat sans préjugés, mais profondément dévoué à son Pays. Le sentiment n'a pas de prise sur lui. Il se range toujours du còté où il croit démèler ses propres intérèts. Or, il est assez perspicace et, jusqu'ici du moins, il a eu la main assez heureuse, pour ne pas faire fausse route. Ou je me trompe fort, ou il trouvera

que ses convenances ne lui dictent pas de jeter la pierre à une dynastie qui poursuit une politique d'indépendance envers la France, et d'aplanir la voie aux Alphonsistes ou aux d'Orléans, -ou de replacer l'Espagne dans les bras d'une république, à ajouter à celle en deçà des Pyrénées. Il ne dépendrait pas de lui seui de remettre sur le tapis une candidature prussienne, à moins que l'Espagne n'eut le gout des mets réchauffés. Ses convenances lui conseillent également de ne pas s'exposer à s'aliéner l'Italie. La réception faite récemment à nos Princes, n'est-elle pas des plus significatives à ce point de vue? Supposons mème qu'il ait perdu quelque confiance dans la stabilité des choses dans la péninsule Ibérique, à moins qu'il n'y ait plus de chances d'espoir, une sage politique devrait plutòt l'induire à chercher des moyens de prévenir que tout tombe en ruine. Il serait surprenant de voir la Prusse et la France se rencontrer pour saper le mème édifice, s'il est vrai, comme le déclare M. de Rascon, que les Autorités françaises, dans les départements voisins des Pyrénées, sont de connivence avec les insurgés carlistes.

M. de Rascon range parmi les fonctionnaires actifs et zélés. Il ne manque pas d'intelligence, mais l'imagination joue chez lui un grand ròle. Il est assez disposé à prendre des fantòmes pour des réalités. Il arrive à certains diplomates, et il est du nombre, que, en analysant outre mesure les situations politiques, au lieu de s'en tenir aux grandes lignes tracées par un esprit calme, ils se perdent dans les détails et amènent une grande confusion dans leurs idées. En résumé, je lui ai dit que, sans des preuves manifestes, il fallait hésiter à admettre les soupçons articulés contre M. de Bismarck, lorsqu'ils se trouvaient en comtradiction avec les intérèts bien entendus de l'Allemagne.

Je ne voulais pas qu'il put répéter que j'avais semblé partager ce qu'il appelait ses intuitions.

Je tiens cependant à rendre compte de cet entretien à V. E. Elle sait que plus d'une fois, en voie particulière et officielle j'ai écrit qu'on ne saurait assez surveiller la politique du Prince de Bismarck; que malgré toute la vigilance, on pouvait etre exposé à d'étranges surprises de sa part. Il est parfaitement exact que, conformément à sa politique d'avoir selon les occurrences plusieurs cordes à son are, il n'a pas complètement fermé la porte à un retour des Hohenzollern. Mais, dans les circonstances actuelles, j'ai peine à croire qu'il puisse en etre question, et _qu'il veuille compromettre des intérets d'une haute importance, en minant le terrain sous les pieds du Roi Amédée.

M. de Rascon a donné sa démission, en invoquant des simples motifs de santé, mais, à ce qu'il dit, parce qu'il ne saurait soutenir un Ministère qui ne possède pas son estime. Cette démission est-elle bien volontaire? Je l'ignore, mais j'ai su le meme jour qu'elle avait été accéptée, et que le Cabinet de Berlin à déjà été informé, selon les usages, que le Gouvernement Espagnol se proposait de nommer ici M. Escosura, ancien Envoyé près la Cour de Portugal et qui a déjà été aussi Ministre à portefeuille. M. de Rascon prétend que son successeur est un homme connu par sa versatilité, et conspué par tous les partis.

La véritable situation actuelle en Espagne est pour moi un mystère. Les correspondances de Madrid font défaut parmi les documents diplomatiques. Je ne puis donc me prononcer avec quelque connaissance de cause. Je m'abstiens d'autres commentaires.

A son passage ici, le Prince Gortschacow m'a parlé, lui aussi, des nouvelles très inquiétantes de Madrid. Il rappelait à ce sujet une opinion manifestée par un ancien membre des Cortes de Cadix, en 1812: • Si le bon Dieu envoyait la Sainte Vierge pour gouverner à Madrid, Elle succomberait à la tàche •. J'ai répondu à S. A. que je ne partageais pas cet avis. J'avais vu à l'reuvre le Maréchal Narvaez et, sans approuver entièrement ses procédés, j'avais acquis la conviction que le peuple espagnol est très gouvernable, pourvu que le principe d'autorité fllt représenté avec fermeté, sans ménagement pour aucun parti.

592

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. 120. Roma, 27 giugno 1872.

Le ultime mie istruzioni relative alla riforma giudiziaria in Egitto s'incrociarono in viaggio con il pregiato rapporto di V. S. sull'argomento medesimo. Ho saputo con piacere che le difficoltà che ancora frapponevansi alla completa decisione di questo affare per parte della Porta erano più di forma che di sostanza. Il Governo ottomano sembra temere che l'obbligazione di non cambiare le leggi civili penali e di procedura prima di cinque anni, costituisca una limitazione della libertà legislativa che ogni Stato sovrano deve riservare a se solo.

Pare anche che la comunicazione dei codici per la loro approvazione preventiva da parte dei Governi interessati sia ritenuta a Costantinopoli come un'eccessiva ed inammissibile intromissione delle potenze negli affari interni dell'Egitto. Tutte queste difficoltà sono, come dissi, più di forma che di sostanza. Se non si vuole stabilire un termine di cinque anni per la durata obbligatoria del regime giudiziario che si tratta di introdurre, si potrà sostituirvi una generale riserva per parte delle potenze di ritornare alle giurisdizioni attuali, qualora il nuovo ordinamento non avesse da produrre gli effetti che se ne sperano, ovvero la riserva, che l'Egitto stesso potrebbe fare, di rivedere dopo cinque anni, con il concorso dei Governi interessati, le leggi organiche della riforma, nel caso fosse necessario introdurvi qualche essenziale emendamento.

Quanto alla presentazione dei codici alle potenze che sono chiamate a rinunziare od almeno a sospendere l'esercizio della propria giurisdizione, per far luogo alla competenza dei magistrati che si vogliono istituire, non pare possa dirsi un atto contrario all'indipendenza legislativa dell'Egitto. Essa costituisce una guarentigia del buon esito della riforma. La presentazione non richiede necessariamente per parte delle potenze un'approvazione. I Governi esteri prendendo atto della legislazione che l'Egitto intende abbia ad essere applicata dai nuovi tribunali, si assicurano che la giustizia sarà rettamente da quelli amministrata secondo i principi del diritto in vigore nei paesi d'Europa. A questo titolo, essi possono rinunciare per i loro sudditi al privilegio che ora godono di essere il più delle volte giudicati secondo la propria legge, od almeno secondo la legge di altro paese europeo.

Io non credo che, quando la Turchia ha voluto introdurre importanti riforme nei suoi ordinamenti interni, essa abbia proceduto diversamente. Senza parlare delle solenni comunicazioni fatte alle potenze di quegli atti, costitutivi dell'eguaglianza civile di tutti i sudditi ottomani, e che formano parte integrante del diritto pubblico della Turchia, non mancano a V. S. numerosi esempi di comunicazioni fatte dalla Porta alle Legazioni estere in Costantinopoli, e direttamente ai governi da quelle rappresentati, sia per riformare leggi già esistenti, sia per introdurne di nuove. Non si è proceduto altrimenti nelle successive modificazioni introdotte per il tribunale del Tijdjaret e nella creazione della autorità municipale dei quartieri abitati dagli stranieri nelle principali città. D'altronde non è esatto il dire che l'obbligarsi a mantenere in vigore una legge per un periodo determinato d'anni costituisca una rinunzia all'indipendenza legislativa del potere sovrano; dappoichè, non altro fanno tutti i governi che firmano convenzioni e trattati per la navigazione, il commercio, lo stabilimento degli stranieri, dei Consoli etc., cose tutte che hanno per effetto di impegnarli a non cambiare di legislazione sovra le indicate materie per il numero d'anni durante i quali la convenzione od il trattato deve restare in vigore.

Questi ed altri simili riflessi V. S. è autorizzata ad esporre nei Suoi colloqui con i Ministri del Sultano, ed io mi auguro che possano produrre sulle loro determinazioni un effetto decisivo.

A S. A. il Kedive Ella potrà far sapere che dalle mie ultime istruzioni, confermate ed ampliate con questo dispaccio, V. S. è invitata ad adoperarsi presso la Porta per ottenere che rimuova finalmente gli ostacoli sinora opposti

43 -Documenti diplomatici -Serie Il -Vol. III

all'applicazione della riforma egiziana. Desidero che Ella si concerti con S. A. e si tenga in rapporto con Nubar Pascià che accompagna a Costantinopoli il Kedive, non solo perchè questo sarà il miglior modo per rendere efficace l'azione da esercitarsi presso la Porta, ma anche perchè Ella così potrà mantenersi nel proposito di non abbandonare l'opera della riforma vegliando a che non abbiano il sopravvento nell'animo del Kedive le influenze che vorrebbero spingerlo a chiedere per il Vice Regno l'applicazione del regime stesso che la Porta applica agli stranieri nei paesi di suo immediato dominio. Il contegno dell'Italia e della Francia nella vertenza relativa alla giurisdizione consolare in Tripoli di Barberìa deve aver fatto avvertito il Kedive e la Porta che nè l'una nè l'altra potenza non si piegherebbero ad accettare simili restrizioni per l'Egitto.

Avendo io incaricato i rappresentanti italiani a Parigi Londra Vienna Berlino e Pietroburgo di far conoscere a quei governi la opportunità di unire la loro alla nostra azione presso la Porta ottomana nel senso sovr'indicato, è bene che Ella sia anche di questa circostanza informata per poter intendersi, se occorre, con quegli altri rappresentanti che avessero istruzione di agire concordemente con V. S.

593

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 394. Roma, 27 giugno 1872.

Mediante i documenti che le vennero mano mano comunicati dal Ministero, V. S. ha potuto seguire nelle varie sue fasi la quistione della Riforma giudiziaria in Egitto e vedere con quanto impegno l'Italia abbia contribuito a prepararla facendone oggetto di accurati speciali studi.

Gli ultimi rapporti di Alessandria e di Costantinopoli accennano all'opportunità di cogliere l'occasione presente del viaggio del Khedive alla capitale ottomana per esercitare sulla Porta un'azione capace di risolvere le ultime difficoltà che ancora si oppongono alla conclusione di quest'affare.

Il Governo del Re è troppo persuaso che una riforma nell'attuale regime giudiziario debba portare buoni frutti per non insistere nel senso che la riforma stessa abbia ad essere lestamente applicata. Il vantaggio maggiore che noi siamo certi di ottenere con il nuovo ordinamento è quello di far cessare l'incertezza presente che nuoce moltissimo all'Amministrazione della Giustizia per le vie regolari ed è motivo del protrarsi indefinitamente delle cause che le parti tentano con ogni mezzo di sottrarre alla giurisdizione ordinaria per presentarle nella forma diplomatica. Lo sviluppo che gli affari italiani hanno preso in Egitto non consente più che si proceda a lungo in questo sistema. Ad ogni tratto le discussioni irritanti che si producono per un affare o per l'altro di quelli detti nuocciono al disbrigo delle altre pratiche non meno importanti e talvolta esercitano un'influenza rincrescevole sulle relazioni dell'Agenzia e Consolato Generale di S. M. con il Governo locale.

L'Italia nel patrocinare la causa della riforma giudiziaria, dopo aver potuto convincersi che questa può essere un'opera seria e vantaggiosa, non fa altro che agire nel senso dei propri interessi senza obbedire ad alcuna considerazione estranea ai medesimi, senza prefiggersi alcun remoto scopo politico.

Io credo che, considerando a questo punto di vista la quistione della Riforma Giudiziaria, gli interessi degli italiani non possono che concordare con quelli degli altri stranieri stabiliti in Egitto. Ci sembrerebbe dunque cosa ben naturale che i passi che noi facciamo a Costantinopoli per raccomandare la risoluzione di quest'affare, non dovessero rimanere isolati. Noi saremmo anzi ben lieti di sapere che i rappresentanti dei Governi principalmente interessati terranno alla Porta un linguaggio analogo a quello che l'Italia ha prescritto al suo Inviato presso il Sultano.

Desidero dunque che V. S. intrattenga di quest'affare il signor di Rémusat e procuri di ottenere che da lui si diano all'Ambasciatore di Francia a Costantinopoli immediate istruzioni nel senso più indicato acciocchè l'azione del rappresentante francese possa esercitarsi nel momento più opportuno, finchè cioè il Khedive si trova sul Bosforo.

594

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 147. Madrid, 27 giugno 1872 (per. il 2 luglio).

Je m'empresse de transmettre ci joint à V. E. la Circulaire-programme (l) du nouveau Ministère Radica!, indiquant en termes très clairs la ligne politique que le Gouvernement se propose de suivre au milieu de circonstances dont il ne se dissimule ni la gravité ni les difficultés. L'abolition de la Conscription, l'établissement du Jury, l'examen sérieux des Finances, l'application sincère de la liberté des cultes et la pacification de Cuba sont toutes autant de questions que le Ministère se propose d'aborder et de résoudre dans le sens le plus large des libertés constitutionnelles et des intérets du pays.

Malheureusement, si le programme est clair, il est, en revanche, plus dif

ficile de savoir comment et jusqu'à quel point certaines réformes, qui com

portent un remaniement complet dans les institutions du pays, pourront étre

accomplies.

Et d'abord l'abolition de la Conscription, dans un pays où l'armée est tout, soulève à elle seule une question tellement délicate qu'il est impossible de prévoir comment elle sera acceptée par le pays, peu mùr, il faut bien le reconnaitre, pour le service général obligatoire qui probablement sera la conséquence de l'abolition en question.

L'établissement du Jury, bien que tout naturellement indiqué par la ten

dance générale des esprits modernes, ne laissera pas que de rencontrer de

grandes oppostitions.

Quant aux Finances, c'est là une question ardue dont aucun parti n'entre

voit la solution régulière, et que, de l'avis des meilleurs financiers, ne pourra

se résoudre que par une décision énergique comportant une réduction consi

dérable dans l'intérèt de la Dette publique et se complétant par un effort

suprème du pays.

Ce qu'il y a de mieux dans la Circulaire c'est le passage où il est dit que

le Gouvernement défendra avec une énergique résolution et une fermeté iné

branlable la Dynastie et la légalité existante consacrées par le vote populaire.

Enfin, comme appréciation générale du programme gouvernemental, auquel l'on ne saurait refuser un caractère de modération, puisqu'il déclare vouloir se renfermer dans les strictes limites de la Constitution sans essayer de s'en servir comme point de départ pour aller plus loin, il faut bien ajouter que ce n'est que dans l'application de ses principes que l'on pourra reconnaitre ses tendances comme son véritable esprit.

Comme contraste à ce qui précède, je joins également ici le manifeste (l) qu'a voté hier soir à l'unanimité l'ancienne majorité parlementaire des Députés et Sénateurs. Ce document, aussi court qu'énergique, est un véritable réquisitoire et déclaration de guerre contre le Ministère actuel qu'il accuse surtout de violer la Constitution en exigeant des impòts que n'ont pas votés les Cortès.

Il vient de se produire à Jerès, dans la province de Cadix, des actes de brigandage d'une certaine gravité. Une bande de quelques centaines d'hommes a parcouru les environs de cette ville en incendiant les propriétés, pillant, et commettant des assassinats sur des paisibles habitants. L'autorité a promptement mis fin à ces actes de vandalisme en s'emparant des coupables, mais en apprenant que ces bandes se composaient de Républicains et de Communistes, l'opinion publique en Espagne a été vivement émue d'un ensemble de crimes dans lequel elle a cru voir les premiers essais d'imitation de la Commune de Paris.

(l) Non pubblicata.

595

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 395. Roma, 28 giugno 1872.

Nella spedizione che le faccio oggi, Ella troverà copia di un rapporto del

R. Ministro a Costantinopoli (2), e di un mio dispaccio a quel R. Rappresentante (3), riferentisi l'uno e l'altro alla quistione degli Armeno-Cattolici.

Ella vedrà qual motivo abbia indotto il R. Ministro a tener parola di quell'affare a Server Pacha, ed in quali termini egli abbia ciò fatto. Vedrà pure che il Governo del Re se non istimò di dover esprimere un'opinione sulla quistione degli Armeno-Cattolici nelle varie fasi anteriori, non poteva però disapprovare

una conversazione del suo Ministro a Costantinopoli quando il linguaggio tenuto

era conforme ai principii notoriamente professati dall'Italia.

Ma siccome il passo fatto dal signor conte Barbolani presso Server Pascià

potrebbe dar luogo ad altre interpretazioni, cosi qualora V. S. fosse in propo

sito interrogata, io desidero ch'Ella risponda senza ambage la politica italiana

in questa quistione riassumersi tutta nella parola astensione.

(l) -Non pubblicato. (2) -Non pubblicato, ma cfr. n. 541. (3) -Cfr. n. 585.
596

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 4319. Madrid, 29 giugno 1872, ore ... (per. ore 23).

Décret dissolution des Cortès a été publié aujourd'hui. Les élections auront lieu le 24 Aout et les nouvelles Chambres seront convoquées le 15 septembre. Le Roi partira sous peu de jours pour aller visiter villes et armées du nord.

597

IL MINISTRO A BUENOS AIRES, DELLA CROCE DI DOJOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

D. 159. Buenos Aires, 29 giugno 1872 (per. il 2 agosto).

L'attitudine assunta dalla stampa Brasiliana e dalla pubblica opinione in generale del vicino Impero, dopo la pubblicazione dell'ultima nota del Signor Tejedor, ha messo in seria apprensione tutti gli animi in Buenos Aires; oramai parte della stampa argentina ha smesso alquanto della primitiva jattanza. Il Governo pare disposto a fare ogni sforzo per la conservazione della pace. Domani il Generale Mitre parte per Rio Janeiro.

Negli scorsi giorni avendo avuto occasione di avere un assai lungo colloquio col Presidente stesso della Repubblica Signor Sarmiento, questi si espresse meco sulla questione in termini moderatissimi. Egli anzi andò tant'oltre da deplorare non solo il linguaggio dei periodici argentini, ma da sconfessare persino la pubblicazione dell'ultima nota del suo Ministro: Ho lottato, disse egli, perchè tale documento non fosse stampato, almeno per ora; sventuratamente non ho potuto attenerlo.

All'E. V. parranno sicuramente strane queste parole nella bocca di un Presidente, i cui Ministri, a termini della Costituzione, non sono per così dire che semplici segretari, quasi irresponsabili, e non può trovarsene la spiegazione altrimenti che nel carattere debole ed indeciso del Signor Sarmiento, nella avanzata sua età, e nell'ascendente che ha saputo acquistare su di lui e sugli altri Ministri, suoi Colleghi, il Dottor Tejedor.

Entrando intieramente nelle sue idee, io ho creduto intanto di insistere presso del Presidente sulla convenienza assoluta di evitare ad ogni costo una rottura. Avendo anzi saputo che erasi pensato vagamente ad un disegno di mediazione di una Potenza europea, ho creduto opportuno potergli offrire, in ogni caso, i buoni uffici del Governo italiano, come quello che più d'ogni altro, per la numerosa sua Colonia, può essere interessato alla conservazione della pace nel Rio della Plata. Il Signor Sarmiento mi ringraziò dicendomi: Può essere che abbiamo bisogno di Voi.

Prima della mia partenza per l'Europa avrò l'onore di vedere nuovamente il Presidente e di conoscere quali saranno le sue idee dopo la nuova piega che sembrano voler prendere le cose.

È da notare intanto che in questa questione coll'Argentina, il Brasile non ha con sè l'attuale Governo del Paraguay, ma quello stesso di Montevideo, il quale, per timore certamente più che per altro, pare disapprovi l'opP.rato della sua antica e costante alleata.

Per quanto si dice, anche al Brasile prevarrebbero ora, in generale, idee pacifiche. Il partito militare però spingerebbe alla guerra, affermando essere questa un giorno o l'altro inevitabile, e che mai questa potrebbe aver luogo in condizioni più favorevoli, per avere ora il Brasile una potente flotta fluviale ed un esercito organizzato, mentre l'Argentina è sprovvista di ogni cosa.

Se mi è lecito esprimere nuovamente la mia opinione, io ho sempre ferma speranza che il pericolo di una guerra sarà scongiurato. Se questa dovesse scoppiare enormi sarebbero i danni che ne soffrirebbe il Commercio, in generale. È noto all'E. V. quale immenso mercato offre il Rio della Plata ai prodotti manufatturati d'Europa. Mi pare difficile quindi che se le complicazioni si facessero serie, l'Europa stessa non si trovasse obbligata ad esercitare una pressione su questi Stati per mantenervi la pace. Non credo pertanto avere oltrepassato le mie istruzioni offerendo verbalmente al Signor Sarmiento i buoni uffici del mio Governo, pel mantenimento della medesima.

P. S. -Si parla sempre del ritiro della ultima nota del Signor Tejedor, che il Brasile esigerebbe. Certo, se questo avesse luogo, l'attuale Ministro degli Affari Esteri non potrebbe più conservare il suo portafoglio.

<
APPENDICI

APPENDICE I

LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO

(Situazione all'agosto 1871)

ARGENTINA

Buenos Aires -DELLA CROCE DI DoJOLA conte Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARTIN LANCIAREZ Eugenio, segretario.

AUSTRIA-UNGHERIA

Vienna -NICOLIS DI RoBILANT conte Carlo Felice, maggior generale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CuRTOPASSI Francesco, consigliere; BALBI SENAREGA marchese Giacomo, segretario; TERZAGHI Carlo, segretario; BECCADELLI BoLOGNA Giuseppe, principe di Camporeale, addetto onorario.

BADEN

Karlsruhe -N. N. inviato straordinario e ministro plenipotenziario; TUGINI Salvatore, addetto.

BAVIERA

Monaco -GREPPI conte Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CENTURIONI marchese Enrico, segretario.

BELGIO

Bruxelles -BLANC Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE SoNNAZ Carlo Alberto, segretario; MocENIGo conte Alvise, addetto.

BOLIVIA

GARROU Ippolito, incaricato d'affari (residente a Lima).

BRASILE

Rio de Janeiro -CAVALCHINI-GAROFOLI marchese Carlo Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

BRUNSWICK

DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino).

CILE

GARROU Ippolito, incaricato d'affari (residente a Lima).

CINA

FÉ D'OsTIANI conte Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Yedo).

CITTA ANSEATICHE

Amburgo -QUIGINI PuLIGA conte Effisio, incaricato d'affari.

COSTARICA

ANFORA (dei duchi di Licignano) Giuseppe, incaricato d'affari (residente a Guatemala).

DANIMARCA

Copenaghen -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

FRANCIA

Parigi -NIGRA Costantino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RESSMANN Costantino, segretario; FRANCHETTI Giulio, segretario; AVARNA, dei duchi di Gualtieri, Giuseppe, addetto.

GIAPPONE

Yedo -FÉ D'OsTIANI conte Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (accreditato anche per la Cina); PISA Ugo, addetto.

GRAN BRETAGNA

Londra -CADORNA Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MAFFEI DI BoGLIO conte Carlo Alberto, consigliere; CoNELLI DE' PROSPERI Carlo, segretario; CATALANI Tommaso, addetto; HrERSCHEL DE' MINERBI Oscarre, addetto; PAPADOPOLI conte Angelo, addetto onorario.

GRECIA

Atene -MIGLIORATI marchese Giovanni Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GALVAGNA barone Francesco, segretario.

GUATEMALA

Guatemala -ANFORA (dei duchi di Licignano) Giuseppe, incaricato d'affari.

HONDURAS ANFORA (dei duchi di Licignano) Giuseppe, incaricato d'affari (residente a Guatemala). MAROCCO Tangeri -ScovAsso Stefano, incaricato d'affari.

MECKLEMBURGO (Granducati di) DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino). MESSICO Messico -CATTANEO Carlo, incaricato d'affari.

NICARAGUA ANFORA (dei duchi di Licignano) Giuseppe, incaricato d'affari (residente a Guatemala). OLDENBURGO DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino). PAESI BASSI Aja -BERTINATTI Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PAssERA Oscarre, segretario.

PERU' Lima -GARROU Ippolito, incaricato d'affari.

PORTOGALLO

Lisbona -0LDOINI marchese Filippo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PATELLA Salvatore, segretario; VIGONI Giorgio, segretario.

PRUSSIA ED IMPERO DI GERMANIA

Berlino -DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Tosi Antonio, segretario; LITTA BmMI REsTA conte Balzarino, segretario; ToRRIGIANI marchese Filippo, addetto onorario.

RUSSIA

PietrobuYgo -Dr BELLA CARACCIOLO marchese Camillo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MAROCHETTI barone Maurizio, segretario; Rrccr PETROCCHINI marchese Antonio, addetto onorario.

S. SALVADOR

ANFORA (dei duchi di Licignano) Giuseppe, incaricato d'affari (residente a Guatemala).

SASSONIA (Regno di)

DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino).

SASSONIA (Gran Ducato e Ducati di)

DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino).

SPAGNA

Madrid -DE BARRAL DE MoNTEAUVRARD conte Camillo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE MARTINO Renato, segretario; CoLoBIANO ARBORIO Luigi, segretario.

STATI UNITI DELL'AMERICA DEL NORD

Washington -CoRTI conte Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ZANNINI conte Alessandro, segretario.

SVEZIA E NORVEGIA

Stoccolma -SALLIER DE LA TouR conte Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BoBBIO Ettore, segretario.

SVIZZERA

Berna -MELEGARI Luigi Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARTUSCELLI Ernesto, segretario; DE NITTO Enrico, addetto; BECCARIA INCISA marchese Emanuele, addetto.

TURCHIA

Costantinopoli -ULISSE BARBOLANI DI CESAPIANA conte Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CovA Enrico, segretario; CoTTA Francesco, segretario; NrccoLINI marchese Carlo, addetto onorario; VERNONI Alessandro, interprete; GRAZIANI Edoardo, interprete; BARONE Antonio, interprete; CHABERT Alberto, interprete.

VICEREAME D'EGITTO Cairo -DE MARTINO Giuseppe, agente e console generale.

REGGENZA DI TRIPOLI TripoLi -BosiO Onorato, console.

REGGENZA DI TUNISI Tunisi -PINNA Luigi, agente e console generale.

PRINCIPATI UNITI DI MOLDAVIA E VALACCHIA Bucarest -FAVA barone Saverio, agente e console generale.

PRINCIPATO DI SERBIA BeLgrado -JoANNINI CEVA DI SAN MICHELE conte Luigi, agente e console generale.

URUGUAY Montevideo -RAFFO Giovanni Battista, incaricato d'affari.

VENEZUELA Caracas -VIVIANI Giovanni Battista, incaricato d'affari.

WORTEMBERG

Stoccarda -RATI 0PIZZONI conte Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VIscoNTI D'ORNAVAsso barone Carlo Alberto, segretario.

APPENDICE II

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

(Situazione all'agosto 1871)

MINISTRO VISCONTI VENOSTA Emilio, deputato al Parlamento.

SEGRETARIO GENERALE

ARTOM !sacco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, incaricato delle funzioni di segretario generale.

DIVISIONE POLITICA

ToRNIELLI-BRUSATI conte Giuseppe, consigliere di legazione, reggente la divisione.

UFFICIO I

Corrispondenza politica -Con-ispondenza partico~are del Ministm Trattati politici -Pubblicazioni diplomatiche -Cifra e telegrammi

MALVANO Giacomo, capo sezione di 2• classe. JACQUIER Vittorio, segretario di 2" classe. PANSA Alberto, applicato di 2" classe. BIANCHI DI LAVAGNA Francesco, applicato di 2" classe. DEL CASTILLO DI SANT'ONOFRIO marchese Ugo, applicato di 3• classe. CANTAGALLI Romeo, segretario di legazione di 2• classe, addetto all'ufficio. GUICCIOLI marchese Alessandro, addetto di legazione, addetto all'ufficio.

UFFICIO II

Personale del Ministe1·o, delle Legazioni e dei Corrieri di Gabinetto Ordini cavallereschi nazionali ed esteri -Atti pubblici -Notariato della Corona -Cerimoniale di C01·te -Cancelleria dell'Ordine della SS. Annunziata -Archivi della divisione.

BERTOLLA Giuseppe, segretario di l a classe. CICERO Carlo Federico, applicato di l a classe. SEVEZ Lorenzo, traduttore. LATTES Giuseppe, vice console di l a classe, addetto all'ufficio.

DIVISIONE DELLA CONTABILITA E DELL'ARCHIVIO

CORSO Edoardo, direttore capo di divisione di l a classe.

UFFICIO I (Ragioneria)

Bilancio -Contabilità generale dei RR. agenti diplomatici e consolari -Mandati -Rendiconti -Corrispondenza relativa -Protocollo ed archivio della divisione.

CARRERA Angelo, capo sezione di 2• classe, ragioniere capo. CATTANEO Angelo, segretario di l a classe. PAPINI Andrea, applicato di l" classe. BERNONI Luigi, applicato di l a classe. GUGLIELMINETTI Giuseppe, applicato di 2" classe. DE NoBILI Achille, applicato di 2" classe. FossATI Giuseppe, applicato di 3" classe.

UFFICIO II

Spese d'ufficio -Contratti -Se1·vizio interno -Cassa -Uscieri -Passaporti -Legalizzazioni -Biblioteca -Archivi del Ministero.

CANTON Carlo, capo sezione di l a classe. DoRIA DI DoLCEACQUA marchese Andrea, segretario di 2• classe. LONGo-VAscHETTI Giovanni Battista, applicato di l' classe. ALBERGOTTI SIRI barone Tito, applicato di l a classe. D'ONCIEUX DE CHAFFARDON conte Paolo, applicato di 3• ellisse.

DIREZIONE GENERALE DEI CONSOLATI E DEL COMMERCIO

PEIROLERI Augusto, direttore generale.

DIVISIONE I

DE VEILLET Francesco, direttore capo di divisione di 2• classe.

UFFICIO I

Corrispondenza coi RR. agenti diplomatici e consolari residenti presso i diversi stati d'Europa e loro colonie, eccettuata la Turchia e la Grecia, e cogli agenti diplomatici e consolari di detti stati in Italia, coi ministeri, colle autorità e coi privati in tutte le materie non politiche, nè commerciali.

ScHMUCKER barone Pompeo, capo sezione di 2" classe. BRASCHI conte Daniele, segretario di l a classe. CAVACECE Emilio, segretario di l • classe. MIRTI DELLA VALLE Achille, segretario di l a classe. BARILIS Diego Lorenzo, segretario di l a classe. MoNTERSINO Francesco, segretario di 2• classe. CAPELLO Carlo Felice, segretario di 2" classe. DE MARI marchese Giovanni Maria, applicato di 2" classe. CAPuccro Alessio, applicato di 2• classe. VACCAJ Giulio, applicato di 4" classe. PEROLARI-MALMIGNATI Pietro, volontario. BERTOLA Camillo, volontario. GrANOLI Federico, volontario.

UFFICIO II

Corrispondenza coi RR. agenti diplomatici e consolari residenti in Grecia, nell'Impero ottomano, in Asia, Africa ed America, e cogli agenti diplomatici e consolari degli stati di det:Jti paesi in Italia, coi ministeri, colle autorità e coi privati in tutte le materie' non politiche nè commerciali.

BrANCHINI Domenico, capo sezione di 2" classe. MrLIOTTI Luigi, segretario di 2• classe. BAZZONI Augusto, segretario di 2• classe. MAssA Nicolò, applicato di 3" classe. PIRRONE Giuseppe, applicato di 4• classe. MAISSA Felice, volontario.

UFFICIO III

Corrispondenza riservata e confidenziale della direzione generale Personale consolare e dragomannale -Esami -Exequatu·r agli agenti esteri -Protocollo della direzione generale.

0DETTI DI MARCORENGO Edoardo, applicato di l" classe. BROFFERIO Tullio, applicato di 2• classe. RrvA Alessandro, vice console di 3" classe, addetto all'ufficio.

DIVISIONE II

SPINOLA marchese Federico Costanzo, consigliere di legazione, reggente la divisione.

UFFICIO I

Corrispondenza relativa alla stipulazione dei trattati e delle convenzioni commerciali, di navigazione, consolari, monetarie, doganali, postali e telegrafiche, ecc. -Pubblicazioni commerciali -BoUettino consolare.

DE GoyzuETA (dei marchesi di Toverena) Francesco, capo sezione di l" classe. BoREA n'OLMO marchese Giovanni Battista, segretario di l" classe. PucciONI Emilio, applicato di 3' classe. BARDI Alessandro, applicato di 3" classe. BARILARI Federico, applicato di 4• classe. PAGANUZZI Daniele, reggente applicato di 4" classe.

UFFICIO II

Corrispondenza relativa alle successioni di nazionali all'estero, ed agli atti di stato civile rogati all'estero.

SANTASILIA (dei marchesi) Nicola, capo sezione di 2• classe.

MARGARIA Augusto, segretario di 2• classe.

BERTOLLA Cesare, applicato di 4" classe.

GIOIA Lodovico, volontario. CARPANI Agostino, volontario.

NEGRI Cristoforo, console generale di l a classe, incaricato delle funzioni di consultore legale presso il Ministero e di quanto concerne l'ispezione dei consolati all'estero.

UFFICIALI CONSOLARI TEMPORANEAMENTE ADDETTI AL MINISTERO

Pucci BAUDANA Giulio, vice console di l • classe. GALLI conte Goffredo; Cossu Carlo; DE GoYZUETA Luigi, vice consoli di 2"

classe. SoLANELLI Gaetano, vice console di 3" classe. VALERGA Pietro, interprete onorario per la lingua araba.

CORRIERI DI GABINETTO

Corrieri di Gabinetto di 1a classe: ARMILLET Giuseppe; ANIELLI Eugenio. Corrieri di Gabinetto di 2" classe: VILLA Antonio; LONGO Giuseppe.

44 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III

USCIERI

Capi Uscie1·i: CAVAGNINO Pietro -FERRERO Antonio -CARELLo Giuseppe.

Uscieri: BRUNETTI Martino -Rossi Antonio -MoNGE Giuseppe -RosTAIN Cesare -SAROGLIA Giuseppe -Bo Ignazio -BRUNERI Michele -DaNZINO Domenico -MoRONE Giovan Battista -BERNARDI Lodovico -ZEI Giuseppe DE MATTEIS Giacomo.

Inservienti: CRAVANZOLA Luigi -BRUSA Luigi.

CONSIGLIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

Questioni di diritto internazionale, di nazionalitd, leva, interpretazioni di trattati, ecc.

PRESIDENTE

DEs AMBROIS DE NEVACHE Luigi, ministro di Stato, presidente del Consiglio di Stato, senatore del Regno.

VICE PRESIDENTE

VIGLIANI Paolo Onorato, senatore del Regno, primo presidente della Corte di Cassazione di Firenze.

CONSIGLIERI

Il Segretario Generale del Ministero per gli Affari Esteri. RAELI Matteo, consigliere di Stato. TABARRINI Marco, consigliere di Stato. GuERRIERI-GoNZAGA marchese Anselmo, deputato. ALFIERI DI SosTEGNO marchese Carlo, senatore del Regno. ToNELLO Michelangelo, senatore del Regno, consigliere di Stato. FoRNETTI Tommaso, segretario.

SEGRETARIO AGGIUNTO

BIANCHINI Domenico, capo sezione presso il Ministero degli Affari Esteri.

APPENDICE III

LEGAZIONI ESTERE IN ITALIA

(Situazione aLL'agosto 1871)

Argentina: Mariano BALCARCE, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Parigi).

Austria-Ungheria: barone Aloys von KuBECK, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; conte Karl ZALUSKI, consigliere; conte Eric von SALM REIFFERSCHEIDT-KRAUTHEIM, segretario; barone Marius PASETTI-FRIEDENBURG, segretario; Florian von RosTY, segretario; barone Roger von BrEGELEBEN, addetto; Alexis von PoLACK, luogotenente colonnello, addetto militare.

Baviera: Wilhelm von DoENNIGES, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Belgio: Henri SoLVYNS, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Frédéric HooRICKX, consigliere; barone Alfred LE GHAIT, segretario; barone Adrien VANDERLINDEN D'HOOGVORST, addetto.

Brasile: Juan Alves LoUREIRO, ministro residente.

Danimarca: barone P. DE BrLLE-BRAHE, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Francia: conte Rorace DE CHorsEUL, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; marchese Arthur DE SAYVE, primo segretario; visconte Alfred DE BRESSON, secondo segretario; visconte Henri Du PoNCEAU, addetto; DE LESSEPS, addetto; conte DE LAUGIER-VILLARS, addetto; barone René EcHASSERIAUX, addetto; Ernest DE LA HAYE, tenento colonnello di stato maggiore, addetto militare.

Gran Bretagna: sir August BERKELEY PAGET, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Edward HERRIES, primo segretario; Francis PLUNKETT, secondo segretario; Edmund DoUGLAS VEITCH FANE, secondo segretario; Walter BARING, terzo segretario.

Grecia: Andreas CouNDURIOTIS, inviato straordinario e ministro pienipotenziario; Gheorghis SALACHAS, segretario.

Nicaragua: Tommaso DE FRANco, ministro plenipotenziario (residente a Parigi).

Paesi Bassi: Mauritius liELDEWIER IKHR, ministro residente.

Perù: Andreas CALDERON Y ALVARES, incaricato d'affari.

Portogallo: visconte José FERREIRA BoRGES DE CASTRo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; visconte A. E. DE LANCASTRE Y SALDANHA, primo segretario.

Prussia ed Impero di Germania: conte Anton Maria Josef BRASSIER DE SAINT SIMON, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; conte Ludwig von WESDEHLEN, consigliere; maggiore Gustav von AsPERG, addetto; maggiore von LATTRE, addetto militare.

Russia: barone Karl D'UxKULL-GYLLENBANDT, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Nikolae GLINKA, primo segretario; Mikail 0GAREV, secondo segretario; conte Aleksandr DI BENKERDORF, addetto; NECAEV, addetto; maggior generale DE RICHTER, addetto militare.

San Salvador e San Domingo: Giulio THIRION DE MoNTAUBAN, incaricato d'affari (residente a Parigi).

Sassonia Reale: barone Albin Leo von SEEBACH, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Parigi).

Spagna: marchese Francisco da Paula DE MoNTEMAR, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Alberto BALLESTERos, primo segretario; José RicA Y CALVO, segretario; Fernando PIZZARRO, addetto; visconte Edoardo DE SusiNI, addetto.

Stati Uniti: George PERKINS MARSH, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; George WuRTS, segretario.

Svezia e Norvegia: conte Carl Edward PIPER, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Gregor D'AMINOFF, segretario.

Svizzera: Giovan Battista PIODA, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Luigi PIODA, segretario; Gabriele BRUN, addetto.

Turchia: PHOTIADES bey, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CHRYSSIDI effendi, primo segretario; HALIL bey, secondo segretario.

Wurtemberg: barone Maximilian Adolf von Ow, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.